N. 46 SENTENZA 10 - 13 marzo 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia e urbanistica -  Interventi  di  adeguamento  e  ampliamento
  volumetrico del patrimonio edilizio esistente. 
- Legge della Regione autonoma della Sardegna 23 ottobre 2009,  n.  4
  (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia  mediante
  il rilancio del settore edilizio e per la promozione di  interventi
  e programmi di valenza strategica per lo sviluppo), art. 2. 
-   
(GU n.13 del 19-3-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge della Regione autonoma della Sardegna 23  ottobre  2009,  n.  4
(Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il
rilancio del settore edilizio e per la  promozione  di  interventi  e
programmi di  valenza  strategica  per  lo  sviluppo),  promosso  dal
Giudice per le indagini preliminari del  Tribunale  di  Oristano  nel
procedimento penale a carico di B.A. con ordinanza  del  23  dicembre
2011, iscritta al n. 77 del  registro  ordinanze  2012  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima   serie
speciale, dell'anno 2012. 
    Visti l'atto di costituzione di B.A. nonche' l'atto di intervento
della Regione autonoma della Sardegna; 
    udito nell'udienza pubblica  dell'11  febbraio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    uditi gli avvocati Luigi Marcialis per B.A. e Massimo Luciani per
la Regione autonoma della Sardegna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 23 dicembre 2011, il Giudice  per
le indagini preliminari del Tribunale di Oristano  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 25, 117 e 118 della Costituzione e all'art.
3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
2 della legge della Regione autonoma della Sardegna 23 ottobre  2009,
n.  4  (Disposizioni  straordinarie  per  il  sostegno  dell'economia
mediante il rilancio del settore edilizio  e  per  la  promozione  di
interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo). 
    1.1.- Il giudice a quo rileva che la  norma  censurata  consente,
«anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilita'
previsti dagli  strumenti  urbanistici  ed  in  deroga  alle  vigenti
disposizioni  normative  regionali,  l'adeguamento   e   l'incremento
volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a
servizi connessi alla residenza e di  quelli  relativi  ad  attivita'
produttive, nella misura massima, per  ciascuna  unita'  immobiliare,
del 20 per cento della volumetria esistente». 
    Ai sensi dell'art. 10, comma 3, della medesima legge  reg.  n.  4
del  2009,  gli  interventi  in  questione  «sono  assoggettati  alla
procedura di denuncia di inizio attivita' (DIA)», fatta eccezione per
talune ipotesi, non rilevanti nel procedimento  a  quo,  nelle  quali
«deve essere ottenuta la concessione edilizia». 
    Riferisce  il  rimettente  che,  sulla  base   della   disciplina
regionale ora ricordata, una persona aveva intrapreso, in qualita' di
committente, opere di ristrutturazione edilizia intese a ricavare tre
appartamenti in luogo dei  due  esistenti  al  piano  attico  di  uno
stabile condominiale sito nel Comune di  Oristano,  incrementando  il
volume del fabbricato tramite  la  copertura  della  superficie  gia'
occupata dalle terrazze. I lavori  erano,  peraltro,  iniziati  prima
dello  spirare  del  termine  dilatorio  di   trenta   giorni   dalla
presentazione della DIA, previsto dall'art. 23 del  d.P.R.  6  giugno
2001,  n.  380  (Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia edilizia - Testo A). 
    Il 3 novembre 2010 la polizia municipale aveva, quindi, proceduto
di propria  iniziativa  al  sequestro  dell'opera:  sequestro  i  cui
effetti erano peraltro decaduti. 
    In  esito  a  cio',  il  pubblico  ministero  aveva  chiesto   al
rimettente  di  disporre  il  sequestro   preventivo   dell'immobile,
ritenendo configurabile il reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera
a),  del  d.P.R.  n.  380  del  2001,  che  punisce,   tra   l'altro,
l'inosservanza delle prescrizioni degli strumenti  urbanistici:  cio'
in quanto, con  i  lavori  in  questione,  si  sarebbe  aumentata  la
cubatura di un edificio insistente su un lotto  di  terreno  che,  in
base  agli  indici  di  fabbricabilita'  previsti   dagli   strumenti
urbanistici  locali,  aveva  gia'  esaurito  la   propria   capacita'
edificatoria. 
    Nel decidere su tale richiesta, il giudice a quo aveva sollevato,
con ordinanza depositata il 20 dicembre 2010, una prima questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge  reg.  n.  4  del
2009, in relazione  alla  quale  questa  Corte  aveva  disposto,  con
ordinanza n. 237 del 2011, la restituzione degli atti  al  rimettente
per un nuovo esame della rilevanza alla luce della sopravvenuta norma
di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 2, lettera  c),
del decreto-legge 3 maggio 2011, n.  70  (Semestre  Europeo  -  Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. 
    1.2.- Ad avviso del Giudice di Oristano, la questione  resterebbe
rilevante anche alla luce della disposizione ora indicata,  la  quale
ha chiarito che l'istituto della segnalazione certificata  di  inizio
attivita'  (SCIA)  -  introdotto  prima   dei   fatti   oggetto   del
procedimento principale dall'art. 49, comma 4-bis, del d.l. 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122  -  sostituisce  la  DIA  nella  materia
edilizia, salvo che si tratti di DIA alternativa  o  sostitutiva  del
permesso di costruire (cosiddetta «super-DIA»). 
    Nella specie, non si verterebbe in quest'ultima ipotesi, giacche'
gli interventi  edilizi  previsti  dalla  norma  censurata  sarebbero
soggetti, in via generale, a DIA cosiddetta «semplice» - da  ritenere
sostituita, dunque, dalla SCIA - e non gia' a «super-DIA». 
    Rimarrebbe cosi' confermato quanto sostenuto  con  la  precedente
ordinanza di rimessione: e, cioe', che l'avvenuto inizio  dei  lavori
in discussione prima dei trenta giorni dalla presentazione della  DIA
sarebbe privo di rilievo, in quanto la procedura della SCIA non esige
il rispetto di alcun termine, a  partire  dalla  segnalazione,  prima
dell'inizio dell'attivita'; il che  impedirebbe  di  ravvisare  nella
fattispecie il reato di cui alla lettera b) dell'art.  44,  comma  1,
del d.P.R. n. 380 del 2001, quale  ipotesi  di  esecuzione  di  opere
edili in assenza del prescritto  titolo  abilitativo.  L'unico  reato
configurabile - e in relazione al quale potrebbe essere  disposto  il
sequestro preventivo richiesto  dal  pubblico  ministero  -  sarebbe,
dunque, quello di cui alla lettera a) dello stesso articolo,  se  non
fosse per  la  possibilita'  di  deroga  agli  strumenti  urbanistici
prevista dalla norma regionale censurata: donde  la  rilevanza  della
questione. 
    In  via  subordinata,  peraltro,  il  rimettente  assume  che  la
questione resterebbe rilevante anche qualora si ritenesse che la  DIA
prevista dalla legge regionale  sia  alternativa  o  sostitutiva  del
permesso di costruire: ipotesi nella quale - non essendo stata  detta
denuncia sostituita dalla SCIA - l'indagata dovrebbe  rispondere  del
reato di cui alla lettera b), per avere iniziato i lavori  prima  dei
trenta giorni dalla denuncia. 
    Nelle more, la  fattispecie  abilitativa  relativa  all'ipotetica
«super-DIA»  si  sarebbe,  infatti,  comunque  perfezionata,  essendo
l'anzidetto termine dilatorio da tempo spirato:  con  la  conseguenza
che  l'indagato,  da  un  lato,  potrebbe  continuare  a   costruire;
dall'altro, pur potendo essere condannato per il reato  di  cui  alla
lettera b) in relazione ai lavori eseguiti ante tempus, non  potrebbe
essere assoggettato, con la sentenza di condanna,  ad  un  ordine  di
demolizione delle opere, stante il titolo  abilitativo  sopravvenuto.
Cio' imporrebbe, allo stato, il rigetto della richiesta di sequestro,
non risultando la misura funzionale ad alcuna esigenza preventiva. 
    La  conclusione  muterebbe,  tuttavia,  ove  la  norma   che   ha
consentito la formazione di quel titolo abilitativo fosse  dichiarata
costituzionalmente illegittima. In tal  caso,  infatti,  l'ordine  di
demolizione diverrebbe possibile, stante il consolidato  orientamento
della giurisprudenza di legittimita' in forza del  quale  il  giudice
penale ha il dovere di verificare, a tale fine, la  legittimita'  del
titolo sopravvenuto  che  consente  la  realizzazione  del  manufatto
originariamente  abusivo.  Inoltre,  la  prosecuzione  dell'attivita'
edilizia in base a detto titolo  comporterebbe  la  violazione  della
lettera a) dell'art. 44, che si aggiungerebbe a quella della  lettera
b), gia' consumata. 
    La richiesta del pubblico ministero potrebbe essere,  dunque,  in
questo caso accolta, in quanto il sequestro  risulterebbe  funzionale
sia  «a  non  frustrare  le  conseguenze  ripristinatorie»   connesse
all'accertamento della violazione di cui  alla  lettera  b),  sia  ad
impedire la prosecuzione del reato di cui alla lettera a). 
    1.3.-  Quanto,  poi,  alla  non  manifesta   infondatezza   della
questione, il giudice a quo ripropone le censure gia'  in  precedenza
prospettate, rimarcando come la loro validita' non risulti  in  alcun
modo inficiata dalle modifiche apportate, medio tempore,  alla  legge
regionale in discussione dalla legge reg. Sardegna 21 novembre  2011,
n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4  del  2009,
alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n.  28  del
1998 e alla legge regionale  n.  22  del  1984,  ed  altre  norme  di
carattere urbanistico). 
    Il   rimettente   rileva,   in   specie,   come   la   disciplina
dell'attivita'  urbanistica  risulti  improntata  al  «sistema  della
pianificazione», che assegna in modo preminente  ai  Comuni  -  quali
enti locali piu' prossimi al territorio  -  la  valutazione  generale
degli  interessi   coinvolti.   Tale   competenza   dovrebbe   essere
esercitata, bensi', nel rispetto delle prescrizioni regionali, senza,
tuttavia, che queste possano esautorare i Comuni delle loro potesta',
operando   «le   concrete   scelte   urbanistiche    con    carattere
immediatamente  precettivo».  L'assetto  ora  descritto   troverebbe,
d'altro canto, «copertura costituzionale» alla luce tanto dei  limiti
alle  competenze  legislative  regionali,  quanto  delle   competenze
direttamente attribuite ai Comuni dagli artt. 117 e 118 Cost. 
    L'art. 2 della legge reg. n. 4 del 2009,  sul  cosiddetto  «piano
casa», avrebbe per converso introdotto un «elemento [...] di rottura»
del sistema, autorizzando in modo diretto ampliamenti volumetrici dei
fabbricati esistenti, senza consentire ai Comuni di conformarli  alle
concrete esigenze del territorio o di modificarne  i  presupposti  di
operativita' (avuto riguardo, ad esempio, al rapporto con le aree  di
parcheggio e i servizi connessi). 
    La norma censurata violerebbe, per questo verso, l'art. 117 Cost.
e l'art.  3,  primo  comma,  dello  Statuto  speciale  della  Regione
autonoma della Sardegna, introducendo una «modalita'  operativa»,  in
campo   edilizio,   avulsa    dalla    pianificazione    urbanistica,
qualificabile, per quanto  detto,  come  «principio  dell'ordinamento
giuridico della  Repubblica»  e  come  espressione  degli  «interessi
nazionali rappresentati dal sistema di composizione  degli  interessi
del territorio». 
    Detta norma si porrebbe, inoltre, in contrasto  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in  quanto  consentirebbe  deroghe  generalizzate
alle previsioni dei  piani  urbanistici  comunali  in  assenza  della
valutazione ambientale strategica (VAS), imposta dalla  direttiva  27
giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento  europeo  e  del
Consiglio concernente la valutazione  degli  effetti  di  determinati
piani e programmi sull'ambiente), recepita con decreto legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);  nonche'  con  gli
artt. 117, sesto comma, ultimo periodo, e 118 Cost.,  alla  luce  dei
quali   la   pianificazione   urbanistica   costituirebbe   «funzione
fondamentale dei comuni e come tale  [...]  oggetto  di  legislazione
esclusiva dello Stato». 
    La disposizione denunciata violerebbe anche l'art. 3  Cost.,  per
contrasto con il principio di eguaglianza, sotto un triplice profilo.
In primo luogo,  perche'  assoggetterebbe  alla  medesima  disciplina
situazioni   diverse,   consentendo    indiscriminatamente    aumenti
volumetrici su tutto il territorio regionale, sia nelle zone  in  cui
le esigenze poste a base del «piano casa» sono  gia'  state  valutate
nell'ambito degli ordinari poteri pianificatori dei Comuni, sia nelle
zone in cui detti aumenti  rispondono  effettivamente  a  un  bisogno
collettivo. In secondo luogo, perche' creerebbe nel territorio  sardo
una «zona  bianca»,  sottratta  al  regime  della  pianificazione,  a
differenza  del  territorio   delle   altre   Regioni   che   abbiano
disciplinato il «piano casa» nel rispetto delle prerogative comunali.
In terzo luogo, perche'  renderebbe  penalmente  lecita  in  Sardegna
un'attivita' edilizia contrastante con gli strumenti  urbanistici  e,
come tale, penalmente repressa nelle altre Regioni. 
    La norma censurata violerebbe, infine, la competenza  legislativa
esclusiva dello Stato in materia penale, desumibile dagli artt. 25  e
117 Cost., venendo a restringere  l'ambito  applicativo  della  norma
incriminatrice di cui all'art. 44, comma 1, lettera a), del d.P.R. n.
380 del 2001, tramite  la  depenalizzazione  tanto  degli  interventi
edilizi non conformi alla pianificazione, che del  superamento  della
volumetria massima: operazione,  questa,  da  ritenere  inibita  alla
legislazione regionale alla luce della costante giurisprudenza  della
Corte costituzionale. 
    Il rimettente rimarca, per  altro  verso,  come  la  Corte  abbia
reiteratamente riconosciuto la  rilevanza  e  l'ammissibilita'  delle
questioni di  legittimita'  costituzionale  delle  «norme  penali  di
favore»,  in  base  alla  considerazione  che  il  loro  accoglimento
inciderebbe sulle formule di proscioglimento, sul dispositivo  o  sul
percorso  argomentativo  che  sorregge  la  decisione  adottata   nel
giudizio principale, o produrrebbe comunque un «effetto di sistema». 
    2.- E' intervenuta la Regione autonoma della Sardegna, in persona
del Presidente della Giunta regionale, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata. 
    2.1.-  Ad  avviso  dell'interveniente,   la   questione   sarebbe
inammissibile per una pluralita' di ragioni. 
    In primo luogo, per la carente descrizione dei fatti di causa, la
quale si ridurrebbe a una mera parafrasi del capo di imputazione. 
    In secondo luogo, per difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,
sotto un duplice profilo. Il rimettente, da un lato,  avrebbe  svolto
le sue argomentazioni in  riferimento  alla  richiesta  di  sequestro
preventivo del pubblico ministero, senza esprimere un  «convincimento
adesivo» ad essa; dall'altro, avrebbe ritenuto  ravvisabile,  in  via
alternativa, il reato di cui alla lettera b) o  quello  di  cui  alla
lettera a) dell'art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del  2001,  senza
chiarire in rapporto a quale fra  le  due  figure  criminose  ritenga
rilevante la questione e senza indicare, altresi',  quale  reato  sia
stato contestato dal pubblico ministero. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile,  ancora,  per  la  mancata
puntuale  individuazione   della   norma   oggetto   delle   censure.
Nell'esprimere  dubbi  in  ordine  alla  legittimita'  costituzionale
«della  legge  che   consente   [il]   titolo   abilitante»   vantato
dall'indagata, il rimettente  non  avrebbe,  infatti,  specificato  a
quale «legge» abbia inteso riferirsi: se,  cioe',  alla  disposizione
che ha introdotto la SCIA (art. 49 del d.l. n. 78 del 2010),  o  alla
norma di interpretazione autentica che ha precisato che la  SCIA  non
sostituisce la «super-DIA» (art. 5, comma 2, lettera c, del  d.l.  n.
70 del 2011), ovvero alla legge reg. n. 4 del 2009  o,  ancora,  alla
legge reg. n. 21 del 2011. 
    Da ultimo, il rimettente avrebbe  sollecitato  una  pronuncia  in
malam partem in materia penale, esorbitante dai  poteri  della  Corte
costituzionale alla luce della sua costante giurisprudenza. 
    La censura riferita alla violazione del principio di  eguaglianza
sarebbe, poi, inammissibile in quanto formulata  genericamente.  Essa
non terrebbe, infatti, conto  della  complessa  disciplina  racchiusa
negli articoli da 2 a 6 della legge reg.  n.  4  del  2009,  i  quali
distinguono i diversi interventi edificatori  consentiti  dal  «piano
casa» in relazione alle differenti tipologie edilizie  dei  corpi  di
fabbrica gia' esistenti. 
    2.2.- Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. 
    Priva di fondamento sarebbe, anzitutto, la censura di  violazione
dell'art. 117  Cost.  e  dell'art.  3,  primo  comma,  dello  Statuto
speciale della Regione Sardegna. Da un lato, infatti - contrariamente
a quanto asserito dal rimettente - la legge reg. n. 4  del  2009  non
avrebbe affatto operato una  generale  «depianificazione»,  essendosi
limitata  a  consentire  circoscritti  ampliamenti   di   determinate
categorie di  fabbricati  gia'  legittimamente  esistenti,  e  dunque
conformi agli strumenti urbanistici. Dall'altro, la tesi in base alla
quale la pianificazione costituirebbe il solo possibile meccanismo di
governo del territorio sarebbe ampiamente smentita dalla legislazione
positiva e da tempo abbandonata dalla dottrina. 
    Parimenti insussistente sarebbe l'asserito contrasto  con  l'art.
117, primo comma, Cost., giacche'  la  norma  censurata  non  avrebbe
introdotto  alcuna  deroga  alle  disposizioni  sui  procedimenti  di
valutazione ambientale strategica, che attengono ad un diverso ambito
di  materia  (la  «tutela  dell'ambiente»,  e  non   l'«edilizia   ed
urbanistica»). In ogni caso, la  normativa  statale  richiede  che  i
piani gia' approvati siano sottoposti a VAS solo se le  modificazioni
che  si  vogliono  introdurre  possano  avere  effetti  significativi
sull'ambiente: ipotesi, questa, da ritenere «esclusa  a  priori»  per
gli interventi edificatori  disciplinati  dalla  legge  regionale  in
esame. 
    Insussistente sarebbe anche la denunciata violazione degli  artt.
117,  sesto  comma,  ultimo  periodo,  e  118  Cost.,  per   asserita
compromissione delle competenze dei Comuni in tema di  pianificazione
urbanistica. La censura trascurerebbe che  la  materia  «edilizia  ed
urbanistica» e' attribuita alla potesta' legislativa  primaria  della
Regione Sardegna dall'art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto:
potesta' che rimarrebbe svuotata di significato se  la  riserva  allo
Stato della determinazione delle  funzioni  fondamentali  dei  Comuni
avesse la portata assoluta attribuitale dall'ordinanza di rimessione. 
    L'impostazione  del  giudice   a   quo   risulterebbe,   inoltre,
incoerente con la disposizione del secondo comma dell'art. 118 Cost.,
in base alla quale il  compito  di  attribuire  ai  Comuni  le  varie
funzioni amministrative e' affidato alla «legge statale o  regionale,
secondo le  rispettive  competenze»:  laddove,  per  converso,  nella
prospettazione del rimettente, le competenze regionali risulterebbero
radicalmente  escluse.  La  Regione  Sardegna  e',   d'altro   canto,
titolare,  per  disposizione  statutaria,  anche   della   competenza
legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali  e
delle rispettive circoscrizioni» (art. 3,  primo  comma,  lettera  b,
dello statuto), in base alla quale potrebbe definire quali  siano  le
funzioni demandate ai Comuni. 
    Quanto,  poi,  alla  censura  di  violazione  del  principio   di
eguaglianza (art. 3 Cost.), correlata al fatto che la norma censurata
consentirebbe aumenti di volumetria su tutto il territorio  regionale
a prescindere dalla verifica delle esigenze concrete, essa poggerebbe
sull'erronea premessa che la legge regionale  permetta  di  edificare
indiscriminatamente, quando invece essa consente interventi  limitati
alle parti del territorio che il  piano  ha  gia'  riconosciuto  come
concretamente destinate all'edificazione e che, anzi, sono state gia'
oggetto di effettiva trasformazione nei sensi indicati dal piano. 
    Con riguardo, infine, alla  dedotta  invasione  della  competenza
legislativa esclusiva dello Stato  in  materia  penale,  occorrerebbe
considerare che la legge regionale in  esame  costituisce  attuazione
dell'intesa sul «piano casa» adottata il 31 marzo  2009  in  sede  di
Conferenza unificata. Sarebbe pertanto paradossale  se  le  norme  in
questione fossero poste nel nulla in nome dell'esigenza di  garantire
pretese attribuzioni dello Stato, quando e' proprio  quest'ultimo  ad
averle sollecitate. 
    Significativo sarebbe, del resto, il fatto che lo Stato non abbia
mai impugnato norme legislative adottate in attuazione dell'intesa da
Regioni ordinarie, di contenuto analogo a quella  oggi  sottoposta  a
scrutinio, mostrando cosi' di ritenerle rientranti  nella  competenza
di dette Regioni. A fortiori,  dunque,  l'adozione  di  simili  norme
dovrebbe ritenersi permessa  alla  Regione  Sardegna,  titolare,  per
statuto, di competenza legislativa piena in materia di  «edilizia  ed
urbanistica». 
    La conclusione troverebbe, inoltre, conforto nella giurisprudenza
costituzionale e, in particolare, nella  sentenza  n.  487  del  1989
della Corte, secondo la quale non sarebbe sufficiente che  una  legge
regionale determini indirette conseguenze in materia  penale  perche'
si possa ritenere che essa  abbia  invaso  il  campo  riservato  alla
legislazione statale. Se cosi' non fosse, d'altro  canto,  lo  Stato,
«brandendo l'arma dello ius puniendi», potrebbe non solo limitare, ma
addirittura eliminare ogni spazio di  autonomia  legislativa  per  le
Regioni, ivi comprese quelle speciali, anche nelle  materie  di  loro
competenza piena. 
    3.- Si e'  costituita  altresi'  B.A.,  persona  sottoposta  alle
indagini nel procedimento a  quo,  chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile o respinta nel merito. 
    3.1.- Dopo  aver  analiticamente  esposto  lo  svolgimento  della
vicenda concreta, la parte privata assume che  la  questione  sarebbe
inammissibile per difetto di rilevanza, giacche' le opere edilizie di
cui si discute, al momento della loro  esecuzione,  erano  pienamente
lecite in base alla norma regionale denunciata:  con  la  conseguenza
che, anche in caso di accoglimento della questione, dovrebbe comunque
applicarsi la normativa vigente al momento del fatto, in  quanto  lex
mitior. 
    Al riguardo, sarebbe inconferente il richiamo del giudice  a  quo
alla sentenza n. 148 del 1983, in tema di norme penali di  favore.  A
differenza  delle  norme  allora  poste  all'attenzione  della  Corte
costituzionale, la disposizione in esame non sarebbe, infatti, «norma
di diritto penale, ma di diritto amministrativo», onde non vi sarebbe
l'esigenza   di   evitare   la   creazione    di    «zone    franche»
dell'ordinamento,  sottratte  al  sindacato   di   costituzionalita',
potendo   la   questione   essere   sollevata   anche   dal   giudice
amministrativo. Nella specie,  inoltre,  la  questione  si  inserisce
nella  fase  delle  indagini  preliminari,  la  quale  non   potrebbe
concludersi altrimenti che con  un  provvedimento  di  archiviazione:
sicche' la declaratoria di illegittimita' costituzionale non potrebbe
avere le implicazioni individuate dalla Corte nella citata  sentenza,
quale la possibilita' di incidere sulle formule di proscioglimento  o
sul dispositivo della sentenza penale. 
    Un ulteriore motivo di inammissibilita' si connetterebbe al fatto
che  il  giudice  a  quo  non  avrebbe   tentato   di   offrire   una
interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata. 
    3.2.- Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata. 
    La Regione  avrebbe,  infatti,  esercitato  la  propria  potesta'
legislativa nel rispetto delle previsioni costituzionali, essendo  la
materia edilizia ed urbanistica  di  competenza  regionale  ai  sensi
dell'art. 117 Cost. ed espressamente prevista, altresi', dall'art.  3
dello Statuto speciale della Regione Sardegna. 
    Riguardo, poi, all'asserita violazione dell'art.  118  Cost.,  se
pure e' indubbio che le funzioni amministrative spettino ai Comuni  e
che la  pianificazione  urbanistica  rientri  tra  queste,  esse  non
potrebbero comunque prescindere dalle indicazioni fornite dalle norme
legislative statali e regionali vigenti,  tra  le  quali  si  colloca
quella oggetto di scrutinio. 
    Insussistente sarebbe,  inoltre,  la  violazione  dell'art.  117,
primo comma, Cost., con riferimento  alla  direttiva  n.  2001/42/CE,
giacche', per un verso, tale direttiva  concernerebbe  i  piani  e  i
programmi elaborati o adottati da un'autorita' a  livello  nazionale,
regionale o locale, rendendo quindi irrilevante  la  distinzione  tra
Stato, Regione ed ente locale; per altro verso, la predetta direttiva
prevede, all'art. 3, paragrafo 3, un'eccezione alla necessita'  della
valutazione ambientale strategica e consente, in tal caso, una libera
scelta degli Stati membri attraverso i competenti  organi  dotati  di
potesta' legislative. 
    Per quanto riguarda, infine, la dedotta  violazione  degli  artt.
117, sesto comma, e 118 Cost., l'affermazione secondo cui la funzione
comunale di pianificazione  sarebbe  stata  completamente  esautorata
risulterebbe eccessiva, posto  che  la  norma  regionale  prevede  un
semplice ampliamento volumetrico dei  fabbricati,  legato  a  precisi
presupposti e circoscritto entro limiti ben determinati. 
    4.- Tanto la  Regione  che  la  parte  privata  hanno  depositato
memorie illustrative, con le quali hanno insistito nelle  conclusioni
gia' formulate, ribadendo e sviluppando gli argomenti addotti a  loro
sostegno. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di
Oristano dubita della legittimita' costituzionale dell'art.  2  della
legge della Regione autonoma della Sardegna 23  ottobre  2009,  n.  4
(Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il
rilancio del settore edilizio e per la  promozione  di  interventi  e
programmi di valenza strategica per lo sviluppo), nella parte in  cui
consente l'ampliamento dei fabbricati ad uso residenziale, di  quelli
destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli  relativi  ad
attivita' produttive, entro il  limite  del  venti  per  cento  della
volumetria esistente, «anche mediante  il  superamento  degli  indici
massimi di edificabilita' previsti dagli strumenti urbanistici». 
    La  norma  censurata  violerebbe,  anzitutto,  l'art.  117  della
Costituzione e l'art. 3, primo comma, della legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la  Sardegna),  in  quanto,
autorizzando in modo diretto e immediato ampliamenti volumetrici  dei
fabbricati in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici,  si
porrebbe  in  contrasto  con  il  «sistema  della  pianificazione»  -
qualificabile come «normativa di principio dell'ordinamento giuridico
della Repubblica»  e  come  espressione  «degli  interessi  nazionali
rappresentati  dal  sistema  di  composizione  degli  interessi   del
territorio» - che assegna in modo preminente ai  Comuni,  quali  enti
locali piu' vicini  al  territorio,  la  valutazione  generale  degli
interessi coinvolti nell'attivita' urbanistica ed edilizia. 
    La norma denunciata violerebbe, inoltre, l'art. 117, primo comma,
Cost., in quanto consentirebbe deroghe generalizzate alle  previsioni
dei  piani  urbanistici  comunali  in   assenza   della   valutazione
ambientale strategica, imposta dalla direttiva  27  giugno  2001,  n.
2001/42/CE  (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e   del   Consiglio
concernente la valutazione  degli  effetti  di  determinati  piani  e
programmi sull'ambiente); nonche' gli artt. 117, sesto comma,  ultimo
periodo, e 118 Cost., in quanto esautorerebbe  i  Comuni  delle  loro
competenze   in   tema   di   pianificazione   urbanistica:   materia
qualificabile come «funzione fondamentale dei comuni»  e,  in  quanto
tale, oggetto di legislazione esclusiva dello Stato. 
    La disposizione regionale violerebbe anche l'art.  3  Cost.,  per
contrasto con il principio di eguaglianza, sotto un triplice profilo.
In primo luogo,  perche'  assoggetterebbe  alla  medesima  disciplina
situazioni diverse, consentendo aumenti volumetrici sia nelle zone in
cui le esigenze da considerare sono gia' state oggetto di valutazione
nell'ambito degli ordinari poteri pianificatori dei Comuni, sia nelle
zone in cui detti aumenti  rispondono  effettivamente  a  un  bisogno
collettivo. In secondo luogo, perche' creerebbe nel territorio  sardo
una «zona  bianca»,  sottratta  al  regime  della  pianificazione,  a
differenza del territorio di altre Regioni. In terzo  luogo,  perche'
renderebbe lecita in Sardegna un'attivita' edilizia contrastante  con
gli strumenti urbanistici, penalmente repressa nelle altre parti  del
territorio nazionale. 
    La norma censurata violerebbe, infine,  la  competenza  esclusiva
dello Stato in materia penale, sancita dagli artt. 25  e  117  Cost.,
venendo a restringere la sfera applicativa della norma incriminatrice
di cui all'art. 44, comma 1, lettera a), del decreto  del  Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380   (Testo   unico   delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia -  Testo
A), tramite la depenalizzazione tanto degli  interventi  edilizi  non
conformi alla pianificazione, che del  superamento  della  volumetria
massima. 
    2.- In via  preliminare,  va  rilevato  che  la  questione  viene
risollevata dopo che, in relazione ad  una  precedente  ordinanza  di
rimessione emessa  nel  medesimo  procedimento,  questa  Corte  aveva
disposto la restituzione degli atti al giudice a  quo  per  un  nuovo
esame della rilevanza alla luce dello ius superveniens, rappresentato
dalla norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma  2,
lettera c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo
-  Prime  disposizioni  urgenti  per  l'economia),  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 12  luglio  2011,  n.  106,  la  quale  ha
chiarito entro quali limiti l'istituto della segnalazione certificata
di inizio attivita'  (SCIA)  sostituisca  quello  della  denuncia  di
inizio attivita' (DIA) nella materia edilizia (ordinanza n.  237  del
2011). In quell'occasione, infatti, il  rimettente  aveva  basato  la
valutazione di rilevanza della questione sul presupposto che la  DIA,
prevista dalla legge reg. n. 4 del 2009 per l'esecuzione delle  opere
oggetto del procedimento a quo,  fosse  stata  senz'altro  sostituita
dalla SCIA: laddove, per converso, in base alla norma dianzi  citata,
tale fenomeno non si verifica quando si tratti di una DIA alternativa
o sostitutiva del permesso di costruire. 
    Con l'odierna ordinanza di rimessione, il giudice a quo  rimodula
l'iter argomentativo, assumendo che la questione resterebbe rilevante
tanto ove si ritenga che, alla luce della norma in  parola,  la  SCIA
abbia surrogato la DIA richiesta dalla legge regionale (ipotesi nella
quale l'attivita' dell'indagata sarebbe suscettibile  di  configurare
il solo reato di cui alla lettera a dell'art. 44, comma 1, del d.P.R.
n. 380 del 2001, trattandosi di ampliamento di un fabbricato oltre  i
limiti  massimi   di   edificabilita'   stabiliti   dagli   strumenti
urbanistici);  quanto  ove  si  opti  per   la   soluzione   opposta,
prospettata  dal  rimettente  in  via  subordinata  (nel  qual   caso
l'indagata potrebbe essere chiamata a rispondere, in  tesi,  sia  del
reato di cui alla lettera b del medesimo articolo,  con  riguardo  ai
lavori eseguiti prima della scadenza del termine dilatorio di  trenta
giorni dalla presentazione della DIA, sia, e di nuovo, del  reato  di
cui alla lettera a, quanto ai lavori successivi a detta scadenza). 
    In riferimento ad entrambe  le  ipotesi,  il  giudice  a  quo  ha
rilevato, a comprova dell'assunto, che la possibilita'  di  ravvisare
il reato di cui alla lettera a) - e, conseguentemente, di disporre il
sequestro preventivo richiesto dal  pubblico  ministero  al  fine  di
evitare la prosecuzione di un'attivita' edilizia contra legem - resta
subordinata alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale della
norma regionale censurata, sulla cui base l'indagata ha  operato,  la
quale consente ampliamenti volumetrici dei fabbricati esistenti anche
in deroga  agli  indici  massimi  di  edificabilita'  previsti  dagli
strumenti urbanistici. 
    Si tratta di una prospettazione non implausibile, e  tanto  basta
ai fini dell'ammissibilita'  della  questione,  a  prescindere  dalle
obiezioni cui si espongono  gli  ulteriori  e  concorrenti  argomenti
sviluppati dal rimettente, che non occorre pertanto qui esaminare. 
    3.- Infondata e',  poi,  l'eccezione  di  inammissibilita'  della
questione, formulata, sotto diverse angolazioni, tanto dalla  Regione
che  dalla  parte  privata  sul  rilievo  che  il   rimettente   mira
inequivocabilmente a conseguire una  pronuncia  in  malam  partem  in
materia penale. 
    Per giungere a tale conclusione non e'  necessario  far  richiamo
all'orientamento della giurisprudenza di questa Corte,  invocato  dal
giudice a quo, che ritiene ammissibile il sindacato  di  legittimita'
costituzionale, anche in malam partem, sulle cosiddette norme  penali
di favore (ex plurimis, sentenze n. 79 del 2009, n. 324 del 2008,  n.
148 del 1983): qualifica  che  pure  potrebbe  competere  alla  norma
censurata alla  luce  del  criterio  di  identificazione  basato  sul
paradigma della "specialita' sincronica", ossia sull'esistenza di  un
rapporto  di  specialita'  tra  le  norme  poste  a  raffronto   (nel
frangente, la norma regionale censurata e l'art. 44, comma 1, lettera
a, del d.P.R. n. 380 del 2001) e sulla  loro  contemporanea  presenza
nell'ordinamento (sentenza n. 394 del 2006). 
    Nel  caso  in  esame,  e'  dirimente  il   rilievo,   logicamente
prioritario, che la preclusione delle pronunce in  malam  partem  non
puo' venire comunque in considerazione quando sia in discussione  non
il "quomodo" dell'esercizio della potesta' legislativa, ma la  stessa
idoneita' della fonte di produzione normativa. 
    Secondo la giurisprudenza da  tempo  costante  di  questa  Corte,
l'impedimento   all'adozione   di    pronunce    di    illegittimita'
costituzionale di segno sfavorevole per il reo si radica non gia'  in
una ragione meramente processuale - di  irrilevanza,  nel  senso  che
l'eventuale decisione di accoglimento non potrebbe  trovare  comunque
applicazione  nel  giudizio  a  quo,  alla  luce  del  principio   di
irretroattivita' delle norme penali sfavorevoli - quanto piuttosto in
una ragione di ordine sostanziale, intimamente connessa al  principio
della riserva di legge espresso dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.
Demandando il potere di  normazione  in  materia  penale,  in  quanto
incidente sui diritti fondamentali dell'individuo (e, in particolare,
sulla liberta' personale), all'istituzione che costituisce la massima
espressione della rappresentanza  politica  -  ossia  al  Parlamento,
eletto a suffragio  universale  dall'intera  collettivita'  nazionale
(sentenze n. 230 del 2012, n. 394 del 2006 e n. 487 del 1989) - detto
principio impedisce  alla  Corte  sia  di  creare  nuove  fattispecie
criminose o di estendere quelle esistenti a casi non previsti, sia di
incidere in peius sulla  risposta  punitiva  o  su  aspetti  comunque
inerenti alla punibilita' (ex plurimis, ordinanze n. 285 del 2012, n.
204, n. 66 e n. 5 del 2009). 
    Ma  se  l'esclusione  delle  pronunce  in  malam  partem  mira  a
salvaguardare il monopolio del «soggetto-Parlamento» sulle scelte  di
criminalizzazione, voluto dall'art. 25, secondo comma, Cost., sarebbe
del  tutto  illogico  che  detta  preclusione  possa   scaturire   da
interventi normativi operati da  soggetti  non  legittimati,  proprio
perche' non rappresentativi  dell'intera  collettivita'  nazionale  -
quale  il  Governo,  che  si  serva  dello  strumento   del   decreto
legislativo senza il supporto della legge di delegazione parlamentare
(come nel caso recentemente esaminato dalla sentenza n. 5 del  2014),
ovvero un Consiglio regionale (come nel caso oggi in esame) - i quali
pretendano, in ipotesi, di "neutralizzare" le  scelte  effettuate  da
chi  detiene  quel  monopolio.  In  simili   evenienze,   l'eventuale
decisione in malam partem della Corte non solo  non  collide  con  la
previsione dell'art. 25, secondo comma,  Cost.,  ma  vale,  anzi,  ad
assicurarne il rispetto. 
    Quanto, poi, al versante processuale, questa Corte ha  ancora  di
recente ribadito che a rendere ammissibili le  questioni  incidentali
e' sufficiente che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio  a
quo (come certamente avviene nel caso oggi in  esame)  e,  dunque,  a
determinare effetti su di esso, senza che rilevi il "senso"  di  tali
effetti per le  parti  in  causa  (sentenza  n.  294  del  2011).  La
valutazione «del modo in cui il sistema  normativo  reagisce  ad  una
sentenza costituzionale di accoglimento» non e', infatti, compito  di
questa Corte, «in quanto la stessa spetta  al  giudice  del  processo
principale, unico competente a definire il giudizio da cui prende  le
mosse l'incidente di costituzionalita'» (sentenza n.  28  del  2010).
Spetterebbe, pertanto, all'odierno rimettente stabilire  le  puntuali
conseguenze applicative che  potrebbero  derivare  da  una  eventuale
sentenza di accoglimento della questione oggi sollevata (sentenza  n.
5 del 2014), quale, in  specie,  la  possibilita'  di  accedere  alla
richiesta di sequestro preventivo  del  pubblico  ministero,  sebbene
l'attivita' edilizia in discussione si sia svolta sinora  nel  vigore
della norma  regionale  "liceizzante",  in  assunto  illegittimamente
emanata. La pronuncia di  accoglimento  influirebbe,  in  ogni  caso,
sull'esercizio della funzione giurisdizionale per ragioni analoghe  a
quelle evidenziate da questa Corte in rapporto alle norme  penali  di
favore (sentenze n. 394 del 2006 e  n.  148  del  1983),  mutando  le
premesse normative della decisione che il rimettente e'  chiamato  ad
assumere: detta decisione, infatti, anche se di segno favorevole  per
l'indagata,   dovrebbe   fondarsi   su   un    presupposto    diverso
dall'insussistenza di un fatto riconducibile  al  paradigma  punitivo
astratto. 
    Si  aggiunga,  con  specifico   riferimento   all'odierno   thema
decidendum, che questa Corte  ha,  gia'  in  passato,  reiteratamente
scrutinato nel merito - e in piu' occasioni accolto  -  questioni  di
legittimita' costituzionale in malam partem aventi ad  oggetto  norme
regionali, sollevate nell'ambito  di  giudizi  penali  (ex  plurimis,
sentenze n. 234 del 1995, n. 110 e n. 96 del 1994, n. 437, n. 307, n.
306 del 1992, n. 504, n. 213, n. 117 e n. 14 del 1991). 
    4.- Le ulteriori eccezioni di  inammissibilita'  formulate  dalla
Regione e dalla parte privata sono parimenti infondate. 
    Per  quanto  attiene  alle  eccezioni  della  Regione,   non   e'
ravvisabile, anzitutto, un'omessa descrizione  dei  fatti  di  causa,
giacche' dall'ordinanza di rimessione emergono  in  modo  adeguato  e
puntuale i passaggi salienti della vicenda concreta  sulla  quale  il
giudice a quo e' chiamato a pronunciarsi, nei termini  in  precedenza
riferiti. 
    Neppure e' riscontrabile l'eccepito difetto di motivazione  sulla
rilevanza,  per  essersi  il  rimettente  limitato  a  richiamare  la
richiesta di  sequestro  preventivo  del  pubblico  ministero,  senza
esprimere un «convincimento  adesivo»  ad  essa.  Il  giudice  a  quo
deduce,  infatti,  chiaramente  che,  ove  non  vi  fosse  la   norma
censurata, potrebbero essere riconosciuti i presupposti della  misura
richiesta, sia sotto il profilo del fumus commissi delicti che  delle
esigenze cautelari. 
    Il  rimettente  non  ha,  per  altro  verso,  prospettato  alcuna
alternativa irrisolta tra la possibilita' di contestare il  reato  di
cui alla lettera b) o quello di cui alla  lettera  a)  dell'art.  44,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001: ha  prospettato  invece  -  come
gia' ricordato - due ipotesi in via  subordinata  tra  loro  (che  si
configuri il solo reato di cui alla lettera a,  se  la  DIA  prevista
dalla legge regionale fosse  stata  sostituita  dalla  SCIA;  che  si
configurino entrambi i reati, nel  caso  opposto).  Contrariamente  a
quanto  asserito  dalla  Regione,  il  giudice  a  quo  ha,  inoltre,
chiaramente indicato quale reato e'  stato  ipotizzato  dal  pubblico
ministero nel formulare la richiesta di sequestro (quello di cui alla
lettera a). 
    Non  si  coglie,   infine,   alcuna   ambiguita'   od   oscurita'
nell'individuazione  del  testo  normativo  oggetto  delle   censure,
inequivocamente identificato dal rimettente nell'art. 2  della  legge
reg. n. 4 del 2009. 
    Quanto,  poi,  all'eccezione  di  inammissibilita'   per   omessa
sperimentazione di una interpretazione costituzionalmente  orientata,
formulata dalla parte privata, essa risulta del tutto  generica,  non
essendo spiegato in qual  modo  la  norma  censurata  -  univoca  nel
consentire interventi edilizi con «superamento degli  indici  massimi
di edificabilita' previsti dagli strumenti  urbanistici»  -  potrebbe
essere letta in  modo  tale  da  superare  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale prospettati dal rimettente. 
    5.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    La legge reg. Sardegna  n.  4  del  2009  costituisce  attuazione
dell'intesa sul cosiddetto «piano casa», raggiunta tra Stato, Regioni
ed enti locali in sede di Conferenza unificata il  31  marzo  2009  e
formalmente sancita con deliberazione della medesima  Conferenza  del
1° aprile 2009:  intesa  promossa  dal  Governo,  con  la  dichiarata
finalita'   di   rilancio   dell'economia,   tramite    la    ripresa
dell'attivita' edilizia, quale misura per far fronte alla  situazione
di crisi. 
    Oggetto dell'intesa era l'impegno  delle  Regioni  ad  approvare,
entro novanta giorni, proprie leggi -  con  «validita'  temporalmente
definita, comunque non superiore a 18 mesi» - le quali consentissero:
a) incrementi, entro il venti per cento della  volumetria  esistente,
di edifici residenziali uni o bifamiliari o  comunque  di  volumetria
non superiore ai mille metri  cubi;  b)  interventi  straordinari  di
demolizione e ricostruzione di edifici a  destinazione  residenziale,
con ampliamento entro il limite  del  trentacinque  per  cento  della
volumetria esistente (venendo,  peraltro,  espressamente  esclusa  la
possibilita' di operare su «edifici abusivi o nei centri storici o in
aree di inedificabilita' assoluta»). Le Regioni  si  sono  impegnate,
per altro verso, ad  introdurre  «forme  semplificate  e  celeri  per
l'attuazione» delle opere di cui si discute. 
    Sono  state  fatte  salve,  in  ogni   caso,   sia   l'«autonomia
legislativa   regionale»   nel   promuovere   ulteriori   forme    di
incentivazione volumetrica e diverse tipologie di  intervento  e  nel
definire gli ambiti nei quali gli interventi sono esclusi o limitati;
sia - e piu' in generale -  «ogni  prerogativa  costituzionale  delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome». 
    6.- Le Regioni hanno dato  attuazione  all'intesa,  munendosi  di
proprie  leggi  sul  «piano  casa»,  recanti   discipline   piuttosto
variegate quanto  all'ampiezza  e  alle  modalita'  degli  interventi
consentiti. La larga maggioranza delle  leggi  regionali  ha  d'altro
canto  previsto,  con  diverse  formule,  che   gli   interventi   di
ampliamento  possano  essere  realizzati   anche   in   deroga   alle
prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici  localmente  vigenti,   e
particolarmente di quelle relative ai limiti volumetrici. 
    Nella medesima direzione si e' mossa anche la  Regione  Sardegna,
con la citata legge n. 4 del 2009. Per quanto qui interessa, l'art. 2
di detta legge - norma oggi impugnata - consente, al comma 1,  «anche
mediante  il  superamento  degli  indici  massimi  di  edificabilita'
previsti dagli  strumenti  urbanistici  ed  in  deroga  alle  vigenti
disposizioni  normative  regionali,  l'adeguamento   e   l'incremento
volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a
servizi connessi alla residenza e di  quelli  relativi  ad  attivita'
produttive, nella misura massima, per  ciascuna  unita'  immobiliare,
del 20  per  cento  della  volumetria  esistente»  (intendendosi  per
volumetria esistente  «quella  realizzata  alla  data  del  31  marzo
2009»). 
    Il comma 2 dello stesso art. 2 -  dopo  aver  richiesto,  in  via
generale, che gli adeguamenti ed incrementi si inseriscano  «in  modo
organico e coerente con i  caratteri  formali  e  architettonici  del
fabbricato  esistente»  e  che  costituiscano   «strumento   per   la
riqualificazione dello stesso» - diversifica le  possibili  modalita'
dell'intervento a seconda  della  tipologia  del  fabbricato  (uni  o
bifamiliare, sottotetto, singolo piano, ecc.). 
    Nei successivi commi dell'art. 2 sono indicati, altresi', i  casi
nei quali  l'incremento  consentito  della  volumetria  e'  aumentato
(commi 3 e 8), ovvero diminuito (commi 4 e 5). 
    Gli interventi in questione (al  pari  di  quelli  previsti,  per
determinate categorie di immobili, dagli artt. 3, 4 e 6  della  legge
in questione) non possono comunque avere ad oggetto edifici abusivi o
immobili di particolare interesse (artistico, storico,  archeologico,
ecc.: art. 8, comma 1). 
    Fatta  eccezione  per  talune  ipotesi,  gli   interventi   «sono
assoggettati alla procedura di  denuncia  di  inizio  attivita'»,  da
avviare entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge  (art.
10, commi 3 e 4; termine peraltro prorogato da leggi successive). 
    7.- Cio' premesso, deve escludersi che la norma  censurata  violi
gli artt. 117 Cost. e 3, primo comma, dello  Statuto  speciale  della
Regione Sardegna, in  ragione  del  suo  asserito  contrasto  con  il
«sistema della pianificazione», che assegna  in  modo  preminente  ai
Comuni, quali enti locali piu' vicini al territorio,  la  valutazione
generale degli  interessi  coinvolti  nell'attivita'  urbanistica  ed
edilizia. 
    L'art. 117 Cost. - il cui terzo comma  attribuisce  alle  Regioni
potesta'  legislativa  concorrente  in  materia   di   «governo   del
territorio» - e' parametro, per questo verso, inconferente alla  luce
della "clausola di maggior favore" dettata dall'art. 10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione). L'art. 3, primo comma, lettera f),
dello statuto riconosce, infatti, alla Regione Sardegna una autonomia
piu' ampia di quella risultante dalla norma costituzionale  generale,
attribuendole  potesta'  legislativa  primaria,  ossia  piena,  nella
materia dell'«edilizia ed urbanistica», entro la quale si colloca  la
norma censurata. 
    Quanto, poi, al parametro statutario, anche riconoscendo  che  il
«sistema della pianificazione» - evocato, peraltro, dal rimettente in
modo del tutto generico, senza alcun riferimento alle relative  fonti
normative - assurga a  «principio  dell'ordinamento  giuridico  della
Repubblica» e ad espressione degli «interessi  nazionali»,  limitando
percio' l'esplicazione della competenza legislativa regionale di  cui
discute, e' dirimente il rilievo che il principio  in  questione  non
potrebbe ritenersi cosi' assoluto e stringente da impedire alla legge
regionale - che e' fonte normativa primaria,  sovraordinata  rispetto
agli strumenti urbanistici locali - di prevedere interventi in deroga
quantitativamente,  qualitativamente  e  temporalmente  circoscritti,
come quelli di cui si discute. 
    Al riguardo, deve  infatti  escludersi  che  la  norma  censurata
assuma  una  vera  e  propria  valenza  "eversiva"  del  «sistema  di
pianificazione», cosi' come sostiene il  rimettente.  Gli  incrementi
volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilita' previsti
dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti - in via
straordinaria e temporanea e  con  modalita'  specifiche,  diverse  a
seconda  delle  tipologie  di  fabbricati  -  solo  su  edifici  gia'
esistenti e che si presuppongono conformi  alle  predette  previsioni
urbanistiche (essendo espressamente esclusi, come detto, gli  edifici
abusivi), nonche'  alla  condizione  -  verificabile  dai  competenti
organi  comunali  ai  fini  dell'eventuale   esercizio   del   potere
inibitorio delle opere dopo la presentazione  della  DIA  -  che  gli
incrementi stessi «si inseriscano in modo organico e coerente  con  i
caratteri architettonici del fabbricato  esistente»  e  costituiscano
«strumento per la riqualificazione dello  stesso  in  relazione  alla
tipologia edilizia interessata». 
    Specifiche ipotesi di interventi edilizi in deroga agli strumenti
urbanistici sono state e sono, del resto, previste da numerose  norme
regionali - tanto di Regioni ordinarie che a statuto speciale - anche
per finalita' diverse dall'attuazione dell'intesa  sul  «piano  casa»
(quali, ad esempio, il  recupero  a  fini  abitativi  dei  sottotetti
esistenti o il sostegno a soggetti portatori di handicap): norme  che
questa Corte ha ritenuto censurabili  non  in  assoluto,  ma  ove  la
deroga investa profili evocativi di specifici  titoli  di  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  quale,  in   particolare,   la
disciplina  delle  distanze  tra  i  fabbricati  posta  dal   decreto
ministeriale  2  aprile  1968,  n.  1444,  rientrante  nella  materia
dell'«ordinamento civile» (al riguardo, ordinanza n. 173  del  2011).
Ipotesi, questa, non riscontrabile - ne' dedotta - nel caso in esame. 
    8.-  Considerazioni  analoghe  valgono  anche  ad  escludere   la
configurabilita' della denunciata violazione degli artt.  117,  sesto
comma, ultimo periodo, e 118 Cost.,  per  avere  la  norma  censurata
«esautorato» i Comuni delle loro competenze in tema di pianificazione
urbanistica:  materia  qualificabile,  in  assunto,  come   «funzione
fondamentale» dei  Comuni  stessi  e,  in  quanto  tale,  oggetto  di
legislazione  esclusiva  dello  Stato  (ai  sensi  della  lettera   p
dell'art. 117, secondo comma, Cost.). 
    A prescindere da ogni altro rilievo - e,  in  particolare,  dalla
circostanza, trascurata dal rimettente, che lo statuto  di  autonomia
riconosce alla Regione Sardegna potesta'  legislativa  primaria,  non
solo  in  materia  di  «edilizia  ed  urbanistica»,   ma   anche   di
«ordinamento degli enti locali» (art. 3,  lettera  b)  e  stabilisce,
altresi', il principio del parallelismo tra  funzioni  legislative  e
funzioni amministrative (art. 6) - non si  puo'  comunque  addebitare
alla norma denunciata, cosi' come ritiene il giudice a quo,  di  aver
"svuotato"  le  funzioni   comunali   in   tema   di   pianificazione
urbanistica, posto  che  essa  si  limita  a  consentire  ampliamenti
volumetrici di edifici esistenti ad una certa  data  in  deroga  agli
indici massimi di fabbricabilita', collegati a specifici  presupposti
e circoscritti in limiti ben determinati. 
    9.- Insussistente e' anche la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., connessa, secondo il rimettente, al fatto che la  norma
denunciata consentirebbe deroghe alla pianificazione  comunale  anche
in assenza della valutazione ambientale strategica  (VAS),  richiesta
dalla direttiva n. 2001/42/CE, recepita con il decreto legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    Analogamente a quanto gia' rilevato da questa  Corte  in  ipotesi
similari, si deve in effetti escludere che la disposizione  censurata
eluda la disciplina considerata. Essa  regola,  infatti,  soltanto  i
profili urbanistici degli interventi  di  ampliamento,  senza  recare
alcuna clausola di  esclusione  dell'applicabilita'  della  normativa
sulla VAS: normativa che, d'altra parte, essendo di portata generale,
trova applicazione nei casi da essa previsti senza necessita' di  uno
specifico richiamo (sentenza n. 168 del 2010,  con  riferimento  alla
valutazione di impatto ambientale; con riguardo alla VAS, sentenza n.
251 del 2013). 
    10.- Parimenti  infondata  e'  la  censura  di  violazione  della
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia penale (artt.
25 e 117 Cost.),  per  avere  la  norma  denunciata  reso  lecita  in
Sardegna una condotta (l'edificazione in contrasto con gli  strumenti
urbanistici) che, in base all'art.  44,  comma  1,  lettera  a),  del
d.P.R. n. 380 del 2001, dovrebbe rimanere invece soggetta a pena. 
    Questa  Corte  ha  infatti  riconosciuto  che   la   legislazione
regionale - pur non potendo costituire fonte diretta  e  autonoma  di
norme penali, ne' nel senso di introdurre nuove  incriminazioni,  ne'
in  quello  di  rendere  lecita  un'attivita'  penalmente  sanzionata
dall'ordinamento nazionale (a  quest'ultimo  riguardo,  ex  plurimis,
sentenze n. 185 del 2004, n. 504, n. 213 e n. 14 del  1991)  -  puo',
tuttavia, «concorrere a precisare, secundum legem, i  presupposti  di
applicazione  di  norme  penali  statali»,  svolgendo,  in   pratica,
«funzioni analoghe a quelle che  sono  in  grado  di  svolgere  fonti
secondarie statali»: cio', particolarmente quando  la  legge  statale
«subordini  effetti  incriminatori  o   decriminalizzanti   ad   atti
amministrativi (o legislativi)  regionali»  (il  riferimento  e',  in
particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze  n.  63
del 2012 e n. 487 del 1989). 
    Nella specie, e' pacifico che il citato art. 44, comma 1, lettera
a), del d.P.R. n. 380 del 2001 - che punisce  con  l'ammenda  fino  a
20.658 euro le trasformazioni del territorio operate in violazione di
norme, prescrizioni e modalita'  esecutive  previste  dal  Titolo  IV
dello  stesso  decreto,  nonche'  dai  regolamenti   edilizi,   dagli
strumenti urbanistici e dal permesso di  costruire  -  configuri  una
norma penale in bianco. Essa rinvia, infatti, ad una serie  di  altre
fonti normative, primarie e secondarie, e ad atti amministrativi  per
l'individuazione dei precetti penalmente sanzionati. 
    11.- Per quanto  riguarda,  infine,  le  censure  concernenti  la
lesione del principio di eguaglianza (art. 3  Cost.)  -  escluso  che
possa ravvisarsi  il  profilo  di  inammissibilita'  per  genericita'
eccepito dalla Regione - e' sufficiente osservare che  si  tratta  di
doglianze meramente "ancillari"  rispetto  a  quelle  prospettate  in
riferimento agli altri parametri,  precedentemente  esaminate,  delle
quali condividono pertanto la sorte. 
    E' evidente, in particolare,  che  la  denunciata  diversita'  di
regime  tra  il  territorio  sardo  e  altre  parti  d'Italia  (fermo
restando, peraltro, che la larga maggioranza delle altre  Regioni  ha
adottato una disciplina piu' o meno analoga  a  quella  censurata  in
tema di «piano  casa»)  in  tanto  potrebbe  integrare,  ex  se,  una
violazione dell'art. 3 Cost., in quanto si neghi  la  spettanza  alla
Regione del potere di incidere,  con  proprie  norme,  sulla  materia
considerata. e' fisiologicamente connaturata  allo  stesso  principio
regionalistico, la possibilita' di regimi differenziati della  stessa
fattispecie  tra  Regione  e  Regione,  giustificando  cosi'  sia  la
specifica  regolamentazione  della   pianificazione   nella   Regione
Sardegna, sia il compimento di attivita'  edilizie  contrastanti  con
gli strumenti urbanistici, penalmente sanzionate in altre Regioni. 
    12.- La questione va dichiarata, dunque, non fondata in  rapporto
a tutti i parametri evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2 della legge della  Regione  autonoma  della  Sardegna  23
ottobre 2009,  n.  4  (Disposizioni  straordinarie  per  il  sostegno
dell'economia mediante il rilancio del  settore  edilizio  e  per  la
promozione di interventi e programmi di  valenza  strategica  per  lo
sviluppo), sollevata, in riferimento agli artt.  3,  25,  117  e  118
della  Costituzione  e  all'art.  3  della  legge  costituzionale  26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna ), dal  Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Oristano con l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta il 10 marzo 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                   Massimiliano BONI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2014. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Massimiliano BONI