N. 296 ORDINANZA 2 - 6 dicembre 2013

Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato. 
 
Procedimento  penale  -  Adozione  da  parte  del  Procuratore  della
  Repubblica presso il  Tribunale  di  Padova,  di  un  provvedimento
  concernente la sospensione dei termini  processuali  e  sostanziali
  relativi  a  procedimento  civile  -  Ricorso  per   conflitto   di
  attribuzione  tra  poteri  proposto  dal  Giudice  istruttore   del
  Tribunale di Padova - Asserito difetto di  potestas  iudicandi  del
  Pubblico Ministero che non  e'  parte  nel  procedimento  civile  -
  Difetto dei requisiti soggettivo e oggettivo  per  la  proposizione
  del ricorso - Inammissibilita'. 
- Provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il  Tribunale
  di Padova emesso il 12 dicembre 2012. 
- Costituzione, artt. 25, 101, secondo comma, e 104; legge  11  marzo
  1953, n. 87, art. 37, terzo e quarto comma. 
(GU n.50 del 11-12-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito del provvedimento del  Procuratore  della  Repubblica
presso il Tribunale di Padova adottato il 12 dicembre 2012,  promosso
dal Giudice istruttore del Tribunale di Padova, sezione distaccata di
Cittadella, con ricorso depositato in cancelleria il 26  luglio  2013
ed iscritto al n. 9 del registro conflitti  tra  poteri  dello  Stato
2013, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 6 novembre  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con ordinanza dell'11 giugno 2013, depositata nella
cancelleria della Corte costituzionale in data  26  luglio  2013,  il
Giudice istruttore del Tribunale di  Padova,  sezione  distaccata  di
Cittadella, nell'ambito del procedimento civile n. 801 del  2012,  ha
promosso  conflitto  di  attribuzione  fra  poteri  dello  Stato   in
relazione al provvedimento adottato, in data 12  dicembre  2012,  dal
Procuratore della Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Padova,  nel
procedimento penale n. 3782 del 2011, con il quale  quest'ultimo,  ai
sensi dell'art. 20, comma 4, della legge  23  febbraio  1999,  n.  44
(Disposizioni concernenti il Fondo di  solidarieta'  per  le  vittime
delle richieste estorsive e dell'usura), accogliendo l'istanza  della
parte convenuta nel procedimento civile n. 801 del 2012, ha  disposto
- per la durata di trecento giorni a  far  data  dalla  presentazione
dell'istanza all'ufficio del pubblico ministero (avvenuta in data  11
dicembre 2012) - la sospensione dei  termini  di  prescrizione  e  di
quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e  processuali,
comportanti decadenze da  qualsiasi  diritto,  azione  ed  eccezione,
relativi al detto procedimento civile; 
    che il Giudice istruttore di tale procedimento riferisce  che  la
difesa della societa' convenuta, con istanza formulata nella comparsa
di costituzione,  ha  chiesto  la  sospensione  di  tutti  i  termini
processuali alla luce del disposto dell'art. 20, comma 3, della legge
n. 44 del 1999, deducendo che detta societa'  e'  stata  vittima  del
reato di usura nel periodo compreso tra ottobre 2009 e dicembre 2010,
come risulta documentato dalla richiesta di rinvio a giudizio del  28
giugno 2012, a firma  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Padova; 
    che, all'udienza del  16  ottobre  2012,  il  precedente  Giudice
istruttore, dopo aver rigettato l'istanza di sospensione, secondo una
interpretazione della norma invocata  dalla  parte  alla  luce  della
sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale,  ha  concesso  i
termini di cui all'art. 183, sesto comma,  del  codice  di  procedura
civile, rinviando per  la  decisione  sull'ammissibilita'  dei  mezzi
istruttori all'udienza dell'11 giugno 2013; 
    che,  a  seguito  di  tale  rigetto,  il  nuovo  difensore  della
convenuta, costituitosi dopo la  revoca  del  mandato  al  precedente
procuratore,  ha  reiterato  l'istanza  di  sospensione  dei  termini
processuali, ai sensi dell'art.  20  della  legge  n.  44  del  1999,
presentandola  direttamente  al  pubblico  ministero   titolare   del
procedimento penale n. 3782 del  2011,  nel  quale  la  convenuta  e'
persona offesa del delitto di usura; 
    che  il  detto  pubblico  ministero,  con  provvedimento  del  12
dicembre 2012, ha accolto l'istanza della convenuta e ha disposto  la
sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali
e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze  da
qualsiasi diritto, azione  ed  eccezione,  relativi  al  procedimento
civile n. 801 del 2012, per la durata di trecento giorni a  far  data
dalla presentazione dell'istanza all'ufficio del pubblico  ministero,
avvenuta in data 11 dicembre 2012; 
    che,  pertanto,  preso  atto  dell'intervenuta  sospensione   dei
termini relativi al procedimento civile, le parti  hanno  ritenuto  i
termini sospesi ed  hanno  omesso  di  depositare  la  terza  memoria
istruttoria ai sensi dell'art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.; 
    che, all'udienza dell'11 giugno 2013, pendente ancora il  termine
di sospensione  di  trecento  giorni  di  cui  al  provvedimento  del
pubblico ministero del 12 dicembre  2012,  i  difensori  delle  parti
hanno chiesto la rimessione in termini per il  deposito  della  terza
memoria istruttoria, essendo incolpevolmente incorsi nella  decadenza
dal  deposito  della  stessa,  per  aver  fatto   affidamento   sulla
legittimita' del provvedimento di sospensione  dei  termini  adottato
dal pubblico ministero; in ogni caso, hanno chiesto di essere ammessi
a reciproca prova contraria sulla eventuale  ammissione  delle  prove
richieste dall'altra parte; 
    che, tutto cio' premesso, il Giudice istruttore  afferma  che  il
pubblico ministero non ha la potestas di procedere  alla  sospensione
dei termini processuali e sostanziali del procedimento civile; 
    che cio' troverebbe conforto nel chiaro tenore della  motivazione
della sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale; 
    che, ad  avviso  del  ricorrente,  sebbene  il  provvedimento  di
sospensione sia stato  adottato  «non  dall'Autorita'  amministrativa
prefettizia, bensi' da un altro organo  giurisdizionale»,  cioe'  dal
pubblico ministero della Procura di Padova, - sicche' mancherebbe  il
vulnus all'autonomia del potere giurisdizionale evidenziato in quella
sentenza della Corte costituzionale -  l'autonomia  e  l'indipendenza
del potere giudiziario, sancito dagli artt. 101, secondo comma, e 104
della Costituzione, sarebbero state comunque lese; 
    che dette autonomia ed indipendenza andrebbero garantite «sia  da
eventuali intrusioni  esterne  all'ordine  giudiziario  che  dal  suo
interno non potendo ammettersi che l'ufficio del  Pubblico  Ministero
possa intervenire in un procedimento  civile  di  cui  non  e'  parte
sospendendone i termini processuali  o  sostanziali  a  pena  di  una
evidente  lesione  dell'art.  25  Cost.  essendo   l'unico   soggetto
investito  della  potestas  iudicandi  il  giudice   procedente   del
procedimento 801/2012 R.G.»; 
    che, infatti, ad  avviso  del  ricorrente,  il  provvedimento  di
sospensione dei termini ha comportato un'evidente  lesione  dell'art.
25  Cost.,  in  quanto  l'unico  soggetto  investito  della  potestas
iudicandi non puo' che essere  il  giudice  procedente  nel  giudizio
civile; 
    che, in particolare, viene posto in evidenza come  la  convenuta,
non avendo ottenuto l'accoglimento dell'istanza di sospensione di cui
all'  art.  20  della  legge  n.  44  del  1999  in  conseguenza  del
provvedimento di rigetto del Giudice istruttore del 16 ottobre  2012,
abbia ritenuto di rivolgersi,  in  data  11  dicembre  2012,  con  il
patrocinio  di  un  nuovo  difensore,  al  pubblico   ministero   del
procedimento penale n. 3782 del 2011 che la vede persona offesa,  per
ottenere quanto non concesso dal giudice  naturale  del  procedimento
civile; 
    che detta condotta manifesterebbe «il vulnus ed il corto circuito
processuale» che si sono creati nel procedimento principale, per  cui
un provvedimento ben motivato del giudice naturale e'  stato  privato
di efficacia con il ricorso ad «un soggetto terzo  ed  estraneo»,  il
quale ha adottato un provvedimento di  sospensione  che  riverbera  i
suoi effetti nel procedimento stesso paralizzandolo, pur  in  assenza
di una modifica o revoca dell'ordinanza del 16 ottobre  2012,  emessa
dal precedente giudice; 
    che, dunque,  il  Giudice  istruttore  ritiene  che  il  pubblico
ministero abbia adottato un atto che non gli spettava, alla  luce  di
una corretta lettura dell'art. 20 della legge 44 del 1999, nel  testo
risultante dalla sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale; 
    che, in particolare,  con  tale  ultima  sentenza,  la  Corte  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  20,  comma  7,
della legge n. 44 del 1999, limitatamente alla parola «favorevole»; 
    che, infatti, la disposizione, nella formulazione allora vigente,
prevedeva che la sospensione  dei  processi  esecutivi,  prevista  al
comma 4, in favore  delle  vittime  di  richieste  estorsive,  avesse
effetto a seguito del parere favorevole del prefetto  competente  per
territorio, sentito il presidente del tribunale; 
    che, in particolare, la  Corte  ha  osservato  come  detta  norma
operasse l'integrale attribuzione, ad un organo dell'amministrazione,
del potere di valutazione in ordine alla sussistenza dei  presupposti
per la  sospensione  dei  termini  del  processo  esecutivo,  sicche'
rispetto a tale valutazione l'autorita' giudiziaria  era  chiamata  a
svolgere, attraverso la previsione  del  parere  non  vincolante  del
presidente del tribunale, soltanto una funzione consultiva; 
    che cio' comportava la  violazione  dei  principi  costituzionali
posti  a  presidio  dell'indipendenza  ed  autonomia  della  funzione
giurisdizionale, venendo ad essere investito il prefetto  del  potere
di decidere sulle  istanze  di  sospensione  dei  processi  esecutivi
promossi nei confronti delle vittime dell'usura, «potere che, proprio
perche' incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale,  non  puo'
che spettare in via esclusiva all'autorita' giudiziaria»; 
    che, pertanto, mediante l'ablazione della parola «favorevole», la
Corte  ha  ritenuto  che  la  norma  potesse  essere   ricondotta   a
legittimita' costituzionale,  cosi'  restituendo  alla  funzione  del
prefetto un carattere consultivo, non  vincolante,  coerente  con  la
natura giurisdizionale del  provvedimento  richiesto,  ed  il  potere
decisorio al giudice, che ne e' il naturale ed esclusivo titolare; 
    che, inoltre, il Giudice  istruttore  pone  in  rilievo  come  la
disposizione di cui all'art. 20, comma 7,  riformulata  dall'art.  2,
lettera d), della legge del 27 gennaio 2012, n.  3  (Disposizioni  in
materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi
da sovraindebitamento) -  secondo  cui  le  sospensioni  dei  termini
processuali hanno effetto a «seguito del provvedimento favorevole del
procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine  ai
delitti che hanno causato l'evento  lesivo  di  cui  all'articolo  3,
comma, 1» - attribuisca il potere di sospensione ad «un altro  organo
giurisdizionale» (nella specie al Pubblico ministero della Procura di
Padova); 
    che,  ad  avviso  del  ricorrente,  l'iniziativa   del   pubblico
ministero in ogni caso compromette l'autonomia e  l'indipendenza  del
potere giudiziario, sancite dagli artt. 101 e 104 Cost., e  determina
la violazione dell'art. 25 Cost.; 
    che, sulla base di queste argomentazioni, il  Giudice  istruttore
chiede alla Corte costituzionale di dichiarare «che non  spettava  al
Pubblico Ministero del procedimento  3782/2011  RGNR  procedere  alla
sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali
e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze  da
qualsiasi diritto, azione eccezione nel procedimento 801/2011 R.G.»; 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata a delibare, ai sensi dell'art. 37,  terzo  e  quarto  comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  l'ammissibilita'   del
ricorso, valutando, senza contraddittorio, se sussistano i  requisiti
soggettivo ed oggettivo di un conflitto di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato; 
    che, a tale fine, non rileva la  forma  dell'ordinanza  rivestita
dall'atto  introduttivo,  bensi'  la  sua  rispondenza  ai  contenuti
richiesti dall'art. 37 della legge n. 87  del  1953  e  dall'art.  24
delle  norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale (sentenza n. 315 del 2006, ordinanze n. 402 del 2006 e
n. 129 del 2005); 
    che, dunque, la Corte costituzionale e' chiamata a verificare, in
camera  di  consiglio,  l'esistenza  o  meno  della  «materia  di  un
conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»; 
    che,   sotto   il   profilo   soggettivo,    la    giurisprudenza
costituzionale  e'  costante  nel  riconoscere  ai   singoli   organi
giurisdizionali la legittimazione ad assumere la  qualita'  di  parte
nei conflitti di attribuzione,  in  quanto,  in  posizione  di  piena
indipendenza garantita dalla Costituzione,  competenti  a  dichiarare
definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la  volonta'
del potere cui  appartengono,  ma  solo  limitatamente  all'esercizio
dell'attivita' giurisdizionale assistita da  garanzia  costituzionale
(ordinanze n. 340 e n. 244 del 1999, n. 338 del  2007  e  n.  87  del
1978); 
    che, alla luce di tali principi, il ricorso e' inammissibile; 
    che il conflitto di  attribuzione  postula  l'appartenenza  degli
organi o enti in conflitto a poteri diversi, mentre la fattispecie in
esame coinvolge organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario,
trattandosi di ricorso proposto  da  un  giudice  nei  confronti  del
pubblico ministero; 
    che, inoltre, il provvedimento di sospensione dei termini, emesso
ai sensi dell'art. 20, comma 7, della  legge  n.  44  del  1999,  non
concernendo l'esercizio dell'azione penale, ne' attivita' di indagine
ad   essa   finalizzata,   non   e'   espressione   di   attribuzioni
costituzionali riconosciute al pubblico ministero, ai sensi dell'art.
112 Cost. (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998, n. 420 del  1995  e  n.
463 del 1993); 
    che il ricorso e' inammissibile anche per carenza  del  requisito
oggettivo; 
    che, nella specie, non e', infatti, configurabile alcuna  lesione
delle attribuzioni costituzionali del giudice quale  conseguenza  del
provvedimento  di  sospensione  dei  termini  emesso   dal   pubblico
ministero; 
    che,  in  concreto,  il  ricorrente  dubita  della   legittimita'
costituzionale di una disposizione di legge che attribuisce un potere
specifico al pubblico ministero, sicche' difetta,  nella  fattispecie
in esame, «la materia»  stessa  del  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato; 
    che il ricorrente avrebbe potuto far valere le censure in oggetto
attraverso  la   proposizione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale in via incidentale della disposizione  attributiva  al
pubblico ministero del potere di sospensione dei termini, di cui alla
legge n. 44 del 1999; 
    che la  giurisprudenza  costituzionale  e'  costante  nel  negare
l'ammissibilita' del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei casi in cui esista  un  «giudizio  nel  quale  tale  norma  debba
trovare applicazione e, quindi, possa essere sollevata  la  questione
incidentale sulla legge»  (ex  multis:  sentenza  n.  284  del  2006,
ordinanze n. 17 del 2013 e n. 38 del 2008); 
    che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile il ricorso per conflitto  di  attribuzione
tra poteri dello Stato indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI