N. 163 ORDINANZA 19 - 27 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Procedimenti riguardanti  magistrati  -  Deroga  ai
  criteri  di  competenza  territoriale  -  Mancata   estensione   ai
  magistrati  che   abbiano   cessato   di   appartenere   all'ordine
  giudiziario,  quantomeno  per  un  apprezzabile  lasso   di   tempo
  successivo alla cessazione -  Asserita  disparita'  di  trattamento
  rispetto ai magistrati trasferiti ad altra sede in epoca successiva
  al fatto che li  riguarda  -Insussistenza  -  Ragionevolezza  della
  regola che dispone  l'applicazione  della  disciplina  ordinaria  -
  Manifesta infondatezza della questione. 
- Codice di procedura penale, art. 11. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, secondo comma. 
(GU n.27 del 3-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 11  del
codice di procedura penale, promosso  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Catania con  ordinanza  del  5
maggio 2012, iscritta  al  n.  208  del  registro  ordinanze  2012  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22  maggio  2013  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Catania, con ordinanza depositata il 5 maggio  2012,  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111,  secondo  comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non
comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati  -
che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa  cognizione
quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie  nel
distretto del  giudice  che  sarebbe  competente  secondo  le  regole
ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto - il caso in  cui
la  persona  interessata  abbia  cessato  di  appartenere  all'ordine
giudiziario,  quanto  meno  per  un  apprezzabile  lasso   di   tempo
successivo alla detta cessazione; 
    che il  rimettente  e'  chiamato  a  valutare  una  richiesta  di
archiviazione nel procedimento relativo alla denuncia-querela  sporta
da un ex magistrato per i reati di «calunnia e diffamazione»; 
    che il querelante, al momento del fatto  denunciato,  aveva  gia'
dismesso le funzioni  giudiziarie,  esercitate  in  precedenza  nello
stesso distretto in cui  opera  il  giudice  a  quo,  competente  per
territorio secondo le regole ordinarie; 
    che, secondo lo stesso rimettente,  al  caso  di  specie  sarebbe
inapplicabile la disciplina di cui all'art. 11 cod. proc.  pen.,  non
trattandosi di magistrato in  servizio  presso  la  sede  giudiziaria
competente ne' all'epoca del fatto ne' successivamente,  nel  momento
di avvio del procedimento; 
    che tuttavia ricorrerebbe, nel caso in questione, la stessa ratio
di tutela della posizione di  terzieta'  del  giudice  garantita  dal
legislatore con la previsione secondo cui la  disciplina  derogatoria
trova applicazione anche per magistrati non piu' operanti  presso  la
sede giudiziaria competente  secondo  le  regole  ordinarie,  purche'
rimasti in servizio; 
    che la citata disciplina speciale andrebbe estesa, dunque, «anche
ai soggetti che  esercitavano  le  funzioni  di  magistrato  in  quel
distretto "non" al momento del fatto e/o [...] che non le  esercitano
piu' per il semplice motivo che hanno smesso di fare  il  lavoro  del
magistrato»; 
    che   la   norma   censurata,   nella   configurazione   attuale,
contrasterebbe con l'art. 3 Cost., in quanto consentirebbe ad  un  ex
magistrato, in violazione del principio di  uguaglianza,  di  «essere
valutato (come imputato o parte offesa) dai suoi stessi ex colleghi»; 
    che, per la stessa ragione, sarebbe violato l'art. 24 Cost., dato
il provocato «dislivello nell'esercizio del diritto di difesa»; 
    che il rimettente prospetta, inoltre, una violazione del  secondo
comma dell'art. 111 Cost., in ragione del  potenziale  vulnus  per  i
principi di terzieta' e imparzialita' del giudice; 
    che,  in  conclusione,  l'invocata  estensione  della  disciplina
derogatoria dovrebbe essere disposta «quanto meno per un apprezzabile
lasso  di  tempo  successivo  alla  cessazione   della   appartenenza
all'ordine giudiziario»; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 30 ottobre  2012,  chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate manifestamente infondate; 
    che  la  giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  gia'  chiarito,
infatti, come la disciplina della competenza territoriale per i reati
concernenti magistrati deroghi alle  regole  comuni,  che  assicurano
l'attuazione del principio  del  giudice  naturale,  e  debba  quindi
ancorarsi ad elementi oggettivi di luogo e di tempo; 
    che   non   sussisterebbe   un'effettiva   analogia,   a   parere
dell'Avvocatura generale, tra la situazione del soggetto in  rapporto
di colleganza con i magistrati chiamati a  condurre  il  procedimento
che lo riguarda, attualmente o nel momento del fatto,  e  quella  del
soggetto  che  abbia  solo  prima  del  fatto   esercitato   funzioni
giudiziarie; 
    che per  tale  ragione  la  norma  censurata  non  violerebbe  il
principio di  uguaglianza,  ne'  contrasterebbe  con  il  diritto  di
difesa; 
    che, d'altronde, le eventuali particolarita' connesse  ai  legami
esistenti nei singoli casi potrebbero trovare riscontro mediante  gli
istituti dell'astensione e della ricusazione. 
    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza depositata il 5  maggio
2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo
comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 11 del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non
comprende nella disciplina dei procedimenti riguardanti magistrati  -
che attribuisce ai giudici di altro distretto la relativa  cognizione
quando il fatto riguardi persona che svolga funzioni giudiziarie  nel
distretto del  giudice  che  sarebbe  competente  secondo  le  regole
ordinarie, oppure le svolgesse al momento del fatto - il caso in  cui
la  persona  interessata  abbia  cessato  di  appartenere  all'ordine
giudiziario,  quanto  meno  per  un  apprezzabile  lasso   di   tempo
successivo alla detta cessazione; 
    che,  secondo  il   rimettente,   il   rapporto   di   colleganza
intrattenuto dalla parte  processuale  con  i  magistrati  competenti
secondo le regole ordinarie, anche quando gia' esaurito, varrebbe  in
astratto a pregiudicare le esigenze garantite dalla norma censurata; 
    che la norma in questione si applica, infatti, anche nel caso  di
magistrati trasferiti ad altra sede in epoca successiva al fatto  che
li riguarda, situazione cui dovrebbe  essere  assimilata  quella  del
soggetto non piu'  operante  nel  distretto  interessato  per  essere
uscito dall'ordine giudiziario; 
    che le questioni sollevate, a  prescindere  dall'indeterminatezza
che le caratterizza nella parte in cui sollecitano l'introduzione  di
una disciplina derogatoria per i fatti commessi  o  perseguiti  entro
«un apprezzabile lasso di tempo» dalla cessazione  dell'esercizio  di
funzioni giudiziarie, sono manifestamente infondate; 
    che spetta infatti al legislatore, come piu' volte  questa  Corte
ha  rilevato,  il  compito  di  individuare,   secondo   criteri   di
ragionevolezza,  situazioni  di  consuetudine  professionale   e   di
colleganza tali da giustificare, in via  generale  ed  astratta,  una
deroga agli ordinari criteri di determinazione della competenza,  tra
i quali e' compreso il nesso tra luogo del fatto e luogo del giudizio
(da ultimo, sentenze n. 432 del 2008, n. 287 del  2007,  n.  147  del
2004, n. 332 del 2003, n. 444 del 2002, n. 349 del 2000); 
    che  non  sussiste  la  pretesa  analogia  tra   la   fattispecie
prospettata dal rimettente ed il caso del  magistrato  trasferito  ad
altra sede dopo il fatto; 
    che nel primo caso, infatti, il rapporto  di  colleganza  tra  la
parte processuale ed il giudice che  sarebbe  competente  a  decidere
secondo le regole ordinarie manca gia' nel momento del fatto e,  poi,
al momento del giudizio; 
    che nella fattispecie in comparazione, invece,  la  parte  ed  il
giudice esercitano funzioni giudiziarie  nel  medesimo  distretto  al
momento del fatto e/o nella fase del giudizio, ed inoltre, nel  corso
del  procedimento,  conservano  la  comune  appartenenza   all'ordine
giudiziario; 
    che   gli   elementi   indicati   fondano   un   discrimine   non
irragionevole, considerata la qualita' della  relazione  intrattenuta
tra  la  parte  processuale  ed  il  predetto  giudice,  e  vista  la
necessita' di ridurre al minimo indispensabile, in base a criteri  di
immediato apprezzamento, l'eccezione ai criteri generali; 
    che, riguardo ad una fattispecie  per  qualche  verso  analoga  a
quella segnalata dal rimettente (un caso in cui il  fatto  era  stato
commesso ai danni di  un  magistrato  ancora  in  servizio,  ma  gia'
definitivamente trasferito altrove), questa Corte ha  avuto  modo  di
osservare come «diverso»  sia  «il  rapporto  inerente  all'esercizio
attuale delle funzioni nel distretto competente  per  il  giudizio  o
all'esercizio di esse al momento del fatto, rispetto alle  molteplici
situazioni che possono verificarsi quando l'esercizio delle  funzioni
sia cessato e, quindi,  vi  e'  un  distacco  tra  tale  esercizio  e
l'ufficio competente per il giudizio» (sentenza n. 381 del 1999); 
    che il rilievo vale,  a  maggior  ragione,  quando  l'interessato
abbia lasciato l'ordine giudiziario; 
    che la ragionevolezza della  regola  che  dispone  l'applicazione
della disciplina  ordinaria  nel  caso  di  persone  ormai  prive  di
funzioni giudiziarie  esclude  che  le  stesse  possano  considerarsi
avvantaggiate  rispetto  alle  eventuali   controparti,   anche   con
specifico riguardo all'esercizio del diritto di difesa; 
    che, per la stessa ragione, non risultano  vulnerate,  sul  piano
generale ed astratto, la sostanza e l'apparenza  della  posizione  di
terzieta' del giudice; 
    che le eventuali particolarita' di singoli casi  possono  trovare
fisiologica  soluzione  mediante  il  ricorso  agli  istituti   della
astensione e della ricusazione (si veda  ancora,  tra  le  molte,  la
sentenza n. 381 del 1999). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 11 del codice di  procedura
penale,  sollevate  dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Catania, in riferimento agli  artt.  3,  24  e
111, secondo comma, della Costituzione, con l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Gaetano SILVESTRI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI