N. 326 ORDINANZA 11 - 27 dicembre 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Arresti domiciliari - Divieto di
  concessione a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei
  cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede - Lamentata
  decorrenza del termine dalla sentenza di  condanna  anziche'  dalla
  data di commissione del reato di  evasione  -  Questione  priva  di
  rilevanza nel giudizio a quo - Manifesta inammissibilita'. 
- Codice di procedura penale, art. 284, comma 5-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 27 e 111. 
(GU n.1 del 2-1-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 284,  comma
5-bis,  del  codice  di  procedura  penale,  promosso   dal   Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di  Brescia  nel  procedimento
penale a carico di B.K., con ordinanza del 10 maggio  2013,  iscritta
al n. 159 del registro ordinanze 2013  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 28,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 novembre  2013  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con  ordinanza  del  10  maggio  2013,  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 27 e 111 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis, del codice di
procedura penale,  nella  parte  in  cui,  ai  fini  del  divieto  di
applicazione degli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per
il reato di evasione, «fa decorrere il termine di cinque  anni  dalla
sentenza  di  condanna  anziche'  dalla  commissione  del  reato   di
evasione»; 
    che il giudice a quo premette in fatto che l'imputato  era  stato
arrestato il 28 settembre 2012 nella quasi  flagranza  del  reato  di
rapina aggravata e che,  all'esito  dell'udienza  di  convalida,  era
stata applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare
in carcere; 
    che, successivamente, il Giudice per le indagini preliminari  del
medesimo Tribunale, il 12 novembre 2012, aveva rigettato la richiesta
di sostituzione della misura carceraria con gli arresti domiciliari e
il Tribunale di Brescia, sezione del riesame,  il  4  dicembre  2012,
aveva respinto,  a  sua  volta,  l'appello  proposto  dal  difensore,
ritenendo ostativo il disposto dell'art. 284, comma 5-bis, cod. proc.
pen., perche' il 7 ottobre 2008 nei confronti dell'imputato era stato
emesso un decreto penale di condanna, divenuto esecutivo il 16 aprile
2009, per un'evasione commessa il 29 dicembre 2007; 
    che, in seguito a giudizio abbreviato per il delitto di rapina  e
per i reati  connessi,  l'imputato,  il  7  maggio  2013,  era  stato
condannato alla pena di tre anni di reclusione e di  800,00  euro  di
multa; 
    che il difensore dell'imputato,  nel  corso  dell'udienza,  aveva
chiesto la sostituzione della custodia cautelare in  carcere  con  la
misura degli arresti domiciliari; 
    che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia,
chiamato a sciogliere la riserva relativa all'istanza  de  libertate,
ha sollevato d'ufficio, nei termini  sopra  riportati,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma  5-bis,  cod.  proc.
pen.; 
    che, con riferimento alla rilevanza della questione,  il  Giudice
rimettente     sottolinea     l'impossibilita'     di     prescindere
dall'applicazione   della   norma    in    scrutinio    cosi'    come
l'impossibilita' di seguire una interpretazione della stessa difforme
da quella confliggente con i principi costituzionali; 
    che  il  rimettente,  in  sede  di  valutazione  delle   esigenze
cautelari, richiama in modo analitico vari  aspetti,  attinenti  alle
modalita'  del  fatto,  al  periodo  di  carcerazione  gia'  sofferto
dall'imputato, all'epoca risalente dei suoi precedenti  penali,  alla
sua gravosa situazione familiare, alla garanzia di allontanamento dal
contesto delinquenziale derivante dalla sua presenza in casa  e  alla
sua condotta di resipiscenza  successiva  al  fatto,  che  potrebbero
essere  valorizzati  in  concreto  ai  fini  dell'applicazione  degli
arresti domiciliari; 
    che, tuttavia, secondo il  Giudice  rimettente  una  misura  meno
afflittiva  degli  arresti  domiciliari  non   sarebbe   adeguata   a
salvaguardare le esigenze cautelari attinenti alla  reiterazione  dei
reati, in considerazione dei precedenti penali  dell'imputato,  delle
modalita'   della   condotta    e    del    pericolo    rappresentato
dall'assunzione, sia pure episodica, di alcolici; 
    che il divieto di concessione degli  arresti  domiciliari  a  chi
abbia riportato una condanna per evasione  -  divieto  stabilito  dal
censurato comma 5-bis dell'art. 284 cod. proc. pen. - opererebbe, per
effetto dell'«inequivoco tenore del dettato normativo  ("Non  possono
essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a  chi  ...")  per
come interpretato  anche  nella  piu'  recente  giurisprudenza  della
Suprema Corte», sia al momento dell'adozione della misura  cautelare,
sia nel corso dello svolgimento della vicenda cautelare; 
    che, ai fini di tale divieto, il quinquennio si computa a partire
dalla pronuncia della sentenza di condanna e non gia' dalla  data  di
commissione del fatto; 
    che proprio sotto quest'ultimo profilo, osserva il rimettente, si
coglie la rilevanza della questione «della decorrenza del quinquennio
in cui opera il divieto di sostituzione»: nella specie,  infatti,  il
calcolo del dies a quo dalla pronuncia del decreto penale di condanna
(7   ottobre   2008)   impedirebbe   l'applicazione   degli   arresti
domiciliari, non essendo ancora  trascorsi  i  cinque  anni,  con  la
conseguenza che fino al 7 ottobre 2013, «od anche oltre,  qualora  si
computi la decorrenza del quinquennio dalla esecutivita' del  decreto
penale», il condannato non potrebbe beneficiare di tale misura; 
    che, viceversa, qualora si individuasse «il  momento  iniziale  a
partire dal quale calcolare il quinquennio dalla data di  commissione
del fatto (ossia dal 29 dicembre 2007, con cessazione del periodo  di
"divieto  domiciliare"  al  29  dicembre  2012)»,  sarebbe  possibile
applicare la misura degli arresti domiciliari; 
    che,  in   considerazione   della   durata   quinquennale   della
presunzione legislativa di inadeguatezza della misura  degli  arresti
domiciliari, solo dopo il decorso di tale termine al giudice verrebbe
concessa una «piena ed autonoma valutazione di tutti gli indici e  le
specificita' del caso concreto» ai fini della scelta delle misure; 
    che la decorrenza del termine quinquennale dalla pronuncia  della
sentenza o  dall'emissione  del  decreto  di  condanna  comporterebbe
un'estrema variabilita'  del  suo  momento  iniziale,  dipendente  da
fattori del tutto imponderabili, legati alla  durata  delle  indagini
preliminari, alle modalita' di esercizio dell'azione  penale  e  alla
durata del giudizio; 
    che  da  cio'  trae  origine  la  prima  censura,  relativa  alla
violazione  dell'art.  3  Cost.,   in   quanto   la   norma   sarebbe
discriminatoria,  perche',  a  parita'  delle  altre  condizioni,   i
cittadini sarebbero tra loro discriminati a seconda della durata  del
processo per evasione, condizionata da circostanze non  controllabili
dagli interessati; 
    che ne conseguirebbe anche una  violazione  del  principio  della
ragionevole  durata  del  processo,  di  cui  all'art.   111   Cost.,
«refluendo  in  senso   apertamente   sfavorevole   all'imputato   la
dilatazione  dei  tempi  di   definizione   del   procedimento,   che
determinerebbe a sua volta un indebito "scivolamento" del momento  di
possibile fruizione della misura detentiva domiciliare»; 
    che, infine, secondo  il  rimettente,  la  disciplina  censurata,
regolando in modo «divergente a fini cautelari situazioni oggettive e
soggettive  coincidenti»,  senza  «calibrare  la  cautela  anche   in
relazione agli sviluppi del procedimento», viola  pure  il  principio
della finalita' rieducativa della pena sancito  dall'art.  27  Cost.,
«dovendosi intendere le misure cautelari quale momento in senso ampio
"rieducativo"», sotto il  profilo  della  rimozione  delle  spinte  a
delinquere; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata; 
    che, con riferimento al primo dei parametri evocati  dal  Giudice
rimettente, l'Avvocatura sostiene che l'individuazione del  passaggio
in giudicato della sentenza di condanna per  il  reato  di  evasione,
quale momento dal quale far decorrere il  quinquennio  ostativo  alla
concessione degli arresti domiciliari,  «lungi  dal  contrastare  con
l'art. 3 della Costituzione,  risponde  pienamente  al  principio  di
uguaglianza e di ragionevolezza, costituendo la sentenza di  condanna
l'epilogo di un giudizio volto ad accertare  l'effettiva  sussistenza
del reato di evasione contestato»; 
    che sarebbe, invece, irragionevole (e contrastante con  l'art.  3
Cost.) la diversa  soluzione  indicata  dal  giudice  a  quo  di  far
decorrere tale termine dalla data di commissione del reato, potendone
conseguire «sensibili ed arbitrarie disparita' di trattamento»: da un
lato,  infatti,  potrebbe  essere  negata  la  misura  degli  arresti
domiciliari  ad  un   soggetto,   solo   «perche'   raggiunto   dalla
contestazione del  reato  di  evasione,  asseritamente  commessa  nel
quinquennio  antecedente  alla  data  di  applicazione  della  misura
cautelare, nonostante la  successiva  assoluzione»  per  tale  reato;
dall'altra, la medesima misura potrebbe essere applicata ad un  altro
soggetto  «sulla  base  del  gia'  avvenuto  decorso  dell'intervallo
temporale in questione, successivamente  condannato  irrevocabilmente
per il predetto reato»; 
    che la  norma  censurata,  in  conformita'  al  «principio  della
certezza del diritto», collega il termine in pendenza  del  quale  e'
preclusa l'applicazione degli arresti domiciliari con il  momento  in
cui    e'    divenuto    incontrovertibile    l'accertamento    della
responsabilita' del destinatario della misura cautelare per il  reato
di evasione; 
    che inconferenti  sarebbero  poi  gli  altri  parametri  evocati:
l'art. 111 Cost., perche' l'irragionevole durata del processo non  e'
conseguenza della corretta applicazione della norma censurata; l'art.
27 Cost., perche' il principio della finalita' rieducativa della pena
costituisce un fondamentale criterio di conformazione del trattamento
sanzionatorio, mentre la  norma  della  cui  legittimita'  si  dubita
attiene alla disciplina  dell'applicazione  delle  misure  cautelari,
«operante  su  un  piano  assolutamente  diverso  rispetto  a  quello
dell'esecuzione della  pena  irrogata  mediante  l'emissione  di  una
sentenza di condanna definitiva». 
    Considerato che, con ordinanza del 10  maggio  2013,  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 27 e 111 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis, del codice di
procedura penale,  nella  parte  in  cui,  ai  fini  del  divieto  di
concessione degli arresti domiciliari a chi sia stato condannato  per
il reato di evasione, «fa decorrere il termine di cinque  anni  dalla
sentenza  di  condanna  anziche'  dalla  commissione  del  reato   di
evasione»; 
    che l'art. 284, comma 5-bis, cod. proc. pen. stabilisce che  «Non
possono essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a chi  sia
stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni  precedenti
al fatto per cui si procede»; 
    che  dunque,  nel  caso  di  accoglimento  della  questione,   la
preclusione opererebbe per i fatti commessi nel periodo di  tempo  di
cinque anni  decorrente  dalla  commissione  dell'evasione,  anziche'
dalla condanna per tale reato; 
    che dall'ordinanza di rimessione risulta che l'evasione risale al
29 dicembre 2007, mentre i reati per i quali si  procede  sono  stati
commessi il 27 settembre 2012  e,  dunque,  rientrerebbero  entro  il
termine di cinque anni, anche se questo dovesse decorrere dal  giorno
dell'evasione; 
    che, secondo l'orientamento della giurisprudenza della  Corte  di
cassazione, richiamato dallo stesso  rimettente  (sentenza  9  giugno
2010, n. 35164), la preclusione di cui  all'art.  284,  comma  5-bis,
cod. proc. pen., comporta che una volta avvenuta la  commissione  del
nuovo reato nel termine quinquennale previsto dalla norma citata,  la
misura degli arresti domiciliari non puo' essere applicata  anche  se
il provvedimento cautelare deve essere  adottato  dopo  la  fine  del
quinquennio; 
    che, quindi, l'eventuale accoglimento della  questione  sollevata
dal  rimettente  non  avrebbe  alcun  rilievo  nel  giudizio  a   quo
(ordinanza n. 315 del 2012), dato che  l'applicazione  degli  arresti
domiciliari resterebbe preclusa anche se il dies a quo fosse riferito
alla commissione del reato  di  evasione  invece  che  alla  relativa
condanna; 
    che la questione di legittimita' costituzionale,  pertanto,  deve
essere dichiarata manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 284, comma 5-bis, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3,  27  e  111
della  Costituzione,  dal  Giudice   dell'udienza   preliminare   del
Tribunale di Brescia, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2013. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2013. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA