N. 115 SENTENZA 5 - 7 maggio 2014

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. 
 
Immunita'  parlamentare  -  Procedimento  penale  per  il  reato   di
  diffamazione a mezzo stampa a carico di un senatore per le opinioni
  da questi espresse nei confronti di un magistrato. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 3 agosto  2010  (Doc.
  IV-ter, n.17-A). 
-   
(GU n.21 del 14-5-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 3
agosto 2010, relativa alla insindacabilita', ai sensi  dell'art.  68,
primo comma, della Costituzione, delle opinioni  espresse  nel  libro
intitolato «Lo sbirro e lo Stato» dal senatore Raffaele Iannuzzi  nei
confronti del dottor Guido Lo Forte ed altri, promosso dal  Tribunale
ordinario di Roma,  con  ricorso  notificato  il  19  febbraio  2013,
depositato in cancelleria il 5 marzo 2013 ed iscritto  al  n.  6  del
registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di merito. 
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  aprile  2014  il   Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato Tommaso Edoardo  Frosini  per  il  Senato  della
Repubblica. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con  ricorso  depositato  il  9  agosto  2012,  il  Tribunale
ordinario di Roma, in composizione monocratica, ha promosso conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della
Repubblica, in relazione alla deliberazione del 3 agosto  2010  (Doc.
IV-ter,   n.17-A)   con   la   quale   l'Assemblea   ha    dichiarato
l'insindacabilita' delle  opinioni  espresse  da  Raffaele  Iannuzzi,
all'epoca dei fatti senatore  della  Repubblica,  nei  confronti  dei
magistrati Guido Lo  Forte,  Giancarlo  Caselli,  Antonio  Ingroia  e
Ignazio De Francisci. 
    Il ricorrente espone che oggetto del  giudizio  de  quo  sono  le
affermazioni  (analiticamente  trascritte   nei   singoli   capi   di
imputazione riportati nel ricorso) contenute nel libro intitolato «Lo
sbirro e lo Stato», a firma del  senatore  Iannuzzi,  pubblicato  nel
2008  (con  il  quale  l'autore  aveva,  tra  l'altro,  riproposto  i
contenuti di un suo precedente articolo, apparso su «Il Giornale» del
7 novembre 2004 e intitolato «Mafia: 13 anni  di  scontri  tra  PM  e
Carabinieri»). Tali dichiarazioni hanno determinato l'instaurazione a
carico  del  predetto  del  procedimento  penale  per  il  reato   di
diffamazione a mezzo stampa, di cui agli artt. 595, primo, secondo  e
terzo comma, del codice  penale,  e  agli  artt.  13  della  legge  8
febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e 61, numero 10, del
codice penale. Cio', in ragione del  fatto  che  nel  contesto  della
pubblicazione  -  nella  quale   vengono   ricostruite   le   vicende
giudiziarie  cui  avevano  preso  parte  per  le  loro   funzioni   i
querelanti,  che  venivano  indicate  come  conseguenza  o   comunque
espressione di una "guerra" promossa dalla Procura di Palermo  contro
il  ROS  dei  Carabinieri  per  delegittimare  importanti   esponenti
dell'Arma, - i suddetti magistrati  vengono,  tra  l'altro,  definiti
«professionisti dell'antimafia», la cui attivita' giudiziaria sarebbe
stata improntata  a  dolosa  faziosita'  e  ad  intenti  persecutori,
comunque   ispirata   da   finalita'   illecite   attuate    mediante
comportamenti devianti. 
    Riferite le vicende processuali - nel corso  delle  quali,  sulla
richiesta di rinvio a giudizio del senatore Iannuzzi, il giudice  per
le indagini preliminari aveva ordinato (su eccezione della difesa  ed
opposizione delle parti civili costituite) la trasmissione  di  copia
degli atti al Senato e  sospeso  il  procedimento  penale,  ai  sensi
dell'art.  3,  comma  4,  della  legge  20  giugno   2003,   n.   140
(Disposizioni per l'attuazione dell'articolo  68  della  Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello  Stato),  che  era  stato  poi  ripreso,  trascorso  il
novantesimo giorno dalla ricezione degli atti da parte del Senato,  e
definito con il rinvio a giudizio - il  ricorrente  deduce  che,  nel
frattempo, con la citata delibera del 3 agosto 2010, l'Assemblea  del
Senato ha respinto la proposta della Giunta delle  elezioni  e  delle
immunita' parlamentari (che aveva concluso che  le  dichiarazioni  in
esame non ricadevano nell'ipotesi dell'art. 68, primo comma,  Cost.),
affermandone cosi' l'insindacabilita'. 
    Poiche', a seguito di tale delibera, la difesa  dell'imputato  ha
invocato la emissione di  una  sentenza  di  non  doversi  procedere,
mentre il pubblico ministero ed il difensore delle parti civili hanno
chiesto sollevarsi conflitto di attribuzione ai sensi  dell'art.  134
Cost., il giudice (in accoglimento di  quest'ultima  domanda)  rileva
come la Corte costituzionale abbia ripetutamente chiarito che - se e'
indubbio che la garanzia dell'insindacabilita' si estende anche  alle
dichiarazioni  rese  fuori  dall'ambito  parlamentare  -   e'   pero'
necessario che sussista un nesso funzionale tra le affermazioni extra
moenia e le funzioni in concreto svolte dal parlamentare  che  ne  e'
stato l'artefice. E che non  risulta  sufficiente  (onde  qualificare
cio'  che   altrimenti   realizzerebbe   l'esercizio   della   libera
manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 Cost.) un
semplice collegamento di  argomento  e/o  di  contesto  politico  tra
l'attivita' parlamentare  e  le  dichiarazioni  rese,  che  viceversa
debbono  essere  riproduttive  delle  opinioni  sostenute   in   sede
parlamentare, al fine di renderle note ai cittadini. 
    Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la garanzia costituzionale
della insindacabilita' non opera sulla base di un  mero  collegamento
con lo  status  di  parlamentare  in  se'  considerato  (diversamente
trasformandosi  l'istituto  previsto  dall'art.  68   Cost.   in   un
ingiustificato privilegio personale incompatibile con il principio di
eguaglianza e con il diritto di accesso alla giustizia da  parte  dei
cittadini lesi dalle dichiarazioni) ma  necessita  che  queste  siano
effettivamente  e  sostanzialmente  corrispondenti  ai  contenuti  di
attivita' tipicamente parlamentari  e  costituiscano  divulgazione  o
comunicazione all'esterno di atti  gia'  compiuti  nell'ambito  della
stretta funzione parlamentare. 
    Tanto premesso, il ricorrente rileva come il tema del disegno  di
legge avente  ad  oggetto  la  «Istituzione  di  una  commissione  di
inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la  giustizia»
(A.S. 2292 delle XIV legislatura) - indicato  dal  medesimo  senatore
Iannuzzi, nel corso della sua audizione da parte della Giunta per  le
autorizzazioni, quale attivita' parlamentare alla quale  le  opinioni
espresse nel libro sarebbero funzionalmente collegate -  riguardi  in
realta' il  tema  generale  della  gestione  dei  "pentiti"  e  delle
conseguenze delle  dichiarazioni  da  loro  rese.  Ed  osserva  come,
neppure nella relazione che accompagna il disegno di  legge,  vi  sia
qualsivoglia riferimento alle specifiche vicende giudiziarie  cui  si
riferiscono le accuse contenute  nel  libro.  Sicche'  -  considerato
anche che il lasso di tempo intercorrente tra  la  presentazione  del
disegno di legge (23  giugno  2003)  e  la  pubblicazione  del  libro
(risalente al febbraio 2008) e' talmente ampio da farne escludere  il
carattere  divulgativo  -  la  condotta   addebitabile   all'imputato
esulerebbe   dall'esercizio   delle   funzioni   parlamentari,    non
presentando alcun legame con atti funzionali  neppure  nell'accezione
piu' ampia. 
    Peraltro, secondo il giudice a quo, non ricorre (contrariamente a
quanto eccepito dalla difesa dell'imputato) una  ipotesi  di  bis  in
idem per il fatto che il libro «Lo sbirro e lo  Stato»  riproduce  un
articolo gia' pubblicato nel 2004 sul quotidiano «Il Giornale»  (gia'
posto ad oggetto di un procedimento penale, avanti  al  Tribunale  di
Milano, a carico del senatore Iannuzzi, per il reato di  diffamazione
col mezzo della  stampa,  e  sul  cui  contenuto  il  Senato  si  era
ugualmente pronunciato nel senso dell'insindacabilita' delle opinioni
espresse dall'autore, con conseguente proposizione di altro conflitto
di attribuzioni, ammesso ma poi dichiarato improcedibile per  tardivo
deposito  dell'atto  introduttivo  notificato)  e  per  il  quale  il
senatore Iannuzzi  era  stato  poi  prosciolto  dal  giudice  per  le
indagini preliminari.  Osserva  infatti  il  ricorrente  che  oggetto
dell'attuale procedimento non sono le affermazioni contenute in detto
articolo di giornale ma quelle contenute nell'intero libro,  che  non
si esaurisce affatto nel precedente scritto. 
    In conclusione, dunque, il giudice a quo (sospeso il processo) ha
chiesto che la Corte, ammesso il conflitto, dichiari che non spettava
al Senato della Repubblica la valutazione di  insindacabilita'  della
condotta addebitabile al senatore Iannuzzi, in quanto  estranea  alla
previsione di cui all'art. 68 Cost. e,  di  conseguenza,  annulli  la
delibera del Senato medesimo adottata il 3 agosto 2010. 
    2.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con  ordinanza  n.
13  del  2013,  ritualmente   notificata,   unitamente   al   ricorso
introduttivo, in data 19 febbraio 2013 e depositata nella cancelleria
di questa Corte il successivo 5 marzo. 
    3.- Il Senato della Repubblica si e' costituito con memoria nella
quale ha conclusivamente richiesto di affermare  la  sussistenza  del
potere del Senato  «di  dichiarare  [l']  insindacabilita'  [del]  le
opinioni espresse dal sen. Raffaele Iannuzzi e, comunque,  dichiarare
le  stesse  coperte  dalla  garanzia  di  insindacabilita'   prevista
dall'art. 68, comma 1, della Costituzione». 
    Dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale in tema  di
«nesso funzionale», il Senato sottolinea come un  «aggiornamento»  di
quella giurisprudenza potrebbe meglio  rispondere  alle  esigenze  di
bilanciamento tra i valori costituzionali coinvolti, segnalando  come
uno spunto in tale senso potrebbe essere offerto dall'art.  3,  comma
1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per  l'attuazione
dell'articolo 68 della Costituzione nonche' in  materia  di  processi
penali nei confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),  il  quale
individua anche l'attivita' di denuncia politica come  connessa  alla
funzione parlamentare, ancorche' svolta al di fuori  del  Parlamento.
Sicche', per il Senato, un «aggiornamento interpretativo  del  "nesso
funzionale" potrebbe dunque portare alla sua individuazione in  tutte
le occasioni in cui il parlamentare raggiunga  il  cittadino-elettore
illustrando la propria posizione». 
    Nel merito, la difesa del  resistente  osserva  che  lo  scritto,
oggetto del giudizio penale a quo, risulta originariamente pubblicato
nel 2004 (e solo  ristampato  nel  2008);  e  che  pertanto  esso  e'
collegato con l'attivita' parlamentare dell'allora senatore Iannuzzi,
ed in particolare con la presentazione, quale primo firmatario, di un
disegno di legge in data 25 giugno 2003, relativo alla istituzione di
una commissione di inchiesta sulla  «gestione  dei  collaboratori  di
giustizia». 
    Peraltro - rilevato che nell'ordinanza del giudice ricorrente non
sono indicate le affermazioni diffamatorie  che  sarebbero  contenute
nel libro de quo, al di fuori  di  quanto  affermato  nel  precedente
articolo gia' pubblicato nel 2004 - il Senato osserva che le opinioni
espresse  in  quella  occasione  furono  ritenute  insindacabili  dal
Senato;  la  qual  cosa  determino'  un  conflitto  di   attribuzione
sollevato dal giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale  di
Milano, che fu dichiarato improcedibile  dalla  Corte  costituzionale
(con ordinanza n. 253 del 2007) in quanto depositato  fuori  termine,
con conseguente proscioglimento del senatore Inannuzzi. Pertanto,  la
questione qui risollevata ricadrebbe nel  principio  del  ne  bis  in
idem, laddove  la  Corte  ha  affermato  la  non  reiterabilita'  del
conflitto di attribuzione quando il precedente conflitto proposto sia
stato dichiarato improcedibile (come affermato dalla sentenza  n.  40
del 2004). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.1.-  Il  Tribunale   ordinario   di   Roma,   in   composizione
monocratica, ha promosso conflitto di attribuzione tra  poteri  dello
Stato nei confronti del Senato della Repubblica,  in  relazione  alla
deliberazione del 3 agosto 2010 (Doc. IV-ter, n.17-A), con  la  quale
l'Assemblea ha dichiarato l'insindacabilita' delle opinioni  espresse
da Raffaele Iannuzzi, all'epoca dei fatti senatore della  Repubblica,
nei confronti dei  magistrati  Guido  Lo  Forte,  Giancarlo  Caselli,
Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci. 
    Il senatore Iannuzzi  e'  chiamato  a  rispondere  del  reato  di
diffamazione  a  mezzo   stampa   in   ragione   delle   affermazioni
(analiticamente trascritte, con riferimento a  ciascuna  delle  parti
offese, nei capi di imputazione riportati nelle prime  8  pagine  del
ricorso) contenute nel libro intitolato «Lo sbirro  e  lo  Stato»,  a
firma del medesimo, pubblicato nel 2008 (nel  quale  l'autore  aveva,
tra l'altro, riproposto i contenuti di un  suo  precedente  articolo,
apparso su «Il Giornale» del 7 novembre 2004 e intitolato «Mafia:  13
anni di scontri tra PM e Carabinieri»). Nel  contesto  dello  scritto
del 2008, le vicende giudiziarie cui avevano preso parte per le  loro
funzioni i querelanti sono descritte come espressioni di una "guerra"
promossa dalla Procura di Palermo contro il ROS dei  Carabinieri  per
delegittimare importanti esponenti dell'Arma, con  finalita'  diverse
da quella istituzionale; e i  suddetti  magistrati  vengono  definiti
«professionisti dell'antimafia», la cui attivita' giudiziaria sarebbe
stata improntata  a  dolosa  faziosita'  e  ad  intenti  persecutori,
comunque   ispirata   da   finalita'   illecite   attuate    mediante
comportamenti devianti. 
    Il   giudice   ricorrente   ricorda   come   la    giurisprudenza
costituzionale  sia  costante  nel  ritenere  -  onde  verificare  la
sussistenza di un nesso funzionale tra le affermazioni extra moenia e
le funzioni in concreto svolte  dal  parlamentare  che  ne  e'  stato
l'artefice - che la garanzia  costituzionale  della  insindacabilita'
(onde evitare  che  si  trasformi  in  un  ingiustificato  privilegio
personale)  necessita  che  le  opinioni   siano   effettivamente   e
sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attivita'  tipicamente
parlamentari  e  ne  costituiscano   divulgazione   o   comunicazione
all'esterno. E sottolinea che nella specie il  carattere  divulgativo
delle opinioni espresse non si ravvisa, sia per il contenuto generico
del richiamato atto parlamentare tipico, sia per il  rilevante  lasso
di tempo intercorso tra la sua presentazione da parte dello  Iannuzzi
(in data 23 giugno 2003) e la pubblicazione del libro  (risalente  al
febbraio 2008). 
    1.2.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con  l'ordinanza
n. 13 del 2013, ritualmente notificata e depositata. 
    1.3.- Nel costituirsi, il Senato invoca un «aggiornamento»  della
giurisprudenza costituzionale,  che  (rispondendo  alle  esigenze  di
bilanciamento tra i valori coinvolti), contempli anche l'attivita' di
denuncia politica come connessa alla  funzione  di  parlamentare,  in
tutte le  occasioni  in  cui  lo  stesso  parlamentare  raggiunga  il
cittadino-elettore illustrando la propria posizione. 
    Nel merito, la difesa osserva come lo scritto in questione  (mera
ristampa di quello pubblicato nel 2004) sia collegato con l'attivita'
parlamentare   dell'allora   senatore   Iannuzzi,   espressa    nella
presentazione del detto disegno di legge; e come - non essendo  state
indicate le opinioni diffamatorie che sarebbero contenute  nel  libro
de quo al di fuori di quelle contenute nel precedente articolo  (gia'
oggetto di esame in sede di conflitto, allora sollevato dal  GIP  del
Tribunale  di  Milano,  dichiarato  improcedibile,  con   conseguente
proscioglimento dell'imputato) -  l'odierno  conflitto  lederebbe  il
principio del ne bis in idem. 
    2.- Deve, preliminarmente, essere confermata l'ammissibilita' del
ricorso, sussistendo i richiesti presupposti soggettivi ed  oggettivi
per il conflitto. 
    3.1.- Nel merito il ricorso e' fondato. 
    3.2.-   La   consolidata   giurisprudenza    costituzionale    ha
ripetutamente  messo  in   luce   la   circostanza   che   (ai   fini
dell'individuazione del  perimetro  entro  il  quale  riconoscere  la
garanzia della insindacabilita' delle opinioni  espresse  dai  membri
del  Parlamento,  in  contesti  diversi  dal   rigoroso   ambito   di
svolgimento  dell'attivita'  parlamentare  strettamente  intesa)   lo
scrutinio deve  tenere  contemporaneamente  conto  di  due  esigenze,
entrambe  di  risalto  costituzionale.  Da   un   lato,   quella   di
salvaguardare - secondo una tradizione consolidata nelle costituzioni
moderne - l'autonomia e la  liberta'  delle  assemblee  parlamentari,
quali organi di  diretta  rappresentanza  popolare,  dalle  possibili
interferenze di altri poteri;  dall'altro,  quella  di  garantire  ai
singoli il diritto  alla  tutela  della  loro  dignita'  di  persone,
presidiato dall'art. 2 della Costituzione oltre che da diverse  norme
convenzionali (sentenza n. 313 del 2013). Va dunque ribadito che - se
l'attivita' del parlamentare intra moenia puo' essere sindacata e, se
del caso, censurata  anche  attraverso  gli  strumenti  previsti  dai
regolamenti  parlamentari  (con  la  conseguenza  che   comportamenti
eventualmente lesivi della  dignita'  delle  persone  possono  essere
opportunamente   prevenuti),   le   condotte    «esterne»    rispetto
all'attivita' parlamentare tipica,  in  tanto  possono  godere  della
garanzia della insindacabilita', prevista dall'art. 68, primo  comma,
Cost.,  in  quanto   risultino   rigorosamente   riconducibili   alle
specifiche e «qualificate» attribuzioni parlamentari. 
    Questa Corte ha quindi, da un lato, chiarito  che  il  nesso  che
deve sussistere tra «la  dichiarazione  divulgativa  extra  moenia  e
l'attivita' parlamentare propriamente intesa, non puo'  essere  visto
come un semplice collegamento di argomento o di contesto politico fra
l'una e l'altra, ma come identificabilita' della dichiarazione  quale
espressione della attivita' parlamentare, postulandosi anche,  a  tal
fine,  una  sostanziale  contestualita'  tra   i   due   momenti,   a
testimonianza dell'unitario alveo "funzionale" che le deve,  appunto,
correlare» (sentenza n. 82 del 2011; anche sentenze n. 55  del  2014,
n. 305 del 2013 e n. 39 del 2012). 
    Dall'altro lato, ha affermato  che  (poiche'  la  garanzia  della
insindacabilita' opera in relazione non alle  opinioni  espresse  «in
occasione» o «a causa» delle funzioni  parlamentari,  ma  soltanto  a
quelle  riconducibili  "all'esercizio"   delle   funzioni   medesime)
qualsiasi diversa lettura dilaterebbe il perimetro costituzionalmente
tracciato, generando un'immunita' non piu' soltanto  funzionale,  ma,
di fatto, sostanzialmente «personale», a vantaggio di chi  sia  stato
eletto membro del Parlamento (sentenza n. 10 del 2000).  Conseguenza,
questa, che (come sottolineato nella sentenza n.  313  del  2013)  si
porrebbe in contrasto con  le  censure  mosse,  in  varie  occasioni,
all'Italia dalla Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  la  quale  -
proprio   sul   tema   dell'insindacabilita'   delle   opinioni   dei
parlamentari e del confliggente diritto di accesso ad un tribunale da
parte del privato che si assuma offeso da  quelle  opinioni,  sancito
dall'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 e resa esecutiva con la  legge  4  agosto  1955,  n.  848  -  ha
ritenuto che non si possa «giustificare un rifiuto  di  accesso  alla
giustizia per il solo fatto che la disputa potrebbe essere di  natura
politica  oppure  connessa  ad  un'attivita'   politica»,   dovendosi
considerare  estraneo  alla  garanzia   della   insindacabilita'   un
comportamento  che  non  sia  connesso  «all'esercizio  di   funzioni
parlamentari stricto sensu» (sentenza 30 gennaio 2003, Cordova contro
Italia, ricorso n. 45649/99, e  sentenza  30  gennaio  2003,  Cordova
contro Italia, ricorso n.  40877/98,  nonche'  sentenza  24  febbraio
2009, CGIL e Cofferati contro Italia, ricorso n. 46967/07, e le altre
pronunce ivi citate). 
    3.3.- Pertanto - se tutto cio' vale a contrassegnare  il  confine
entro   il   quale   configurare   la   prerogativa    costituzionale
dell'insindacabilita' agli effetti della  tutela  da  riconoscere  ai
terzi danneggiati dalle opinioni espresse extra moenia dai membri del
Parlamento  -  lo  scrutinio  relativo  alla  sussistenza  del  nesso
funzionale tra opinione «divulgativa» e atti  parlamentari  «tipici»,
di cui la prima  si  assume  essere  espressione,  va  in  ogni  caso
condotto in termini particolarmente rigorosi,  secondo  un  parametro
che questa  Corte  ha  da  tempo  individuato  nella  «corrispondenza
sostanziale» (tra le altre, sentenza n. 137 del 2001), che si pone in
linea  anche  con  la  ricordata  giurisprudenza   della   Corte   di
Strasburgo, in cui, nel bilanciamento tra le  contrapposte  esigenze,
si richiede la sussistenza di un  «legame  evidente»  tra  l'atto  in
ipotesi lesivo e l'esercizio della funzione tipica  del  parlamentare
(sentenza n. 313 del 2013). 
    Ne consegue che va ribadito che la tesi del Senato -  secondo  la
quale il concetto di «nesso funzionale» dovrebbe essere «aggiornato»,
fino a ritenersi sussistente «in tutte quelle  occasioni  in  cui  il
parlamentare  raggiunga  il   cittadino,   illustrando   la   propria
posizione» - appare, «proprio per la eccessiva vaghezza dei termini e
dei   concetti   impiegati,   non   compatibile   con   il    disegno
costituzionale:  da  un  lato,  infatti,   essa   si   concentra   su
un'attivita' (quella "politica") non necessariamente coincidente  con
la funzione parlamentare, posto che, tra l'altro, questa si  esprime,
di regola, attraverso atti tipizzati (non e' un caso  che  l'art.  68
Cost. circoscriva l'irresponsabilita' dei membri del Parlamento  alle
"opinioni espresse" ed ai  "voti  dati"  "nell'esercizio  delle  loro
funzioni");  dall'altro,  la  tesi  in   questione   non   mette   in
collegamento diretto opinioni espresse  e  atti  della  funzione,  ma
semplicemente attribuisce allo stesso parlamentare la  selezione  dei
temi "politici" da divulgare; al punto da rendere, in definitiva,  lo
stesso parlamentare arbitro dei confini entro i quali far operare  la
garanzia della insindacabilita'» (sentenza n. 313 del 2013). 
    3.4.- Cio' premesso, questa Corte rileva che,  nella  specie,  le
numerose  e  particolareggiate  affermazioni  espresse  dal  senatore
Iannuzzi nel libro «Lo sbirro e lo Stato»  del  2008  (analiticamente
elencate nei capi di imputazione trascritti nel ricorso  dal  giudice
confliggente),   non   presentano   alcuna   attinenza    con    atti
funzionalmente tipici riferibili allo stesso parlamentare. Invero, il
contenuto del disegno di legge avente ad oggetto la  «Istituzione  di
una commissione di inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano
con la giustizia» (A.S. 2292 della XIV legislatura,  comunicato  alla
Presidenza del Senato il 29 maggio 2003 ed assegnato alla Commissione
giustizia il 25 giugno 2003) - indicato dal  medesimo  Iannuzzi,  nel
corso  della  sua  audizione   da   parte   della   Giunta   per   le
autorizzazioni, quale attivita' parlamentare alla quale  le  opinioni
espresse  nel  libro  sarebbero  funzionalmente   collegate   e   poi
richiamato dalla difesa del Senato nella memoria di costituzione - si
connota  per  un  approccio  generale  al  tema  della  gestione  dei
"pentiti" e dell'accertamento della genuinita' delle dichiarazioni da
loro rese. E, neppure nella relazione che accompagna  il  disegno  di
legge (in cui vengono riportati a dimostrazione del cattivo controllo
degli apparati dello Stato i casi  di  Baldassarre  Di  Maggio  e  di
Totuccio Contorno) v'e' alcuna comunanza di argomenti in  riferimento
alle specifiche vicende (di asserito conflitto tra alcuni  magistrati
palermitani ed esponenti dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia di
Stato) narrate nel libro in questione. 
    Inoltre,  alla  assenza  di  una  sostanziale  corrispondenza  di
significato tra le opinioni espresse nel libro ed il richiamato  atto
parlamentare tipico, si aggiunge anche la non configurabilita' di  un
ragionevole  «legame  temporale»  tra   attivita'   parlamentare   ed
attivita'  divulgativa  esterna,  giacche'  la  richiamata  attivita'
funzionale risale a  quasi  cinque  anni  prima  della  pubblicazione
incriminata. 
    3.5.- Ne', infine, appare condivisibile la doglianza di ne bis in
idem, mossa dal Senato - sull'assunto che nel ricorso  non  sarebbero
indicate le opinioni diffamatorie contenute nel libro del 2008 al  di
fuori di quelle contenute nel precedente articolo gia' pubblicato nel
2004. Nel libro pubblicato l'autore avrebbe  riproposto  i  contenuti
del suo precedente articolo, le cui  affermazioni  erano  gia'  state
oggetto di un procedimento penale, avanti al Tribunale di  Milano,  a
carico del senatore Iannuzzi, per il reato di diffamazione col  mezzo
della stampa. Su questo il Senato si era ugualmente  pronunciato  nel
senso dell'insindacabilita' delle opinioni espresse dall'autore,  cui
era conseguita la proposizione di altro  conflitto  di  attribuzioni,
ammesso dalla Corte, (ordinanza n.  17  del  2007  e  poi  dichiarato
improcedibile per tardivo deposito dell'atto introduttivo notificato,
(ordinanza n. 253 del 2007). 
    Siffatta eccezione (oltre che basata sulla inesatta  affermazione
che l'imputazione ascritta nel processo a quo riguardi solo  i  fatti
gia' pubblicati nell'articolo del 2004)  risulta  anche  sotto  altri
profili  priva  di  fondamento,  giacche'  l'attuale   conflitto   di
attribuzione tra poteri riguarda una ulteriore e diversa delibera  di
insindacabilita', adottata rispetto ad affermazioni contenute in  una
nuova e piu' ampia opera. In particolare, poi, dall'esame dei capi di
imputazione trascritti nel ricorso introduttivo, risulta chiaro  come
l'accusa di avere riproposto i  contenuti  diffamatori  dell'articolo
pubblicato su «Il Giornale» del 7 novembre 2004,  intitolato  «Mafia:
13 anni di scontri tra PM e Carabinieri», (nel quale si ricostruivano
vicende giudiziarie cui avevano preso parte per le  loro  funzioni  i
magistrati in questione, «indicandole  come  conseguenza  o  comunque
espressione di una "guerra" promossa dalla Procura di Palermo  contro
il  ROS  dei  Carabinieri  per  delegittimare  importanti   esponenti
dell'Arma, con finalita' diverse da quella istituzionale»),  riguardi
solo una delle numerose ipotesi diffamatorie addebitate all'imputato,
rispetto alle quali tutte viene riferita la  impugnata  dichiarazione
di insindacabilita'. 
    3.6.- Avuto, dunque, riguardo agli approdi cui  e'  pervenuta  la
giurisprudenza  di  questa  Corte,   risulta   conseguente   che   la
deliberazione  del  Senato  della  Repubblica  oggetto  del  presente
ricorso per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  sia
stata  adottata  in  violazione  dell'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione, ledendo le  attribuzioni  della  autorita'  giudiziaria
ricorrente; e che essa, pertanto, debba essere annullata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara  che  non  spettava  al  Senato   della   Repubblica
deliberare che le affermazioni scritte da Raffaele Iannuzzi, senatore
all'epoca dei fatti, per le quali pende procedimento  penale  davanti
al Tribunale ordinario di Roma per il reato di diffamazione  a  mezzo
stampa, previsto e punito  dall'art.  595,  primo,  secondo  e  terzo
comma, del codice penale, e dagli artt. 13  della  legge  8  febbraio
1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e 61, numero 10), del  codice
penale,  di  cui  al  ricorso  in  epigrafe,  costituiscono  opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; 
    2)  annulla,  per  l'effetto,  la  delibera  di  insindacabilita'
adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 3  agosto  2010
(doc. IV-ter, n. 17-A). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI