N. 269 ORDINANZA 6 - 13 novembre 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sanita' pubblica - Piano di rientro  dal  disavanzo  sanitario  della
  Regione Abruzzo  -  Previsione  che  il  Commissario  ad  acta  dia
  esecuzione al  programma  operativo  per  l'esercizio  2010,  ferma
  restando la validita' degli atti e dei provvedimenti gia'  adottati
  e la salvezza degli effetti e dei rapporti  giuridici  sorti  sulla
  base della sua attuazione - Asserita violazione  del  principio  di
  uguaglianza, dei diritti  di  azione  e  difesa  in  giudizio,  del
  principio di tutela giurisdizionale, della competenza regionale  in
  materia di organizzazione sanitaria e di tutela della  salute,  dei
  principi costituzionali sui poteri  sostitutivi  del  Governo,  dei
  principi costituzionali sulla formazione  degli  atti  legislativi,
  del vincolo di osservanza degli obblighi  internazionali  derivanti
  dalla CEDU - Difetto  di  plausibile  motivazione  in  ordine  alla
  rilevanza delle questioni - Manifesta inammissibilita'. 
- Decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (convertito  nella  legge  15
  luglio 2011, n. 111), art. 17, comma 4, lettera c), primo periodo. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 72, 73,  terzo  comma,  103,  113,  117,
  primo e terzo comma, e 120; Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo, art. 6. 
(GU n.47 del 20-11-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  17,
comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio  2011,
n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio 2011, n. 111, promosso dal Tribunale amministrativo  regionale
per l'Abruzzo nel procedimento vertente tra il Comune di Pescina e il
Commissario ad  acta  per  l'attuazione  del  piano  di  rientro  dai
disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo ed  altre,  con
ordinanza del 5 aprile 2012, iscritta al n. 36 del registro ordinanze
2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,
prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9  ottobre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo,
con ordinanza del 5 aprile 2012, ha sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113,  117,  primo  e  terzo
comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all'articolo 6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali  (di  seguito:  CEDU),  firmata  a  Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il
4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a  Parigi  il  20  marzo  1952),  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 17, comma 4, lettera c), primo  periodo,
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111; 
    che, secondo il rimettente, il  Comune  di  Pescina  ha  proposto
giudizio  di  ottemperanza,  ai  sensi  dell'art.  112  del   decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo)  (infra,  anche  c.p.a.),  allo
scopo di ottenere l'attuazione della sentenza del TAR  per  l'Abruzzo
del 9 giugno 2011, n. 335, la quale ha annullato le deliberazioni del
Commissario ad  acta  per  l'attuazione  del  Piano  di  rientro  dai
disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo 3 agosto  2010,
n. 44, e  5  agosto  2010,  n.  45,  costituenti  rispettivamente  il
«programma operativo» di cui all'art. 2, comma 88, legge 23  dicembre
2009, n. 191  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010), e la «approvazione
dei  provvedimenti  tecnici  attuativi  delle  Azioni  1  e  3»,   in
particolare, per quanto qui  interessa,  nella  parte  in  cui  hanno
disposto la  «disattivazione»  dell'ospedale  di  Pescina  e  la  sua
trasformazione in «presidio territoriale di assistenza»; 
    che avverso detta sentenza hanno proposto appello,  con  separati
atti, la Regione Abruzzo ed il Commissario ad  acta,  chiedendone  la
sospensione  dell'esecutivita',  ma  il  Consiglio   di   Stato   «ha
dichiarato  improcedibili  le  domande   cautelari»   (sezione   III,
ordinanze 30 settembre 2011, n. 4290 e  n.  4292),  poiche',  con  la
norma censurata, «gli atti amministrativi oggetto del  giudizio  sono
stati trasfusi (e trovano  legittimazione)  in  una  fonte  di  rango
legislativo, donde deriva quanto meno la carenza di interesse attuale
dell'appellante alla concessione della richiesta misura cautelare»; 
    che il  citato  art.  17,  comma  4,  lettera  c),  ha,  infatti,
stabilito: «il Commissario ad acta  per  l'attuazione  del  piano  di
rientro dal disavanzo sanitario della Regione Abruzzo da'  esecuzione
al programma operativo per l'esercizio 2010, di cui  all'articolo  2,
comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che e' approvato  con
il presente decreto, ferma restando la validita'  degli  atti  e  dei
provvedimenti gia'  adottati  e  la  salvezza  degli  effetti  e  dei
rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione»  e  in  tal
modo, secondo il rimettente, avrebbe dato  «veste  legislativa»  agli
atti amministrativi parzialmente  annullati  dalla  citata  sentenza,
«fornendo altresi' una generale copertura alle misure  attuative  nel
frattempo adottate»; 
    che, ad avviso del TAR, il Comune di Pescina ha proposto giudizio
di ottemperanza, chiedendo la pronuncia dei provvedimenti necessari a
questo scopo ed eccependo l'illegittimita' costituzionale del  citato
art. 17, comma 4, lettera c); 
    che le amministrazioni resistenti, nel costituirsi  nel  giudizio
principale, hanno eccepito l'inammissibilita' del ricorso, deducendo:
in primo luogo, che le ordinanze del Consiglio di Stato  hanno  posto
in  luce  l'inefficacia  della  sentenza  oggetto  del  giudizio   di
ottemperanza, la quale non sarebbe, quindi,  eseguibile;  in  secondo
luogo, che le misure dirette a disattivare e riconvertire  l'ospedale
di Pescina sono state portate  a  compimento;  in  terzo  luogo,  che
l'eccezione di illegittimita'  costituzionale  costituirebbe  l'unico
oggetto del  giudizio  e  difetterebbe  una  domanda  oggetto  di  un
autonomo e distinto petitum; 
    che, secondo il TAR, il ricorrente ha chiesto l'esecuzione di una
sentenza appellata, ma esecutiva ex art.  33,  comma  2,  c.p.a.,  in
quanto non sospesa; 
    che  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   sarebbe
rilevante, poiche' il suo accoglimento renderebbe possibile  «dettare
misure   dirette   all'ottemperanza   della   decisione»    e    fare
«parallelamente  recuperare  l'interesse  delle   amministrazioni   a
chiedere nuovamente al  giudice  di  appello  la  misura  cautelare»,
mentre la circostanza  che  le  deliberazioni  annullate  sono  state
interamente eseguite neppure impedirebbe l'adozione dei provvedimenti
necessari a garantirne l'esecuzione,  ma  solo  rileverebbe  ai  fini
dell'identificazione di quelli idonei a tale scopo; 
    che, nel merito, ad avviso del rimettente, la Regione Abruzzo, in
presenza di una situazione di squilibrio economico-finanziario  della
spesa sanitaria regionale, in data 6 marzo 2007 aveva stipulato con i
Ministri della salute e dell'economia l'accordo previsto dall'art. 1,
comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2005), e dall'art. 8  dell'intesa  Stato-Regioni  del  23
marzo 2005 (Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge  5
giugno 2003, n. 131, in attuazione dell'articolo 1, comma 173,  della
legge 30 dicembre 2004, n. 311), impegnandosi ad attuare il piano  di
rientro dal disavanzo,  e  detto  accordo  era  stato  approvato  con
deliberazione della Giunta regionale  del  13  marzo  2007,  n.  224,
composta da tre elaborati; 
    che il Presidente del Consiglio dei ministri,  con  nota  del  30
luglio 2008, aveva attivato la procedura di cui all'articolo 4, comma
1, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi  urgenti  in
materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equita'  sociale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della  legge  29  novembre
2007, n. 222, in virtu'  della  quale,  quando  nel  procedimento  di
verifica e monitoraggio e' accertata l'inosservanza  da  parte  della
Regione degli adempimenti previsti dal piano di rientro, la stessa e'
diffidata ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi,
amministrativi, organizzativi e  gestionali  idonei  a  garantire  il
conseguimento degli obiettivi previsti; 
    che, nella specie, riscontrata  la  persistenza  dei  presupposti
della diffida, il Consiglio dei ministri, con  deliberazione  dell'11
settembre 2008, ha nominato, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 159 del
2007, un Commissario ad acta, per  l'attuazione  di  detto  piano  di
rientro, designandolo, con successiva delibera dell'11 dicembre 2009,
nella persona del Presidente pro tempore di detta Regione; 
    che il Commissario ad acta, con deliberazione del 3 agosto  2010,
n. 44, approvava il programma operativo 2010, recante  la  previsione
di una serie  di  interventi,  tra  i  quali  il  «Piano  della  rete
ospedaliera»,  in   vista   dell'identificazione   delle   «strutture
ospedaliere che non risultano coerenti (...)  con  il  fabbisogno  di
prestazioni della popolazione» e, con deliberazione 5 agosto 2010, n.
45, individuava cinque strutture (tra queste quella sita  nel  Comune
di Pescina) «da disattivare da ospedali per acuti»; 
    che, secondo il giudice a quo, la sentenza della quale  e'  stata
chiesta l'esecuzione ha ritenuto che i poteri del Commissario ad acta
non prevedevano la disattivazione, ma la riconversione dei cosiddetti
piccoli ospedali in «ospedali di territorio» e questi neppure  poteva
derogare specifici contenuti di leggi regionali (in  particolare,  le
leggi della Regione Abruzzo 10 marzo 2008, n. 5, recante «Un  sistema
di garanzie per la salute - Piano sanitario regionale 2008-2010» e  5
aprile 2007, n. 6, recante «Linee-guida per la  redazione  del  piano
sanitario 2007/2009 - Un sistema di garanzie per la salute - Piano di
riordino della rete ospedaliera»), peraltro non motivatamente assunte
quali «ostacolo alla piena realizzazione  del  piano  di  rientro»  e
costituenti parte integrante del citato accordo; 
    che, per il TAR,  la  disposizione  censurata  costituirebbe  una
norma-provvedimento diretta  ad  eludere  l'annullamento  degli  atti
amministrativi del Commissario ad acta e, a suo avviso, questa  Corte
ha  affermato  che  le  leggi-provvedimento  sono  soggette  ad   uno
scrutinio stretto di costituzionalita' e devono osservare i  principi
di  ragionevolezza  e  non  arbitrarieta'  e   l'intangibilita'   del
giudicato (sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n.  267  e  n.  11  del
2007, n. 282 del 2005); 
    che la giurisprudenza costituzionale ha,  inoltre,  «escluso  che
all'adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia  di
ostacolo la circostanza  che,  in  sede  giurisdizionale,  sia  stata
ritenuta  illegittima  quella  contenuta  in  una   fonte   normativa
secondaria o in un atto amministrativo» (sono richiamate le  sentenze
n. 211 del 1998 e n. 263 del 1994, nonche' le  ordinanze  n.  32  del
2008 e n. 352 del 2006), ma ritiene censurabile  che  il  legislatore
ordinario, oltre a creare una regola astratta, prenda  «espressamente
in considerazione anche le sentenze passate in  giudicato»  (sentenza
n. 374 del 2000), emanando «leggi di sanatoria il cui  unico  intento
e' quello di incidere su uno o piu' giudicati (ordinanza n.  352  del
2006)»; 
    che, secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe  «ispirata
all'unico   "intento",   seppure   non   esplicitato,   di   incidere
direttamente  sulle  decisioni  del  giudice  amministrativo»  e  non
rileverebbe il mancato passaggio in giudicato della sentenza  di  cui
e' stata chiesta l'esecuzione, in quanto essa «impedisce  proprio  il
formarsi della cosa giudicata, sovrapponendo la propria disciplina  a
quella  derivante  dalla  sentenza»,  dovendo  reputarsi   equiparate
dall'art. 112 del c.p.a., ai  fini  dell'ottemperanza,  «le  sentenze
passate in giudicato e quelle esecutive», con conseguente  violazione
degli artt. 24, 103, 113 e 117 Cost., in relazione (per  quest'ultimo
parametro) all'art. 6 della CEDU,  nonche'  dell'art.  3  Cost.,  per
difetto di ragioni in  grado  di  «giustificare  il  regime  speciale
riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono  per  essere
inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del quarto
comma del citato art. 17; 
    che, ad avviso del giudice a quo, il citato  art.  17,  comma  4,
lettera a), disciplina il procedimento preordinato ad  eliminare  gli
ostacoli che impediscono l'attuazione del  piano  di  rientro  o  dei
programmi operativi, prevedendo l'intervento del Consiglio  regionale
per le eventuali modifiche delle leggi regionali e del Consiglio  dei
ministri, in caso di inerzia del primo; 
    che la  norma  censurata  ne  impedirebbe  l'applicabilita'  alla
Regione Abruzzo, con conseguente violazione degli  artt.  117  e  120
Cost., e dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni
per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alla   legge
costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3),  in  quanto  avrebbe  non
ragionevolmente estromesso gli «organi regionali  dalla  funzione  di
rivedere le proprie leggi ed eventualmente rimuoverle  laddove  siano
considerate  di  ostacolo  al  perseguimento   degli   obiettivi   di
risanamento»; 
    che, secondo il TAR, la disciplina in esame concerne  le  materie
«tutela della salute»  ed  «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento della  finanza  pubblica»,  spettanti  alla  competenza
legislativa concorrente della Regione, nelle quali e' riservata  allo
Stato la fissazione dei principi fondamentali, non rinvenibili  nella
norma censurata, tenuto conto  del  carattere  provvedimentale  della
medesima, con conseguente lesione dell'art. 117, terzo comma,  Cost.,
anche in considerazione «dell'immotivata abrogazione implicita  delle
leggi  regionali  incompatibili»   e   della   circostanza   che   la
legificazione del programma operativo del Commissario ad acta  lo  fa
prevalere sul citato accordo tra Stato e Regione Abruzzo  e,  quindi,
sul piano di rientro e relativi allegati, eseguiti dalla Regione  con
le leggi regionali n. 5 del 2008 e n. 6 del 2007; 
    che, inoltre,  gli  atti  del  Commissario  ad  acta  sono  stati
annullati perche'  ritenuti  in  contrasto  con  leggi  regionali  di
attuazione del piano di  rientro,  mentre,  come  risulta  anche  dal
citato art. 17, comma 4, lettera a), l'eliminazione degli ostacoli di
natura legislativa all'attuazione del  piano  di  rientro  spetta  al
Consiglio regionale, salvo l'intervento del Consiglio dei ministri ex
art. 120 Cost., avendo la lettera b) di tale disposizione  confermato
che «il programma operativo non ha automatici  effetti  abrogativi  o
modificativi o sospensivi di leggi regionali»; 
    che,  ad  avviso  del  TAR,  la   norma   censurata   inciderebbe
sull'assetto scaturente dal citato accordo, in  violazione  dell'art.
117, terzo  comma,  Cost.,  anche  in  quanto  questa  Corte  avrebbe
ritenuto costituzionalmente illegittimi  gli  interventi  unilaterali
idonei ad incidere su di esso (sentenze n. 123 e n. 77 del  2011,  n.
141 e n. 2 del 2010); e, nella specie, la forza di legge conferita al
programma  operativo  comporterebbe  tale   esito   e   realizzerebbe
«rilevanti  interferenze  su  un  atto  che  nasce  da  un   processo
co-decisionale» e non potrebbe «essere  modificato  da  provvedimenti
unilaterali di una delle parti, in assenza  di  coinvolgimento  della
Regione interessata»; 
    che, infine, secondo il rimettente, la norma in esame sarebbe  in
contrasto con  gli  artt.  72  e  73,  terzo  comma,  Cost.,  poiche'
recherebbe  una  generica  approvazione  del  «programma  operativo»,
rendendo  del  tutto  incerto  l'ambito  della  legificazione  e   la
riferibilita' della stessa «al solo atto presupposto o anche a quelli
attuativi, dubbio accentuato dal fatto che l'atto "approvato" non  e'
contraddistinto  da  alcun  estremo  identificativo,  ne'   tantomeno
risulta pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale; 
    che il conferimento di  forza  e  valore  di  legge  ad  un  atto
amministrativo  ne  imporrebbe  la  pubblicazione,  occorrendo,   per
ragioni di certezza del  diritto,  che  la  formulazione  «del  testo
legislativo risponda a criteri di univocita', chiarezza e semplicita'
del dato normativo», essendo  detta  esigenza  sottesa  all'art.  72,
primo comma, Cost., il quale, «nel prevedere l'approvazione  articolo
per articolo della proposta  di  legge,  presuppone  che  emerga  ben
chiaro il contenuto normativo dell'atto»; 
    che nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo,   nell'atto   di
intervento ed  in  una  successiva  memoria,  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata; 
    che, a suo avviso, la questione sarebbe inammissibile,  in  primo
luogo, perche' la sopravvenienza di una disposizione  che  disciplina
ex novo e fa assurgere a rango di  normazione  primaria  proprio  gli
atti   e   l'attivita'   amministrativa    oggetto    di    sindacato
giurisdizionale determinerebbe l'effetto  di  scollegare  la  vicenda
dalla  mera  fase  esecutiva  della  statuizione  giurisdizionale   e
l'eventuale rinnovazione dell'attivita' amministrativa  non  potrebbe
piu'  dirsi  dovuta  quale  adempimento  a   seguito   di   pronunzie
demolitorie e di  ottemperanza  del  potere  giurisdizionale,  ma  si
concretizzerebbe in attivita' esecutiva della nuova norma, sulla  cui
esclusiva base potra' essere valutata la legittimita'  (Cons.  Stato,
Ad. Plen., 9 marzo 2011, n. 2); 
    che, in secondo luogo,  la  questione  sarebbe  inammissibile  in
quanto «unici motivi» del ricorso in ottemperanza sono le censure  di
illegittimita' costituzionale che, quindi,  costituiscono  l'unico  e
diretto oggetto del  giudizio  principale  e  non  sarebbe  possibile
identificare un petitum separato e distinto rispetto  alla  questione
di legittimita' costituzionale; 
    che,  nel  merito,  secondo  l'Avvocatura  generale,  le  censure
riferite all'art. 117, terzo comma, Cost., non sono fondate,  poiche'
il  citato  «programma  operativo»  contiene   indirizzi   strategici
definiti  da  decisioni  regionali,  non  disposizioni   puntuali   e
dettagliate, non contrasterebbe  con  il  piano  di  rientro,  ma  ne
garantirebbe l'attuazione ed avrebbe reso le disposizioni  del  piano
di rientro conformi alla sopravvenuta  normativa  nazionale  ed  agli
ulteriori obblighi regionali derivanti dalle nuove intese  intercorse
tra Stato, Regioni  e  Province  autonome,  non  costituendo  neppure
frutto di una valutazione discrezionale del Commissario ad  acta,  in
quanto avrebbe contenuto vincolato, siccome imposto dall'esigenza  di
adeguare l'organizzazione sanitaria regionale ai nuovi  parametri  di
riferimento, economici e normativi, sopraggiunti a detto piano; 
    che la censura riferita all'art.  120  Cost.  sarebbe  infondata,
poiche' «il Commissario ad acta non ha esercitato  alcun  illegittimo
ed arbitrario potere legislativo, posto che e' stato  il  Parlamento,
approvando i contenuti del  Programma  Operativo  2010,  a  conferire
piena efficacia e valore di legge  alle  relative  disposizioni»,  in
vista della tutela della salute pubblica, contenendo detto  programma
molteplici disposizioni, con conseguente impossibilita'  di  ritenere
che la norma in esame sia stata emanata al solo scopo di  eludere  un
giudicato, peraltro nella specie inesistente; 
    che, inoltre, la «legificazione»  del  citato  programma  neppure
escluderebbe,  ricorrendone  le  condizioni,  l'applicabilita'  delle
disposizioni della lettera a) della norma censurata, concernente  «il
procedimento da seguire per  la  "rimozione"  delle  leggi  regionali
contrastanti con il Piano di rientro e con i Programmi operativi  che
ne costituiscono prosecuzione» e giustificata dall'urgenza  economica
connessa  all'incremento  del  disavanzo  economico   nel   frattempo
verificatosi, non sussistendo nessun contrasto con i  principi  della
normativa  in  materia  sanitaria,  «trattandosi  di  interventi   di
legislazione emergenziale e dunque cogente per definizione»; 
    che, secondo l'interveniente, le censure sollevate in riferimento
agli artt. 3, 24 e 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  6
della CEDU, non sarebbero fondate, tra l'altro perche' gli interventi
del  legislatore  nei  processi  in  corso  sarebbero  legittimi   se
giustificati, come nella  specie,  dalla  «necessita'  preminente  di
tutelare una ragione imperativa di interesse generale»,  non  avendo,
peraltro, la norma in esame  neanche  inciso  su  una  situazione  di
vantaggio  definitivamente  acquisita  dal  Comune  di  Pescina,  dal
momento che la sentenza della quale e' stata  chiesta  l'ottemperanza
e' priva dell'efficacia del giudicato; 
    che, infine, ad avviso dell'Avvocatura generale dello  Stato,  la
norma in questione non sarebbe in contrasto con  le  altre  contenute
nel citato art. 17, comma 4, e «non e' stata  introdotta  una  corsia
preferenziale per il Commissario ad acta della Regione  Abruzzo»,  ma
si e' esclusivamente inteso fare fronte all'incremento del  disavanzo
economico. 
    Considerato  che  il  Tribunale  amministrativo   regionale   per
l'Abruzzo ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24,  72,  73,
terzo comma, 103,  113,  117,  primo  e  terzo  comma,  e  120  della
Costituzione ed in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (di seguito: CEDU), firmata a Roma il 4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica
ed esecuzione della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato  a
Parigi il 20 marzo 1952), questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo  17,  comma  4,  lettera   c),   primo   periodo,   del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con    modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111; 
    che, secondo il TAR,  la  norma  censurata,  stabilendo  che  «il
Commissario ad  acta  per  l'attuazione  del  piano  di  rientro  dal
disavanzo sanitario della regione Abruzzo da' esecuzione al programma
operativo per l'esercizio 2010, di  cui  all'articolo  2,  comma  88,
della legge 23 dicembre  2009,  n.  191,  che  e'  approvato  con  il
presente decreto, ferma  restando  la  validita'  degli  atti  e  dei
provvedimenti gia'  adottati  e  la  salvezza  degli  effetti  e  dei
rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione», violerebbe
gli artt. 24, 103, 113 e 117, primo comma, Cost., in  relazione  (per
quest'ultimo parametro) all'art. 6 della CEDU,  i  quali  vietano  al
legislatore ordinario  «di  intervenire  con  norme  ad  hoc  per  la
risoluzione di controversie in corso», in  quanto  sarebbe  «ispirata
all'unico   "intento",   seppure   non   esplicitato,   di   incidere
direttamente sulle decisioni del giudice amministrativo», e, inoltre,
si  porrebbe  in  contrasto  con  l'art.   3   Cost.,   poiche'   non
sussisterebbero elementi in grado di «giustificare il regime speciale
riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono  per  essere
inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del citato
art. 17, comma 4; 
    che detta disposizione, a suo avviso, violerebbe,  altresi',  gli
artt. 117 e  120  Cost.,  in  quanto  renderebbe  inapplicabili  alla
Regione Abruzzo le ulteriori prescrizioni del citato art.  17,  comma
4, poiche' «ha direttamente risolto ogni possibile conflitto  tra  il
programma operativo e la legislazione regionale, per  di  piu'  senza
alcuna puntuale considerazione dei motivi di  contrasto»,  e  in  tal
modo avrebbe realizzato un'irragionevole «estromissione degli  organi
regionali  dalla  funzione  di   rivedere   le   proprie   leggi   ed
eventualmente rimuoverle laddove siano  considerate  di  ostacolo  al
perseguimento degli obiettivi di risanamento»; 
    che, secondo il rimettente, la norma censurata recherebbe  vulnus
anche all'art. 117, terzo comma, Cost.: in primo  luogo,  perche'  il
carattere provvedimentale della stessa evidenzierebbe  che  con  essa
non sono stati stabiliti  «principi  fondamentali»,  con  conseguente
violazione della competenza legislativa della Regione  nella  materia
«tutela  della  salute»,  rafforzata   «dall'immotivata   abrogazione
implicita delle leggi regionali incompatibili»; in secondo luogo,  in
quanto la legificazione del programma operativo lo farebbe  prevalere
anche sull'accordo tra Stato e Regione Abruzzo e, quindi,  sul  piano
di rientro e relativi allegati, eseguiti dalla Regione, essendo stato
il  programma  operativo  annullato  proprio  perche'  giudicato   in
contrasto con atti  di  natura  legislativa  adottati  dalla  Regione
Abruzzo, allo scopo di dare attuazione al piano di rientro; 
    che, infine, ad avviso del giudice a  quo,  il  citato  art.  17,
comma 4, lettera c), violerebbe gli  artt.  72  e  73,  terzo  comma,
Cost., poiche', disponendo una generica approvazione  del  «programma
operativo»,  renderebbe  dubbio  l'ambito  della  legificazione,  con
conseguente  incerta  riferibilita'  della  stessa  «al   solo   atto
presupposto o anche a quelli attuativi, dubbio accentuato  dal  fatto
che l'atto  "approvato"  non  e'  contraddistinto  da  alcun  estremo
identificativo, ne'  tantomeno  risulta  pubblicato»  nella  Gazzetta
Ufficiale; 
    che, preliminarmente, va  osservato  che  identica  questione  di
illegittimita'  costituzionale,  sollevata  dallo  stesso  TAR,   con
un'ordinanza  di  cui  quella  in  esame  costituisce  la  pressoche'
letterale riproduzione (resa nel giudizio  di  ottemperanza  proposto
dal Comune di Tagliacozzo, nel cui territorio era  ubicato  un  altro
degli  ospedali  della  Regione  Abruzzo   trasformati   in   presidi
territoriali di assistenza) e' stata  di  recente  decisa  da  questa
Corte e dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanza n. 173 del
2013); 
    che, come ha precisato quest'ultima pronuncia, va  ricordato,  in
linea   preliminare,   che,    per    «consolidata    giurisprudenza»
amministrativa,  «l'oggetto   del   giudizio   di   ottemperanza   e'
rappresentato dalla verifica, da parte del giudice adito, dell'esatto
adempimento, da parte dell'amministrazione soccombente,  dell'obbligo
di  conformarsi  al  giudicato  per  far   conseguire   concretamente
all'interessato l'utilita' o il bene della vita gia'  riconosciutogli
in sede di cognizione» (Cons. Stato, sez. III,  31  luglio  2012,  n.
4363), «restando escluso che nello stesso possa  essere  riconosciuto
un diritto nuovo ed ulteriore  rispetto  a  quello  fatto  valere  ed
affermato con la sentenza da  eseguire»  (Cons.  Stato,  sez.  VI,  9
febbraio 2011, n. 880); 
    che  e',  quindi,  rilevante   la   questione   di   legittimita'
costituzionale proposta nel giudizio di ottemperanza  in  riferimento
ad una norma che incide sul diritto riconosciuto da una sentenza che,
quando essa e' sollevata, e' assistita dalla forza  del  giudicato  e
non e' piu' suscettibile di riesame nel merito (sentenze n.  273  del
2012, n. 267 del 2007; cfr. anche sentenza n. 280 del 2012); 
    che, nella fattispecie in esame,  la  disposizione  censurata  e'
contenuta  in  un  atto  normativo  promulgato  il  6  luglio   2011,
ventisette giorni  dopo  la  pronuncia  della  sentenza  oggetto  del
giudizio principale (sentenza 9  giugno  2011,  n.  335),  la  quale,
secondo  l'espressa  puntualizzazione  contenuta  nell'ordinanza   di
rimessione,  e'  stata  appellata  dalla  Regione   Abruzzo   e   dal
Commissario ad acta e, conseguentemente, costituisce tuttora  oggetto
di esame da parte del giudice del gravame; 
    che, come precisato dal rimettente, nel giudizio di appello  sono
state proposte domande cautelari, per la  sospensione  dell'efficacia
di detta sentenza, dichiarate, tuttavia, improcedibili dal  Consiglio
di Stato, esclusivamente in quanto «gli atti  amministrativi  oggetto
del giudizio sono stati trasfusi (e trovano  legittimazione)  in  una
fonte di rango legislativo, donde deriva quanto meno  la  carenza  di
interesse attuale dell'appellante alla  concessione  della  richiesta
misura cautelare  di  sospensione  dell'esecutivita'  della  sentenza
impugnata» (Cons. Stato, sez. III, ordinanze 30  settembre  2011,  n.
4290 e n. 4292); 
    che, sebbene la pendenza del processo di impugnazione non  incida
sulla proponibilita' del giudizio di ottemperanza (art. 112, comma 2,
lettera  b,  c.p.a.),  siffatta   circostanza   riveste,   nondimeno,
peculiare  rilievo,  in   quanto   la   questione   di   legittimita'
costituzionale, nei termini  entro  i  quali  e'  stata  sollevata  e
proposta, rinviene il suo indefettibile presupposto  logico-giuridico
nella definitivita' dell'accertamento dell'illegittimita' degli  atti
del Commissario ad acta, nella specie ancora controversa, poiche'  e'
ancora pendente il giudizio di impugnazione; 
    che, come sottolineato dall'ordinanza n. 173 del 2013, essendo in
corso il processo di secondo grado, riveste particolare importanza il
profilo concernente l'ulteriore valutazione della legittimita'  degli
atti amministrativi, proprio  perche'  gia'  rimessa  al  giudice  di
appello, e, quindi, emergono:  in  primo  luogo,  il  problema  della
possibilita' ed imprescindibilita' di  una  preliminare  verifica  in
ordine ai vizi riscontrati in primo grado, in quanto  la  delibazione
dell'eventuale inesistenza  degli  stessi  (in  difformita'  rispetto
all'accertamento svolto in primo grado)  risulterebbe,  all'evidenza,
suscettibile di incidere sull'interpretazione della norma censurata e
sulla   stessa   rilevanza   della    questione    di    legittimita'
costituzionale;  in  secondo  luogo,  la  questione   relativa   alla
possibilita'  di  svolgere  siffatta  delibazione  nel  giudizio   di
ottemperanza, tenuto conto del contenuto e dell'oggetto del medesimo,
ovvero l'imprescindibilita' della riserva  della  stessa  al  giudice
dell'appello; 
    che sussistono, altresi',  sopravvenienze  normative  (artt.  15,
comma 13, lettera c, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  recante
«Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario»,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1 comma 1, della legge  7  agosto  2012,  n.
135; art. 1 del decreto-legge 13  settembre  2012,  n.  158,  recante
«Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute»,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1 della legge 8 novembre  2012,  n.
189) per le quali si pone il problema della  delibazione  della  loro
eventuale incidenza sulla situazione giuridica azionata in giudizio e
della riserva della stessa al giudice dell'impugnazione, oppure della
possibilita' che le stesse siano considerate in sede di ottemperanza,
anche tenendo conto dell'ambito  di  questo  giudizio  e  della  mera
esecutivita' della pronuncia oggetto del medesimo; 
    che lo stesso rimettente, da', peraltro, conto che  il  Consiglio
di Stato ha deciso le domande cautelari limitandosi a «prendere  atto
della normativa sopravvenuta», in quanto essa «e'  tale  da  impedire
l'esecuzione della sentenza di primo grado» e  si  dimostra,  quindi,
consapevole dell'esigenza, in caso di  eventuale  accoglimento  della
questione,  di  «recuperare  l'interesse  delle   amministrazioni   a
chiedere nuovamente al giudice di appello la sospensione  cautelare»,
ma omette di esplicitare modi e tempi di tale «recupero», in grado di
tutelare e bilanciare i diritti di tutte le parti del giudizio; 
    che, quindi, va ribadito anche in questo giudizio che «alla  luce
dell'oggetto del giudizio di ottemperanza e della peculiarita'  della
fattispecie in esame, tenuto conto della  pendenza  del  processo  di
appello  e  del  contenuto  dell'ordinanza  resa  sulla  domanda   di
sospensione dell'esecutivita'  della  sentenza  di  primo  grado,  la
mancata considerazione di tutti i profili sopra richiamati si risolve
in difetto di una plausibile motivazione  in  ordine  alla  rilevanza
della questione, con  conseguente  manifesta  inammissibilita'  della
stessa» (ordinanza n. 173 del 2013). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 17, comma  4,  lettera  c),
primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio  2011,  n.
111, sollevate, in riferimento agli articoli 3,  24,  72,  73,  terzo
comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120  della  Costituzione
ed in relazione all'articolo 6 della Convenzione per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il
4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,
n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il
4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a Parigi il 20  marzo  1952),  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per l'Abruzzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2013. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI