N. 248 SENTENZA 22 - 31 ottobre 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento   e   procedure   concorsuali   -   Liquidazione    coatta
  amministrativa - Decorrenza degli effetti nei confronti  dei  terzi
  in buona fede. 
- Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
  concordato preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
  liquidazione  coatta  amministrativa),  art.  200,  comma   1,   in
  combinato disposto con gli artt. 42 e 44. 
-   
(GU n.46 del 5-11-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuseppe TESAURO; 
Giudici :Sabino CASSESE,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,
  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 200,  comma
1, in combinato disposto con gli artt. 42 e 44, del regio decreto  16
marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa), promosso dal Tribunale ordinario di Pisa  nel
procedimento  vertente  tra  la  Societa'   Cooperativa   costruzioni
impianti montaggi e manutenzione Pisa a r.l. in  liquidazione  coatta
amministrativa e la  Cassa  di  risparmio  di  San  Miniato  spa  con
ordinanza del  2  ottobre  2012,  iscritta  al  n.  75  del  registro
ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visti l'atto di costituzione della  Cassa  di  Risparmio  di  San
Miniato  spa,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente   del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  23  settembre  2014  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi l'avvocato Fabio Pontesilli per la Cassa  di  risparmio  di
San Miniato spa e l'avvocato dello Stato Alessandro  Maddalo  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di  Pisa,  con  ordinanza  in  data  2
ottobre 2012, iscritta al n.  75  del  registro  ordinanze  2013,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 200, comma 1, del regio decreto
16 marzo 1942, n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa), d'ora in avanti anche  «legge  fallimentare»,
in combinato disposto con gli artt. 42 e  44  dello  stesso  decreto,
nella parte in cui prevede che,  per  i  terzi  di  buona  fede,  gli
effetti della liquidazione coatta amministrativa si  producono  dalla
data del provvedimento che ordina  la  liquidazione,  anziche'  dalla
data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale o  di  iscrizione  nel
registro delle imprese del medesimo decreto. 
    Premette il giudice a quo che,  con  ricorso  promosso  ai  sensi
dell'art. 702-bis del codice  di  procedura  civile,  il  commissario
liquidatore  della  Cooperativa  costruzioni  impianti   montaggi   e
manutenzione  Pisa  srl  (COIMM   Pisa),   in   liquidazione   coatta
amministrativa ex art. 2545-terdecies cod. civ., chiedeva  che  fosse
dichiarata l'inefficacia dei pagamenti e operazioni, per  complessivi
euro 538.229,96, posti in essere nel periodo dal 4 marzo al 30 giugno
2010 in favore della Cassa di risparmio di S. Miniato spa, in  quanto
effettuati in violazione del combinato disposto degli artt. 44 e  200
della legge fallimentare. Il commissario liquidatore precisava che il
dies  a  quo  per  l'accertamento  della  inefficacia  dei  pagamenti
coincideva, ai sensi dell'art. 200 della legge fallimentare,  con  la
data di emanazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico,
avvenuta il 4 marzo 2010, e non con  quella  della  pubblicazione  di
tale decreto nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art.  197  della
medesima legge. 
    La  Cassa  di  risparmio,  costituitasi  in  giudizio,   chiedeva
disporsi il mutamento del rito da sommario  a  ordinario.  Sosteneva,
inoltre,   che   un'interpretazione   costituzionalmente    orientata
dell'art. 200 del regio decreto n.  267  del  1942,  da  leggersi  in
combinato disposto con gli artt. 16, 17, 42 e 44 del  medesimo  regio
decreto, induceva a ritenere che la data dalla quale  si  producevano
gli effetti della apertura della  procedura  di  liquidazione  coatta
amministrativa nei confronti dei  terzi  di  buona  fede  era  quella
dell'iscrizione del decreto ministeriale nel registro delle  imprese,
nella specie avvenuta in data 29 giugno 2010. 
    In  via  subordinata,  eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 200 della citata legge per violazione dell'art. 3 Cost.  in
ragione della disparita' di  trattamento  del  terzo  di  buona  fede
nell'ambito della procedura fallimentare rispetto a quello  riservato
al terzo nella procedura di liquidazione. Ad avviso dell'istituto  di
credito, infatti, l'art.  200  censurato  sarebbe  costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui  non  prevede  che  per  i  terzi  gli
effetti  della  liquidazione  coatta  si  producano  dalla  data   di
iscrizione del decreto ministeriale che ordina  la  liquidazione  nel
registro delle imprese, come previsto per la sentenza dichiarativa di
fallimento, ai sensi degli artt. 16 e 17 della legge fallimentare. 
    Riferiva ancora  il  Tribunale  che,  nel  merito,  la  Cassa  di
risparmio contestava la pretesa del ricorrente affermando che  alcuni
degli accrediti indicati nel ricorso e affluiti  sul  conto  corrente
della  COIMM  costituivano  provento  della  gestione  di   attivita'
d'impresa e, dunque, erano beni sopravvenuti ex  art.  42,  comma  2,
della legge fallimentare e che dall'importo richiesto dovevano essere
detratti i pagamenti eseguiti  a  terzi  quali  passivita'  sostenute
dall'impresa per la produzione del reddito affluito sul conto stesso.
Ancora, la Cassa di risparmio sosteneva che, avendo dato  ospitalita'
alle rimesse, ai versamenti,  agli  ordini  di  pagamento  effettuati
dall'impresa, non poteva essere condannata a  restituire  i  relativi
importi. Alcuni di tali pagamenti, inoltre, costituivano atti  dovuti
essendo stati effettuati dal  datore  di  lavoro  all'esattore  delle
imposte in relazione a somme trattenute a  titolo  di  acconto  IRPEF
sulla retribuzione corrisposta  ai  dipendenti,  mentre  altri  erano
pagamenti delle retribuzioni ai dipendenti per prestazioni lavorative
eseguiti prima della apertura  della  liquidazione.  Quanto,  infine,
all'importo di euro 58.152,26 e  a  quello  di  euro  14.100,00  essi
rappresentavano un giroconto da un conto corrente ad altro conto.  La
Cassa di risparmio sosteneva  trattarsi  di  bonifici  effettuati  da
terzi debitori ceduti a fronte di anticipazioni concesse dalla  banca
prima della apertura della liquidazione e quindi non assoggettabili a
declaratoria di inefficacia. 
    Il  Tribunale  ha  ritenuto  non  manifestamente   infondata   la
questione di costituzionalita' eccepita dalla societa' convenuta.  Ha
osservato al  riguardo  che  la  Corte  costituzionale  si  era  gia'
pronunciata su questione analoga con la sentenza n. 337 del 1998  con
la quale aveva dichiarato non fondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  44,  comma  2,  e   200   della   legge
fallimentare, per violazione dell'art. 3 Cost., censurati nella parte
in cui non prevedono che  nel  procedimento  di  liquidazione  coatta
amministrativa il momento di  produzione  degli  effetti  sostanziali
rispetto ai terzi sia collegato a  quello  della  conoscibilita'  del
provvedimento di liquidazione coincidente con  la  sua  pubblicazione
nella  Gazzetta  Ufficiale.  In  quell'occasione,  ha  ricordato   il
rimettente, la Corte aveva affermato  che,  poiche'  «il  decreto  di
liquidazione, in quanto atto giuridico, viene ad esistenza,  come  la
sentenza   dichiarativa   di   fallimento,   solo    con    la    sua
"esteriorizzazione", che si realizza secondo  la  disciplina  propria
dell'atto amministrativo»,  il  debitore  di  un'impresa  soggetta  a
liquidazione coatta amministrativa puo' assumere, «prima  di  pagare,
le opportune  informazioni,  presso  la  competente  amministrazione,
circa  l'esistenza  ed  il  contenuto  di  un  eventuale  decreto  di
liquidazione dell'impresa ed ottenerne copia, ai sensi degli artt. 22
e 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche  eventualmente  in  via
d'accesso informale (art. 3 d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352)». Inoltre,
«nell'ipotesi in cui il decreto di liquidazione sia  successivo  alla
sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza (art. 195 l.  fall.),
i terzi coinvolti nella liquidazione  coatta  amministrativa  possono
avere  conoscenza,  prima  del  decreto,  della  predetta   sentenza;
sicche', eguale essendo, in ogni caso, la conoscibilita' in  capo  ai
terzi della sentenza e del  decreto,  resta  esclusa  l'esistenza  di
qualsiasi discriminazione,  sotto  l'aspetto  denunziato,  tra  terzi
coinvolti nel fallimento e terzi coinvolti nella liquidazione  coatta
amministrativa». 
    Il Tribunale ha osservato che tale decisione e' intervenuta prima
della emanazione  del  decreto  legislativo  9  gennaio  2006,  n.  5
(Riforma organica della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005,  n.  80),
che ha  modificato  l'art.  16  della  legge  fallimentare  il  quale
attualmente dispone che «La sentenza produce  i  suoi  effetti  dalla
data della pubblicazione ai sensi dell'art.  133,  primo  comma,  del
codice di procedura civile. Gli effetti nei  riguardi  dei  terzi  si
producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro  delle
imprese ai sensi dell'art. 17, secondo comma». 
    A seguito di tale modifica, la differenza di  disciplina  tra  il
fallimento  e  la  liquidazione  coatta,  quanto  agli  effetti   nei
confronti dei terzi, sarebbe divenuta evidente. Mentre nel primo caso
i terzi sarebbero adeguatamente tutelati dal  regime  di  pubblicita'
della  sentenza  dichiarativa  del   fallimento,   nel   caso   della
liquidazione coatta la conoscenza legale  del  decreto  coinciderebbe
con la mera emissione dello stesso, secondo quanto stabilisce  l'art.
200 della legge fallimentare. Tale diversita' di  disciplina  sarebbe
irragionevole. 
    Quanto,  poi,  alla  possibilita'  per  il  terzo,  nel  caso  di
liquidazione,  di  assumere   informazioni   presso   la   competente
amministrazione circa l'esistenza e il contenuto del decreto - cui ha
fatto riferimento la Corte nella  sentenza  n.  337  del  1998  -  il
rimettente ha osservato che il diritto  di  accesso  e'  esercitabile
solo fin quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di  detenere
i documenti cui si chiede di accedere (art. 22, comma 6, della  legge
7  agosto  1990,  n.  241,  recante  «Nuove  norme  in   materia   di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi»).  Inoltre,  essa  potrebbe  opporre  il  diniego  di
accesso espresso o tacito, avverso il quale il  terzo  dovrebbe  fare
ricorso  al  T.A.R.,  con  tempi  incompatibili  con  lo  svolgimento
ordinario dei rapporti commerciali. 
    Al contrario l'accesso al registro delle imprese, cosi'  come  la
consultazione della Gazzetta Ufficiale, non subirebbe  restrizioni  e
potrebbe avvenire anche via internet. 
    Ancora, mentre la sentenza che dichiara il fallimento deve essere
trasmessa all'ufficio del registro  delle  imprese  entro  il  giorno
successivo al suo  deposito  in  cancelleria,  tra  l'emanazione  del
decreto di liquidazione coatta e la  sua  pubblicazione  in  Gazzetta
Ufficiale e la trasmissione all'ufficio del  registro  delle  imprese
possono decorrere anche dieci giorni. Nel  caso  di  specie,  tra  la
emissione del decreto (avvenuta il 4 marzo 2010) e  la  pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale (29 giugno 2010) sono decorsi quasi  quattro
mesi. 
    Il rimettente ha  sostenuto  che  alla  luce  del  chiaro  tenore
letterale  dell'art.  200  della  legge  fallimentare,  il  quale  fa
riferimento alla data del provvedimento che  ordina  la  liquidazione
non sarebbe  possibile  dare  della  disposizione  un'interpretazione
costituzionalmente orientata. 
    In  ordine  alla  rilevanza  della  questione,  il  Tribunale  ha
osservato come il commissario liquidatore non abbia neppure  allegato
che la Cassa di risparmio al momento dei pagamenti contestati fosse a
conoscenza dell'avvio della procedura. Da cio' discenderebbe che, ove
l'art.  200  fosse  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,   la
domanda proposta dal ricorrente dovrebbe essere rigettata dal momento
che quasi tutti i pagamenti sono stati effettuati nel periodo tra  la
data di emissione del decreto e quella della sua pubblicazione  nella
Gazzetta Ufficiale e della successiva iscrizione nel  registro  delle
imprese. 
    Ove invece si dovesse fare applicazione dell'art. 200 della legge
fallimentare,  almeno  parte  dei  pagamenti  sarebbero   inefficaci,
essendo  successivi  alla  emissione  del  decreto  che   ordina   la
liquidazione. In particolare, viene richiamata l'operazione posta  in
essere in data 12-13 aprile 2010, nella quale la CRSM ha dirottato la
somma  di  57.580,27  euro  da  un  conto  corrente   all'altro   per
rimborsarsi un finanziamento. 
    2.- E' intervenuta in  giudizio  la  Cassa  di  risparmio  di  S.
Miniato spa (CRSM), convenuta nel giudizio a quo, la quale ha chiesto
che venga accolta la questione di costituzionalita'  prospettata  dal
Tribunale di Pisa. 
    La parte privata,  dopo  aver  sinteticamente  dato  conto  delle
pretese della COIMM, ha osservato come, a seguito della  riforma  del
2006, la sentenza di fallimento produce i suoi effetti nei  confronti
dei terzi solo a partire dal momento in cui e' annotata nel  registro
delle imprese, salva la possibilita' per il curatore di  provarne  la
conoscenza da parte  dei  terzi  stessi.  Tale  disposizione  sarebbe
intesa a dare rilevanza alla buona fede dei terzi evitando  che  essi
possano  subire  conseguenze  prima  di  aver  avuto  notizia  legale
dell'apertura della procedura concorsuale. 
    Un analogo regime non sarebbe previsto in relazione al decreto di
liquidazione,   circostanza,   questa,   che    determinerebbe    una
irragionevole disparita' di trattamento dei terzi di buona fede. 
    Nel caso di specie, infatti, i pagamenti di cui viene chiesta  la
restituzione, sarebbero stati effettuati dalla  CRSM  utilizzando  le
somme depositate su un conto  corrente  intestato  alla  COIMM  e  su
disposizione  del  suo  legale  rappresentante,  successivamente   al
provvedimento di  liquidazione  coatta,  ma  anteriormente  alla  sua
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Pertanto, la CRSM sarebbe  terzo
di  buona  fede,  non  avendo  avuto  conoscenza   del   decreto   di
liquidazione, ne' essendo stato esso  preceduto  da  alcuna  sentenza
attestante lo stato di insolvenza della stessa. 
    Da cio' emergerebbe la ingiustificata disparita'  di  trattamento
riservata dall'art. 200 della legge fallimentare ai  terzi  di  buona
fede nell'ambito della procedura di liquidazione  coatta  rispetto  a
quanto previsto  nel  fallimento.  A  sostegno  della  illegittimita'
costituzionale del citato art.  200  la  parte  privata  richiama  le
argomentazioni svolte dal rimettente. 
    3.- E' intervenuto in giudizio anche il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato,  il
quale ha  chiesto,  innanzitutto  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente inammissibile. 
    L'intervento  richiesto  dal  rimettente  alla   Corte   sarebbe,
infatti, di tipo manipolativo in quanto ipotizza  una  pronuncia  che
innovi il  regime  temporale  degli  effetti  del  provvedimento  che
dispone  la  liquidazione  e  ne  determini  la  produzione  o  dalla
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ovvero  dalla  iscrizione  nel
registro delle imprese. Tuttavia, presupposto delle pronunce additive
e' che la lacuna  censurata  non  si  presti  ad  una  pluralita'  di
soluzioni la cui scelta e' riservata  al  legislatore.  Nel  caso  in
esame, l'art. 197  del  r.d.  n.  267  del  1942  stabilisce  che  il
provvedimento debba essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e, nel
medesimo termine, iscritto nel registro delle  imprese.  E'  discusso
tanto in dottrina che in giurisprudenza se  la  pubblicita'  di  tale
atto sia costituita unicamente  dalla  pubblicazione  nella  Gazzetta
Ufficiale, di tal che l'iscrizione nel registro delle imprese sarebbe
un atto meramente  esecutivo,  ovvero  se  entrambi  gli  adempimenti
concorrano a realizzare la conoscenza  dell'atto.  In  tale  contesto
normativo spetterebbe alla discrezionalita' del  legislatore  operare
la scelta tra le possibili opzioni, e pertanto la pronuncia richiesta
sarebbe inammissibile. 
    Nel merito, la questione sarebbe infondata. 
    Diverso sarebbe infatti il complessivo regime di pubblicita'  dei
provvedimenti  di  apertura  del  fallimento  da  un   lato,   e   di
liquidazione coatta amministrativa  dall'altro.  Riguardo  al  primo,
l'art. 16 della legge fallimentare, come modificato nel 2006, prevede
l'annotazione della sentenza nel  registro  delle  imprese  entro  il
giorno successivo al deposito della stessa in cancelleria. 
    Nella  liquidazione  coatta,  invece,  l'art.  197  della   legge
fallimentare  stabilisce  che  il   provvedimento   che   ordina   la
liquidazione,  entro  10  giorni  dalla  sua  adozione,  deve  essere
integralmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  e  comunicato  per
l'iscrizione all'ufficio  del  registro  delle  imprese.  Il  diverso
regime di pubblicita' non renderebbe comparabili le situazioni  poste
a  confronto  dal  rimettente.  In  particolare,  con  riguardo  alla
posizione dei terzi creditori dell'impresa  in  liquidazione  coatta,
nel caso in cui  si  facessero  decorrere  gli  effetti  del  decreto
dall'iscrizione nel registro delle imprese, essi sarebbero esposti al
rischio di vedere riconosciuta l'efficacia  di  atti  pregiudizievoli
compiuti nel lasso temporale  tra  l'adozione  del  provvedimento  di
liquidazione  e  la  sua  pubblicazione.  Tale  lasso  di  tempo,   a
differenza di quanto avviene nel fallimento, non  necessariamente  e'
limitato ad un giorno. 
    In ogni caso,  sostiene  l'Avvocatura,  le  modifiche  introdotte
all'art. 16 della legge fallimentare non consentirebbero di  per  se'
di superare le argomentazioni poste a fondamento  della  sentenza  di
questa Corte n. 337 del 1998, in particolare con riguardo all'ipotesi
in cui il  decreto  di  liquidazione  sia  emesso  dopo  la  sentenza
dichiarativa dello stato di insolvenza. In questo  caso,  infatti,  i
terzi potrebbero aver conoscenza, gia' prima  del  decreto,  di  tale
sentenza. 
    La disposizione censurata  non  sarebbe,  dunque,  incongrua  dal
momento che - come gia' chiarito dalla Corte nella  sentenza  n.  337
del  1998  -  e'  consentito  al  terzo   di   accedere   agli   atti
dell'amministrazione come previsto dalla legge n. 241 del 1990. 
    4.- In  prossimita'  dell'udienza,  la  CRSM  ha  depositato  una
memoria  nella   quale   ha   contestato   le   eccezioni   sollevate
dall'Avvocatura dello Stato. 
    In particolare, la Cassa di risparmio nega che il Tribunale abbia
richiesto a questa Corte  un  intervento  di  tipo  manipolativo.  Il
rimettente,  infatti,  avrebbe  fatto  riferimento  alle   forme   di
pubblicita' previste  dall'art.  197  della  legge  fallimentare  per
individuare il momento di decorrenza degli  effetti  del  decreto  di
liquidazione nei confronti dei terzi di buona fede.  Nel  merito,  il
diverso trattamento riservato a costoro  dalla  censurata  disciplina
non troverebbe «alcun concreto fondamento normativo». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Pisa ha sollevato,  in  riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 200, comma 1, del  regio  decreto  16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), in combinato disposto con gli artt. 42  e  44  dello
stesso decreto, nella parte in cui prevede che, per i terzi in  buona
fede,  gli  effetti  della  liquidazione  coatta  amministrativa   si
producano dalla data del provvedimento che  ordina  la  liquidazione,
anziche' dalla data di pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  o  di
iscrizione nel registro delle  imprese  del  medesimo  provvedimento.
Sostiene il rimettente che, mentre nel caso  di  fallimento  i  terzi
sono tutelati adeguatamente dal regime di pubblicita' della  sentenza
di fallimento, nella  liquidazione  coatta  la  tutela  sarebbe  meno
intensa, coincidendo «la conoscenza legale  della  procedura  con  la
mera emissione del decreto». 
    La parte privata, Cassa di risparmio di S. Miniato e' intervenuta
in   giudizio   chiedendo   l'accoglimento   della    questione    di
costituzionalita'. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura dello Stato, intervenuto in giudizio, ha chiesto  che
la  questione  prospettata  sia   dichiarata   inammissibile   ovvero
infondata. 
    2.- L'art. 200 della legge fallimentare  disciplina  gli  effetti
del  provvedimento  che   dispone   la   procedura   concorsuale   di
liquidazione   coatta   amministrativa   richiamando   talune   delle
disposizioni dettate per il fallimento, ed in particolare l'art.  42,
in forza del quale la sentenza di fallimento determina il  cosiddetto
spossessamento del fallito che resta privo  della  amministrazione  e
della  disponibilita'  dei  suoi  beni   esistenti   alla   data   di
dichiarazione di fallimento. E' richiamato inoltre l'art. 44 il quale
prevede che «Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui
eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto
ai creditori» e che «Sono egualmente inefficaci i pagamenti  ricevuti
dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento». 
    Tali effetti, nell'ambito della procedura di liquidazione coatta,
si producono, in forza della previsione contenuta nell'art. 200 della
legge fallimentare, «Dalla  data  del  provvedimento  che  ordina  la
liquidazione». Dallo stesso momento, inoltre, «se  l'impresa  e'  una
societa' o una persona giuridica cessano le funzioni delle  assemblee
e degli organi di amministrazione e di controllo, salvo per  il  caso
previsto dall'art. 214». 
    Il  Tribunale  di  Pisa  lamenta  che  l'art.  200  della   legge
fallimentare, facendo decorrere gli effetti di cui agli artt. 42 e 44
della medesima legge dalla data del  provvedimento  di  liquidazione,
non assicurerebbe una adeguata tutela dei terzi  di  buona  fede,  in
quanto farebbe coincidere la conoscenza legale della procedura con la
«mera emissione del decreto» di liquidazione, e dunque con un momento
addirittura anteriore a quello della sua stessa conoscibilita'.  Cio'
determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento dei terzi
di buona fede nell'ambito della liquidazione coatta rispetto ai terzi
di buona fede nell'ambito della procedura fallimentare. Per  costoro,
infatti,  l'art.  16  della  legge  fallimentare,  a  seguito   delle
modifiche introdotte dall'art. 14 del decreto legislativo  9  gennaio
2006,  n.  5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80), stabilisce che gli effetti della sentenza  dichiarativa
di fallimento si producono dalla data di  iscrizione  della  sentenza
stessa nel registro delle imprese. 
    3.- La questione e' inammissibile sotto molteplici profili. 
    Il Tribunale ordinario di Pisa  ha  chiesto  a  questa  Corte  di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 200 della  legge
fallimentare nella parte in cui prevede che nei confronti  dei  terzi
di buona fede gli effetti  della  liquidazione  coatta  si  producano
dalla data del provvedimento che la ordina «anziche'  dalla  data  di
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale o di iscrizione  nel  registro
delle imprese». 
    Il rimettente, pur evocando quale parametro di riferimento  della
lamentata disparita' di trattamento la disciplina  dettata  dall'art.
16 della legge fallimentare, nell'individuare l'intervento  che  egli
ritiene idoneo a rimuovere il censurato  vulnus  della  Costituzione,
prospetta, oltre alla soluzione accolta dal citato art. 16 - il quale
fa decorrere gli effetti  della  sentenza  di  fallimento  dalla  sua
iscrizione nel registro delle imprese - anche un'ulteriore soluzione,
indicando quale  dies  a  quo  degli  effetti  del  provvedimento  di
liquidazione amministrativa la pubblicazione del provvedimento  nella
Gazzetta Ufficiale. 
    E' ben vero che  l'art.  197  della  legge  fallimentare  prevede
entrambe le forme di pubblicita' disponendo che il provvedimento  che
ordina  la  liquidazione  entro  dieci  giorni  dalla  sua  data   e'
pubblicato integralmente nella Gazzetta Ufficiale  ed  e'  comunicato
per l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese. 
    Tuttavia il Tribunale ha chiesto  a  questa  Corte  di  rimuovere
l'illegittimita' costituzionale  della  disposizione  attraverso  due
distinte modalita' di intervento  sul  testo  della  norma  censurata
senza optare per l'una ovvero per l'altra, ponendole  entrambe  sullo
stesso piano e indicandole come alternative tra loro. 
    Cosi'  formulata,  la  questione  risulta  ancipite,  in   quanto
proposta in termini di alternativita' irrisolta e come tale  essa  e'
inammissibile dal momento che non compete a questa Corte di scegliere
tra  le  due  distinte  soluzioni  prospettate  dal  rimettente   (ex
plurimis, sentenze n. 198 del 2014 e n. 87 del 2013; ordinanza n. 176
del 2013). 
    4.- La questione risulta inammissibile anche sotto  un  ulteriore
profilo. Come  appare  evidente  gia'  dalle  modalita'  con  cui  e'
formulata la censura, il regime di pubblicita' cui e'  sottoposto  il
provvedimento  che  ordina  la  liquidazione   coatta   consente   di
ipotizzare diverse soluzioni  in  ordine  alla  decorrenza  dei  suoi
effetti rispetto ai terzi: oltre che dalla  iscrizione  nel  registro
delle imprese, come previsto dall'art. 16 della  legge  fallimentare,
sarebbe possibile individuare il dies a quo degli effetti del decreto
di liquidazione coatta dalla data della sua  pubblicazione  integrale
nella  Gazzetta  Ufficiale,  costituendo  anch'essa  una   forma   di
pubblicita' prevista dall'art. 197 della legge fallimentare. 
    Sarebbe altresi' possibile prevedere che gli effetti si producano
«Dalla data di insediamento degli organi liquidatori [...] e comunque
dal terzo giorno successivo alla data di adozione  del  provvedimento
che dispone la liquidazione», in analogia a quanto  previsto  per  il
provvedimento di liquidazione coatta delle banche  dall'art.  83  del
decreto legislativo 1° settembre 1993,  n.  385  (Testo  unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia). 
    A  fronte  della  pluralita'  di  soluzioni  ipotizzabili  ed  in
concreto previste in ordine al regime  temporale  degli  effetti  del
decreto di liquidazione, e' agevole rilevare come alla prospettazione
del  giudice  a  quo  potrebbero  conseguire  piu'  soluzioni,  tutte
praticabili perche' non  costituzionalmente  obbligate.  L'intervento
chiesto dal rimettente appare senz'altro creativo ed eccede  pertanto
i poteri di questa Corte implicando scelte affidate alle  valutazioni
del   legislatore.   Alla   luce   della   costante    giurisprudenza
costituzionale, alla questione che invochi una pronuncia manipolativa
non costituzionalmente obbligata in materia riservata alle scelte del
legislatore, consegue necessariamente l'inammissibilita' (sentenza n.
87 del 2013; ordinanze n. 176 e 156 del 2013). 
    5.-  Vi  e',  infine,  un  ulteriore  e  assorbente  profilo   di
inammissibilita' della questione. 
    La censura prospettata dal rimettente attiene, come si e'  visto,
al regime temporale degli effetti del provvedimento  di  liquidazione
coatta rispetto ai terzi. Il Tribunale, nell'evocare l'art. 16  della
legge  fallimentare  quale  termine  di  raffronto  del  giudizio  di
uguaglianza, si e'  limitato  ad  affermare  che  la  disciplina  ivi
contenuta sarebbe idonea a tutelare i terzi di buona fede.  Tuttavia,
egli non si e' interrogato su una questione necessariamente connessa,
cioe' se un creditore dell'impresa - quale e' nel  caso  oggetto  del
giudizio a quo la Cassa  di  risparmio  di  S.  Miniato  -  il  quale
concorre con gli altri creditori della procedura e per il quale opera
la  previsione  di  inefficacia  di  cui  all'art.  44  della   legge
fallimentare,  possa  considerarsi  compreso  tra  i  terzi  cui   si
riferisce l'art. 16. 
    Al contempo, il rimettente non ha verificato se tra i  terzi  cui
fa riferimento l'art. 16 debbano ritenersi compresi anche i creditori
fallimentari, alla luce del dettato degli artt. 42 e 44  della  legge
fallimentare. Il d.lgs. n. 5 del 2006, infatti, nel modificare l'art.
16 differendo gli effetti della sentenza di fallimento nei  confronti
dei terzi al momento della sua iscrizione nel registro delle imprese,
il legislatore ha tuttavia lasciato inalterato  l'art.  42  il  quale
sancisce la  indisponibilita'  del  patrimonio  del  fallito  che  si
produce automaticamente con la sentenza dichiarativa di fallimento  e
coinvolge tutti i rapporti giuridici che allo stesso fanno  capo  (ad
eccezione di quelli «non compresi  nel  fallimento»:  art.  46  della
legge  fallimentare).  Neppure  ha  modificato  l'art.  44  il  quale
stabilisce  il  corollario  della  inefficacia  nei   confronti   dei
creditori dei pagamenti effettuati e ricevuti  dal  fallito  dopo  la
sentenza di fallimento, e la cui ratio e' stata individuata da questa
Corte nella esigenza di garantire una efficace e diretta tutela della
massa dei creditori (sentenza n. 234 del 1998). In tale decisione  si
evidenzia infatti che «l'inopponibilita' alla massa dei creditori dei
pagamenti ricevuti dal fallito dopo la pubblicazione  della  sentenza
dichiarativa di fallimento, diversamente dall'inefficacia conseguente
all'utile  esercizio   dell'azione   revocatoria   fallimentare,   si
ricollega al principio  generale  secondo  cui  la  dichiarazione  di
fallimento priva il fallito, dalla data di  deposito  della  relativa
sentenza, dei  poteri  di  amministrazione  e  disposizione  del  suo
patrimonio trasferendoli agli organi  della  procedura  fallimentare.
Principio finalizzato nella sua assolutezza ad una efficace e diretta
tutela della massa dei creditori». E che «L'irrilevanza, agli effetti
dell'inopponibilita' alla massa dei creditori dei pagamenti  ricevuti
dal fallito,  dello  stato  soggettivo  di  conoscenza  del  solvens,
proprio in quanto necessario riflesso dell'assolutezza  del  suddetto
principio, trova, dunque,  giustificazione  nell'esigenza  di  tutela
della massa dei creditori». 
    In conclusione, il silenzio serbato dall'ordinanza di  rimessione
su questi rilevanti aspetti problematici dell'art. 16 si riverbera in
un difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  della  questione,  che
costituisce ulteriore motivo di inammissibilita',  dal  momento  che,
nel caso di specie,  l'oggetto  del  giudizio  a  quo  e'  costituito
proprio  dal  pagamento  effettuato  a  un   creditore   dell'impresa
sottoposta a liquidazione coatta. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 200, comma 1, del  regio  decreto  16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), in combinato disposto con gli artt. 42  e  44  dello
stesso regio decreto, sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di Pisa con l'ordinanza  indica
in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014. 
 
                                F.to: 
                    Giuseppe TESAURO, Presidente 
                  Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore 
                   Massimiliano BONI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2014. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Massimiliano BONI