N. 3 ORDINANZA 13 gennaio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Incompatibilita' dell'esercizio della  professione
  forense. 
- Legge  25  novembre   2003,   n.   339   (Norme   in   materia   di
  incompatibilita' dell'esercizio  della  professione  di  avvocato),
  artt. 1 e 2. 
(GU n.3 del 15-1-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Luigi MAZZELLA; 
Giudici :Sabino CASSESE,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e  2
della  legge  25  novembre  2003,  n.  339  (Norme  in   materia   di
incompatibilita'  dell'esercizio  della  professione  di   avvocato),
promosso dal Tribunale di Nocera Inferiore, nel procedimento vertente
tra R. C. ed altra e il Ministero della giustizia, con ordinanza  del
24 marzo 2011 iscritta  al  n.  59  del  registro  ordinanze  2013  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  13,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 4 dicembre  2013  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di  Nocera  Inferiore  -  nel
procedimento di reclamo proposto ai sensi dell'art. 669-terdecies del
codice di procedura civile da C.R. avverso l'ordinanza di rigetto del
suo ricorso in via d'urgenza volto ad ottenere, in via principale, la
declaratoria di nullita' e/o illegittimita' del  provvedimento  della
pubblica amministrazione  che  gli  aveva  revocato  l'autorizzazione
all'esercizio della professione forense, in subordine la  sospensione
del medesimo provvedimento ed  il  contestuale  riconoscimento  della
provvisoria riviviscenza dell'atto autorizzativo all'esercizio  della
suddetta professione - ha, con ordinanza depositata il 24 marzo 2011,
iscritta al n. 59 del registro ordinanze  dell'anno  2013,  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
3,  4,  35  e  41  della  Costituzione,  nonche'  al   canone   della
ragionevolezza intrinseca riconducibile all'art.  3,  secondo  comma,
Cost., degli artt. 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339  (Norme
in materia di incompatibilita' dell'esercizio  della  professione  di
avvocato); 
    che,  ad  avviso  del  collegio  rimettente,  che   richiama   le
argomentazioni esposte  dalla  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili,   a   fondamento   di   identico   dubbio   di   legittimita'
costituzionale della normativa in oggetto (e' citata  l'ordinanza  n.
24689 del 6 dicembre 2010), le  disposizioni  censurate  violerebbero
gli artt. 3,  4,  35  e  41  Cost.,  come  pure  il  parametro  della
ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3,  secondo  comma,  Cost.,
perche', non solo imporrebbero un sacrificio irragionevolmente lesivo
del sicuro e giustificato affidamento di mantenere nel tempo lo stato
di avvocati part-time maturato  da  tutti  i  dipendenti  pubblici  i
quali, come il ricorrente nel giudizio a quo,  si  erano  avvalsi  da
diversi anni dell'opzione  in  tal  senso  prevista  dalla  legge  23
dicembre 1996, n. 662  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica), gia' reputata conforme a Costituzione da questa Corte  con
sentenza  n.  189  del  2001,  ma  addirittura  sconvolgerebbero   la
consolidata situazione giuridica sorta in capo a costoro in forza del
regime previgente, avendo essi realizzato, in una simile prospettiva,
investimenti intellettuali ed economici finalizzati  all'avvio  della
nuova  attivita'  professionale   e,   correlativamente,   affrontato
pregnanti mutamenti della propria impostazione di vita, al prezzo  di
inevitabili rinunce a migliori prospettive  di  carriera  nell'ambito
della pubblica amministrazione. Con la  conseguenza  della  probabile
lesione di tutta una serie di consolidate aspettative, nonche' di  un
legittimo affidamento nella certezza del diritto  e  nella  sicurezza
giuridica, valore costituzionalmente protetto (peraltro in settori di
peculiare rilevanza costituzionale come quelli  del  lavoro  e  della
libera iniziativa economica), che le  previste  misure  limitate  nel
tempo sarebbero palesemente inidonee a salvaguardare; 
    che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri  per
eccepire la manifesta infondatezza della questione. 
    Considerato che, in via preliminare, le questioni  sollevate  dal
Tribunale di Nocera Inferiore sono ammissibili, perche'  il  collegio
rimettente, investito del  reclamo  avverso  l'ordinanza  di  rigetto
emessa in prime  cure,  ha  accolto  la  domanda  del  ricorrente  di
sospensione   del   provvedimento   di   revoca   dell'autorizzazione
all'esercizio della  professione  forense  (in  concomitanza  con  la
prestazione di lavoro pubblico) proprio sulla base della ritenuta non
manifesta infondatezza  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
della  normativa  in  oggetto  e,  quindi,  ha  sospeso  il  giudizio
principale in attesa della decisione di questa Corte; 
    che, di conseguenza, il giudice a quo  non  ha  esaurito  in  via
definitiva  il  suo  potere   cautelare,   essendosi   implicitamente
riservato di rivalutare il provvedimento adottato  in  via  d'urgenza
all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, in
coerenza con il principio secondo cui, ogni qual volta il fumus  boni
iuris  sia  ravvisato  alla  luce  della   ritenuta   non   manifesta
infondatezza della questione sollevata, la sospensione dell'efficacia
del provvedimento impugnato e' di carattere  provvisorio,  sino  alla
ripresa del  giudizio  cautelare  dopo  l'incidente  di  legittimita'
costituzionale (in tal senso, specificamente,  sentenza  n.  236  del
2010; ordinanza n. 25 del 2006); 
    che, nel merito, questa Corte, con la sentenza n. 166  del  2012,
ha   gia'   dichiarato   non   fondate   questioni    sostanzialmente
sovrapponibili  a  quelle  sollevate  con  l'ordinanza  in  esame  e,
segnatamente, appunto quelle, proposte dalla Corte  di  cassazione  -
sezioni unite, alle quali l'odierno rimettente  ha  fatto  largamente
rinvio; 
    che, in tale occasione,  e'  stata,  innanzitutto,  esclusa,  nel
solco della sentenza n. 390 del  2006  di  questa  stessa  Corte,  la
denunciata violazione degli artt. 4 e 35 Cost., da un lato, dell'art.
41 Cost., dall'altro. Dei primi due, in quanto essi, nel garantire il
diritto al lavoro, ne affidano l'attuazione, quanto  ai  tempi  e  ai
modi, alla discrezionalita' del legislatore, nella specie  esercitata
in modo non irragionevole. Dell'ultimo,  perche'  non  viene  qui  in
rilievo un'attivita' economica, ma una modalita' di espletamento  del
servizio  presso  enti   pubblici   ai   fini   del   soddisfacimento
dell'interesse generale all'esecuzione della  prestazione  di  lavoro
pubblico  in  termini  rispettosi  dell'imparzialita'  e   del   buon
andamento dell'amministrazione,  nonche'  ad  un  corretto  esercizio
della professione forense; 
    che, inoltre, sul punto nodale del  dubbio  di  legittimita'  ora
riproposto dal giudice a quo, si e'  evidenziato  che  «la  normativa
transitoria dettata dall'art. 2 della legge in oggetto [...] soddisfa
pienamente i requisiti di non irragionevolezza della scelta normativa
di carattere inderogabilmente ostativo sottesa alla legge n. 339  del
2003. Scelta inevitabilmente destinata a  produrre  effetti,  proprio
per la sua portata generale, anche  sulle  posizioni  dei  dipendenti
pubblici  part-time  legittimamente  trovatisi   ad   esercitare   in
concomitanza la professione  di  avvocati.  Essi,  infatti,  anziche'
cadere immediatamente sotto il divieto, hanno potuto  beneficiare  di
un  termine  di   trentasei   mesi   per   esprimere   la   decisione
dell'attivita' cui dedicarsi in futuro in via esclusiva (con  diritto
al tempo pieno in caso di opzione per il  mantenimento  del  rapporto
d'impiego pubblico)  e,  nell'ipotesi  di  una  prima  manifestazione
optativa per la professione forense, di un ulteriore quinquennio  per
l'esercizio dello ius poenitendi, tale da garantire loro  il  diritto
alla riammissione in servizio a tempo pieno  (entro  tre  mesi  dalla
richiesta)  con  il  solo  limite  della  sospensione,  nelle   more,
dell'anzianita'»; 
    che, dunque, questa Corte ha ritenuto che vi e'  stato  tutto  il
tempo perche' i dipendenti pubblici part-time gia' autorizzati  (come
il ricorrente nel giudizio a  quo)  all'esercizio  della  professione
forense potessero valutare, di  fronte  ad  una  interdizione  oramai
generalizzata allo svolgimento  contemporaneo  delle  due  attivita',
presupposti e situazioni, personali e  familiari,  per  orientare  la
propria scelta nella  direzione  del  mantenimento  del  rapporto  di
lavoro pubblico piuttosto  che  in  quella  dell'esercizio  esclusivo
della professione  legale,  con  la  disponibilita'  di  uno  spatium
deliberandi supplementare a beneficio dell'opzione per la piu' solida
posizione lavorativa alle dipendenze della pubblica  amministrazione,
in caso di preferenza inizialmente manifestata per la piu'  aleatoria
attivita' libero-professionale; 
    che, conseguentemente, nelle conclusioni della  citata  pronuncia
si e' sancito che «il descritto regime di tutela, lungi dal  tradursi
in un regolamento irrazionale lesivo  dell'affidamento  maturato  dai
titolari  di  situazioni  sostanziali  legittimamente   sorte   sotto
l'impero della normativa previgente,  e'  da  ritenere  assolutamente
adeguato  a  contemperare  la  doverosa  applicazione   del   divieto
generalizzato  reintrodotto  dal  legislatore  per  l'avvenire   (con
effetto, altresi', sui rapporti di durata in corso) con  le  esigenze
organizzative di lavoro e di vita dei  dipendenti  pubblici  a  tempo
parziale, gia' ammessi dalla  legge  dell'epoca  all'esercizio  della
professione legale», anche perche', diversamente opinando, si sarebbe
avuto  il  risultato,   giudicato   certamente   irragionevole,   «di
conservare  "ad  esaurimento"  una  riserva  di  lavoratori  pubblici
part-time, contemporaneamente avvocati,  all'interno  di  un  sistema
radicalmente contrario alla coesistenza delle due  figure  lavorative
nella stessa persona» (sent. n. 166 del 2012, cit.); 
    che a tal proposito, onde prevenire distorsioni come quella sopra
paventata, si e' ribadito il  principio  che  raccomanda  di  evitare
diversita' di trattamento diffuse e  indeterminate  nel  tempo,  «non
potendosi  lasciare  nell'ordinamento  sine  die  una  duplicita'  di
discipline diverse e parallele per le stesse situazioni» (sentenza n.
378 del 1994); 
    che, dopo la  citata  pronuncia  di  non  fondatezza,  il  quadro
normativo di riferimento e' rimasto sostanzialmente immutato, perche'
l'incompatibilita'  dell'esercizio  della  professione  forense   con
l'impiego pubblico  part-time  non  solo  non  e'  stata  minimamente
scalfita dalla normativa sopravvenuta  di  cui  al  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo   sviluppo),   convertito   in   legge,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148 (v., in particolare, artt. 5 e 5 bis) e al correlativo decreto
del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012,  n.  137  (Regolamento
recante   riforma   degli   ordinamenti   professionali,   a    norma
dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138,
convertito, con modificazioni, dalla  legge  14  settembre  2011,  n.
148),   ma   e'   stata,   anzi,   rafforzata   -   con    l'espressa
inconciliabilita' «con  qualsiasi  attivita'  di  lavoro  subordinato
anche se con orario di lavoro limitato» - dall'art. 18,  lettera  d),
della  legge   31   dicembre   2012,   n.   247   (Nuova   disciplina
dell'ordinamento della professione forense), come riconosciuto  dalla
giurisprudenza di legittimita' (v.  Corte  di  cassazione  -  sezioni
unite, n. 11833 del 16 maggio 2013); 
    che il giudice a quo non ha sollevato nuovi profili  di  censura,
ne' prospettato ragioni o argomenti diversi e  ulteriori  rispetto  a
quelli gia' sottoposti all'esame di questa Corte e da  essa  valutati
nella richiamata precedente pronuncia di non fondatezza (sent. n. 166
del 2012, cit.); 
    che, pertanto, le argomentazioni poste a base della teste' citata
pronunzia  debbono  essere  integralmente  confermate,   sicche'   le
questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dal  Tribunale
ordinario di Nocera  Inferiore  vanno  dichiarate,  a  questo  punto,
manifestamente infondate (ex plurimis: ordinanze n. 32 del  2013,  n.
301 del 2011, nn. 261 e 153 del 2010, n. 356 del 2003 e  n.  170  del
2002),  non  contrastando  la  normativa  impugnata  con  alcuno  dei
parametri costituzionali evocati. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli articoli  1  e  2  della  legge  25
novembre  2003,  n.  339  (Norme  in  materia   di   incompatibilita'
dell'esercizio  della  professione  di   avvocato),   sollevate,   in
riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 41 della Costituzione,  nonche'  al
principio  di  ragionevolezza,  dal  Tribunale  ordinario  di  Nocera
Inferiore, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2014. 
 
                                F.to: 
                     Luigi MAZZELLA, Presidente 
                             e Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI