N. 1 SENTENZA 4 dicembre 2013- 13 gennaio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
- D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del  testo  unico  delle
  leggi recanti norme per la elezione  della  Camera  dei  deputati),
  artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5, e comma 2, nel  testo  in
  vigore con le modificazioni apportate dalla legge 21 dicembre 2005,
  n. 270 (Modifiche  alle  norme  per  l'elezione  della  Camera  dei
  deputati e del Senato della  Repubblica);  decreto  legislativo  20
  dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi  recanti  norme  per
  l'elezione del Senato della Repubblica), artt. 14, comma 1,  e  17,
  commi 2 e 4, nel testo in vigore  con  le  modificazioni  apportate
  dalla legge n. 270 del 2005. 
(GU n.3 del 15-1-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n.  361
(Approvazione del testo  unico  delle  leggi  recanti  norme  per  la
elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge
21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per  l'elezione  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli  artt.  14,
comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993,
n. 533 (Testo unico delle leggi  recanti  norme  per  l'elezione  del
Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del
2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente
tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed
altro con ordinanza del  17  maggio  2013  iscritta  al  n.  144  del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di costituzione di Aldo Bozzi ed altri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  dicembre  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi gli avvocati  Claudio  Tani,  Aldo  Bozzi  e  Felice  Carlo
Besostri per Aldo Bozzi ed altri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 maggio 2013, la Corte di  cassazione  ha
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  4,
comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957,
n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati),  nel  testo  in  vigore  con  le
modificazioni  apportate  dalla  legge  21  dicembre  2005,  n.   270
(Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e  del
Senato della Repubblica), nonche' degli artt.  14,  comma  1,  e  17,
commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533  (Testo
unico delle leggi recanti  norme  per  l'elezione  del  Senato  della
Repubblica), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla
legge n. 270 del 2005, in  riferimento  agli  artt.  3,  48,  secondo
comma, 49, 56, primo comma, 58, primo  comma,  e  117,  primo  comma,
della Costituzione, anche alla luce dell'art. 3, protocollo 1,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di  seguito,
CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma  il  4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla  Convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952). 
    1.1.- Il rimettente premette di essere  chiamato  a  pronunciarsi
sul  ricorso  promosso  nei  confronti  della  sentenza  della  Corte
d'appello di Milano, resa il 24 aprile 2012,  con  cui  quest'ultima,
confermando la sentenza di primo grado, aveva  rigettato  la  domanda
con la quale un cittadino elettore aveva chiesto che fosse  accertato
che il suo diritto di  voto  non  aveva  potuto  e  non  puo'  essere
esercitato in coerenza con i principi costituzionali. 
    In particolare, la Corte di cassazione precisa  che  il  suddetto
cittadino elettore aveva convenuto in giudizio, dinanzi al  Tribunale
di Milano, la Presidenza del Consiglio dei ministri  e  il  Ministero
dell'interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei deputati
e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all'entrata
in vigore della legge n. 270 del 2005 e, specificamente, in occasione
delle elezioni del 2006 e del 2008, egli aveva potuto  esercitare  il
diritto di voto secondo modalita' configurate dalla predetta legge in
senso contrario ai principi costituzionali  del  voto  «personale  ed
eguale, libero e segreto» (art.  48,  secondo  comma,  Cost.)  ed  «a
suffragio universale e diretto» (artt. 56, primo comma  e  58,  primo
comma, Cost.). Pertanto, chiedeva fosse dichiarato che il suo diritto
di voto non aveva potuto e non puo' essere esercitato in modo  libero
e  diretto,  secondo  le  modalita'  previste   e   garantite   dalla
Costituzione e dal protocollo 1 della  CEDU,  e  quindi  chiedeva  di
ripristinarlo   secondo    modalita'    conformi    alla    legalita'
costituzionale. A tal fine eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale
di svariate disposizioni delle leggi elettorali della  Camera  e  del
Senato.  Il  Tribunale  di  Milano,  dinanzi  al   quale   svolgevano
interventi ad adiuvandum venticinque cittadini elettori, con sentenza
del  18  aprile  2011,  rigettava   le   eccezioni   preliminari   di
inammissibilita'  per  difetto  di  giurisdizione   e   insussistenza
dell'interesse  ad  agire  e,  nel  merito,  respingeva  le  domande,
giudicando  manifestamente  infondate  le   proposte   eccezioni   di
illegittimita' costituzionale. Avverso tale decisione veniva proposto
appello  che  veniva,  tuttavia,   anche   quanto   alla   fondatezza
dell'eccezione di illegittimita' costituzionale, respinto nel merito. 
    1.2.- In  linea  preliminare,  la  Corte  di  cassazione  rileva,
anzitutto, che sulla questione della  sussistenza  dell'interesse  ad
agire dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 100 del codice di  procedura
civile, in specie sull'interesse dei predetti a proporre un'azione di
accertamento della  pienezza  del  proprio  diritto  di  voto,  quale
diritto politico di  rilevanza  primaria,  di  cui  sarebbe  precluso
l'esercizio in modo conforme alla Costituzione dalla legge n. 270 del
2005, si e' formato il giudicato, considerato che i giudici di merito
avevano  respinto  le  relative   eccezioni   delle   amministrazioni
convenute in giudizio e che queste ultime non hanno proposto  ricorso
incidentale. 
    1.3.- Il rimettente afferma, inoltre, che anche  sulla  questione
della giurisdizione si e' formato il  giudicato,  non  essendo  stata
piu' riproposta. Un'azione di accertamento  di  un  diritto,  d'altra
parte, non avrebbe potuto che  essere  promossa  dinanzi  al  giudice
ordinario,   giudice   naturale   dei   diritti   fondamentali,   non
interferendo in nessun  modo  con  la  giurisdizione  riservata  alle
Camere, tramite le rispettive Giunte parlamentari (art. 66 Cost.), in
tema di operazioni elettorali. 
    1.4.- Quanto, poi, alla rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale  proposte,  la  Corte  di  cassazione  ne  ravvisa  la
sussistenza sulla base della considerazione che l'accertamento  della
pienezza del diritto di voto non puo' avvenire se non  all'esito  del
controllo di costituzionalita' delle norme di cui alla legge  n.  270
del 2005, da cui si ritiene derivi la lesione del predetto diritto. 
    1.5. - Ancora preliminarmente, il rimettente rileva, infine, che,
nella specie, sussiste il necessario nesso di pregiudizialita'  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  proposte   rispetto   al
giudizio principale, posto che quest'ultimo deve essere definito  con
una sentenza che  accerti  la  portata  del  diritto  azionato  e  lo
ripristini nella pienezza della  sua  espansione,  anche  se  per  il
tramite della sentenza della Corte  costituzionale.  Il  petitum  del
giudizio principale sarebbe, pertanto, separato e distinto rispetto a
quello oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale. Peraltro,
nei casi di leggi che, nel momento stesso in cui entrano  in  vigore,
creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a
determinati soggetti, i quali, pertanto, si trovano per  cio'  stesso
gia' pregiudicati da  esse,  come  nel  caso  in  esame  delle  leggi
elettorali, l'azione di accertamento rappresenterebbe l'unica  strada
percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di
cui, altrimenti, non sarebbe possibile una tutela efficace e diretta. 
    1.6.- Nel merito, la Corte di cassazione, in contrasto con quanto
ritenuto dai  giudici  di  merito,  premette  che  l'assenza  di  una
espressa base giuridica della materia elettorale  nella  Costituzione
non autorizza a ritenere che la relativa disciplina non debba  essere
coerente con i conferenti principi sanciti dalla Costituzione  ed  in
specie con il principio  di  eguaglianza  inteso  come  principio  di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost., e con il  vincolo  del  voto
personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56  e  58  Cost.),  in
linea, peraltro, con una consolidata tradizione costituzionale comune
a molti Stati. 
    Ne' varrebbe ad escludere la possibilita' di sollevare  questioni
di legittimita' costituzionale  delle  leggi  elettorali  l'obiezione
che,  rientrando  queste   ultime   nella   categoria   delle   leggi
costituzionalmente necessarie, non ne sarebbe possibile  l'espunzione
dall'ordinamento nemmeno in caso  di  illegittimita'  costituzionale,
poiche', in tal  modo,  si  finirebbe  col  tollerare  la  permanente
vigenza di norme incostituzionali, di  rilevanza  essenziale  per  la
vita democratica di un Paese. D'altra parte, la Corte  di  cassazione
sottolinea che le questioni di legittimita'  costituzionale  proposte
non mirano  «a  far  caducare  l'intera  legge  n.  270/2005,  ne'  a
sostituirla    con    un'altra    eterogenea,    impingendo     nella
discrezionalita' del legislatore»,  ma  solo  a  «ripristinare  nella
legge  elettorale  contenuti  costituzionalmente   obbligati,   senza
compromettere  la  permanente  idoneita'  del  sistema  elettorale  a
garantire il rinnovo degli organi costituzionali». A tal proposito la
Corte  di  cassazione  sottolinea  che  «tale  conclusione   non   e'
contraddetta  ne'  ostacolata  dalla  eventualita'   che   si   renda
necessaria un'opera di mera cosmesi normativa  e  di  ripulitura  del
testo per la presenza di frammenti normativi residui, che puo' essere
realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi  dei  suoi  poteri
(in specie di quelli di cui all'art. 27, ultima parte, della legge n.
87 del 1953) o dal legislatore in attuazione dei  principi  enunciati
dalla stessa Corte». 
    1.7.- Tanto premesso, il rimettente censura anzitutto l'art.  83,
comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte  in
cui prevede  che  l'Ufficio  elettorale  nazionale  verifica  «se  la
coalizione di liste o la singola lista che  ha  ottenuto  il  maggior
numero di voti validi espressi abbia  conseguito  almeno  340  seggi»
(comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso  negativo,  ad  essa  viene
attribuito  il  numero  di  seggi  necessario  per  raggiungere  tale
consistenza. 
    Tali disposizioni, non subordinando l'attribuzione del premio  di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi,
trasformando una maggioranza relativa di voti  (potenzialmente  anche
molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero
irragionevolmente   una   oggettiva   e   grave   alterazione   della
rappresentanza democratica. 
    Esse,   inoltre,   delineerebbero    un    meccanismo    premiale
manifestamente irragionevole, il quale, da un lato,  incentivando  il
raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio,
si  porrebbe  in  contraddizione  con  l'esigenza  di  assicurare  la
governabilita', stante la possibilita' che, anche immediatamente dopo
le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o uno o
piu'  partiti  che  ne  facevano   parte   ne   escano;   dall'altro,
provocherebbe una alterazione degli equilibri  istituzionali,  tenuto
conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe in grado  di
eleggere gli organi di garanzia che, tra l'altro, restano  in  carica
per un tempo piu' lungo della legislatura. 
    La previsione dell'attribuzione del premio di maggioranza  recata
dalle predette disposizioni comprometterebbe  poi  l'eguaglianza  del
voto e cioe' la «parita' di condizione dei cittadini nel  momento  in
cui il voto viene espresso»,  in  violazione  dell'art.  48,  secondo
comma,  Cost.,  tenuto  conto  che  la  distorsione  provocata  dalla
predetta attribuzione del  premio  costituirebbe  non  gia'  un  mero
inconveniente di fatto, ma il risultato di un meccanismo  irrazionale
poiche' normativamente programmato per tale esito. 
    1.8.- Analoghe censure sono, poi, rivolte all'art. 17, commi 2  e
4, del d.lgs. n. 533  del  1993,  nella  parte  in  cui  prevede  che
l'Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste  o
la singola lista che ha ottenuto il maggior  numero  di  voti  validi
espressi nell'ambito della circoscrizione abbia conseguito almeno  il
55 per cento dei seggi assegnati  alla  regione,  con  arrotondamento
all'unita' superiore» (comma 2) e che, in caso  negativo,  «l'ufficio
elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla  singola
lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi
ulteriore necessario per  raggiungere  il  55  per  cento  dei  seggi
assegnati alla  regione,  con  arrotondamento  all'unita'  superiore»
(comma 4). 
    Anche le predette disposizioni, infatti, nella parte in  cui  non
subordinano  l'attribuzione  del  premio  di  maggioranza  su   scala
regionale al raggiungimento di una soglia minima di  voti,  sarebbero
tali  da  determinare  una  oggettiva  e  grave   alterazione   della
rappresentanza democratica. 
    Esse,  inoltre,  recherebbero   un   meccanismo   intrinsecamente
irrazionale, che di fatto  finirebbe  con  contraddire  lo  scopo  di
assicurare la governabilita', in quanto, essendo  il  premio  diverso
per ogni Regione, il risultato sarebbe  una  sommatoria  casuale  dei
premi regionali, che  potrebbero  finire  per  elidersi  tra  loro  e
addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni
di liste su base nazionale, favorendo la  formazione  di  maggioranze
parlamentari non coincidenti, pur in presenza  di  una  distribuzione
del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami  del  Parlamento,  e
compromettendo  sia  il  funzionamento   della   forma   di   governo
parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle  due
Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l'esercizio della  funzione
legislativa, che l'art.  70  Cost.  attribuisce  alla  Camera  ed  al
Senato. 
    Un'ulteriore censura e', infine, prospettata con riferimento agli
artt. 3 e 48, secondo comma, Cost., in quanto,  posto  che  l'entita'
del premio, in favore della lista o coalizione che ha  ottenuto  piu'
voti, varia da Regione a Regione ed e' maggiore  nelle  Regioni  piu'
grandi e popolose, il peso del voto (che  dovrebbe  essere  uguale  e
contare allo stesso modo ai fini della traduzione in  seggi)  sarebbe
diverso  a  seconda  della  collocazione  geografica  dei   cittadini
elettori. 
    1.9.-Vengono, infine, censurati l'art. 4, comma 2, del d.P.R.  n.
361 del 1957 e, in  via  consequenziale,  l'art.  59,  comma  1,  del
medesimo d.P.R., nonche' l'art. 14, comma 1, del d.lgs.  n.  533  del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l'art. 4, comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un  voto
per la scelta della lista ai  fini  dell'attribuzione  dei  seggi  in
ragione proporzionale, da esprimere su  un'unica  scheda  recante  il
contrassegno di ciascuna lista»; l'art. 59  del  medesimo  d.P.R.  n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta  un
voto di lista»; nonche' l'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  533  del
1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda
un  solo  segno,  comunque  apposto,  sul  rettangolo  contenente  il
contrassegno della lista prescelta». 
    Tali disposizioni violerebbero gli artt. 56, primo comma,  e  58,
primo comma, Cost., che stabiliscono che il  suffragio  e'  «diretto»
per l'elezione dei deputati e dei senatori; l'art. 48, secondo comma,
Cost. che stabilisce che il voto e' personale e libero;  l'art.  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 3  del  protocollo  1  della
CEDU, che riconosce al popolo  il  diritto  alla  «scelta  del  corpo
legislativo»; e  l'art.  49  Cost.  Esse,  infatti,  non  consentendo
all'elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una
lista di partito, cui  e'  rimessa  la  designazione  dei  candidati,
renderebbero il voto sostanzialmente "indiretto", posto che i partiti
non possono sostituirsi al corpo elettorale e  che  l'art.  67  Cost.
presuppone l'esistenza di un  mandato  conferito  direttamente  dagli
elettori. Inoltre, sottraendo all'elettore la facolta'  di  scegliere
l'eletto,  farebbero  si'  che  il  voto  non  sia  ne'  libero,  ne'
personale. 
    2.-  Nel  giudizio  innanzi  alla  Corte  si  sono  costituiti  i
ricorrenti  nel  giudizio   principale,   i   quali,   nell'atto   di
costituzione e nella memoria depositata  nell'imminenza  dell'udienza
pubblica,  hanno  chiesto   che   sia   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale delle norme censurate con l'ordinanza  di  rimessione;
nonche'  che  sia  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale,  per
relationem, anche dell'art. 83, commi 1, n. 3 e 6, del d.P.R. n.  361
del 1957 e dell'art. 16, comma 1, lettera b), n. 1 e n. 2, del d.lgs.
n. 533 del 1993. 
    In particolare, con riguardo alle norme  inerenti  al  premio  di
maggioranza, i ricorrenti ne sostengono l'irrazionalita', sulla  scia
di  quanto  gia'  evidenziato  dalla  dottrina  ed  affermato   dalla
giurisprudenza costituzionale, in sede di sindacato di ammissibilita'
del referendum abrogativo (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008  e  n.  13
del 2012), proprio  in  relazione  al  fatto  che  le  vigenti  leggi
elettorali attribuiscono un enorme premio di maggioranza  alla  lista
che ha ottenuto anche  un  solo  voto  in  piu'  delle  altre,  senza
prevedere il raggiungimento di una soglia minima di voti. 
    Quanto  al  voto  di  preferenza,  i  ricorrenti  lamentano   che
l'esercizio di tale diritto sia stato illegittimamente soppresso  dal
legislatore del 2005, in contrasto con la Costituzione, che, all'art.
48, secondo comma, stabilisce che il voto e'  «personale  ed  eguale,
libero e segreto» ed agli artt. 56, primo comma, e 58,  primo  comma,
prevede che il voto deve avvenire «a suffragio universale e diretto»,
assicurando in tal modo che il voto sia espresso  dalla  persona  che
vota (elettorato attivo) e ricevuto direttamente dalla persona che si
e' candidata (elettorato passivo).  Attribuendo  rilevanza  esclusiva
all'ordine di inserimento dei candidati nella  medesima  lista,  gia'
deciso  dagli  organi  di  partito,   ed   eliminando   ogni   potere
dell'elettore   di   incidere   direttamente    sulla    composizione
dell'Assemblea, la  legge  avrebbe  trasformato  le  elezioni  in  un
procedimento di mera  ratifica  dell'ordine  di  lista  deciso  dagli
organi di partito, conferendo a costoro l'esclusivo potere  non  piu'
di designazione di una serie di nomi da sottoporre singolarmente alla
scelta diretta degli elettori, ma di nomina. 
    3.- All'udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio  hanno
insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese
scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La   Corte   di   cassazione   dubita   della   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni del d.P.R. 30  marzo  1957,  n.
361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti  norme  per  la
elezione della Camera dei deputati)  e  del  decreto  legislativo  20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico  delle  leggi  recanti  norme  per
l'elezione del Senato della Repubblica), nel testo  risultante  dalle
modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n.  270  (Modifiche
alle norme per l'elezione della Camera  dei  deputati  e  del  Senato
della  Repubblica),   relative   all'attribuzione   del   premio   di
maggioranza su scala nazionale alla Camera e su  scala  regionale  al
Senato,  nonche'  di  quelle  disposizioni  che,   disciplinando   le
modalita' di espressione del voto come voto di lista, non  consentono
all'elettore di esprimere alcuna preferenza. 
    1.1.- In particolare, la Corte di cassazione censura,  anzitutto,
l'art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui dispone  che
l'Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste  o
la singola lista che ha ottenuto il maggior  numero  di  voti  validi
espressi abbia conseguito  almeno  340  seggi»  (comma  1,  n.  5)  e
stabilisce che,  in  caso  negativo,  «ad  essa  viene  ulteriormente
attribuito  il  numero  di  seggi  necessario  per  raggiungere  tale
consistenza» (comma 2). 
    Tali disposizioni violerebbero  l'art.  3  Cost.,  congiuntamente
agli artt. 1, secondo comma, e 67 Cost., in quanto, non  subordinando
l'attribuzione del premio di maggioranza  al  raggiungimento  di  una
soglia  minima  di  voti  e,  quindi,  trasformando  una  maggioranza
relativa  di  voti,  potenzialmente  anche  molto  modesta,  in   una
maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una
oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica. 
    Esse, inoltre, avrebbero stabilito un meccanismo di  attribuzione
del premio  manifestamente  irragionevole,  il  quale,  da  un  lato,
sarebbe in contrasto con l'esigenza di assicurare la  governabilita',
in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra le liste al
solo fine di accedere al premio, senza scongiurare  il  rischio  che,
anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del
premio possa sciogliersi, o uno o piu' partiti che ne facevano  parte
escano dalla stessa. Dall'altro, provocherebbe  un'alterazione  degli
equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria
del premio sarebbe in grado di eleggere gli organi  di  garanzia  che
restano in carica per un tempo piu' lungo della legislatura. 
    Tale  modalita'  di  attribuzione  del  premio   di   maggioranza
stabilita  dalle  predette  disposizioni  comprometterebbe,  inoltre,
l'eguaglianza del voto e cioe' la parita' di condizione dei cittadini
nel momento in cui il voto viene espresso,  in  violazione  dell'art.
48,  secondo  comma,  Cost.  La  distorsione  che  ne   risulta   non
costituirebbe, infatti, un mero inconveniente di fatto, ma sarebbe il
risultato di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per
determinare tale esito. 
    1.2.- Analoghe censure sono rivolte all'art. 17 del d.lgs. n. 533
del 1993 (concernente la disciplina dell'elezione  del  Senato  della
Repubblica), nella parte in cui stabilisce che  l'Ufficio  elettorale
regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista  che
ha ottenuto il maggior numero di  voti  validi  espressi  nell'ambito
della circoscrizione abbia conseguito almeno  il  55  per  cento  dei
seggi  assegnati  alla   regione,   con   arrotondamento   all'unita'
superiore» (comma 2) e che, in caso negativo,  «l'ufficio  elettorale
regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola  lista  che
abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore
necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi  assegnati  alla
regione, con arrotondamento all'unita' superiore» (comma 4). 
    Anche tali disposizioni,  nella  parte  in  cui  non  subordinano
l'attribuzione del  premio  di  maggioranza  su  scala  regionale  al
raggiungimento  di  una  soglia  minima  di  voti,  determinerebbero,
irragionevolmente,  una   oggettiva   e   grave   alterazione   della
rappresentanza democratica. Inoltre, avrebbero creato  un  meccanismo
intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di  assicurare
la governabilita'. Infatti, essendo detto  premio  diverso  per  ogni
Regione, il risultato sarebbe una somma casuale dei premi  regionali,
che potrebbero finire per  rovesciare  il  risultato  ottenuto  dalle
liste  o  coalizioni  di  liste  su  base  nazionale,  favorendo   la
formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei  due  rami
del Parlamento,  pur  in  presenza  di  una  distribuzione  del  voto
sostanzialmente omogenea, cosi' da compromettere sia il funzionamento
della forma di governo parlamentare,  nella  quale  il  Governo  deve
avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.),  sia
l'esercizio  della  funzione  legislativa,  che   l'art.   70   Cost.
attribuisce alla Camera ed al Senato. 
    Le predette disposizioni violerebbero anche gli  artt.  3  e  48,
secondo comma, Cost., in quanto, posto che l'entita' del  premio,  in
favore della lista o coalizione che ha ottenuto piu' voti,  varia  da
Regione a Regione ed e' maggiore in quelle piu' grandi e popolose, il
peso del voto - che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo
ai fini della traduzione in seggi - sarebbe diverso a  seconda  della
collocazione geografica dei cittadini elettori. 
    1.3.- La Corte di cassazione censura, infine, l'art. 4, comma  2,
del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale,  l'art.  59  del
medesimo d.P.R., nonche' l'art. 14, comma 1, del d.lgs.  n.  533  del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l'art. 4, comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un  voto
per la scelta della lista ai  fini  dell'attribuzione  dei  seggi  in
ragione proporzionale, da esprimere su  un'unica  scheda  recante  il
contrassegno di ciascuna lista»; l'art. 59  del  medesimo  d.P.R.  n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta  un
voto di lista»; nonche' l'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  533  del
1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda
un  solo  segno,  comunque  apposto,  sul  rettangolo  contenente  il
contrassegno della lista prescelta». 
    Tali disposizioni, ad avviso  del  rimettente,  violerebbero  gli
artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., i quali stabiliscono
che il suffragio  e'  diretto  per  l'elezione  dei  deputati  e  dei
senatori; l'art. 48, secondo comma, Cost., in  virtu'  del  quale  il
voto e' personale e  libero;  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 3 del  protocollo  1,  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito,  CEDU),  ratificata  e
resa esecutiva con la legge  4  agosto  1955,  n.  848  (Ratifica  ed
esecuzione  della  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato  a
Parigi il 20 marzo 1952), che riconosce al  popolo  il  diritto  alla
«scelta del corpo legislativo»; e l'art. 49 Cost.  Dette  norme,  non
consentendo  all'elettore  di  esprimere  alcuna  preferenza  per   i
candidati, ma solo di scegliere una lista di partito, cui e'  rimessa
la designazione di tutti i candidati, renderebbero, infatti, il  voto
sostanzialmente "indiretto",  posto  che  i  partiti  non  potrebbero
sostituirsi al corpo elettorale e che l'art. 67 Cost.  presupporrebbe
l'esistenza di un  mandato  conferito  direttamente  dagli  elettori.
Inoltre, sottraendo all'elettore la facolta' di  scegliere  l'eletto,
farebbero si' che il voto non sia libero, ne' personale. 
    2.- In ordine all'ammissibilita' delle questioni di  legittimita'
costituzionale  in  esame,  va  premesso  che,  secondo  la  costante
giurisprudenza di questa Corte, siffatto controllo ai sensi dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, (Norme sulla costituzione e  sul
funzionamento    della    Corte    costituzionale)    «va    limitato
all'adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai
quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente  ed  effettivamente
instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum,  separato
e distinto dalla questione di legittimita' costituzionale, sul  quale
il giudice  remittente  sia  chiamato  a  decidere»  (tra  le  molte,
sentenza n. 263 del 1994). Il riscontro dell'interesse ad agire e  la
verifica   della   legittimazione   delle   parti,   nonche'    della
giurisdizione del  giudice  rimettente,  ai  fini  dell'apprezzamento
della rilevanza dell'incidente di legittimita' costituzionale,  sono,
inoltre, rimessi alla valutazione  del  giudice  a  quo  e  non  sono
suscettibili di riesame da parte di questa Corte, qualora sorretti da
una motivazione non implausibile (fra le piu' recenti, sentenze n. 91
del 2013, n. 280 del 2012, n. 279 del 2012, n. 61 del  2012,  n.  270
del 2010). 
    Nella specie, la Corte  di  cassazione,  con  motivazione  ampia,
articolata ed approfondita, ha plausibilmente argomentato  in  ordine
sia   alla   pregiudizialita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia
alla rilevanza delle medesime. 
    Essa ha affermato che nel giudizio principale e'  stata  proposta
un'azione di accertamento avente  ad  oggetto  il  diritto  di  voto,
finalizzata - come tutte le azioni di tale natura,  la  cui  generale
ammissibilita' e' desunta dal principio dell'interesse ad agire -  ad
accertare la portata del diritto, ritenuta  incerta.  L'esistenza  di
detto interesse e della giurisdizione - ha sottolineato l'ordinanza -
costituisce,  peraltro,  oggetto  di   un   giudicato   interno.   La
sussistenza dell'uno e dell'altra e' stata, infatti, contestata dalle
Amministrazioni nella fase di merito,  con  eccezione  rigettata  dal
Tribunale e dalla Corte d'appello di Milano, e non e' stata reiterata
dinanzi alla Corte di cassazione mediante la proposizione di  ricorso
incidentale, con la conseguenza che  deve  ritenersi  definitivamente
precluso il riesame di tale profilo. 
    Il  rimettente,  con  argomentazioni  plausibili,   ha   altresi'
sottolineato, in ordine alla natura ed oggetto dell'azione,  che  gli
attori hanno agito allo scopo «di rimuovere un  pregiudizio»,  frutto
di «una (gia' avvenuta) modificazione  della  realta'  giuridica  che
postula di essere rimossa mediante un'attivita' ulteriore,  giuridica
e  materiale,  che  consenta  ai  cittadini  elettori  di  esercitare
realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori
costituzionali». A suo avviso, gli attori hanno, quindi,  chiesto  al
giudice ordinario - in qualita' di giudice dei diritti - di accertare
la portata del proprio diritto di voto, resa incerta da una normativa
elettorale   in   ipotesi   incostituzionale,   previa    l'eventuale
proposizione  della   relativa   questione.   Pertanto,   l'eventuale
accoglimento  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  non
esaurirebbe la tutela  richiesta  nel  giudizio  principale,  che  si
realizzerebbe solo a seguito ed in  virtu'  della  pronuncia  con  la
quale  il  giudice  ordinario  accerta  il  contenuto   del   diritto
dell'attore, all'esito della sentenza di questa Corte. 
    Al riguardo, in  ordine  ai  presupposti  della  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, va ricordato  che,  secondo
un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime  pronunce,
«la circostanza che la dedotta  incostituzionalita'  di  una  o  piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di  ricorso  innanzi  al
giudice a quo non impedisce di considerare sussistente  il  requisito
della  rilevanza,  ogni  qualvolta  sia  individuabile  nel  giudizio
principale un petitum separato e distinto dalla  questione  (o  dalle
questioni) di  legittimita'  costituzionale,  sul  quale  il  giudice
rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (sentenza n. 4 del  2000;  ma
analoga affermazione era gia' contenuta  nella  sentenza  n.  59  del
1957), anche  allo  scopo  di  scongiurare  «la  esclusione  di  ogni
garanzia e di ogni  controllo»  su  taluni  atti  legislativi  (nella
specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957). 
    Nel caso in esame, tale condizione  e'  soddisfatta,  perche'  il
petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia
di accertamento del diritto azionato, in ipotesi  condizionata  dalla
decisione delle sollevate questioni di  legittimita'  costituzionale,
non risultando l'accertamento richiesto al giudice comune  totalmente
assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto  residuerebbe  la
verifica  delle  altre  condizioni  cui  la  legge  fa  dipendere  il
riconoscimento del diritto di voto. Per di  piu',  nella  fattispecie
qui in esame, la questione ha  ad  oggetto  un  diritto  fondamentale
tutelato  dalla  Costituzione,  il  diritto  di  voto,  che  ha  come
connotato essenziale  il  collegamento  ad  un  interesse  del  corpo
sociale nel suo insieme, ed e' proposta allo scopo di porre  fine  ad
una situazione di incertezza sulla  effettiva  portata  del  predetto
diritto determinata proprio da  «una  (gia'  avvenuta)  modificazione
della realta' giuridica», in ipotesi frutto delle norme censurate. 
    L'ammissibilita' delle questioni di  legittimita'  costituzionale
sollevate nel corso di tale giudizio  si  desume  precisamente  dalla
peculiarita' e dal rilievo costituzionale, da un  lato,  del  diritto
oggetto di accertamento; dall'altro, della legge che, per il sospetto
di illegittimita' costituzionale, ne rende incerta la portata.  Detta
ammissibilita'  costituisce  anche   l'ineludibile   corollario   del
principio che impone di assicurare la tutela del diritto  inviolabile
di voto, pregiudicato - secondo l'ordinanza del giudice rimettente  -
da una normativa elettorale non conforme ai principi  costituzionali,
indipendentemente da atti applicativi della stessa,  in  quanto  gia'
l'incertezza  sulla  portata  del  diritto  costituisce  una  lesione
giuridicamente rilevante. L'esigenza di  garantire  il  principio  di
costituzionalita' rende quindi imprescindibile affermare il sindacato
di questa Corte - che «deve coprire nella misura piu' ampia possibile
l'ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del  1996)  -  anche  sulle
leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del  Senato,
«che piu' difficilmente verrebbero per altra via ad essa  sottoposte»
(sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976). 
    Nel  quadro  di  tali  principi,  le   sollevate   questioni   di
legittimita' costituzionale sono  ammissibili,  anche  in  linea  con
l'esigenza che non siano sottratte al sindacato di  costituzionalita'
le leggi, quali quelle concernenti le elezioni  della  Camera  e  del
Senato, che  definiscono  le  regole  della  composizione  di  organi
costituzionali  essenziali  per  il  funzionamento  di   un   sistema
democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da
quel sindacato. Diversamente, si finirebbe con  il  creare  una  zona
franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in  un  ambito
strettamente connesso con l'assetto democratico, in quanto incide sul
diritto fondamentale di voto; per cio' stesso, si  determinerebbe  un
vulnus     intollerabile     per     l'ordinamento     costituzionale
complessivamente considerato. 
    3.- Nel merito, la prima delle questioni  in  esame  riguarda  il
premio di maggioranza assegnato per  la  elezione  della  Camera  dei
deputati. L'art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957 prevede che  l'Ufficio
elettorale nazionale verifichi  «se  la  coalizione  di  liste  o  la
singola lista che ha  ottenuto  il  maggior  numero  di  voti  validi
espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1,  n.  5),  sulla
base  dall'attribuzione  di  seggi  in   ragione   proporzionale;   e
stabilisce, in caso negativo, che ad essa venga attribuito il  numero
di seggi necessario per raggiungere quella consistenza (comma 2). 
    Secondo  la  Corte  di   cassazione,   tali   disposizioni,   non
subordinando   l'attribuzione   del   premio   di   maggioranza    al
raggiungimento di una soglia minima di voti e,  quindi,  trasformando
una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta,
in  una  maggioranza  assoluta  di  seggi,  avrebbero  stabilito,  in
violazione dell'art. 3  Cost.,  un  meccanismo  di  attribuzione  del
premio  manifestamente  irragionevole,  tale   da   determinare   una
oggettiva  e  grave  alterazione  della  rappresentanza  democratica,
lesiva della stessa eguaglianza del voto, peraltro neppure idonea  ad
assicurare la stabilita' di governo. 
    3.1.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha da tempo ricordato che  l'Assemblea  Costituente,
«pur manifestando, con l'approvazione di un  ordine  del  giorno,  il
favore per il sistema proporzionale nell'elezione  dei  membri  della
Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia  sul  piano
normativo,  costituzionalizzando  una  scelta  proporzionalistica   o
disponendo  formalmente  in  ordine   ai   sistemi   elettorali,   la
configurazione  dei  quali  resta  affidata  alla  legge   ordinaria»
(sentenza n.  429  del  1995).  Pertanto,  la  «determinazione  delle
formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel  quale  si
esprime con un  massimo  di  evidenza  la  politicita'  della  scelta
legislativa» (sentenza n. 242 del 2012; ordinanza n.  260  del  2002;
sentenza n. 107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza
del voto - ha inoltre rilevato questa Corte - esige  che  l'esercizio
dell'elettorato attivo avvenga in condizione di  parita',  in  quanto
«ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari  efficacia  alla
formazione degli organi elettivi» (sentenza n. 43 del 1961), ma  «non
si estende  [...]  al  risultato  concreto  della  manifestazione  di
volonta' dell'elettore [...] che  dipende  [...]  esclusivamente  dal
sistema che il legislatore  ordinario,  non  avendo  la  Costituzione
disposto al  riguardo,  ha  adottato  per  le  elezioni  politiche  e
amministrative,  in  relazione  alle   mutevoli   esigenze   che   si
ricollegano alle consultazioni popolari» (sentenza n. 43 del 1961). 
    Non c'e', in altri termini,  un  modello  di  sistema  elettorale
imposto dalla Carta costituzionale,  in  quanto  quest'ultima  lascia
alla discrezionalita' del  legislatore  la  scelta  del  sistema  che
ritenga piu'  idoneo  ed  efficace  in  considerazione  del  contesto
storico. 
    Il sistema  elettorale,  tuttavia,  pur  costituendo  espressione
dell'ampia discrezionalita' legislativa, non e' esente da  controllo,
essendo sempre censurabile in sede di giudizio  di  costituzionalita'
quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2012
e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002). 
    Nella  specie,  proprio  con  riguardo  alle  norme  della  legge
elettorale della Camera qui in esame, relative  all'attribuzione  del
premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima
di voti o di seggi, questa Corte,  pur  negando  la  possibilita'  di
sindacare in  sede  di  giudizio  di  ammissibilita'  del  referendum
abrogativo profili di illegittimita' costituzionale,  in  particolare
attinenti alla ragionevolezza delle predette norme, ha gia' segnalato
l'esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni  profili
di un simile  meccanismo.  Alcuni  aspetti  problematici  sono  stati
ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale e' foriero  di
una  eccessiva  sovra-rappresentazione  della  lista  di  maggioranza
relativa, in quanto consente ad  una  lista  che  abbia  ottenuto  un
numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza
assoluta dei seggi. In tal modo si puo' verificare  in  concreto  una
distorsione fra voti espressi  ed  attribuzione  di  seggi  che,  pur
essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume
una misura tale da comprometterne la compatibilita' con il  principio
di  eguaglianza  del  voto  (sentenze  n.  15  e  n.  16  del  2008).
Successivamente, questa Corte, stante l'inerzia del  legislatore,  ha
rinnovato l'invito al Parlamento a considerare con attenzione i punti
problematici della disciplina, cosi' come risultante dalle  modifiche
introdotte  con  la  legge  n.  270  del  2005,  ed   ha   nuovamente
sottolineato i profili di irrazionalita' segnalati  nelle  precedenti
occasioni sopra ricordate, insiti  nell'«attribuzione  dei  premi  di
maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di  voti  e/o
di seggi» (sentenza n. 13  del  2012);  profili  ritenuti,  tuttavia,
insindacabili in  una  sede  diversa  dal  giudizio  di  legittimita'
costituzionale. 
    Gli stessi rilievi,  nella  perdurante  inerzia  del  legislatore
ordinario, non  possono  che  essere  ribaditi  e,  conseguentemente,
devono ritenersi fondate le censure concernenti l'art. 83,  comma  1,
n. 5, e comma 2, del d.P.R.  n.  361  del  1957.  Tali  disposizioni,
infatti,  non  superano  lo  scrutinio  di  proporzionalita'   e   di
ragionevolezza, al quale soggiacciono  anche  le  norme  inerenti  ai
sistemi elettorali. 
    In ambiti connotati  da  un'ampia  discrezionalita'  legislativa,
quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a  questa  Corte  di
verificare che il bilanciamento  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.  Tale  giudizio
deve    svolgersi    «attraverso    ponderazioni    relative     alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti»
(sentenza n. 1130 del 1988). Il test di  proporzionalita'  utilizzato
da questa Corte come  da  molte  delle  giurisdizioni  costituzionali
europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza,  ed  essenziale
strumento  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  per  il
controllo giurisdizionale di legittimita' degli  atti  dell'Unione  e
degli Stati membri, richiede di  valutare  se  la  norma  oggetto  di
scrutinio, con la misura e le modalita'  di  applicazione  stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi. 
    Nella specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte. 
    Le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione
di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire  la
stabilita' del governo del Paese e di rendere piu' rapido il processo
decisionale,   cio'   che   costituisce   senz'altro   un   obiettivo
costituzionalmente legittimo. Questo obiettivo e' perseguito mediante
un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta  la
votazione con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna
lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una
maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su  630).
Se dunque si  verifica  tale  eventualita',  il  meccanismo  premiale
garantisce l'attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla  soglia  dei
340 seggi) a quella lista o coalizione di liste  che  abbia  ottenuto
anche un solo voto in piu' delle altre, e cio' pure nel caso  che  il
numero di voti  sia  in  assoluto  molto  esiguo,  in  difetto  della
previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi. 
    Le  disposizioni  censurate  non  si   limitano,   tuttavia,   ad
introdurre un correttivo (ulteriore rispetto a quello gia' costituito
dalla previsione di soglie di sbarramento all'accesso, di cui al n. 3
ed al n. 6  del  medesimo  comma  1  del  citato  art.  83,  qui  non
censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi «in ragione
proporzionale», stabilito dall'art. 1, comma 2, del  medesimo  d.P.R.
n. 361 del 1957, in vista del  legittimo  obiettivo  di  favorire  la
formazione di stabili maggioranze parlamentari e  quindi  di  stabili
governi, ma rovesciano la ratio della  formula  elettorale  prescelta
dallo stesso legislatore del 2005, che e'  quella  di  assicurare  la
rappresentativita' dell'assemblea parlamentare. In  tal  modo,  dette
norme producono  una  eccessiva  divaricazione  tra  la  composizione
dell'organo della rappresentanza  politica,  che  e'  al  centro  del
sistema di  democrazia  rappresentativa  e  della  forma  di  governo
parlamentare  prefigurati  dalla  Costituzione,  e  la  volonta'  dei
cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il  principale
strumento di manifestazione della sovranita' popolare, secondo l'art.
1, secondo comma, Cost. 
    In altri termini, le  disposizioni  in  esame  non  impongono  il
raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o  coalizione
di liste) di maggioranza relativa  dei  voti;  e  ad  essa  assegnano
automaticamente un numero anche  molto  elevato  di  seggi,  tale  da
trasformare,  in  ipotesi,  una  formazione  che  ha  conseguito  una
percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge  la
maggioranza  assoluta   dei   componenti   dell'assemblea.   Risulta,
pertanto, palese che in  tal  modo  esse  consentono  una  illimitata
compressione della  rappresentativita'  dell'assemblea  parlamentare,
incompatibile con i principi  costituzionali  in  base  ai  quali  le
assemblee parlamentari  sono  sedi  esclusive  della  «rappresentanza
politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione  del
voto e quindi della sovranita' popolare, ed in virtu' di cio' ad esse
sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione
tipica ed infungibile» (sentenza n. 106 del 2002), fra  le  quali  vi
sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le
delicate funzioni connesse alla stessa  garanzia  della  Costituzione
(art. 138 Cost.): cio' che peraltro distingue il Parlamento da  altre
assemblee rappresentative di enti territoriali. 
    Il  meccanismo  di  attribuzione  del   premio   di   maggioranza
prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale
introdotto con la legge n. 270 del  2005,  in  quanto  combinato  con
l'assenza di una ragionevole soglia  di  voti  minima  per  competere
all'assegnazione  del  premio,  e'  pertanto  tale   da   determinare
un'alterazione del circuito democratico definito dalla  Costituzione,
basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto  (art.  48,
secondo  comma,  Cost.).  Esso,  infatti,  pur  non   vincolando   il
legislatore ordinario alla scelta di un  determinato  sistema,  esige
comunque che ciascun voto  contribuisca  potenzialmente  e  con  pari
efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n.  43  del
1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema  elettorale
prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello  italiano,
nei  quali  pure  e'   contemplato   detto   principio   e   non   e'
costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice  costituzionale
ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il  legislatore
adotti il sistema proporzionale, anche solo in  modo  parziale,  esso
genera nell'elettore la legittima aspettativa che  non  si  determini
uno  squilibrio  sugli  effetti  del  voto,  e  cioe'  una  diseguale
valutazione   del   "peso"   del   voto   "in   uscita",   ai    fini
dell'attribuzione dei seggi, che non sia  necessaria  ad  evitare  un
pregiudizio per la funzionalita' dell'organo  parlamentare  (BVerfGE,
sentenza 3/11 del 25 luglio 2012; ma v. gia' la sentenza n.  197  del
22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952). 
    Le norme censurate,  pur  perseguendo  un  obiettivo  di  rilievo
costituzionale, qual e' quello della stabilita' del governo del Paese
e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito  parlamentare,
dettano  una  disciplina  che  non  rispetta  il  vincolo  del  minor
sacrificio    possibile    degli    altri    interessi    e    valori
costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt.  1,
secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva,  detta
disciplina non e' proporzionata  rispetto  all'obiettivo  perseguito,
posto che determina una compressione della  funzione  rappresentativa
dell'assemblea, nonche' dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale
da  produrre  un'alterazione  profonda   della   composizione   della
rappresentanza   democratica,   sulla   quale   si   fonda   l'intera
architettura dell'ordinamento costituzionale vigente. 
    Deve, quindi, essere dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. 
    4.- Le medesime argomentazioni vanno svolte  anche  in  relazione
alle  censure  sollevate,  in   relazione   agli   stessi   parametri
costituzionali, nei confronti dell'art. 17, commi 2 e 4,  del  d.lgs.
n. 533 del 1993, che disciplina  il  premio  di  maggioranza  per  le
elezioni  del  Senato  della  Repubblica,  prevedendo  che  l'Ufficio
elettorale regionale, qualora la coalizione di  liste  o  la  singola
lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell'ambito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55
per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime  un
numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per  cento
dei seggi assegnati alla regione. 
    Anche queste norme, nell'attribuire in siffatto  modo  il  premio
della maggioranza  assoluta,  in  ambito  regionale,  alla  lista  (o
coalizione di liste)  che  abbia  ottenuto  semplicemente  un  numero
maggiore  di  voti  rispetto  alle  altre  liste,  in   difetto   del
raggiungimento  di  una  soglia  minima,  contengono  una  disciplina
manifestamente  irragionevole,  che  comprime  la  rappresentativita'
dell'assemblea  parlamentare,  attraverso  la  quale  si  esprime  la
sovranita' popolare, in misura sproporzionata rispetto  all'obiettivo
perseguito  (garantire  la  stabilita'  di  governo  e   l'efficienza
decisionale del sistema), incidendo anche sull'eguaglianza del  voto,
in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo  comma,  e
67 Cost. 
    Nella specie, il test di  proporzionalita'  evidenzia,  oltre  al
difetto  di  proporzionalita'  in  senso  stretto  della   disciplina
censurata,  anche  l'inidoneita'  della  stessa   al   raggiungimento
dell'obiettivo  perseguito,  in  modo  piu'   netto   rispetto   alla
disciplina prevista per l'elezione della Camera dei  deputati.  Essa,
infatti, stabilendo che l'attribuzione del premio di  maggioranza  e'
su scala regionale, produce l'effetto  che  la  maggioranza  in  seno
all'assemblea del Senato sia il risultato casuale  di  una  somma  di
premi regionali, che puo' finire per rovesciare il risultato ottenuto
dalle liste o coalizioni di liste su  base  nazionale,  favorendo  la
formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei  due  rami
del Parlamento,  pur  in  presenza  di  una  distribuzione  del  voto
nell'insieme sostanzialmente omogenea. Cio' rischia di  compromettere
sia il funzionamento della forma di  governo  parlamentare  delineata
dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la
fiducia  delle  due  Camere  (art.  94,  primo  comma,  Cost.),   sia
l'esercizio  della  funzione  legislativa,  che   l'art.   70   Cost.
attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In  definitiva,
rischia di vanificare il risultato  che  si  intende  conseguire  con
un'adeguata stabilita' della maggioranza parlamentare e del  governo.
E benche' tali profili costituiscano, in larga misura,  l'oggetto  di
scelte politiche riservate al legislatore ordinario, questa Corte  ha
tuttavia il dovere di verificare se la disciplina  legislativa  violi
manifestamente, come nella specie, i principi di  proporzionalita'  e
ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo  comma,
3, 48, secondo comma, e 67 Cost. 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993. 
    5.- Occorre, infine, esaminare le censure  relative  all'art.  4,
comma 2, del d.P.R.  n.  361  del  1957  e,  in  via  consequenziale,
all'art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonche' all'art. 14, comma
1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in  cui,  rispettivamente,
prevedono: l'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957,  che  «Ogni
elettore dispone di un  voto  per  la  scelta  della  lista  ai  fini
dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su
un'unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l'art. 59
del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una  scheda  valida  per  la  scelta
della lista rappresenta un voto di lista»; nonche' l'art.  14,  comma
1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto  si  esprime  tracciando,
con la matita, sulla scheda un  solo  segno,  comunque  apposto,  sul
rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta». 
    Secondo  il  rimettente,  tali  disposizioni,   non   consentendo
all'elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una
lista di partito, cui e' rimessa la designazione e la collocazione in
lista di tutti i  candidati,  renderebbero  il  voto  sostanzialmente
"indiretto", posto che i partiti non  possono  sostituirsi  al  corpo
elettorale e che l'art. 67 Cost. presuppone l'esistenza di un mandato
conferito direttamente dagli elettori. Cio' violerebbe gli artt.  56,
primo comma, e 58, primo  comma,  Cost.,  l'art.  117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 3  del  protocollo  1  della  CEDU,  che
riconosce al popolo il diritto alla "scelta del corpo legislativo", e
l'art. 49 Cost.  Inoltre,  sottraendo  all'elettore  la  facolta'  di
scegliere l'eletto, farebbero si' che il voto non sia ne' libero, ne'
personale, in violazione dell'art. 48, secondo comma, Cost. 
    5.1.- La questione e' fondata nei termini di seguito precisati. 
    Le norme censurate, concernenti le modalita' di  espressione  del
voto per l'elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto
normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di
candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957; art. 1, comma
2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati  «secondo  un  determinato
ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi
assegnati alla circoscrizione» (art. 18-bis, comma 3, del  d.P.R.  n.
361 del 1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs.  n.  533  del  1993).  Le
circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non e'  investita  dalle
censure qui  esaminate,  corrispondono  sempre,  per  il  Senato,  ai
territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993);  per  la
Camera dei deputati (Allegato A alla  legge  n.  270  del  2005),  le
circoscrizioni corrispondono ai territori regionali, con  l'eccezione
delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono  presenti  due
circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e  Sicilia)  o  tre
(Lombardia). 
    La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti  e',  inoltre,
effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del
premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del  1957),
che e' definito, per il Senato, «di coalizione  regionale»  (art.  1,
comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993);  e  sono  proclamati  «eletti,  nei
limiti dei seggi ai quali ciascuna  lista  ha  diritto,  i  candidati
compresi nella lista medesima,  secondo  l'ordine  di  presentazione»
nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17,
comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). 
    In questo quadro, le disposizioni censurate, nello stabilire  che
il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la
composizione della Camera e del Senato, e'  un  voto  per  la  scelta
della  lista,  escludono  ogni  facolta'  dell'elettore  di  incidere
sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che,
ovviamente,  dal  numero  dei   seggi   ottenuti   dalla   lista   di
appartenenza,  dall'ordine  di  presentazione  dei  candidati   nella
stessa, ordine di presentazione che  e'  sostanzialmente  deciso  dai
partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in  un
voto di preferenza esclusivamente per  la  lista,  che  -  in  quanto
presentata in circoscrizioni  elettorali  molto  ampie,  come  si  e'
rilevato - contiene un numero assai elevato di  candidati,  che  puo'
corrispondere   all'intero   numero   dei   seggi   assegnati    alla
circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili
dall'elettore stesso. 
    Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di  scelta
dei propri  rappresentanti,  scelta  che  e'  totalmente  rimessa  ai
partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che  «le  funzioni
attribuite ai partiti politici  dalla  legge  ordinaria  al  fine  di
eleggere le  assemblee  -  quali  la  "presentazione  di  alternative
elettorali" e la  "selezione  dei  candidati  alle  cariche  elettive
pubbliche" - non consentono di desumere l'esistenza  di  attribuzioni
costituzionali, ma  costituiscono  il  modo  in  cui  il  legislatore
ordinario ha ritenuto di raccordare  il  diritto,  costituzionalmente
riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralita' di partiti
con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell'ambito
del procedimento elettorale,  e  trovano  solo  un  fondamento  nello
stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79  del  2006).  Simili  funzioni
devono, quindi, essere preordinate  ad  agevolare  la  partecipazione
alla vita politica dei  cittadini  ed  alla  realizzazione  di  linee
programmatiche che le  formazioni  politiche  sottopongono  al  corpo
elettorale,  al  fine  di  consentire  una  scelta  piu'   chiara   e
consapevole anche in riferimento ai candidati. 
    Sulla base  di  analoghi  argomenti,  questa  Corte  si  e'  gia'
espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente  nel
1975 per i Comuni al di sotto  dei  5.000  abitanti,  contraddistinto
anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione proporzionale  fra
liste concorrenti di candidati. In  quella  occasione,  la  Corte  ha
affermato che la circostanza che il  legislatore  abbia  lasciato  ai
partiti il  compito  di  indicare  l'ordine  di  presentazione  delle
candidature non lede in alcun modo la liberta' di voto del cittadino:
a condizione che quest'ultimo sia  «pur  sempre  libero  e  garantito
nella  sua  manifestazione  di  volonta',  sia   nella   scelta   del
raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel  votare  questo  o
quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il  voto  di
preferenza» (sentenza n. 203 del 1975). 
    Nella specie, tale liberta' risulta  compromessa,  posto  che  il
cittadino e' chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati  e
di tutti senatori,  votando  un  elenco  spesso  assai  lungo  (nelle
circoscrizioni  piu'  popolose)  di  candidati,   che   difficilmente
conosce. Questi,  invero,  sono  individuati  sulla  base  di  scelte
operate dai partiti, che si riflettono nell'ordine di  presentazione,
si' che anche l'aspettativa relativa all'elezione in riferimento allo
stesso ordine  di  lista  puo'  essere  delusa,  tenuto  conto  della
possibilita' di candidature multiple e della facolta' dell'eletto  di
optare per altre circoscrizioni  sulla  base  delle  indicazioni  del
partito. 
    In  definitiva,  e'  la  circostanza  che  alla   totalita'   dei
parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno  della
indicazione personale dei cittadini,  che  ferisce  la  logica  della
rappresentanza consegnata nella Costituzione.  Simili  condizioni  di
voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di  scegliere
in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che  non
ha avuto modo di conoscere e  valutare  e  che  sono  automaticamente
destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare  deputati
o senatori, rendono la disciplina in esame non  comparabile  ne'  con
altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei
seggi, ne' con altri caratterizzati da circoscrizioni  elettorali  di
dimensioni  territorialmente  ridotte,  nelle  quali  il  numero  dei
candidati da eleggere sia talmente esiguo  da  garantire  l'effettiva
conoscibilita' degli stessi e con essa l'effettivita' della scelta  e
la liberta' del voto (al pari di quanto accade nel caso  dei  collegi
uninominali). 
    Le condizioni stabilite dalle norme  censurate  sono,  viceversa,
tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il  rapporto
di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si
costituisca correttamente e direttamente,  coartano  la  liberta'  di
scelta degli elettori  nell'elezione  dei  propri  rappresentanti  in
Parlamento, che costituisce una delle  principali  espressioni  della
sovranita'  popolare,   e   pertanto   contraddicono   il   principio
democratico, incidendo sulla stessa liberta' del voto di cui all'art.
48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R.  n.  361  del  1957,  nonche'
dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui
non  consentono  all'elettore  di  esprimere  una  preferenza  per  i
candidati, al fine di determinarne l'elezione. 
    Resta, pertanto, assorbita la questione proposta  in  riferimento
all'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  3  del
protocollo 1 della CEDU. Peraltro, nessun rilievo assume la  sentenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo del  13  marzo  2012  (caso
Saccomanno e altri contro Italia),  resa  a  seguito  di  un  ricorso
proposto da alcuni  cittadini  italiani  che  deducevano  la  pretesa
violazione di quel parametro precisamente dalle norme elettorali  qui
in esame, sentenza che  ha  dichiarato  tutti  i  motivi  di  ricorso
manifestamente infondati,  sul  presupposto  dell'«ampio  margine  di
discrezionalita' di cui dispongono gli Stati in  materia»  (paragrafo
64).  Spetta,  in  definitiva,  a  questa  Corte  di  verificare   la
compatibilita' delle norme in questione con la Costituzione. 
    6.- La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata
illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni   oggetto   delle
questioni sollevate dalla Corte di  cassazione  e'  «complessivamente
idonea  a  garantire  il  rinnovo,  in  ogni   momento,   dell'organo
costituzionale  elettivo»,  cosi'  come  richiesto   dalla   costante
giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del  2012).
Le leggi elettorali sono, infatti,  "costituzionalmente  necessarie",
in quanto  «indispensabili  per  assicurare  il  funzionamento  e  la
continuita' degli organi costituzionali» (sentenza n.  13  del  2012;
analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n.  26
del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991,  n.  29  del
1987), dovendosi inoltre scongiurare l'eventualita'  di  «paralizzare
il potere di scioglimento del Presidente  della  Repubblica  previsto
dall'art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012). 
    In particolare, la normativa che rimane in vigore  stabilisce  un
meccanismo  di  trasformazione  dei  voti  in  seggi   che   consente
l'attribuzione di  tutti  i  seggi,  in  relazione  a  circoscrizioni
elettorali che rimangono immutate, sia  per  la  Camera  che  per  il
Senato. Cio' che resta, invero,  e'  precisamente  il  meccanismo  in
ragione proporzionale delineato dall'art. 1 del  d.P.R.  n.  361  del
1957  e  dall'art.  1  del  d.lgs.  n.   533   del   1993,   depurato
dell'attribuzione del premio di maggioranza;  e  le  norme  censurate
riguardanti l'espressione del voto risultano  integrate  in  modo  da
consentire un voto di preferenza. Non rientra tra i compiti di questa
Corte valutare l'opportunita' e/o  l'efficacia  di  tale  meccanismo,
spettando ad essa solo di verificare la conformita' alla Costituzione
delle specifiche norme  censurate  e  la  possibilita'  immediata  di
procedere  ad  elezioni  con  la  restante   normativa,   condizione,
quest'ultima, connessa alla natura della legge elettorale  di  «legge
costituzionalmente necessaria» (sentenza n.  32  del  1993).  D'altra
parte, la rimettente Corte  di  cassazione  aveva  significativamente
puntualizzato   che   «la   proposta   questione   di    legittimita'
costituzionale non mira a far caducare l'intera legge n. 270/2005 ne'
a   sostituirla   con   un'altra    eterogenea    impingendo    nella
discrezionalita' del  legislatore,  ma  a  ripristinare  nella  legge
elettorale contenuti  costituzionalmente  obbligati  (concernenti  la
disciplina del premio  di  maggioranza  e  delle  preferenze),  senza
compromettere  la  permanente  idoneita'  del  sistema  elettorale  a
garantire  il  rinnovo  degli  organi  costituzionali»,  fatta  salva
«l'eventualita' che si renda  necessaria  un'opera  di  mera  cosmesi
normativa e di ripulitura del testo  per  la  presenza  di  frammenti
normativi  residui,  che   puo'   essere   realizzata   dalla   Corte
costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione». 
    La presente decisione  non  puo'  andare  al  di  la'  di  quanto
ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente. 
    Per quanto riguarda la possibilita' per l'elettore  di  esprimere
un  voto  di  preferenza,  eventuali  apparenti  inconvenienti,   che
comunque «non incidono sull'operativita' del sistema elettorale,  ne'
paralizzano la funzionalita' dell'organo» (sentenza n. 32 del  1993),
possono essere risolti  mediante  l'impiego  degli  ordinari  criteri
d'interpretazione, alla  luce  di  una  rilettura  delle  norme  gia'
vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad  esempio,
con riferimento alle previsioni, di cui agli artt. 84, comma  1,  del
d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del d.lgs. n.  533  del  1993,
che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti,  nei
limiti dei seggi ai quali ciascuna  lista  ha  diritto,  i  candidati
compresi nella lista medesima «secondo  l'ordine  di  presentazione»,
non appaiono incompatibili con l'introduzione del voto di preferenza,
dovendosi ritenere l'ordine di lista  operante  solo  in  assenza  di
espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle  modalita'
di redazione delle schede elettorali di cui all'art. 31 del d.P.R. n.
361 del 1957 ed all'art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che,
nello  stabilire  che  nella  scheda  devono  essere   riprodotti   i
contrassegni  di  tutte  le  liste  regolarmente   presentate   nella
circoscrizione, secondo il  fac-simile  di  cui  agli  allegati,  non
escludono che  quegli  schemi  siano  integrati  da  uno  spazio  per
l'espressione  della  preferenza;  o,  quanto  alla  possibilita'  di
intendere l'espressione della preferenza come  preferenza  unica,  in
linea con quanto risultante dal  referendum  del  1991,  ammesso  con
sentenza n.  47  del  1991,  in  relazione  alle  formule  elettorali
proporzionali.  Simili  eventuali  inconvenienti  potranno,   d'altro
canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi  secondari,
meramente tecnici ed applicativi della  presente  pronuncia  e  delle
soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente,  che
lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potra'  correggere,
modificare o integrare la disciplina residua»  (sentenza  n.  32  del
1993). 
    7.- E' evidente, infine, che  la  decisione  che  si  assume,  di
annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la
normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per  il  Senato,
produrra' i suoi effetti esclusivamente in  occasione  di  una  nuova
consultazione elettorale, consultazione che si  dovra'  effettuare  o
secondo le regole contenute nella normativa che  resta  in  vigore  a
seguito della presente decisione, ovvero secondo la  nuova  normativa
elettorale eventualmente adottata dalle Camere. 
    Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in  essere
in conseguenza di quanto stabilito  durante  il  vigore  delle  norme
annullate, compresi gli esiti delle  elezioni  svoltesi  e  gli  atti
adottati  dal  Parlamento  eletto.  Vale  appena  ricordare  che   il
principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento
di questa Corte, alla stregua dell'art.  136  Cost.  e  dell'art.  30
della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di  entrata  in
vigore della norma annullata, principio «che suole  essere  enunciato
con il ricorso alla formula  della  c.d.  "retroattivita'"  di  dette
sentenze, vale pero' soltanto per i rapporti  tuttora  pendenti,  con
conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati
dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984). 
    Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle  norme
elettorali dichiarate costituzionalmente  illegittime  costituiscono,
in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto  che  il
processo di composizione delle Camere si compie con la  proclamazione
degli eletti. 
    Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere  adotteranno
prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. 
    Rileva nella specie il principio fondamentale  della  continuita'
dello Stato, che  non  e'  un'astrazione  e  dunque  si  realizza  in
concreto attraverso la continuita' in  particolare  dei  suoi  organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare  dal
Parlamento. E' pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio - e'  appena
il caso di ribadirlo - che nessuna incidenza e' in grado di  spiegare
la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere
adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le  Camere  sono
organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in
alcun  momento  cessare  di  esistere  o  perdere  la  capacita'   di
deliberare. Tanto cio' e' vero che, proprio al fine di assicurare  la
continuita' dello Stato, e' la stessa Costituzione  a  prevedere,  ad
esempio, a seguito delle elezioni, la  prorogatio  dei  poteri  delle
Camere precedenti «finche' non siano riunite le nuove  Camere»  (art.
61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte,
sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per
la conversione in legge di decreti-legge adottati dal  Governo  (art.
77, secondo comma, Cost.). 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  83,  comma
1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la  elezione  della  Camera
dei deputati); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 2
e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.  533  (Testo  unico
delle  leggi  recanti  norme  per   l'elezione   del   Senato   della
Repubblica); 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonche' dell'art.  14,  comma  1,
del d.lgs. n. 533  del  1993,  nella  parte  in  cui  non  consentono
all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI