N. 295 ORDINANZA 2 - 6 dicembre 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Previsione che l'esercente  la  professione  sanitaria
  che nello svolgimento della propria attivita' si  attiene  a  linee
  guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica  non
  risponde penalmente per colpa  lieve  -  Omessa  descrizione  della
  fattispecie a quo - Omessa motivazione sulla rilevanza -  Manifesta
  inammissibilita' della questione. 
- Decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (convertito nella  legge  8
  novembre 2012, n. 189), art. 3. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111. 
(GU n.50 del 11-12-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,
  Aldo CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  del
decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158  (Disposizioni  urgenti  per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  8
novembre  2012,  n.  189,  promosso  dal  Tribunale  di  Milano   nel
procedimento penale a carico di B.C. ed altri con  ordinanza  del  21
marzo 2013,  iscritta  al  n.  124  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  23,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 ottobre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 21 marzo 2013,  il  Tribunale  di
Milano, in composizione monocratica,  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27,  28,  32,  33  e  111  della
Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3
del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  8
novembre 2012, n. 189; 
    che il rimettente premette di essere investito del  processo  nei
confronti di alcuni operatori sanitari  di  un  istituto  ortopedico,
imputati del reato di  lesioni  personali  gravi,  cagionate  ad  una
paziente «con colpa generica e per violazione dell'arte medica»; 
    che,  esaurita  l'istruzione  dibattimentale,  nelle  more  della
discussione finale era entrato in vigore l'art. 3 del d.l. n. 158 del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012,  il
cui comma 1 stabilisce che «L'esercente la professione sanitaria  che
nello svolgimento della propria attivita' si attiene a linee guida  e
buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica  non  risponde
penalmente per colpa lieve», fermo restando l'obbligo risarcitorio di
cui  all'articolo  2043  del  codice   civile   e   con   l'ulteriore
precisazione  che  «il  giudice,  anche  nella   determinazione   del
risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui
al primo periodo»; 
    che il citato art. 3 prosegue, nei successivi  commi,  prevedendo
un  sistema  di  agevolazione  assicurativa  per  gli  esercenti   le
professioni sanitarie e una tabella per le somme dovute a  titolo  di
risarcimento del danno biologico; 
    che, ad avviso del giudice a quo, la  disposizione  censurata  si
porrebbe in contrasto con plurimi parametri costituzionali; 
    che rimarrebbe  assolutamente  incerto,  anzitutto,  se,  con  la
formula «non risponde penalmente per colpa lieve», la  norma  escluda
che versi in colpa lieve il sanitario attenutosi alle linee  guida  e
alle buone pratiche, o preveda invece una causa di non punibilita' in
senso stretto a favore del sanitario cui pure  sia  addebitabile  una
colpa lieve; 
    che l'equivocita' della locuzione in  questione,  non  superabile
tramite  «una  mera  attivita'  ermeneutica»,  renderebbe   il   dato
normativo  impreciso,  ponendolo  in  contrasto  con  i  principi  di
ragionevolezza e di tassativita' della fattispecie penale (artt. 3  e
25, secondo comma, Cost.), nonche' con la funzione rieducativa  della
pena (art. 27 Cost.); 
    che la norma censurata violerebbe il principio  di  tassativita',
desumibile dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  anche  in  ragione
dell'omessa definizione del concetto di «colpa lieve», che  segna  il
limite di operativita' dell'«esimente» da  essa  delineata:  concetto
venuto sinora  in  rilievo,  nell'ordinamento  penale  -  secondo  il
giudice a quo - solo nell'ambito della valutazione  del  grado  della
colpa, richiesta dall'art.  133  del  codice  penale  ai  fini  della
quantificazione della pena, e senza, peraltro, che sul punto si siano
formati orientamenti giurisprudenziali univoci; 
    che  la  disposizione  sottoposta  a  scrutinio   determinerebbe,
inoltre, una irragionevole compressione della liberta' della scienza,
in violazione degli artt. 3 e 33 Cost.; 
    che la ratio della non punibilita' dell'operatore  sanitario,  da
essa sancita, risiederebbe, infatti, nell'intento di  contrastare  la
cosiddetta «medicina difensiva»:  vale  a  dire,  la  tendenza  della
classe medica ad adottare  scelte  diagnostiche  e  terapeutiche  che
valgano a porla al  riparo  da  conseguenze  penali  e  da  richieste
risarcitorie, ma che non necessariamente rispondono all'interesse del
paziente; 
    che  la  soluzione   concretamente   adottata   dal   legislatore
tradirebbe, tuttavia, tale finalita', rischiando  «di  burocratizzare
le scelte del medico e quindi di avvilire il progresso  scientifico»:
essa "premierebbe", infatti, coloro  che  prestano  una  «acritica  e
rassicurante adesione» alle linee guida e alle  buone  pratiche  gia'
codificate,  penalizzando  invece  chi,   con   una   pari   dignita'
scientifica, se ne discosta, con l'effetto di  bloccare  l'evoluzione
del pensiero scientifico e la sperimentazione clinica; 
    che la norma denunciata  violerebbe  l'art.  3  Cost.  anche  per
l'irragionevole ampiezza assunta  dalla  sua  sfera  applicativa,  in
contrasto con l'evidenziata ratio; 
    che, a fronte  della  genericita'  delle  espressioni  usate,  la
previsione di non punibilita' sarebbe infatti riferibile,  sul  piano
soggettivo, anche ad operatori  sanitari  non  chiamati  ad  adottare
scelte diagnostiche o terapeutiche, o le  cui  scelte  non  attengono
alla salute umana (quali veterinari, farmacisti, biologi o psicologi,
tutti compresi nel genus degli esercenti le  professioni  sanitarie),
e, sul piano oggettivo, a qualunque reato colposo, anche diverso  dai
reati contro la persona; 
    che, in ulteriore violazione dei principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza, la norma censurata renderebbe gli operatori  sanitari
non punibili anche per i reati colposi in materia  di  sicurezza  del
lavoro, quando pure si tratti di  soggetti  investiti  di  specifiche
posizioni di garanzia a tale riguardo, in quanto aventi la  qualifica
di datore di lavoro, dirigente, preposto o lavoratore; 
    che l'art. 3 Cost. sarebbe  violato,  ancora,  sotto  il  profilo
della ingiustificata disparita'  di  trattamento  tra  gli  operatori
sanitari  e  i  soggetti  con   diversa   qualifica   che   cooperino
colposamente alla realizzazione del  medesimo  evento  lesivo,  posto
che, a parita' di  grado  di  colpa,  solo  i  primi  beneficerebbero
dell'esonero da responsabilita' penale per i fatti commessi con colpa
lieve; 
    che, in contrasto con gli  artt.  3,  24,  32  e  111  Cost.,  la
disposizione  denunciata   comprometterebbe,   inoltre,   la   tutela
giudiziaria della persona offesa, la quale, nei casi  previsti  dalla
disposizione stessa, potrebbe agire solo in  sede  civile,  vedendosi
cosi' privata dei piu' ampi strumenti di tutela offerti dal  processo
penale, diversamente da quanto avviene in rapporto ai reati  commessi
con colpa lieve da soggetti non esercenti la professione sanitaria; 
    che nell'ipotesi, poi,  in  cui  i  sanitari  fossero  dipendenti
pubblici, essi fruirebbero, in violazione degli artt. 3 e  28  Cost.,
di un trattamento privilegiato rispetto a quello  riservato  a  tutti
gli altri  dipendenti  pubblici,  i  quali,  a  parita'  di  condotta
lievemente colposa lesiva dei  medesimi  beni  giuridici,  continuano
invece a rispondere penalmente; 
    che assolutamente impreciso e foriero, dunque,  di  un  ulteriore
vulnus del principio di tassativita' sarebbe, infine, il  riferimento
alle «linee guida» e alle «buone pratiche accreditate dalla comunita'
scientifica»,  delle  quali  non  vengono  precisate  le  fonti,   le
modalita'  di  produzione  e  le  procedure  di  diffusione,  con  il
risultato di rendere indeterminabile l'area della non punibilita'; 
    che la questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo,
giacche', trattandosi di norma piu' favorevole al reo, essa «potrebbe
essere di diretta e immediata applicazione al caso sub iudice,  salva
ogni valutazione sul merito della vicenda processuale»; 
    che l'accoglimento della questione, d'altra parte,  comporterebbe
il semplice ripristino della  normativa  generale  precedente,  senza
ledere la discrezionalita' del legislatore nella determinazione delle
fattispecie penali; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  per  omessa
descrizione della fattispecie concreta  o,  comunque,  infondata  nel
merito. 
    Considerato che il Tribunale di Milano dubita della  legittimita'
costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 13  settembre  2012,  n.
158 (Disposizioni  urgenti  per  promuovere  lo  sviluppo  del  Paese
mediante un piu' alto livello di tutela  della  salute),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,  nella  parte
in cui, al comma 1, dispone che «L'esercente la professione sanitaria
che nello svolgimento della propria  attivita'  si  attiene  a  linee
guida e buone pratiche accreditate dalla  comunita'  scientifica  non
risponde penalmente per colpa lieve»: previsione  che  il  rimettente
reputa lesiva di un'ampia platea di parametri  costituzionali  (artt.
3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 della Costituzione); 
    che - conformemente a quanto eccepito dall'Avvocatura dello Stato
-  il  giudice  a  quo  ha  omesso  di  descrivere  compiutamente  la
fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e,  conseguentemente,
di fornire una adeguata motivazione in ordine  alla  rilevanza  della
questione; 
    che il rimettente si limita, in effetti,  a  riferire  di  essere
investito del processo  penale  nei  confronti  di  alcuni  operatori
sanitari, imputati del reato  di  lesioni  personali  colpose  gravi,
cagionate ad una  paziente  «con  colpa  generica  e  per  violazione
dell'arte medica»; 
    che il rimettente non specifica la natura dell'evento lesivo,  le
modalita' con le quali esso sarebbe stato causato e  il  grado  della
colpa ascrivibile agli imputati; ma,  soprattutto,  non  precisa  se,
nell'occasione, i medici si siano attenuti - o,  quantomeno,  se  sia
sorta questione in ordine al fatto che essi si  siano  attenuti  -  a
«linee  guida  e   buone   pratiche   accreditate   dalla   comunita'
scientifica» proprie del contesto di  riferimento,  cosi'  che  possa
venire effettivamente in  discussione  l'applicabilita'  della  norma
censurata; 
    che, al riguardo, occorre anche  considerare  come,  nelle  prime
pronunce emesse in argomento, la giurisprudenza di legittimita' abbia
ritenuto -  in  accordo  con  la  dottrina  maggioritaria  -  che  la
limitazione di responsabilita' prevista dalla norma  censurata  venga
in rilievo solo in rapporto all'addebito di  imperizia,  giacche'  le
linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole  di
perizia: non, dunque, quando all'esercente la  professione  sanitaria
sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o
imprudente; 
    che  l'insufficiente  descrizione  della   fattispecie   concreta
impedisce alla Corte la necessaria  verifica  della  rilevanza  della
questione, affermata dal rimettente in termini meramente  astratti  e
apodittici; 
    che  le  rilevate  manchevolezze  dell'ordinanza  di   rimessione
comportano, secondo la costante giurisprudenza di  questa  Corte  (ex
plurimis, ordinanze n. 99 del 2013, n. 314 e n.  268  del  2012),  la
manifesta inammissibilita' della questione. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3   del   decreto-legge   13
settembre 2012,  n.  158  (Disposizioni  urgenti  per  promuovere  lo
sviluppo del Paese mediante un piu'  alto  livello  di  tutela  della
salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre  2012,
n. 189, sollevata, in riferimento  agli  artt.  3,  24,  25,  secondo
comma, 27, 28, 32, 33 e 111  della  Costituzione,  dal  Tribunale  di
Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI