N. 193 SENTENZA 3 - 17 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Caccia - Norme della Regione Lombardia - Previsione  che  l'attivita'
  di allenamento e  addestramento  dei  cani  e'  disciplinata  dalle
  province,  e'  consentita  sull'intero  territorio  regionale   non
  soggetto a divieto di caccia e puo' essere  esercitata,  non  prima
  del 1° agosto, per cinque giornate settimanali  con  eccezione  del
  martedi' e del venerdi' - Assimilabilita'  dell'attivita'  cinofila
  venatoria alla caccia - Contrasto  con  la  normativa  statale  che
  stabilisce standard minimi e uniformi  di  tutela  della  fauna  in
  tutto il territorio nazionale e con lo specifico parere  dell'ISPRA
  del  22  agosto  2012  -  Omessa  osservanza  della  pianificazione
  faunistico-venatoria  e  delle  relative  garanzie   procedimentali
  imposte dalla disciplina statale  di  settore  -  Violazione  della
  competenza legislativa  esclusiva  statale  in  materia  di  tutela
  dell'ambiente - Illegittimita' costituzionale. 
- Legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15, art. 1,  comma
  1, lettera b). 
- Costituzione,  art.  117,  secondo  comma,  lettera  s);  legge  11
  febbraio 1992, n. 157, art. 10. 
Caccia - Norme della Regione Veneto  -  Disciplina  sul  movimento  e
  addestramento dei giovani cani - Previsione che i cani di qualsiasi
  razza, ivi compresi quelli da  destinare  all'attivita'  venatoria,
  possano essere addestrati secondo lo stile di  razza  su  tutto  il
  territorio regionale ove non e' vietata la caccia, anche durante  i
  periodi in cui l'esercizio venatorio e' vietato  -  Assimilabilita'
  dell'attivita' cinofila venatoria alla caccia -  Contrasto  con  la
  normativa statale che stabilisce  standard  minimi  e  uniformi  di
  tutela della fauna in tutto  il  territorio  nazionale,  e  con  lo
  specifico parere dell'ISPRA del 22 agosto 2012 - Omessa  osservanza
  della pianificazione faunistico-venatoria e delle relative garanzie
  procedimentali  imposte  dalla  disciplina  statale  di  settore  -
  Violazione  della  competenza  legislativa  esclusiva  statale   in
  materia di tutela dell'ambiente - Illegittimita' costituzionale  in
  parte qua. 
- Legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31, art. 2, comma 3. 
- Costituzione,  art.  117,  secondo  comma,  lettera  s);  legge  11
  febbraio 1992, n. 157, art. 10. 
Animali - Norme della Regione Veneto - Disciplina  dell'attivita'  di
  movimento  dei  giovani  cani  -  Ammissibilita'  del  sistema   di
  identificazione dei cani mediante  tatuaggio  -  Contrasto  con  la
  normativa europea che consente il solo sistema  di  identificazione
  elettronico  cosiddetto  microchip  -  Violazione  dell'obbligo  di
  osservanza  dei  vincoli  comunitari  -  Violazione  dei   principi
  fondamentali della legislazione statale in materia di tutela  della
  salute - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31, art. 2, comma 2. 
- Costituzione, art.  117,  commi  primo  e  terzo;  regolamento  del
  Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26 maggio  2003,
  art. 4, comma 1. 
(GU n.30 del 24-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Alessandro  CRISCUOLO,   Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n.
15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26  «Norme  per
la protezione della fauna selvatica e per la  tutela  dell'equilibrio
ambientale e  disciplina  dell'attivita'  venatoria»  concernenti  il
periodo di allenamento e addestramento cani), e dell'art. 2, commi  2
e 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012,  n.  31  (Norme
regionali in materia di benessere dei  giovani  cani),  promossi  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati  il  2-4
ottobre 2012 e il 16-19 ottobre 2012, depositati in cancelleria il  5
e il 22 ottobre 2012 ed iscritti al n. 132 e al n. 164  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione delle Regioni Lombardia e Veneto; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  maggio  2013  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati dello Stato Filippo Bucalo e  Gesualdo  d'Elia
per il Presidente del Consiglio dei ministri  e  gli  avvocati  Maria
Lucia Tamborino per la  Regione  Lombardia,  Luigi  Manzi  e  Daniela
Palumbo per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  presente  giudizio  trae  origine  da  due  ricorsi  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 2-4 ottobre 2012, ha promosso, in  riferimento  all'articolo  117,
secondo  comma,  lettera  s),  della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  b),  della
legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15  (Modifiche  alla
legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione  della
fauna  selvatica  e  per  la  tutela  dell'equilibrio  ambientale   e
disciplina  dell'attivita'  venatoria»  concernenti  il  periodo   di
allenamento e addestramento cani). 
    Nel ricorso si rileva che la norma censurata sostituisce il comma
12 dell'art. 40 della legge della Regione Lombardia n.  26  del  1993
(Norme per la protezione della  fauna  selvatica,  e  per  la  tutela
dell'equilibrio ambientale e disciplina  dell'attivita'  venatoria  -
concernenti il periodo di  allenamento  e  addestramento  dei  cani),
stabilendo che l'attivita' di addestramento ed allenamento  dei  cani
da caccia, sull'intero territorio regionale ove  non  e'  vietata  la
caccia, puo' iniziare fin dal primo di agosto. 
    Premette  il  ricorrente  che  l'attivita'   di   allenamento   e
addestramento dei cani e' assimilabile in  tutto  e  per  tutto  alla
materia  della  caccia.  Il  suo   svolgimento   dovrebbe   ritenersi
consentito senza limiti di tempo solo  nelle  zone  di  addestramento
all'uopo istituite dalle amministrazioni ai sensi dell'art. 10, comma
8, lettera e), della legge 11 febbraio 1992, n.  157  (Norme  per  la
protezione della  fauna  omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio),
secondo cui i piani faunistico-venatori indicano  (tra  l'altro)  «le
zone e periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare  di  cani
anche su fauna selvatica naturale». 
    Il  Presidente  del  Consiglio  precisa  che  l'ISPRA   (Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha affermato che
consentire l'addestramento  e  l'allenamento  dei  cani  nel  periodo
indicato dalla norma regionale impugnata «determina  un  evidente  ed
indesiderabile fattore  di  disturbo,  in  grado  di  determinare  in
maniera  diretta  e  indiretta  una  mortalita'  aggiuntiva  per   le
popolazioni faunistiche interessate» in quanto si svolge «durante  il
periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi  selvatici  (dalla
stagione degli accoppiamenti all'indipendenza della prole dalle  cure
parentali)», e che, pertanto,  tale  attivita'  non  dovrebbe  essere
consentita prima dell'inizio di settembre, escludendo in ogni caso  i
mesi che vanno da  febbraio  ad  agosto,  come  chiarito  nei  pareri
indirizzati alle  regioni  in  merito  alle  proposte  di  calendario
venatorio. 
    Ad avviso del ricorrente la norma regionale impugnata, prevedendo
che  l'attivita'  di  allenamento  e  addestramento  dei  cani  possa
svolgersi sull'intero territorio regionale  ove  non  e'  vietata  la
caccia, anche in periodi di  caccia  chiusa,  si  porrebbe  in  netto
contrasto con le citate disposizioni statali contenute nella legge n.
157 del 1992, la quale, dettando disposizioni per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per  il  prelievo  venatorio,  stabilisce
standard minimi  e  uniformi  di  tutela  della  fauna  in  tutto  il
territorio nazionale. 
    Il Presidente del Consiglio evidenzia,  pertanto,  la  violazione
della  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia   di   tutela
dell'ambiente, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    3.- La Regione Lombardia si e' costituita in  giudizio  chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    La  Regione  preliminarmente  eccepisce  l'inammissibilita'   del
ricorso in quanto le argomentazioni del Presidente del  Consiglio  si
basano su un parere dell'ISPRA che in  concreto  risulta  essere  una
comunicazione di carattere personale, inviata all'on.  Andrea  Zanoni
(deputato al Parlamento europeo) in risposta ad una sua richiesta del
10 agosto 2012, peraltro non depositata dal ricorrente. 
    Altro profilo di inammissibilita' viene dedotto in relazione alla
genericita'  delle  censure  sollevate  con  riguardo  alla   pretesa
violazione dell'esclusiva competenza in materia ambientale. 
    La difesa della Regione, poi, contesta  la  lettura  della  norma
censurata  effettuata  dal  ricorrente,   secondo   la   quale   essa
consentirebbe l'attivita'  di  addestramento  anche  nei  periodi  di
caccia chiusa. 
    La Regione, sotto tale profilo, sostiene che l'arco temporale  di
svolgimento   dell'attivita'   di   addestramento   cani   non   deve
necessariamente coincidere con il periodo della stagione venatoria. 
    Inoltre, sempre secondo la Regione, non vi sarebbe violazione  di
standard minimi di tutela  che  costituiscono  limite  alla  potesta'
legislativa  e  regolamentare   delle   regioni,   in   quanto,   per
l'individuazione  dei  predetti  standard,  dovrebbe   prendersi   in
considerazione il parere rilasciato dall'ISPRA  nel  1994  «Documento
orientativo  sui  criteri  di  omogeneita'  e   congruenza   per   la
pianificazione   faunistico-venatoria»,    inviato    al    Ministero
dell'agricoltura e delle foreste e al Ministero dell'ambiente ai fini
della successiva trasmissione alle  Regioni.  Tale  parere  del  1994
sarebbe stato pienamente rispettato dalla normativa regionale. 
    A cio' la  difesa  regionale  aggiunge  la  considerazione  della
natura  facoltativa  e  non  vincolante  del  parere  dell'ISPRA   e,
comunque, l'emanazione del parere invocato dal ricorrente (del  2012)
in data successiva a quella della approvazione della legge  regionale
impugnata. 
    4.- In data 26 aprile  2013  la  Regione  ha  depositato  memoria
difensiva,  ribadendo  le   argomentazioni   esposte   nell'atto   di
costituzione in giudizio. 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 16-19 ottobre 2012, ha sollevato, in riferimento all'articolo 117,
primo comma,  secondo  comma,  lettera  s),  e  terzo  comma,  Cost.,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi  2  e  3,
della legge della  Regione  Veneto  10  agosto  2012,  n.  31  (Norme
regionali in materia di benessere dei giovani cani). 
    Nel ricorso si rileva che l'art.  2,  comma  2,  della  impugnata
legge regionale fa riferimento ad  un  tipo  di  identificazione  dei
giovani cani, effettuata mediante tatuaggio, che  contrasterebbe  sia
con la normativa comunitaria,  in  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., sia con  i  principi  fondamentali  della  legislazione
statale in materia di tutela della salute, riguardanti le metodologie
per l'identificazione dei cani, in violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    Con  riferimento  al  primo  profilo,  l'art.  4,  comma  1,  del
Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26
maggio 2003 (Regolamento  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
relativo  alle  condizioni  di  Polizia  sanitaria   applicabili   ai
movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia  e  che
modifica la Direttiva 92/65/CEE del Consiglio), prevede infatti  che,
dopo un periodo transitorio (di otto anni) nel corso del  quale  sono
consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia  il  tatuaggio
sia   il   sistema   elettronico   di   identificazione   (cosiddetto
trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012 i  cani  si
considerano identificati solo se dotati del microchip. 
    Con riferimento al secondo profilo, la disposizione regionale  in
esame contrasterebbe, in particolare,  con  l'ordinanza  ministeriale
del 6 agosto 2008 del Ministro  del  lavoro,  della  salute  e  delle
politiche  sociali,  pubblicata  nella   Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica italiana n. 194 del 20 agosto 2008 (Ordinanza contingibile
ed  urgente   concernente   misure   per   l'identificazione   e   la
registrazione della popolazione canina) - la cui efficacia  e'  stata
da ultimo prorogata (con ordinanza del Ministro della salute  del  14
febbraio 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
italiana n. 51 del 1° marzo 2013) fino all'adozione  da  parte  delle
regioni e delle province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  delle
disposizioni specifiche in materia di responsabilita'  e  doveri  dei
proprietari e dei detentori di animali di affezione previsti  ai  nn.
1, 2 e 3  dell'Accordo  sancito,  in  materia  di  identificazione  e
registrazione della  popolazione  canina  e  comunque  non  oltre  il
termine di dodici mesi, dalla Conferenza  unificata  del  24  gennaio
2013, ai sensi dell'articolo 9, comma  2,  lettera  c),  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento  delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento   e   Bolzano   ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse  comune  delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'
ed autonomie locali) - che dispone,  all'art.  1,  comma  2,  che  il
proprietario o  il  detentore  di  un  cane  deve  provvedere  a  far
identificare e  registrare  l'animale,  nel  secondo  mese  di  vita,
mediante l'applicazione del microchip. 
    Quanto all'art. 2, comma 3, della impugnata legge  regionale,  il
ricorrente sostiene che esso eccederebbe dalle competenze regionali e
violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia  di  tutela
dell'ambiente, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in quanto consente che cani di qualsiasi razza, ivi  compresi  quelli
da addestrare all'attivita' venatoria, possano vagare  liberi,  privi
di guinzaglio, ed essere addestrati secondo  lo  stile  di  razza  su
tutto il territorio regionale (ad eccezione delle zone nelle quali e'
vietata la  caccia),  senza  porre  alcun  limite  temporale  a  tale
attivita'. 
    Il Presidente del Consiglio rileva un contrasto  con  l'art.  10,
comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992, che, ai fini  della
regolamentazione   del    prelievo    venatorio,    stabilisce    che
l'addestramento dei cani puo' essere consentito senza limiti di tempo
solo  nelle  zone   di   addestramento   all'uopo   istituite   dalle
amministrazioni. 
    Dopo  aver  rammentato  la  riconducibilita'  dell'attivita'   di
allenamento e addestramento  dei  cani  all'attivita'  venatoria,  il
ricorrente segnala come al  riguardo  l'ISPRA  abbia  avuto  modo  di
esprimersi, affermando che consentire l'allenamento e l'addestramento
dei  cani  durante  il  periodo  riproduttivo  degli  uccelli  e  dei
mammiferi selvatici determina un evidente ed  indesiderabile  fattore
di disturbo, in grado di comportare in maniera diretta  od  indiretta
una mortalita' aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate,
precisando inoltre che questa attivita'  dovrebbe  essere  consentita
solo nel  periodo  che  precede  l'apertura  della  caccia  in  forma
vagante, in ogni caso mai prima dei  primi  giorni  di  settembre  ed
escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio ad agosto. 
    Pertanto le disposizioni in esame che consentono il  movimento  e
l'addestramento  dei  cani,  ivi  compresi  i  cani   da   addestrare
all'attivita' venatoria, sull'intero territorio regionale ove non  e'
vietata la caccia, senza limiti di tempo, anche durante i periodi  in
cui l'esercizio  venatorio  e'  vietato,  senza  circoscrivere  detta
attivita'  alle  zone  di  addestramento  all'uopo  istituite   dalle
amministrazioni ai sensi dell'art. 10, comma  8,  lettera  e),  della
legge n. 157 del 1992, e senza rispettare il calendario venatorio, si
porrebbero in netto contrasto con la citata disposizione statale,  la
quale,  dettando  norme  per  la  protezione  della  fauna  selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio, stabilisce standard  minimi  e
uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale. 
    6.- La Regione Veneto si e' costituita in giudizio,  prospettando
profili di inammissibilita' e di infondatezza della questione. 
    Sotto il profilo della inammissibilita' la Regione  si  limita  a
rilevare che si tratterebbe di norme che, in assenza delle necessarie
disposizioni attuative-integrative della disciplina, sono inidonee  a
generare un vulnus alle  prerogative  costituzionali  garantite  allo
Stato in materia ambientale. 
    Affrontando il merito, la difesa della  Regione  Veneto  sostiene
che la disciplina de  qua,  nella  sua  totalita',  sarebbe  estranea
all'attivita' venatoria. 
    La  difesa  della  Regione  rimarca,  quindi,  che  non   sarebbe
profilabile alcun contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost. delle disposizioni contenute nell'art. 2,  comma  3,  della
legge reg. n. 31 del 2012. 
    E cio' in quanto, in primo luogo, la norma regionale escluderebbe
inequivocabilmente la praticabilita' delle attivita' di movimento dei
giovani cani nelle zone di protezione previste dalla legge 6 dicembre
1991, n. 394 (Legge quadro sulle  aree  protette)  e  nelle  zone  di
protezione della fauna previste dalla  legge  n.  157  del  1992,  in
evidente conformita' alla finalita' di conservazione dell'ambiente  e
della fauna selvatica alle quali  entrambe  le  regolazioni  di  tipo
statale sono indiscutibilmente finalizzate. 
    In  secondo  luogo,  lo  stesso  art.  2  citato,  al  comma   5,
attribuisce alla Giunta regionale il compito  di  definire  modalita'
attuative e limiti all'applicabilita' della norma, in  attinenza  con
la  specificita'  delle  razze   e   le   peculiarita'   agronomiche,
faunistiche  e  orografiche  del  territorio;  mentre  il  successivo
articolo 3  conferisce  alla  Provincia  il  potere  di  emanare,  in
aggiunta a quelli di  spettanza  della  Giunta  regionale,  ulteriori
limitazioni ai luoghi, agli orari ed al periodo  di  esercizio  delle
attivita'  motorie  de  quibus.  Ne  conseguirebbe,  a  parere  della
Regione, che sia  l'organo  esecutivo  regionale  che  la  Provincia,
nell'ambito delle rispettive  competenze,  potranno,  con  successivo
autonomo  intervento   attuativo,   introdurre   quelle   limitazioni
giustificate   dalla   morfologia    del    territorio    interessato
dall'attivita', al fine di mantenere inalterato l'obiettivo di tutela
perseguito dal legislatore statale anche escludendo  delle  zone  del
territorio regionale e vietando l'esercizio delle attivita' de quibus
nei periodi interessati dalla nidificazione. 
    Passando all'esame dell'art. 2, comma 2, la difesa della  Regione
osserva che la norma rinvia all'anagrafe  canina  ed  al  sistema  di
identificazione  ai  sensi  dell'art.  4  della  legge  regionale  28
dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d'affezione e  prevenzione
del randagismo) e che tale art. 4 contempla espressamente non solo la
tecnica di identificazione mediante tatuaggio ma anche «altro sistema
di identificazione indicato dalla Giunta regionale». 
    La difesa rileva che si rinviene traccia di tale altro sistema di
identificazione nella circolare del Presidente della Giunta regionale
n. 11 del 10 maggio 1994 e nella deliberazione della Giunta regionale
n. 887 del 6 aprile 2004. A parere della Regione, posto che il rinvio
alla normativa regionale non  puo'  che  configurarsi  come  di  tipo
dinamico,  esso  opererebbe  in  riferimento  all'ulteriore   modello
individuato dalla Giunta regionale, vale  a  dire  il  microchip.  Da
tanto conseguirebbe la conformita' della norma censurata  al  sistema
di identificazione vigente al momento dell'entrata  in  vigore  della
normativa regionale di cui si tratta. 
    7.- In data  21  maggio  2013  il  Presidente  del  Consiglio  ha
depositato memoria, ribadendo le argomentazioni esposte nel ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- I due giudizi di cui in epigrafe sono oggettivamente connessi
e pertanto possono essere riuniti e decisi con un'unica pronuncia. 
    2.- Con  il  primo  ricorso,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha  sollevato,  in  riferimento  all'articolo  117,  secondo
comma, lettera s),  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera b),  della  legge  della
Regione Lombardia  31  luglio  2012,  n.  15  (Modifiche  alla  legge
regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della  fauna
selvatica e per la tutela  dell'equilibrio  ambientale  e  disciplina
dell'attivita' venatoria» concernenti il  periodo  di  allenamento  e
addestramento dei cani). 
    3.- La disposizione impugnata sostituisce il comma  12  dell'art.
40 della legge regionale n. 26 del 1993, stabilendo  che  l'attivita'
di allenamento e di addestramento  dei  cani  e'  disciplinata  dalle
province, e' consentita sull'intero territorio regionale non soggetto
a divieto di caccia e  puo'  essere  esercitata,  non  prima  del  1°
agosto, per cinque giornate settimanali con eccezione del martedi'  e
del venerdi'. 
    4.-  Ad  avviso  del   ricorrente,   tale   attivita'   cinofila,
assimilabile alla caccia, potrebbe  essere  svolta  senza  limiti  di
tempo   solo   nelle   zone   di   addestramento   istituite    dalle
amministrazioni ai sensi dell'art. 10, comma  8,  lettera  e),  della
legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione  della  fauna
omeoterma e per il prelievo venatorio). 
    Pertanto,  secondo  tale  prospettazione,  la  norma   regionale,
prevedendo che l'attivita' di addestramento ed allenamento  dei  cani
possa svolgersi sull'intero territorio regionale ove non  e'  vietata
la caccia,  anche  in  periodi  di  caccia  chiusa,  si  porrebbe  in
contrasto con la normativa statale contenuta nella legge n.  157  del
1992, che stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna
in tutto il territorio nazionale. 
    Essa si porrebbe  altresi'  in  contrasto  con  quanto  sostenuto
dall'ISPRA  (Istituto  superiore  per  la  protezione  e  la  ricerca
ambientale) nel parere formulato il 22 agosto 2012, con il  quale  si
evidenzia che l'attivita' di allenamento e addestramento dei cani  da
caccia durante  il  periodo  riproduttivo  determina  un  evidente  e
indesiderabile fattore di disturbo e quindi,  in  maniera  diretta  o
indiretta, una mortalita' aggiuntiva per le  popolazioni  faunistiche
interessate. Secondo l'Istituto tale attivita'  non  dovrebbe  essere
consentita prima dell'inizio di settembre,  con  esclusione  in  ogni
caso dei mesi  che  vanno  da  febbraio  ad  agosto,  e  le  esigenze
particolari della cinofilia  venatoria  dovrebbero  trovare  risposta
nell'istituzione delle zone di addestramento  previste  dall'articolo
10 della legge n. 157 del 1992 dove l'attivita' e'  consentita  senza
limiti temporali. 
    Da tanto conseguirebbe, ad avviso del Presidente  del  Consiglio,
la violazione della competenza esclusiva dello Stato  in  materia  di
tutela dell'ambiente, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. 
    5.- La Regione Lombardia si e' costituita in  giudizio  eccependo
l'inammissibilita' del ricorso sia per la natura  non  ufficiale  del
parere  dell'ISPRA  del  2012  posto  a  fondamento   delle   censure
formulate, sia per la genericita' delle censure stesse. 
    Nel merito sostiene  l'infondatezza  della  questione  sollevata,
assumendo che la norma  e'  coerente  con  il  parere  ufficiale  che
l'ISPRA ha formulato nel 2004. 
    6.- Le eccezioni non sono fondate. 
    Le  censure  del  ricorrente,  di  cui  la  Regione  lamenta   la
genericita', per quanto succintamente, individuano in modo chiaro  il
thema decidendum,  i  vizi  lamentati  e  i  relativi  parametri  sia
costituzionali (art.  117,  secondo  comma,  lettera  s,  Cost.)  che
interposti (art. 10 della legge n. 157 del 1992). 
    Quanto all'eccezione secondo cui il parere dell'ISPRA  richiamato
dal Presidente del Consiglio sarebbe del tutto informale  e,  quindi,
non rilevante, anch'essa  e'  infondata:  il  richiamo,  infatti,  si
inserisce in un'argomentazione piu' complessa che fa perno  sull'art.
10 della legge citata e,  d'altro  canto,  implica  soltanto  che  il
ricorso fa proprie le argomentazioni di detto parere. 
    7.- Nel merito la questione e' fondata. 
    7.1.- Anche se il contradditorio si e' sviluppato prevalentemente
nella prospettiva specifica della rilevanza del parere  dell'ISPRA  e
della regolarita' della sua acquisizione, la questione in  esame,  in
sostanza,  attiene  alle  modalita'  di  adozione  della   disciplina
dell'attivita' cinofila, alla  stregua  dei  principi  dettati  dalla
norma statale. 
    A tal fine assume rilievo la natura dell'attivita' in  questione,
e al riguardo costituisce un punto  fermo  l'affermazione  di  questa
Corte, secondo cui: «nessun dubbio puo' sussistere [ ... ] in  ordine
al  fatto  che  l'"addestramento  dei  cani",  in  quanto   attivita'
strumentale all'esercizio venatorio, debba  ricondursi  alla  materia
della "caccia"» (sentenza n. 350 del 1991). 
    Il principio e' stato enunciato sotto la vigenza della precedente
disciplina nazionale (la legge  27  dicembre  1977,  n.  968  recante
«Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della
fauna e la disciplina della caccia»), ma puo' essere rapportato  alla
legge n. 157 del 1992, posto che le  due  normative  disciplinano  in
maniera analoga la materia. La prima disponeva che i piani  regionali
prevedessero, tra l'altro, le «zone di addestramento dei cani  e  per
le gare degli stessi, anche  su  selvaggina  naturale».  La  seconda,
all'art. 10, comma 8, lettera s), nell'individuare il  contenuto  dei
piani faunistico-venatori, prevede che esso comprenda anche «le  zone
e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e  le  gare  dei  cani
anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento  di  fauna  di
allevamento appartenente a specie cacciabili». 
    Dall'affermazione  di  questa  Corte  deriva  una   significativa
conseguenza, quella, cioe', che la disciplina dell'attivita' cinofila
deve essere ricondotta in linea di  principio  nell'alveo  di  quella
della attivita' venatoria: e'  in  quest'ultima,  dunque,  che  vanno
ricercati i principi comuni all'intera materia. 
    7.2.- In questa prospettiva, fondamentale e' anzitutto il comma 1
dell'articolo 10 della citata legge n.  157  del  1992,  secondo  cui
«tutto il territorio agro-silvo-pastorale  nazionale  e'  soggetto  a
pianificazione  faunistico-venatoria».  Viene  cosi'   affermato   il
concetto di caccia programmata, in ordine al quale  questa  Corte  ha
gia' chiarito che «con la legge n. 157 del 1992  "il  legislatore  ha
inteso perseguire un punto di equilibrio tra  il  primario  obiettivo
dell'adeguata salvaguardia  del  patrimonio  faunistico  nazionale  e
l'interesse - pure  considerato  lecito  e  meritevole  di  tutela  -
all'esercizio dell'attivita' venatoria, attraverso la  previsione  di
penetranti  forme  di  programmazione   dell'attivita'   di   caccia"
(sentenza n. 4 del 2000)» (sentenza n. 142 del 2013). 
    Tale programmazione si articola, secondo  la  logica  propria  di
questa attivita', in piu' livelli:  da  quello  statale  (i  principi
fondamentali dettati appunto dalla legge n. 157 del 1992) a quello di
indirizzo su base nazionale (il documento orientativo dell'ISPRA  sui
criteri  di  omogeneita'   e   congruenza   per   la   pianificazione
faunistico-venatoria di cui al comma 11  dell'art.  10  della  citata
legge), a quello attuativo. 
    Quest'ultima fase e' affidata, dal comma 2 dello stesso art.  10,
alle regioni e alle province, le quali, «con  le  modalita'  previste
nei commi 7 e 10, realizzano la pianificazione  di  cui  al  comma  1
mediante la destinazione differenziata del territorio». 
    Infine l'art. 10  della  legge  n.  157  del  1992  -  dopo  aver
individuato, ai commi 3, 4 e 5, le quote destinate a protezione della
fauna selvatica, a caccia riservata a gestione  privata  e  a  centri
privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato  naturale  -
al   comma   6   stabilisce    che    «sul    rimanente    territorio
agro-silvo-pastorale  le  regioni  promuovono   forme   di   gestione
programmata   della   caccia,   secondo   le   modalita'    stabilite
dall'articolo 14», articolo, quest'ultimo,  che,  oltre  agli  ambiti
territoriali di caccia, prevede i cosiddetti calendari venatori. 
    Di adozione dei calendari si occupa l'art. 18 della legge n.  157
del 1992 che, al comma 1, individua le specie cacciabili e i relativi
periodi e, al comma 2, prevede che i relativi  termini  -  in  talune
ipotesi  ed  entro  limiti   determinati   -   siano   passibili   di
modificazione da parte delle regioni, previa acquisizione del  parere
dell'ISPRA. 
    7.3.- Questa legge, dunque, dal punto di  vista  sostanziale,  si
muove in una  prospettiva  di  tutela  ambientale,  e  faunistica  in
particolare, e, sul piano giuridico-formale,  delinea  una  complessa
disciplina procedimentale, che garantisce un'istruttoria approfondita
e trasparente  -  anche  ai  fini  del  controllo  giurisdizionale  -
coerente con la visione ambientalista di fondo. 
    In relazione al primo profilo, infatti, questa Corte ha  chiarito
che «la disciplina statale che delimita il periodo entro il quale  e'
consentito l'esercizio  venatorio  e'  ascrivibile  al  novero  delle
misure  indispensabili  per  assicurare   la   sopravvivenza   e   la
riproduzione delle specie cacciabili, rientrando nella materia  della
tutela  dell'ambiente  vincolante  per  il   legislatore   regionale»
(sentenza n. 191 del 2011 che richiama le sentenze n. 233  e  n.  193
del 2010, n. 272 del 2009 e n. 313 del 2006). 
    In relazione al profilo formale, poi, questa Corte  ha  affermato
che appare «evidente che  il  legislatore  statale,  prescrivendo  la
pubblicazione  del  calendario  venatorio   e   contestualmente   del
"regolamento" sull'attivita'  venatoria  e  imponendo  l'acquisizione
obbligatoria del parere dell'ISPRA, e dunque esplicitando  la  natura
tecnica del  provvedere,  abbia  inteso  realizzare  un  procedimento
amministrativo,  al  termine  del  quale  la  Regione  e'  tenuta   a
provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con  divieto  di
impiegare, invece, la legge-provvedimento» (sentenza n. 90 del  2013,
che richiama la sentenza n. 20 del 2012; in seguito  a  quest'ultima,
sentenze n. 116 e n. 105  del  2012).  Da  ultimo,  questa  Corte  ha
ulteriormente sottolineato «che l'articolo 18, comma 4,  della  legge
n. 157 del 1992, nella parte in cui esige che il calendario venatorio
sia approvato  con  regolamento  "esprime  una  scelta  compiuta  dal
legislatore statale che attiene alle modalita'  di  protezione  della
fauna e si ricollega per tale ragione alla competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" (sentenza
n. 105 del 2012)» (sentenza n. 90 del 2013). 
    7.4.-  E'  in  questo  quadro  che  va  collocata  la  disciplina
dell'attivita' di allenamento e addestramento dei cani da caccia,  in
quanto rientrante - come si e' osservato - nel concetto di  attivita'
venatoria:  anch'essa,  dunque,  si  deve  ritenere   soggetta   alla
pianificazione con le medesime  modalita'  procedimentali  e  con  le
connesse garanzie sostanziali. 
    E se e' pur vero che l'assimilazione dell'attivita' in  questione
non puo' essere spinta fino alla totale identificazione (cosi' questa
Corte, nella citata sentenza del 1991, e il Consiglio di Stato, nella
decisione  17  aprile  2009,  n.  4706),  e  che  pertanto  si   puo'
giustificare per essa una disciplina diversa da quella generale della
caccia, cio' non esclude che tale disciplina debba essere dettata con
le  stesse  modalita'  fin  qui  delineate.  Solo   cosi',   infatti,
l'acquisizione dei pareri tecnici -  su  cui  si  e'  concentrato  il
contraddittorio - diviene un passaggio naturale e formale  di  quella
pianificazione che il legislatore ha  voluto,  come  garanzia  di  un
giusto equilibrio tra i molteplici interessi in gioco. 
    7.5.- La norma censurata, pertanto, disciplinando l'allenamento e
addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al  di
fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall'art. 10
della  legge  n.  157  del  1992,  e  senza  le   relative   garanzie
procedimentali imposte dalla stessa  legge  (art.  18),  integra  una
violazione degli standard minimi e uniformi  di  tutela  della  fauna
fissati dal legislatore statale nell'esercizio della  sua  competenza
esclusiva in materia, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost. 
    8.- Con il secondo  ricorso,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, commi 2 e 3, della legge della Regione Veneto 10  agosto
2012, n. 31 (Norme regionali in  materia  di  benessere  dei  giovani
cani), in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    9.-  Il  censurato  comma  3,  secondo  la   prospettazione   del
ricorrente, eccederebbe dalle competenze regionali  e  violerebbe  la
competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela  dell'ambiente,
in quanto consente il movimento e l'addestramento dei  giovani  cani,
ivi compresi quelli da destinare all'attivita' venatoria, sull'intero
territorio regionale ove non e' vietata la caccia,  anche  durante  i
periodi in  cui  l'esercizio  venatorio  e'  vietato;  e  cio'  senza
circoscrivere   tali   attivita'   alle    zone    istituite    dalle
amministrazioni ai sensi dell'art. 10, comma  8,  lettera  e),  della
legge n. 157 del 1992. 
    Vengono  sul  punto  richiamate  le  considerazioni  espresse  in
materia dall'ISPRA, ad avviso del quale l'attivita' di allenamento  e
addestramento dei cani da  caccia  durante  il  periodo  riproduttivo
determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo  in  grado
di determinare,  in  maniera  diretta  o  indiretta,  una  mortalita'
aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate,  e,  pertanto,
tale attivita'  dovrebbe  essere  consentita  solo  nel  periodo  che
precede l'apertura della caccia in forma vagante, in  ogni  caso  mai
prima dell'inizio di settembre, con esclusione dei mesi che vanno  da
febbraio ad agosto. 
    10.-   La   Regione   Veneto   si   e'   costituita,    eccependo
l'inammissibilita' del ricorso, in quanto le censure hanno ad oggetto
norme    che,    in    assenza    delle    necessarie    disposizioni
attuative-integrative  della  disciplina  da   parte   della   Giunta
regionale, sarebbero inidonee a generare un vulnus  alle  prerogative
costituzionali  garantite  allo  Stato  in  materia  ambientale.  Nel
merito, la Regione sostiene che il movimento dei giovani cani sarebbe
attivita' da ritenere estranea all'attivita' venatoria  anche  quando
si tratta di cani da caccia. 
    11.- L'eccezione di inammissibilita' e' infondata, in  quanto  le
previsioni  della  norma  impugnata  hanno  un'efficacia  diretta   e
immediata, quanto meno in ordine alle  modalita'  di  adozione  della
disciplina. 
    12.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    12.1.- La norma censurata ha ad oggetto, tra l'altro e per quanto
qui  interessa,  l'attivita'  di  movimento  dei  giovani  cani  «ivi
compresi quelli da destinare all'esercizio  di  attivita'  venatoria»
con «insegnamenti comportamentali secondo lo stile  di  razza».  Tale
attivita', ad avviso di questa Corte, non puo' che identificarsi  con
quella di addestramento ed allenamento dei cani da caccia, poiche' ad
altro  non  puo'   alludere   il   riferimento   agli   «insegnamenti
comportamentali» quando si tratta di razza utilizzata per la caccia. 
    L'oggetto  della  norma  quindi   -   contrariamente   a   quanto
prospettato dalla regione resistente  -  e'  il  medesimo  di  quello
dell'articolo 1, comma 1,  lettera  b),  della  legge  della  Regione
Lombardia n. 15 del 2012 di cui al ricorso connesso. 
    Ne consegue che le  censure  mosse  dal  ricorrente,  in  termini
analoghi a quelle indirizzate avverso la norma di quest'ultima legge,
sono fondate alla stregua delle  medesime  argomentazioni  sviluppate
nella motivazione della illegittimita' della stessa. Anche in  questo
caso si deve  pertanto  concludere  nel  senso  della  illegittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
s), Cost. 
    13.- Quanto al comma 2 dell'art.  2  della  legge  della  Regione
Veneto n. 31 del 2012, esso,  ad  avviso  del  ricorrente,  rinviando
all'art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993 (Tutela degli animali
d'affezione e prevenzione del randagismo), che ammette il sistema  di
identificazione dei cani mediante tatuaggio, contrasterebbe  sia  con
la normativa comunitaria, in violazione dell'art. 117,  primo  comma,
Cost., sia con i principi fondamentali della legislazione statale  in
materia di tutela della salute, in violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    14.- La Regione Veneto ha controdedotto sostenendo che  la  norma
oggetto del rinvio (il citato  art.  4)  individua  anche  un  «altro
sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale» e  che  a
tale individuazione si e' provveduto con la delibera della Giunta  n.
887  del  6  aprile  2004,  che  fa  riferimento  esclusivamente   al
microchip. 
    A parere  della  Regione,  posto  che  il  rinvio  non  puo'  che
configurarsi come di tipo dinamico, esso opererebbe in riferimento al
modello  individuato  dalla   Giunta   regionale,   risultando,   per
l'effetto, la norma censurata,  conforme  al  dettato  comunitario  e
nazionale. 
    15.- La questione e' fondata. 
    15.1.- L'art. 4 della legge regionale n.  60  del  1993,  cui  la
norma  impugnata  rinvia,  contempla  espressamente  il  sistema   di
identificazione mediante tatuaggio, sia pure in alternativa ad «altro
sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale». 
    Cio'  e'  in  palese  contrasto  con  l'art.  4,  comma  1,   del
Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26
maggio 2003 (Regolamento  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
relativo  alle  condizioni  di  Polizia  sanitaria   applicabili   ai
movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia  e  che
modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio). La norma comunitaria,
infatti, prevede che, dopo un periodo transitorio (di otto anni), nel
corso del quale sono consentiti quali mezzi  di  identificazione  dei
cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico  di  identificazione
(cosiddetto trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012
i cani si identificano solo con il microchip. 
    A tale regolamento si e' uniformata l'ordinanza del 6 agosto 2008
del Ministro del lavoro, della  salute  e  delle  politiche  sociali,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.  194
del 20 agosto 2008 (Ordinanza  contingibile  ed  urgente  concernente
misure per l'identificazione e  la  registrazione  della  popolazione
canina), la cui efficacia e' stata da ultimo prorogata (con ordinanza
del Ministro della salute  del  14  febbraio  2013  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 51 del 1° marzo 2013)
fino all'adozione da parte delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano  delle  disposizioni  specifiche  in  materia  di
responsabilita' e doveri dei proprietari e dei detentori  di  animali
di affezione previsti ai nn.  1,  2  e  3  dell'Accordo  sancito,  in
materia di identificazione e registrazione della popolazione  canina,
e comunque non oltre il termine  di  dodici  mesi,  dalla  Conferenza
unificata del 24 gennaio 2013, ai sensi  dell'articolo  9,  comma  2,
lettera  c),  del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,   n.   281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali). 
    Tale  ordinanza,  dopo  aver  stabilito,  all'art.  1,  comma  1,
l'obbligo di provvedere all'identificazione ed alla registrazione dei
cani, in conformita' alle disposizioni adottate dalle regioni e dalle
province autonome di Trento e  di  Bolzano,  dispone,  al  successivo
comma 2,  che  il  proprietario  o  il  detentore  di  un  cane  deve
provvedere a far identificare e  registrare  l'animale,  nel  secondo
mese di vita, mediante l'applicazione del microchip. 
    15.2.- Ne' vale obiettare - come fa la Regione - che  attualmente
l'unico sistema  identificativo  utilizzabile  e'  rappresentato  dal
microchip, in quanto la deliberazione della Giunta regionale n.  1751
del 14 agosto 2012 (Tutela degli animali  d'affezione  e  prevenzione
del randagismo. Identificazione dei cani  mediante  microchip.  Linee
guida. Modifica del Tariffario Unico Regionale delle prestazioni rese
dai Settori, Presidi, Servizi delle  Aziende  ULSS  del  Veneto),  in
parziale modifica della gia' citata deliberazione n.  887  del  2004,
prevede che «con il microchip dovranno essere  identificati  tutti  i
cani iscritti per la prima volta alla BAC regionale  e  quelli,  gia'
identificati con il sistema demografico,  ma  il  cui  tatuaggio  non
risulti piu' leggibile». 
    Difatti  la  natura  dinamica  del  rinvio  operato  dalla  legge
impugnata  -  cui  si  appella  la  stessa  Regione  -  comporta   la
possibilita' di reintroduzione del  sistema  di  identificazione  con
tatuaggio, tramite l'adozione di una nuova deliberazione di Giunta. 
    La norma impugnata e' quindi costituzionalmente illegittima nella
parte in cui  consente,  attraverso  il  rinvio  al  procedimento  di
identificazione ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 60  del
1993, che si possa procedere alla identificazione  dei  giovani  cani
mediante tatuaggio. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  1,
comma 1, lettera b), della legge della Regione  Lombardia  31  luglio
2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16  agosto  1993,  n.  26
«Norme per la protezione  della  fauna  selvatica  e  per  la  tutela
dell'equilibrio ambientale  e  disciplina  dell'attivita'  venatoria»
concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani); 
    2)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  2,
comma 3, della legge della Regione  Veneto  10  agosto  2012,  n.  31
(Disciplina della attivita' di movimento  dei  giovani  cani),  nella
parte in cui prevede che le attivita' di movimento di giovani cani da
esso consentite  possano  riguardare  i  giovani  cani  da  destinare
all'esercizio della attivita' venatoria; 
    3)  dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  2,
comma 2, della legge della Regione  Veneto  10  agosto  2012,  n.  31
(Disciplina della attivita' di  movimento  dei  giovani  cani)  nella
parte in cui, rinviando all'art. 4 della legge della  Regione  Veneto
28  dicembre  1993,  n.  60  (Tutela  degli  animali  d'affezione   e
prevenzione del randagismo), consente che  si  possa  procedere  alla
identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI