N. 136 ORDINANZA 3 - 7 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Filiazione - Procedura per la verifica dello stato di abbandono di un
  minore - Apertura d'ufficio da parte del Presidente  del  Tribunale
  per i  minorenni  o  di  un  Giudice  da  lui  delegato  -  Mancata
  previsione - Petitum eccentrico rispetto  al  sistema  vigente  che
  attribuisce  al  pubblico  ministero  il  munus  in   questione   -
  Intervento che presenta i connotati di una  "novita'  di  sistema",
  spettante in via esclusiva alle scelte del legislatore -  Manifesta
  inammissibilita' della questione 
- Legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 10, comma 1, nel testo sostituito
  dall'art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo  comma,  e
  32, primo comma. 
(GU n.24 del 12-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  10,
comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
famiglia), nel testo sostituito dall'art. 10  della  legge  28  marzo
2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4  maggio  1983,  n.  184  recante
«Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori», nonche'  al
titolo  VIII  del  libro  primo  del  codice  civile),  promosso  dal
Tribunale per i minorenni di Trieste  con  ordinanza  del  25  maggio
2012, iscritta al n. 207 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  maggio  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che il Tribunale per i minorenni di Trieste solleva,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo comma,
e 32, primo comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 1, della legge 4 maggio  1983,  n.
184 (Diritto del  minore  ad  una  famiglia),  nel  testo  sostituito
dall'art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla  legge
4  maggio  1983,  n.  184   recante   «Disciplina   dell'adozione   e
dell'affidamento dei minori», nonche' al titolo VIII del libro  primo
del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente
del Tribunale per i minorenni o un  giudice  da  lui  delegato  possa
procedere d'ufficio all'apertura  della  procedura  per  la  verifica
dello stato di abbandono di un minore»; 
    che il giudice rimettente premette di essere stato  investito  il
13 dicembre 2007 da un ricorso urgente del pubblico ministero, con il
quale si chiedeva di disporre l'affidamento di un minore, nato  il  4
settembre 2003, presso un ente locale,  per  sostegno,  controllo  ed
eventuale collocamento comunitario, anche unitamente alla  madre,  se
consenziente, formulando nella specie «espressa riserva di richiedere
provvedimenti ben piu' limitativi della potesta' genitoriale nel caso
di mancata collaborazione dei genitori»; 
    che, nel corso della  procedura,  traspariva  una  situazione  di
generale degrado - nella quale si inseriva la condanna del padre  per
maltrattamenti nei confronti della madre - con importanti carenze sul
versante della funzione genitoriale,  che  induceva  il  Tribunale  a
collocare presso una struttura  comunitaria  anche  il  secondogenito
della coppia, nato il 28 maggio 2008; 
    che  la  perdurante  mancanza  di  collaborazione  da  parte  dei
genitori induceva il Tribunale a disporre, con decreto del 21  luglio
2011, la misura  dell'affidamento  all'ente  locale  anche  a  tutela
dell'ultimogenito, nato il 17 maggio 2011, con nomina di un  curatore
speciale e prescrizione ai  genitori  di  consentire  agli  operatori
sociali di effettuare i necessari controlli sul neonato; 
    che, con successive relazioni, gli operatori  mettevano  in  luce
l'impossibilita'  di  contatti  con  i  genitori  e   la   drammatica
situazione psicologica dei minori, nonche' il rischio di uno sviluppo
psico-patologico e di squilibrio nelle dinamiche interpersonali; 
    che all'esito dell'udienza - nella quale  il  pubblico  ministero
aveva chiesto «la mera  conferma  delle  statuizioni  precedentemente
emesse» a tutela dei minori  -  e  della  discussione  in  camera  di
consiglio, il Tribunale disponeva, in via di urgenza, il collocamento
dei  minori  presso  idonea  famiglia  affidataria,  sollevando   nel
contempo, con separato atto, la presente  questione  di  legittimita'
costituzionale; 
    che il Tribunale osserva come, a seguito della modifica apportata
all'art. 9 della legge n. 184 del 1983 ad opera della  legge  n.  149
del 2001, sia scomparsa la previsione secondo la quale «la situazione
di abbandono puo' essere accertata anche d'ufficio dal giudice»; 
    che la nuova disciplina sarebbe, invece, univoca nell'individuare
nel pubblico ministero il titolare esclusivo del  potere  di  impulso
della procedura, risultando in linea con tale scelta quella  di  aver
concentrato in capo al pubblico  ministero  le  informative  relative
allo stato di abbandono; 
    che l'esclusivita' della valutazione  di  un  organo  monocratico
precluderebbe   qualsiasi   controllo   da   parte    del    collegio
specializzato, con  la  conseguenza  che,  in  caso  di  inerzia  del
pubblico ministero minorile, i minori che versino  in  condizione  di
sostanziale abbandono non  riceverebbero  «la  necessaria  tutela  da
parte dell'ordinamento giuridico italiano»; 
    che cio'  comporterebbe  la  violazione  dell'art.  2  Cost.,  in
riferimento ai diritti inviolabili del minore, a tutela dei quali  il
secondo comma dell'art. 30 Cost. «prevede un dovere  da  parte  dello
Stato affinche' vengano comunque assolti i compiti  dei  genitori  in
tutti i casi di loro perdurante incapacita'»; 
    che sarebbe violato anche l'art. 30,  secondo  comma,  Cost.,  in
quanto la norma censurata «non predispone  un  efficace  apparato  di
tutela atta a sopperire alla condotta pregiudizievole  dei  genitori,
laddove la stessa sia cosi' grave da integrare  gli  estremi  di  una
sostanziale situazione di abbandono del minore»; 
    che sussisterebbe  altresi'  violazione  dell'art.  3  Cost.,  in
quanto, mentre l'art. 336  del  codice  civile  prevede,  in  ipotesi
d'urgenza, interventi  d'ufficio  per  l'adozione  dei  provvedimenti
limitativi o  ablativi  in  tema  di  potesta'  genitoriale,  di  cui
all'art. 330 e seguenti cod. civ., analogo potere  officioso  non  e'
previsto per la verifica dello stato di  abbandono,  derivandone  una
«illogicita' del sistema», dal momento  che  lo  strumento  officioso
sarebbe   previsto   in   riferimento   a   situazioni   meno   gravi
(riconducibili allo scorretto esercizio della potesta' genitoriale) e
sarebbe  invece  escluso  per  situazioni  piu'  gravi  (in   ipotesi
destinate a integrare uno stato di irreversibile abbandono  materiale
e morale); 
    che si deduce, inoltre, la  possibile  violazione  dell'art.  31,
secondo comma, Cost., in quanto non si offrirebbe adeguata protezione
ai diritti dei minori,  potendo  sfuggire  dal  perimetro  di  tutela
situazioni gravi di sostanziale abbandono, per le quali  il  pubblico
ministero non si sia attivato; 
    che risulterebbe compromesso anche il diritto alla salute, di cui
all'art.  32  Cost.,  in  quanto  l'eventuale  inerzia  del  pubblico
ministero nel promuovere il procedimento di verifica dello  stato  di
abbandono, «comporta il concreto rischio di una grave ed irreparabile
lesione del diritto alla salute - inteso quale pretesa all'integrita'
psicofisica e a vivere in un ambiente familiare idoneo - del  bambino
che si trova in uno stato di fatto di abbandono morale e materiale»; 
    che la normativa censurata si porrebbe, poi, in contrasto con  «i
principi vigenti in ambito europeo ed internazionale» - si citano, al
riguardo, l'art. 6, comma 2, del Trattato sull'Unione  europea  («nel
testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam il 2  ottobre
1997»), in tema di rispetto dei diritti fondamentali garantiti  dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali;  la  Convenzione  europea  sull'esercizio  dei
diritti dei fanciulli (firmata a Strasburgo il  25  gennaio  1996,  e
resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003,  n.  77),  il  cui  art.  8
prevede che «nei procedimenti che riguardano un  minore,  l'autorita'
giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno  ritenga
che il benessere del minore sia seriamente minacciato,  di  procedere
d'ufficio»; l'art. 19 della Convenzione  sui  diritti  del  fanciullo
(adottata a New  York  il  20  novembre  1989  e  ratificata  e  resa
esecutiva dalla legge 27 maggio 1991,  n.  176),  il  quale  sancisce
l'obbligo per gli  Stati  aderenti  di  adottare  ogni  misura  anche
legislativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di  abbandono
o di negligenza, con adozione di misure di  protezione  che  dovranno
includere eventuali procedure di intervento  giudiziario;  l'art.  20
della medesima Convenzione sui diritti del fanciullo, che prevede, se
del caso, una  protezione  sostitutiva  che  puo'  realizzarsi  anche
attraverso l'istituto della  adozione;  l'art.  24  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione  europea,  il  quale  stabilisce  il
principio che in tutti gli  atti  relativi  ai  bambini,  siano  essi
compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse
superiore del bambino deve essere considerato preminente -; 
    che, in punto di rilevanza,  il  Tribunale  sottolinea  come  nel
corso del procedimento, aperto - come si e' ricordato - nel 2007,  il
pubblico ministero non abbia mai formulato ricorso  per  la  verifica
dell'eventuale stato di abbandono  dei  minori,  mentre  il  collegio
reputa che «limitarsi ad accogliere le richieste del Pmm in  sede  di
conferma dei decreti sinora  emessi  a  tutela  dei  tre  minori  non
consenta di apprestare una sufficiente tutela dei bambini»; 
    che, infatti, si  reputa  che  «solamente  attraverso  l'apertura
della procedura per la verifica  dell'eventuale  stato  di  abbandono
possano essere da un lato fornite ai minori le risposte  adeguate  al
fine di sopperire alle carenze presentate dai genitori  e  dall'altro
assicurare a questi ultimi le massime garanzie  di  difesa  ai  sensi
della Legge 184/83»; 
    che, al contrario, il perdurare del  collocamento  extrafamiliare
dei minori, privo di progettualita' e  di  sbocchi  in  tempi  brevi,
contrasterebbe con gli artt. 2 e 4 della legge n. 184 del  1983,  che
prevedono  il  collocamento  extrafamiliare  come  misura  del  tutto
contingente, in luogo di «un progetto  a  lungo  termine,  di  natura
adozionale» che deve  essere  riguardato  come  misura  elettiva,  in
mancanza  della  possibilita'  di  collocamento  nella  famiglia   di
origine,  secondo  i  principi  «elaborati  in  ambito   europeo   ed
efficacemente  riassunti  alla  lettera  G  della   Risoluzione   del
Parlamento europeo sull'adozione internazionale nell'Unione Europea»; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
comunque infondata; 
    che,  secondo  la   difesa   erariale,   la   questione   sarebbe
inammissibile per aberratio ictus, in quanto la  novita',  introdotta
dalla richiamata novella  del  2001  a  proposito  dell'apertura  del
procedimento per l'accertamento dello stato di abbandono del  minore,
sarebbe enunciata non nell'art. 10 denunciato ma  nell'art.  9  della
stessa legge; 
    che la questione sarebbe comunque manifestamente  infondata,  dal
momento che la riforma del 2001 avrebbe trasformato  il  procedimento
di  adottabilita'  da  procedura  di  volontaria   giurisdizione   in
procedimento  camerale  contenzioso,  con  il   contraddittorio   dei
soggetti interessati e con l'assistenza legale, sin dall'inizio,  del
minore, dei genitori o degli altri parenti; 
    che la previsione del potere di iniziativa soltanto  in  capo  al
pubblico ministero, peraltro destinatario  delle  varie  segnalazioni
circa lo stato di abbandono, non risulterebbe dunque irragionevole  e
nessun  vulnus  alla  tutela  dei  minori  ed  alla  loro  integrita'
psicofisica potrebbe, pertanto,  derivare  dalla  vigente  disciplina
della materia. 
    Considerato che il Tribunale per i minorenni di Trieste  solleva,
in riferimento agli articoli 2, 3, 30,  secondo  comma,  31,  secondo
comma,  e  32,  primo  comma,  della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10,  comma  1,  della  legge  4
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia),  nel  testo
sostituito dall'art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149  (Modifiche
alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell'adozione  e
dell'affidamento dei minori», nonche' al titolo VIII del libro  primo
del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente
del Tribunale per i minorenni o un  Giudice  da  lui  delegato  possa
procedere d'ufficio all'apertura  della  procedura  per  la  verifica
dello stato di abbandono di un minore»; 
    che,  a  parere  del   Tribunale,   la   disposizione   impugnata
contrasterebbe  con  l'art.  2  Cost.,  che   riconosce   i   diritti
fondamentali dell'uomo, a tutela dei quali l'art. 30, secondo  comma,
della stessa Carta prevede che, in base alla legge, vengano  comunque
assolti i compiti dei genitori in tutti i  casi  di  loro  perdurante
incapacita'; 
    che violato sarebbe del pari l'art. 30, secondo comma, Cost.,  in
quanto  la  disciplina  censurata  non  predisporrebbe  un   efficace
apparato di tutela atto a sopperire alla condotta pregiudizievole dei
genitori, laddove la stessa sia cosi' grave da integrare gli  estremi
di una sostanziale situazione di abbandono del minore; 
    che sussisterebbe un contrasto pure con l'art. 3 Cost., in quanto
l'art. 336 del codice civile consente al Tribunale per  i  minorenni,
in situazioni di grave pregiudizio per i minori,  di  adottare  anche
d'ufficio, in caso di urgente necessita', i provvedimenti  limitativi
o ablativi della potesta' dei genitori,  di  cui  agli  artt.  330  e
seguenti del codice civile, mentre analogo potere  officioso  non  e'
previsto  con  riferimento  all'apertura  del  procedimento  per   la
verifica dello stato di  abbandono  di  un  minore,  con  conseguente
illogicita' del sistema, che garantisce nel caso di  situazioni  meno
gravi  (scorretto  esercizio  della  potesta')   uno   strumento   di
intervento officioso che non e' invece previsto nelle situazioni piu'
gravi  (che  possono  integrare  un  vero  e  proprio   irreversibile
abbandono morale e materiale); 
    che risulterebbe vulnerato anche l'art. 31, secondo comma, Cost.,
dal momento che la norma censurata non  sarebbe  congegnata  in  modo
adeguato a soddisfare le esigenze di  protezione  dell'infanzia,  non
salvaguardando situazioni gravi di sostanziale  abbandono  di  minori
per le quali il pubblico ministero non si sia attivato promuovendo il
relativo procedimento; 
    che si appaleserebbe un  contrasto  pure  con  l'art.  32,  primo
comma, Cost., in quanto l'eventuale inerzia  del  pubblico  ministero
nel promuovere il procedimento di verifica dello stato  di  abbandono
«comporta il concreto rischio di una grave  ed  irreparabile  lesione
del  diritto  alla  salute  -  inteso  quale  pretesa  all'integrita'
psicofisica e a vivere in un ambiente familiare idoneo - del  bambino
che si trova in uno stato di fatto di abbandono morale e materiale»; 
    che sarebbero inoltre  violati  «i  principi  vigenti  in  ambito
europeo ed internazionale», richiamandosi, a tal proposito, via  via,
l'art. 6, comma 2,  del  Trattato  sull'Unione  europea  («nel  testo
risultante dal  Trattato  sottoscritto  ad  Amsterdam  il  2  ottobre
1997»), in tema di rispetto dei diritti fondamentali garantiti  dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali;  la  Convenzione  europea  sull'esercizio  dei
diritti dei fanciulli (firmata a Strasburgo il  25  gennaio  1996,  e
resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003,  n.  77),  il  cui  art.  8
prevede che «nei procedimenti che riguardano un  minore,  l'autorita'
giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno  ritenga
che il benessere del minore sia seriamente minacciato,  di  procedere
d'ufficio»; l'art. 19 della Convenzione  sui  diritti  del  fanciullo
(adottata a New  York  il  20  novembre  1989  e  ratificata  e  resa
esecutiva dalla legge 27 maggio 1991,  n.  176),  il  quale  sancisce
l'obbligo per gli  Stati  aderenti  di  adottare  ogni  misura  anche
legislativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di  abbandono
o di negligenza, con adozione di misure di  protezione  che  dovranno
includere eventuali procedure di intervento  giudiziario;  l'art.  20
della stessa Convenzione sui diritti del fanciullo, che  prevede,  se
del caso, una  protezione  sostitutiva  che  puo'  realizzarsi  anche
attraverso l'istituto della  adozione;  l'art.  24  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione  europea,  il  quale  stabilisce  il
principio che in tutti gli  atti  relativi  ai  bambini,  siano  essi
compiuti da autorita' pubbliche o da istituzioni private, l'interesse
superiore  del  bambino  deve  essere  considerato   preminente;   la
Risoluzione, infine, del  Parlamento  europeo  del  19  gennaio  2011
sull'adozione internazionale nell'Unione europea, ove, alla lettera G
del «considerando», si enuncia che «qualora sia impossibile  affidare
minori alla custodia primaria  della  famiglia,  l'adozione  dovrebbe
essere una delle scelte secondarie naturali, mentre  il  collocamento
di un minore in un  istituto  dovrebbe  essere  l'ultima  opzione  in
assoluto»; 
    che la questione  proposta  mirerebbe  ad  introdurre  una  nuova
ipotesi di apertura del procedimento  relativo  alla  verifica  dello
stato  di  abbandono   del   minore,   in   vista   dei   conseguenti
provvedimenti, tanto di ordine provvisorio che definitivo,  intesi  a
salvaguardare le esigenze di tutela del minore  e  ad  assicurare  al
medesimo il "diritto ad una famiglia", come paradigmaticamente recita
la stessa  intitolazione  della  legge  n.  184  del  1983,  dopo  le
modifiche intervenute ad opera dell'art. 1 della richiamata legge  n.
149 del 2001; 
    che, infatti, il Tribunale rimettente formula un petitum volto  a
consentire che il Presidente del  Tribunale  per  i  minorenni  o  un
giudice da  lui  delegato  possa  procedere,  anche  d'ufficio,  alla
apertura del procedimento di cui si e' detto,  senza,  evidentemente,
eliminare la concorrente  possibilita'  che  il  procedimento  stesso
venga promosso dal pubblico ministero, unico soggetto legittimato  in
base anche alla disciplina oggetto di censura; 
    che la pronuncia richiesta, peraltro, aspira a risultati di segno
opposto rispetto al sistema normativo delineato ed agli obiettivi  in
esso perseguiti, atteso che, con la novella introdotta dalla predetta
legge n. 149 del  2001,  il  procedimento  per  l'adozione  e'  stato
modellato    in    funzione     di     uno     schema     di     tipo
contenzioso-partecipativo, contrassegnato dal contraddittorio  fra  i
soggetti interessati, dalla partecipazione difensiva,  dai  connotati
decisori della relativa statuizione terminativa, che assume la  forma
della   sentenza,   dall'introduzione   del   relativo   regime    di
impugnazioni, nonche' dall'attribuzione al giudice - ed e' questo  il
profilo qui maggiormente rilevante - di  una  posizione  di  assoluta
terzieta', che presuppone la devoluzione ad altro organo (appunto, il
pubblico  ministero)  del  potere-dovere  di  esercitare  l'"azione",
promuovendo il procedimento stesso; 
    che, nel configurare in capo al pubblico ministero  il  munus  di
presentare il ricorso di cui all'art. 9, comma 2, della citata  legge
n. 184 del 1983, il legislatore ha coerentemente designato lo  stesso
organo come quello che diviene  ex  lege  destinatario  di  tutte  le
informative provenienti da soggetti privati o pubblici e  concernenti
situazioni  di  abbandono  di  minori  di  eta',  rendendo,   dunque,
sistematicamente  eccentrica  l'ipotesi,  coltivata   dal   Tribunale
rimettente, di un procedimento  attivato  ex  officio  da  un  organo
giurisdizionale, il quale, solo occasionalmente  ed  incidentalmente,
possa essere venuto a "conoscenza" della  situazione  di  minori  che
versino in una condizione di abbandono  (profili,  quelli  accennati,
non sfuggiti, del resto, allo stesso giudice rimettente, quando -  in
riferimento  al  principio  della  terzieta'  del  giudicante  -   ha
auspicato l'introduzione, in via  consequenziale,  di  uno  specifico
meccanismo di incompatibilita'); 
    che, pertanto, l'intervento richiesto assume i connotati  di  una
"novita' di sistema" non  costituzionalmente  imposta  e  colloca  il
quesito proposto - come riconosciuto dalla costante giurisprudenza di
questa Corte - «al di fuori dell'area del sindacato  di  legittimita'
costituzionale, per rimetterlo alle eventuali e future  soluzioni  di
riforma, affidate in  via  esclusiva  alle  scelte  del  legislatore»
(sentenza n. 252 del 2012, nonche', ex plurimis, sentenza n. 274  del
2011); 
    che, infine, la stessa grave situazione  denunciata  dal  giudice
rimettente, anziche' essere diretta  conseguenza  della  disposizione
sospettata di illegittimita' costituzionale, si rivela piuttosto come
una patologia di mero fatto, derivante dalla (in ipotesi,  colpevole)
inerzia  del  pubblico  ministero  nel  promuovere  il  procedimento,
rimuovibile  attraverso  i  meccanismi  ordinamentali  inerenti  alla
organizzazione del relativo ufficio, senza che cio'  possa  implicare
alcun vizio "intrinseco"  della  disposizione  censurata  e  restando
comunque impregiudicato il profilo relativo alla  sua  applicabilita'
nel giudizio principale; 
    che, di conseguenza, la questione proposta deve essere dichiarata
manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10,  comma  1,  della  legge  4
maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia),  nel  testo
sostituito dall'art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149  (Modifiche
alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell'adozione  e
dell'affidamento dei minori», nonche' al titolo VIII del libro  primo
del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente
del Tribunale per i minorenni o un  Giudice  da  lui  delegato  possa
procedere d'ufficio all'apertura  della  procedura  per  la  verifica
dello stato di abbandono di un  minore»,  sollevata,  in  riferimento
agli articoli 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo comma, e 32, primo
comma, della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI