N. 184 SENTENZA 3 - 9 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento  e  procedure  concorsuali  -   Riforma   organica   della
  disciplina delle procedure concorsuali - Introduzione da parte  del
  legislatore  delegato  di   una   disposizione   che   esclude   la
  possibilita'  della  dichiarazione  d'ufficio  del   fallimento   -
  Asserito contrasto col tenore letterale e  logico  della  legge  di
  delega, in cui  mancherebbero  corrispondenti  principi  e  criteri
  direttivi - Asserita esorbitanza dai limiti imposti al  legislatore
  delegato dalla legge di delega - Insussistenza  -  Adeguamento,  in
  base al principio espresso del  "necessario  coordinamento  con  le
  altre  disposizioni  vigenti",  al  tendenziale  principio  del  ne
  procedat iudex ex officio dell'ordinamento processuale civile - Non
  fondatezza della questione. 
- Decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, art. 4. 
- Costituzione, artt. 76 e 77; legge 14 maggio 2005, n. 80,  art.  1,
  commi 5 e 6. 
(GU n.29 del 17-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  4  del
decreto legislativo 9 gennaio 2006,  n.  5  (Riforma  organica  della
disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma
5, della legge  14  maggio  2005,  n.  80),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Milano, sezione fallimentare, nel procedimento  relativo
alla Societa' VZM S.p.a. in liquidazione, con ordinanza del 31 maggio
2012, iscritta al n. 35 del  registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  10,  prima   serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  giugno  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La sezione fallimentare del Tribunale  ordinario  di  Milano,
con ordinanza depositata in 31 maggio 2012, ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 4 del decreto legislativo 9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80), nella parte in cui, nel sostituire l'art. 6  del  regio
decreto 16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa)
[d'ora in poi: legge fall.], ha  espunto  la  previsione  secondo  la
quale il fallimento poteva essere dichiarato - oltre che a  richiesta
(ora su ricorso) del debitore, su ricorso di uno o piu' creditori, su
istanza (ora su richiesta) del pubblico ministero - «d'ufficio». 
    Riferisce il rimettente di trovarsi ad esaminare una  istanza  di
fallimento presentata dai componenti effettivi del collegio sindacale
di una societa' per azioni posta in liquidazione. 
    Poiche' costoro, nella  inerzia  del  commissario  liquidatore  -
peraltro dimissionario, ma  non  ancora  sostituito  -  ritengono  di
potersi surrogare al primo, a fronte  della  situazione  di  dissesto
finanziario in cui versa  la  predetta  compagine  societaria,  hanno
presentato ricorso per la dichiarazione di fallimento della  societa'
in questione. 
    Preliminarmente, il rimettente qualifica la domanda come  istanza
di fallimento in proprio, in quanto presentata dal collegio sindacale
in surroga dei poteri del  commissario  liquidatore,  attuale  legale
rappresentante della societa' fallenda. 
    Ritiene,  tuttavia,   il   rimettente   che   siffatta   potesta'
rappresentativa eccezionale non sussista in capo all'istante, essendo
invece, sino al momento  della  sua  effettiva  sostituzione,  legale
rappresentante  della  societa'  in  liquidazione  esclusivamente  il
commissario liquidatore, eventualmente anche in regime di prorogatio,
spettando semmai  al  collegio  sindacale,  a  fronte  dell'eventuale
inerzia degli organi rappresentativi, solo  il  potere  di  convocare
l'assemblea dei soci, ma  non  quello  di  sostituirsi  nelle  scelte
gestionali agli organi in questione. 
    1.1.- L'istanza di fallimento de qua dovrebbe,  pertanto,  essere
dichiarata inammissibile; tuttavia, rileva il rimettente,  ove  fosse
tuttora in vigore l'originario  testo  dell'art.  6  legge  fall.,  a
fronte  della  comprovata  situazione  di  insolvenza  del  fallendo,
l'istanza, proveniente da soggetto  non  legittimato,  poteva  essere
considerata quale esposto volto ad attivare il potere  del  Tribunale
fallimentare di dichiarare ex officio il fallimento. 
    Tale potere, pero' - prosegue  il  giudice  a  quo  -,  e'  stato
"sottratto" al tribunale fallimentare  a  seguito  della  entrata  in
vigore dell'art. 4 del decreto legislativo n. 5 del 2006,  in  quanto
il nuovo  testo  dell'art.  6  legge  fall.,  come  sostituito  dalla
disposizione censurata, non lo prevede piu'. 
    Ritiene, tuttavia, il Tribunale che  tale  espunzione  esuli  dai
principi e criteri direttivi contenuti nell'art. 1,  comma  6,  della
delega legislativa conferita al Governo con la legge 14 maggio  2005,
n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge  14
marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano
di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale.  Deleghe
al Governo per la modifica del codice di procedura civile in  materia
di processo di cassazione e arbitrato nonche' per la riforma organica
della  disciplina  delle  procedure  concorsuali),  in  quanto,   pur
interpretando nella maniera piu' estensiva possibile tali principi  e
criteri, non sarebbe consentito, come peraltro gia'  segnalato  dalla
dottrina, individuare un qualsiasi riferimento alla  possibilita'  di
rimuovere  il  potere  del  Tribunale  di  dichiarare  il  fallimento
d'ufficio. 
    Ad avviso del rimettente, la nuova disciplina non avrebbe neppure
l'effetto di  rendere  piu'  efficiente  o  celere  la  procedura  e,
pertanto, la stessa non  sarebbe  giustificata  dalla  necessita'  di
coordinamento con altre disposizioni vigenti: non con disposizioni di
rango  costituzionale,  avendo   la   Corte   costituzionale,   nello
scrutinare il vecchio testo dell'art.  6  legge  fall.,  escluso  che
l'attribuzione  al  Tribunale  del  potere   de   quo   violasse   la
Costituzione; non con le norme di rango  ordinario  sulla  disciplina
delle procedure concorsuali, sia per la,  generalmente  riconosciuta,
scarsa sistematicita' di queste, sia perche' l'unico principio a  tal
fine richiamabile - quello del parziale ridimensionamento  del  ruolo
dell'Autorita' giudiziaria nelle procedure in questione - non avrebbe
dovuto comportare una generalizzata riduzione dei poteri di questa in
tutti i casi in cui, in precedenza, essa li svolgeva. 
    Cio' tanto piu' se si osservi - argomenta il Tribunale - che,  ad
esempio, in tema di amministrazione straordinaria - la cui disciplina
prevede  tuttora  un  intenso  potere   d'intervento   dell'autorita'
amministrativa - e'  ancora  previsto  il  potere  del  Tribunale  di
dichiarare  lo  stato  di  insolvenza.  In  tal   senso   assumerebbe
particolare  rilievo   che   nelle   procedure   di   amministrazione
straordinaria riservate alle imprese di maggiori dimensioni il potere
di aprire la procedura spetti proprio all'organo  amministrativo  che
ad essa presiede, a comprova del fatto che non vi  e'  contraddizione
fra il potere di apertura della procedura e la sua gestione. 
    1.2.- Mancherebbe, percio', una esplicita previsione legittimante
l'intervento del legislatore delegato. 
    Ne' varrebbe obiettare, a parere del rimettente, che il potere di
iniziativa  in  materia  fallimentare,  sottratto  al  Tribunale,  e'
comunque restato in capo al pubblico ministero; verrebbe, infatti, in
discussione non il merito della scelta discrezionale di attribuire al
pubblico ministero  siffatta  iniziativa,  ma  solo  la  legittimita'
formale di una  decisione  assunta  dal  legislatore  delegato  senza
averne il potere. 
    1.3.- Il Tribunale di  Milano  solleva,  pertanto,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto legislativo n.  5
del 2006, ritenendolo in contrasto con l'art. 77 Cost. e col  «tenore
letterale e logico della legge delega». 
    2.- E' intervenuto nel giudizio, col  patrocinio  dell'Avvocatura
generale dello Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
chiedendo che la questione di legittimita'  costituzionale  sollevata
dal rimettente sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    2.1.-  Ad  avviso   dell'Avvocatura,   l'inammissibilita'   della
questione,  per  difetto  di  rilevanza,   deriva   dall'orientamento
giurisprudenziale, ora prevalente, secondo il quale, ove  il  giudice
fallimentare, come ogni altro giudice  civile,  rilevi  lo  stato  di
dissesto dell'imprenditore, ne deve  fare  segnalazione  al  pubblico
ministero, il quale deve presentare istanza per la  dichiarazione  di
fallimento. 
    Rileva,  pertanto,  l'interveniente  difesa  che,  attraverso  il
descritto meccanismo, frutto dell'applicazione  degli  artt.  6  e  7
legge  fall.,  il  potere  di  attivare  ex  officio   la   procedura
fallimentare non e' stato sottratto al giudice fallimentare, ma  esso
deve essere esercitato attraverso l'intervento,  comunque  vincolato,
del pubblico ministero. 
    Pertanto, come segnalato dall'Avvocatura, l'esito del giudizio  a
quo   non   dovrebbe   essere   la    semplice    dichiarazione    di
inammissibililita'  dell'istanza   di   fallimento   presentata   dai
componenti  il  collegio  sindacale  della  societa'  fallenda,   ma,
ricorrendone - come dichiarato dal Tribunale rimettente -  tutti  gli
altri presupposti,  la  segnalazione  della  situazione  al  pubblico
ministero affinche' questi presenti l'istanza di fallimento. 
    2.2.- Secondo  la  difesa  erariale,  l'ordinanza  di  rimessione
presenterebbe  anche  un  ulteriore  profilo   di   inammissibilita';
infatti,  pur  richiamando  quale  unico  parametro  di  legittimita'
costituzionale violato l'art. 77 Cost., essa non solleva la questione
sulla base di una presunta "assenza di delega", invocando, invece, un
vizio di "eccesso di delega" che avrebbe richiesto, ove  fosse  stato
indicato, quale parametro di giudizio, anche l'art. 76 Cost. 
    Con riferimento all'unico  parametro  espressamente  evocato,  la
questione sarebbe infondata, in quanto la modifica normativa disposta
con la norma censurata rientrerebbe nell'alveo della  delega  di  cui
alla legge n. 80 del 2005. 
    Infatti, posto che l'oggetto dell'intervento legislativo delegato
riguarda la «riforma organica delle procedure concorsuali», non  puo'
certamente sostenersi che la modifica  all'art.  6  legge  fall.  sia
stata adottata in assenza  di  delega.  Prosegue  la  parte  pubblica
sostenendo che, al massimo, si sarebbe potuto dubitare di un  eccesso
di delega, peraltro non riscontrabile in concreto,  ma  cio'  avrebbe
comportato la evocazione del parametro costituito dall'art. 76 Cost. 
    2.3.- L'Avvocatura aggiunge che, ove non si volesse accedere alla
dichiarazione di inammissibilita' per non essere stato specificamente
evocato il suddetto parametro, l'indagine relativa  alla  sussistenza
del vizio ora citato condurrebbe ad una pronunzia di infondatezza. 
    Infatti, ricordata la  giurisprudenza  della  Corte  in  tema  di
violazione dell'art. 76 Cost.,  in  base  alla  quale  e'  necessario
svolgere due processi ermeneutici paralleli, l'uno volto ad accertare
l'ampiezza della delega, l'altro a verificare se la norma delegata e'
ricompresa in tale ampiezza, l'interveniente precisa che l'attuazione
della delega consente, secondo la giurisprudenza  costituzionale,  al
legislatore  delegato  di  fare  uso   di   un   certo   margine   di
discrezionalita', ove cio' serva a sviluppare e completare i  termini
della delega conferita. 
    Trasferendo tali principi  al  caso  in  esame  risulterebbe,  ad
avviso dell'Avvocatura, che l'attuazione delle delega legislativa  de
qua prevedrebbe non solo il  rispetto  dei  principi  e  dei  criteri
direttivi elencati al comma 6 dell'art. 1 della legge n. 80 del 2005,
ma, piu' ampiamente, l'esercizio di un'opera di riforma organica  del
sistema  delle  procedure  concorsuali  intesa  a  realizzarne,   fra
l'altro, il  «necessario  coordinamento  con  le  altre  disposizioni
vigenti», presupponendosi con cio' non solo la  possibilita'  di  una
complessiva revisione  «volta  a  rimodellare  dalle  fondamenta  una
disciplina adottata in tempi risalenti», ma anche la possibilita'  di
intervenire al di la' di principi e criteri direttivi contenuti nella
legge di delega, ove  cio'  contribuisca  a  dettare  una  disciplina
coordinata col sistema giuridico vigente. 
    Cio' posto,  la  difesa  dello  Stato  rileva  che,  non  essendo
denunciata la violazione dei criteri di delega, e' evidente che nella
prospettazione del rimettente non e' ipotizzato alcun  contrasto  fra
principi applicati e criteri dettati, ma, semmai, solo la "eccedenza"
dei primi rispetto ai secondi. Tuttavia, prosegue l'Avvocatura  dello
Stato, neppure questa e' ravvisabile, in quanto  la  mitigazione  del
potere  del  Tribunale  di  promuovere  autonomamente  la   procedura
fallimentare deve essere  vista  nell'ottica  sia  del  coordinamento
della disciplina in questione con generale principio processuale  per
cui ne procedat iudex ex officio sia del  parziale  ridimensionamento
del ruolo dell'autorita' giudiziaria nella procedura fallimentare. 
    Soggiunge, ancora, la  difesa  erariale  che,  sebbene  la  Corte
costituzionale con la sentenza n. 240 del 2003 abbia escluso  che  il
potere del tribunale fallimentare di aprire motu proprio la procedura
violasse il principio di  terzieta'  ed  imparzialita'  del  giudice,
tuttavia non puo' negarsi che attraverso la rimozione di tale  potere
si realizza la legittima opera di coordinamento  della  normativa  in
esame con quella restante. 
    D'altra parte, anche nella citata sentenza n. 240  si  attribuiva
alla discrezionalita' del legislatore la scelta fra il riconoscimento
al giudice del potere officioso di attivare la procedura e quello  di
riferire l'esistenza dello stato di insolvenza ad altro organo che, a
sua volta, promuova la procedura. 
    Anche sotto il descritto profilo, pertanto, la questione  sarebbe
infondata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il  Tribunale  ordinario  di  Milano,  sezione  fallimentare,
dubita della legittimita' costituzionale dell'articolo 4 del  decreto
legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica  della  disciplina
delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma  5,  della
legge 14 maggio 2005, n. 80), nella  parte  in  cui,  nel  sostituire
l'art. 6 del regio decreto 16 marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa) [d'ora in poi: legge fall.], ha espunto la previsione
secondo la quale il fallimento poteva essere dichiarato -  oltre  che
su ricorso del debitore o di uno o piu' creditori ovvero su richiesta
del pubblico ministero - «d'ufficio». 
    1.1.- Ad avviso del giudice rimettente, la  disposizione  in  tal
modo introdotta dal legislatore delegato, non trovando fondamento nei
principi e criteri direttivi contenuti nell'art.  1,  commi  5  e  6,
della legge  14  maggio  2005,  n.  80  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto  legge  14  marzo  2005,  n.  35,  recante
disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo  sviluppo
economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica
del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e
di arbitrato nonche' per la riforma organica della  disciplina  delle
procedure concorsuali), e tantomeno nelle esigenze  di  coordinamento
della disciplina delle procedure concorsuali con  altre  disposizioni
vigenti, di rango sia costituzionale, sia ordinario, si  porrebbe  in
contrasto  con  l'art.  77  della  Costituzione  nonche'  col  tenore
letterale e logico della legge di delega. 
    2.- L'interveniente Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
eccepito   l'inammissibilita'   della   questione   di   legittimita'
costituzionale sotto il profilo sia  dell'inidoneita'  del  parametro
evocato, sia del  difetto  di  rilevanza.  Tali  eccezioni  non  sono
fondate. 
    2.1.- Quanto ai parametri di costituzionalita' in base  ai  quali
esaminare le censure prospettate dal  Tribunale  rimettente,  ritiene
questa Corte che, al di la' della espressa evocazione del  solo  art.
77  Cost.  -  alla  luce   del   quale,   secondo   quanto   ritenuto
dall'Avvocatura, lo scrutinio di legittimita' costituzionale andrebbe
operato esclusivamente sulla base dell'assenza di delega e non  anche
sulla base dell'eccesso di delega, indagine quest'ultima che  avrebbe
richiesto l'evocazione anche dell'art. 76 Cost. - il rimettente abbia
adeguatamente chiarito nella motivazione della propria  ordinanza  la
sua intenzione di evocare quale parametro di costituzionalita'  anche
l'art. 76 Cost., laddove osserva che il legislatore delegato  avrebbe
travalicato i limiti a lui imposti dalla  legge  di  delega  riguardo
alla riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali ed
al coordinamento di essa con le altre disposizioni  vigenti  (per  un
caso analogo, sentenza n. 272 del 2012). 
    E', pertanto, alla luce di ambedue gli indicati parametri che  la
questione di legittimita' costituzionale deve essere esaminata. 
    2.2.- La difesa pubblica contesta altresi' l'ammissibilita' della
questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal  Tribunale
ordinario di Milano, affermando che la stessa non  sarebbe  rilevante
nel giudizio a  quo;  cio'  in  quanto  questo  non  dovrebbe  essere
definito con la dichiarazione di inammissibilita'  della  istanza  di
fallimento presentata dai componenti  del  collegio  sindacale  della
societa'  fallenda,  ma  dovrebbe  proseguire  con  la   segnalazione
dell'insolvenza  della  predetta  societa'  da  parte  del  Tribunale
rimettente al competente  ufficio  del  pubblico  ministero,  secondo
quanto previsto dal testo novellato dell'art.  7,  numero  2),  legge
fall. 
    Anche  tale  eccezione  va  disattesa,  perche',  a   prescindere
dall'assunto  dell'Avvocatura  dell'obbligo  per  il   Tribunale   di
segnalare l'insolvenza al pubblico ministero, cio' che rileva e'  che
il giudice rimettente dubita della legittimita' costituzionale  della
norma, sotto il profilo esclusivamente formale della  violazione  dei
limiti imposti dagli artt. 76 e 77 Cost. alla  funzione  nomopoietica
del legislatore delegato. 
    Cio' che rileva, pertanto, e'  che  la  disposizione  legislativa
censurata  ha  inibito  al  rimettente  l'esercizio  di   un   potere
processuale,  precedentemente  a  lui  spettante  e  di   cui   egli,
evidentemente, avrebbe inteso fare uso nel giudizio a quo.  In  cio',
pertanto, si radica la rilevanza della questione sollevata. 
    3.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    3.1.- Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
ove sia necessario verificare la  conformita'  della  norma  delegata
alla norma delegante, e'  richiesto  lo  svolgimento  di  un  duplice
processo ermeneutico, condotto in parallelo:  l'uno,  concernente  la
norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della
delega; l'altro, relativo alla norma delegata,  da  interpretare  nel
significato compatibile con questi ultimi. 
    Nel determinare il contenuto della delega si  deve  tenere  conto
«del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge
delega e  i  relativi  principi  e  criteri  direttivi»,  nonche'  le
«finalita' che la ispirano, che costituiscono non solo la base  e  il
limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l'interpretazione
della loro portata» (sentenza n. 272 del 2012). 
    Deve, altresi',  considerarsi  che  «la  delega  legislativa  non
esclude ogni discrezionalita' del legislatore delegato» (sentenza  n.
98 del 2003); questa puo' essere «piu' o meno ampia, in relazione  al
grado  di  specificita'  dei  criteri  fissati  nella  legge  delega.
Pertanto, per valutare se il legislatore abbia  ecceduto  tali  [...]
margini di discrezionalita' occorre individuare la ratio della delega
per verificare se la norma delegata sia stata  con  questa  coerente»
(sentenza n. 98 del 2003). 
    Infine, per quanto qui interessa, e' stato, anche, precisato  che
«i principi e i criteri direttivi della legge di  delegazione  devono
essere interpretati sia tenendo  conto  delle  finalita'  ispiratrici
della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante
sullo specifico tema, che le  scelte  del  legislatore  delegato  non
siano in contrasto con gli  indirizzi  generali  della  stessa  legge
delega» (sentenza n. 341 del 2007). 
    3.2.-  In  base  a  tale  giurisprudenza,   va   osservato,   con
riferimento  al  caso  in  esame,  che  il   legislatore   delegante,
nell'attribuire al Governo il compito  di  procedere,  attraverso  la
adozione di uno o piu' decreti legislativi,  alla  «riforma  organica
della disciplina delle procedure concorsuali, di cui al regio decreto
16 marzo 1942, n. 267», aveva previsto, quale compito del legislatore
delegato,  quello,  fra  gli  altri,  di  realizzare  «il  necessario
coordinamento con le altre disposizioni vigenti». 
    3.3.- Il nostro ordinamento processuale civile e',  sia  pure  in
linea  tendenziale  e  non  senza  qualche  eccezione,  ispirato  dal
principio ne procedat judex ex officio (sentenza n.  123  del  1970),
cosi' da escludere che in capo all'organo giudicante  siano  allocati
anche significativi poteri di impulso processuale. 
    Sebbene piu' volte la Corte abbia chiarito che, in particolari  e
transitorie ipotesi, siffatta allocazione non  puo'  considerarsi  di
per se' violativa di parametri costituzionali (sentenze  n.  148  del
1996 e n. 46  del  1995),  non  puo',  tuttavia,  disconoscersi  che,
nonostante  cio'  non  costituisca  una  necessita'  finalizzata   ad
assicurarne la congruita' costituzionale, risponde ad un criterio  di
coerenza interno al sistema rimuovere le  ipotesi  normative  che  si
contrappongano al ricordato principio tendenziale. 
    In questo modo, infatti, ha operato il  legislatore  delegato  in
materia di procedure concorsuali, provvedendo sia a modificare l'art.
6 legge fall., rimuovendo la possibilita'  che  il  fallimento  fosse
dichiarato d'ufficio, sia, in occasione dell'adozione dei  successivi
decreti correttivi, ad espungere dal testo della  legge  fallimentare
le residue fattispecie nelle quali  la  dichiarazione  di  fallimento
interveniva in assenza di un'istanza proveniente da soggetto  diverso
dall'organo decidente. In particolare, ci  si  riferisce  al  decreto
legislativo 12 settembre 2007, n.  169  (Disposizioni  integrative  e
correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto
legislativo 9 gennaio 2006,  n.  5,  in  materia  di  disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e  6,  della
legge 14 maggio 2005, n. 80). 
    3.4.- Non vi  e'  dubbio  che,  cosi'  operando,  il  legislatore
delegato, lungi dal violare la delega a lui conferita, ha, viceversa,
dato attuazione al precetto affidatogli di procedere al coordinamento
della disciplina delle procedure concorsuali con uno dei principi del
nostro sistema processuale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma
organica  della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a   norma
dell'articolo 1, comma  5,  della  legge  14  maggio  2005,  n.  80),
sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione,  dal
Tribunale ordinario di Milano, sezione fallimentare, con  l'ordinanza
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI