N. 123 ORDINANZA 5 - 9 maggio 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Prescrizione e decadenza -  Sospensione  della  prescrizione  tra  le
  persone giuridiche e i loro amministratori, finche' sono in carica,
  per le azioni di responsabilita' contro di essi. 
- Codice civile, art. 2941, primo comma, numero 7). 
-   
(GU n.21 del 14-5-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2941, primo
comma, numero 7) del codice civile, promosso dal  Collegio  arbitrale
di Padova nel  procedimento  vertente  tra  la  S.I.PER.  -  Societa'
Immobiliare Perginese snc di F.P. & C. e F.P., con ordinanza  del  26
agosto 2013 iscritta  al  n.  250  del  registro  ordinanze  2013,  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  47,  prima
serie speciale, dell'anno 2013. 
    Udito nella camera di consiglio del  26  marzo  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto che il Collegio arbitrale di Padova, con  ordinanza  del
26 agosto 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24  della
Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
2941, primo comma, numero 7) del codice civile, nella  parte  in  cui
«non prevede la sospensione della prescrizione  tra  la  societa'  in
nome collettivo e i suoi amministratori  per  le  azioni  sociali  di
responsabilita' nei loro confronti finche' sono in carica»; 
    che, secondo l'ordinanza di  rimessione,  una  societa'  in  nome
collettivo (infra: Societa'), in persona del  legale  rappresentante,
con atto di citazione notificato il 1° marzo 2010,  ha  convenuto  in
giudizio   davanti   al   Tribunale   ordinario   di   Trento   F.P.,
amministratore della medesima, deducendo che questi avrebbe  commesso
molteplici atti di mala gestio, anche durante il periodo in  cui  gli
altri due soci gli avevano affidato «l'intera  amministrazione  della
societa'», e ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni,  ma
detto Tribunale, con sentenza depositata  il  10  novembre  2011,  ha
dichiarato   «l'improponibilita'   della   domanda»,   ritenendo   la
controversia riservata alla decisione degli arbitri, in virtu'  della
clausola compromissoria contenuta nell'art. 14 dello statuto sociale; 
    che, ad avviso del rimettente, la Societa'  ha  dato  «inizio  al
presente arbitrato» con atto notificato il 23 ottobre  2012,  recante
«atto di nomina di arbitro» e di formulazione dei quesiti e  F.P.  ha
aderito alla procedura arbitrale «con atto di nomina  di  arbitro  di
parte»; 
    che, sintetizzati gli argomenti svolti dalle parti,  il  Collegio
arbitrale deduce che alla societa' in  nome  collettivo  non  sarebbe
applicabile la sospensione  della  prescrizione  stabilita  dall'art.
2941, primo comma, numero 7) cod. civ., in quanto essa e' priva della
personalita'  giuridica  e,  benche'   sia   stata   progressivamente
attenuata la diversita' tra gli enti dotati o non  della  stessa,  il
carattere eccezionale di siffatta norma ne impedirebbe l'applicazione
per analogia; 
    che, in tal senso, a suo avviso, e', infatti,  significativo  che
la sentenza di questa Corte n. 322 del 1998, nello  scrutinare  detta
norma,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la   sospensione   della
prescrizione tra le societa' di persone ed i loro amministratori,  ha
dichiarato    l'illegittimita'    costituzionale     della     stessa
esclusivamente in riferimento alla societa' in accomandita semplice; 
    che, quindi, secondo il rimettente, la questione di  legittimita'
costituzionale   sarebbe   rilevante,   anche   perche',   nonostante
l'interruzione della  prescrizione  determinata  dalla  notificazione
dell'atto di citazione, il diritto della Societa', in  difetto  della
sospensione  prevista  dalla  norma  censurata,  e'   prescritto   in
relazione alle condotte tenute dall'amministratore  anteriormente  al
1° marzo 2005, produttive, in larga misura, del danno denunciato; 
    che, ad avviso del Collegio arbitrale, l'art. 2941, primo  comma,
numero 7)  cod.  civ.  violerebbe  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  non
sussisterebbero «elementi decisivi di distinzione» tra le societa' di
capitali, la societa' in accomandita semplice e la societa'  in  nome
collettivo, in grado di giustificare  la  disparita'  di  trattamento
realizzata da detta norma; 
    che, in primo luogo, per tutti  i  tipi  sociali  sono,  previsti
rimedi di carattere sostanziale o processuale  allo  scopo  di  porre
rimedio all'inconveniente costituito  dalla  sostanziale  coincidenza
tra  attore  e  convenuto  che,  comunque,  sussisterebbe  anche   in
riferimento alla societa' di persone, in quanto soggetto  di  diritto
distinto dai soci della stessa; 
    che, in  secondo  luogo,  la  diversita'  di  disciplina  neppure
sarebbe giustificata dalla possibilita'  per  i  soli  amministratori
delle societa' munite di  personalita'  giuridica,  finche'  sono  in
carica, di occultare gli eventuali illeciti, rendendone difficile  la
percezione,  poiche'  la  riformata  disciplina  della   societa'   a
responsabilita' limitata (analiticamente approfondita  dall'ordinanza
di  rimessione)  dimostrerebbe  che  in  questo   tipo   sociale   e'
addirittura piu' elevato il livello di trasparenza della  gestione  e
sono piu'  efficaci  gli  strumenti  di  reazione  alla  mala  gestio
rispetto alla societa' in nome collettivo; 
    che, in terzo luogo, l'enfatizzazione della struttura corporativa
dell'organizzazione, caratterizzata  da  una  rigida  separazione  di
competenze tra gli organi dell'ente, tipica delle societa' munite  di
personalita' giuridica, neanche  giustificherebbe  la  diversita'  di
regolamentazione stabilita dalla norma censurata, in quanto l'attuale
disciplina della societa'  a  responsabilita'  limitata  permette  di
derogare il principio della separazione di  competenze  degli  organi
sociali e consente ai soci di conformarla sul modello della  societa'
in nome collettivo, soprattutto in riferimento «all'organizzazione ed
ai rapporti tra ente - e collettivita' dei soci -  e  suoi  gestori»,
con conseguente  insussistenza  di  una  ragionevole  giustificazione
della diversita'  di  trattamento  stabilita  dall'art.  2941,  primo
comma, numero 7) cod. civ.; 
    che,  infine,  secondo  il  rimettente,  siffatta  disparita'  di
trattamento comporterebbe  anche  «una  minorazione  del  diritto  di
difesa» dei soci della societa' in nome collettivo, in relazione agli
illeciti  compiuti   dagli   amministratori   della   societa',   con
conseguente violazione dell'art. 24 Cost. 
    Considerato che il Collegio arbitrale di Padova ha sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2941, primo  comma,  numero  7)
del codice civile, nella parte in cui  «non  prevede  la  sospensione
della prescrizione tra la  societa'  in  nome  collettivo  e  i  suoi
amministratori per le azioni  sociali  di  responsabilita'  nei  loro
confronti finche' sono in carica»; 
    che, secondo il rimettente, detta norma si porrebbe in  contrasto
con l'art. 3 Cost., in quanto non sussisterebbero «elementi  decisivi
di distinzione» tra le societa' di capitale e, in particolare, tra la
societa' a  responsabilita'  limitata,  la  societa'  in  accomandita
semplice  e  la  societa'  in  nome  collettivo,  i   quali   possano
ragionevolmente giustificare la disparita' di trattamento  realizzata
dalla stessa, che comporterebbe, altresi', una violazione del diritto
di difesa dei soci di societa' in nome  collettivo,  con  conseguente
vulnus anche dell'art. 24 Cost.; 
    che, in linea preliminare, deve essere ribadita la legittimazione
degli  arbitri  rituali  a  sollevare  incidentalmente  questione  di
legittimita' costituzionale  delle  norme  di  legge  che  essi  sono
chiamati ad applicare (sentenze n. 223 del 2013 e n. 376 del 2001) e,
quindi,  sotto  questo  profilo,   la   questione   e'   ammissibile,
considerato che il rimettente ha diffusamente motivato in  ordine  al
carattere rituale del procedimento in corso davanti allo stesso; 
    che, tuttavia, sempre in linea preliminare, va ricordato che, per
costante giurisprudenza  costituzionale,  rientra  tra  i  poteri  di
questa Corte il sindacato, in sede di ammissibilita', sulla validita'
dei  presupposti  di  esistenza  del  giudizio  principale,   qualora
risultino manifestamente carenti (sentenze n. 61 del 2012  e  n.  270
del 2010), ovvero manchi una plausibile motivazione  in  ordine  agli
stessi (tra le piu' recenti, ordinanze n. 325 e n. 269 del 2013); 
    che in virtu' dell'art. 34, comma 2, del decreto  legislativo  17
gennaio 2003, n.  5  (Definizione  dei  procedimenti  in  materia  di
diritto societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche'  in
materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo  12  della
legge 3 ottobre 2001,  n.  366),  la  clausola  compromissoria  «deve
prevedere  il  numero  e  le  modalita'  di  nomina  degli   arbitri,
conferendo in ogni caso, a pena di nullita', il potere di  nomina  di
tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla societa'»; 
    che siffatta norma, secondo l'orientamento costante  della  Corte
di cassazione, comporta la nullita' della clausola che non sia  stata
adeguata alla stessa,  mediante  la  previsione  della  nomina  degli
arbitri da parte di un soggetto  estraneo  alla  societa'  (Corte  di
cassazione, VI-3 sezione civile, sentenze 13 maggio 2011,  n.  21202;
11 marzo 2011, n. 5913), essendo possibile attribuire  alla  societa'
il  potere  di  provocarne  la   nomina   da   parte   dell'autorita'
giudiziaria, non anche quello di designarlo (Corte di  cassazione,  I
sezione civile, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2189), restando  escluso
che la clausola "non adeguata" possa continuare ad  essere  applicata
accanto a (o invece di) quella conforme  alla  disposizione  indicata
(Corte di cassazione, VI-1 sezione civile, ordinanza 10 ottobre 2012,
n. 17287); 
    che, alla  luce  del  citato  orientamento,  tenuto  conto  della
modalita'   della   designazione   degli   arbitri   quale    esposta
nell'ordinanza di rimessione e sopra sintetizzata, il mancato  esame,
sotto questo profilo, della validita' della  clausola  compromissoria
si risolve in una  carenza  argomentativa  in  ordine  alla  potestas
iudicandi degli stessi, che comporta  la  manifesta  inammissibilita'
della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  per  difetto  di
motivazione sulla rilevanza; 
    che, peraltro, indipendentemente da ogni considerazione in ordine
alla circostanza che l'istituto della riassunzione  del  giudizio  e'
divenuto applicabile nei rapporti tra giudici ed arbitri soltanto  in
virtu' della dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.
819-ter del codice di procedura civile, in parte qua (sentenza n. 223
del 2013), l'ordinanza  di  rimessione  non  ha  specificato  che  il
Tribunale  ordinario  di  Trento  ha  fissato  il  termine   per   la
riassunzione, ed ha invece indicato che la sentenza che  ha  definito
il relativo giudizio e' stata depositata il 10 novembre 2011 e che il
procedimento arbitrale e' stato promosso con atto  notificato  il  23
ottobre 2012, quindi oltre il termine stabilito dall'art.  50,  primo
comma, cod. proc. civ.; 
    che, pertanto, la pronuncia  resa  da  detto  Tribunale,  benche'
abbia ritenuto valida la clausola compromissoria, siccome costituisce
una  sentenza  resa  sulla  competenza,  avrebbe  effetti  preclusivi
soltanto per il giudice dello stesso processo (Corte  di  cassazione,
III sezione civile,  sentenza  14  novembre  2003,  n.  17248)  e  il
rimettente non ha motivato in  ordine  a  siffatto  profilo  ed  alle
ragioni che potrebbero, invece, indurre  a  ritenere  inesistente  il
proprio   potere   di   accertare   la   validita'   della   clausola
compromissoria; 
    che, quindi, la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  avanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2941, primo  comma,  numero  7)
del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24  della
Costituzione  dal  Collegio  arbitrale  di  Padova,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                     Giuseppe TESAURO, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI