N. 26 SENTENZA 28 gennaio - 3 marzo 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Accertamento delle imposte - Determinazione induttiva del  reddito  -
  Notizie e dati non addotti dal contribuente in risposta  ad  invito
  dell'amministrazione -  Inutilizzabilita'  a  favore  dello  stesso
  contribuente nel giudizio tributario. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  600
  (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle  imposte  sui
  redditi), art. 32, quarto comma. 
-   
(GU n.10 del 11-3-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 32,  quarto
comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni  comuni  in
materia di accertamento delle imposte sui  redditi),  promosso  dalla
Commissione tributaria provinciale di Como nel procedimento  vertente
tra B.A. e l'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale  di  Como,
con ordinanza del 25 febbraio 2014, iscritta al n. 133  del  registro
ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 28 gennaio  2015  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Como, con  ordinanza
del 25 febbraio 2014, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2014,
sospetta  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  32,  quarto
comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni  comuni  in
materia di accertamento delle  imposte  sui  redditi),  deducendo  la
lesione degli artt. 24, secondo comma, e 111,  secondo  comma,  della
Costituzione. 
    La norma impugnata prevede: «Le notizie ed i dati non  addotti  e
gli atti, i documenti, i libri  ed  i  registri  non  esibiti  o  non
trasmessi in risposta agli inviti  dell'ufficio  non  possono  essere
presi  in  considerazione  a  favore  del   contribuente,   ai   fini
dell'accertamento in  sede  amministrativa  e  contenziosa.  Di  cio'
l'ufficio  deve  informare  il  contribuente   contestualmente   alla
richiesta». 
    2.- Assume la rimettente di essere stata adita da  B.A.,  che  ha
impugnato due avvisi di accertamento, relativi,  rispettivamente,  ai
periodi di imposta 2007 e 2008, con i quali l'Agenzia delle entrate -
Direzione provinciale di Como, a seguito di accertamento sintetico su
un maggior reddito IRPEF, aveva ingiunto il pagamento della  relativa
differenza di imposta. 
    3.- Il ricorrente aveva introdotto  nel  giudizio  -  rispetto  a
quanto risposto ai questionari inviatigli,  ai  sensi  dell'art.  32,
primo   comma,   numero   4,   del   d.P.R.   n.   600   del    1973,
dall'Amministrazione prima di emettere gli avvisi di  accertamento  -
nuovi elementi e la relativa documentazione  probatoria,  idonei,  ad
avviso  del  giudice  a  quo,  a  far  ritenere  non  sussistente  il
presupposto normativo dello scostamento biennale, richiesto dall'art.
38,  quarto  comma,  del  d.P.R.  n.  600  del  1973  per   procedere
all'accertamento sintetico. 
    Il contribuente, tuttavia, nulla deduceva circa la sussistenza di
causa a lui non imputabile per non avere adempiuto compiutamente alle
richieste dell'ufficio, secondo quanto previsto dall'art. 32,  quinto
comma, del d.P.R. n. 600  del  1973,  che  stabilisce  «Le  cause  di
inutilizzabilita' previste dal terzo comma non operano nei  confronti
del contribuente che depositi in allegato all'atto  introduttivo  del
giudizio di primo grado in sede contenziosa le  notizie,  i  dati,  i
documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente
di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa  a
lui non imputabile». 
    4.- Pertanto, in ragione di quanto  previsto  dalla  disposizione
censurata, era  precluso  l'esame  degli  elementi  esposti  e  della
documentazione prodotta. 
    5.- Espone la Commissione tributaria  provinciale  di  Como  che,
oltre  ad  essere  rilevante,  la  questione  e'  non  manifestamente
infondata. 
    5.1.- Premette, in proposito che, da un lato,  non  puo'  trovare
applicazione la novella di  cui  all'art.  22  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122, in ragione dei periodi di imposta che vengono in considerazione;
dall'altro,   non   puo'   pervenirsi    ad    una    interpretazione
costituzionalmente orientata della norma in esame. 
    5.2.- Osterebbe a tale ultima opzione l'esistenza di  un  vero  e
proprio "diritto vivente", consolidatosi con  riguardo  alla  analoga
disposizione contenuta nell'art. 52 del d.P.R. 26  ottobre  1972,  n.
633 (Istituzione e  disciplina  dell'imposta  sul  valore  aggiunto),
secondo il quale anche il  semplice  fatto  obiettivo  della  mancata
risposta, escluderebbe la possibilita' di prendere in  considerazione
gli elementi dedotti per la prima volta in giudizio. 
    5.3.- Argomenti  a  sostegno  della  legittimita'  costituzionale
della norma censurata non possono trarsi  neanche  dall'ordinanza  n.
181 del 2007, con la quale il Giudice delle leggi  ha  dichiarato  la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 32, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, sollevata  in
riferimento all'art. 53 Cost., poiche' l'attuale  impugnazione  verte
sulla lesione della tutela  giurisdizionale  dei  diritti  sul  piano
processuale, e non sul principio della capacita' contributiva. 
    Viene, nella specie, in rilievo  il  diritto  alla  prova,  quale
nucleo essenziale del diritto di azione  e  difesa,  che  l'art.  24,
secondo comma, Cost., afferma essere  «inviolabile»,  al  pari  degli
altri diritti fondamentali. 
    Come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, anche  se  il
legislatore    puo'    determinare    l'oggetto    della     garanzia
giurisdizionale, la tutela giurisdizionale viene violata «se si  nega
o si limita alla parte il  potere  processuale  di  rappresentare  al
giudice la realta' dei fatti ad essa favorevoli, se le si nega  o  le
si restringe il diritto di esibire i mezzi rappresentativi di  quella
realta'» (sentenze n. 248 del 1974 e n. 53 del 1966). 
    La prevista limitazione del  diritto  di  difesa  non  troverebbe
giustificazione neppure in esigenze di  bilanciamento  tra  interessi
costituzionalmente  protetti,  sia  perche'  non  sembra  ravvisabile
equipollenza tra buon andamento e imparzialita'  dell'amministrazione
ed il diritto di difesa, sia per la mancanza di  proporzionalita'  ed
adeguatezza della prevista preclusione processuale rispetto  al  fine
del buon andamento dell'amministrazione. 
    Deduce la rimettente che deve essere, altresi', considerato, come
il   rispetto   degli   obblighi    di    lealta'    nei    confronti
dell'Amministrazione finanziaria sia gia' garantito da una  specifica
disposizione sanzionatoria contenuta nell'art. 11, comma  1,  lettera
b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471  (Riforma  delle
sanzioni tributarie non penali in  materia  di  imposte  dirette,  di
imposta sul valore aggiunto e di riscossione  dei  tributi,  a  norma
dell'art. 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre  1996,  n.
662). 
    Se la garanzia costituzionale del diritto di difesa non  comporta
per cio' solo la illegittimita' di preclusioni o decadenze, tuttavia,
nel caso di specie, preclusione  e  decadenza  del  contribuente  dal
diritto di esibire in giudizio i mezzi di prova, non rivestono natura
propriamente processuale, poiche' non  si  maturano  all'interno  del
giudizio tributario, ma  nella  antecedente  fase  amministrativa  di
risposta  al  questionario  inviato   dall'amministrazione,   quando,
peraltro, il contribuente non  e'  assistito  dalla  difesa  tecnica,
prevista dall'art. 12 del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413). 
    6.- Anche l'art. 111, secondo comma, Cost.,  sarebbe  leso  dalla
norma impugnata,  in  quanto  la  preclusione  in  questione  non  si
applicherebbe simmetricamente a tutte le parti in giudizio, incidendo
sulla cosiddetta "parita' delle armi". 
    7.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  deducendo  l'inammissibilita'  e  la  non  fondatezza   della
questione. 
    8.- Quanto al primo profilo, la difesa dello Stato ha dedotto  la
possibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata della
norma impugnata, non ostando a  cio'  alcun  "diritto  vivente",  ma,
anzi, rinvenendosi nella giurisprudenza di legittimita' piu' pronunce
volte  ad  una  esegesi  favorevole  al  contribuente   della   norma
impugnata. 
    Quindi l'Avvocatura dello Stato ha rilevato  che  la  Commissione
tributaria provinciale di Como  non  avrebbe  adeguatamente  motivato
l'ordinanza  di  rimessione  con  riguardo   alla   rilevanza   della
questione, non avendo specificato se i documenti prodotti in giudizio
fossero  stati  o  meno  oggetto  di  specifica  richiesta  da  parte
dell'Amministrazione. 
    9.- Nel merito  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
richiamato la giurisprudenza costituzionale che ha affermato  che  il
mezzo probatorio puo' essere sottoposto a delimitazioni suggerite con
riguardo al tipo di procedimento, e che l'esclusione di un  mezzo  di
prova non costituisce di per se' violazione del diritto di difesa. 
    Ricorda, quindi, come la norma  impugnata  vada  contestualizzata
nel complessivo procedimento di accertamento sulla veridicita'  delle
dichiarazioni, in cui e' previsto un sub procedimento con l'invio  di
un questionario, per favorire il dialogo tra le  parti,  al  fine  di
escludere il contenzioso. 
    Infine, osserva come il rimettente non abbia  attribuito  rilievo
alla disposizione di cui all'art. 32, quinto comma, del d.P.R. n. 600
del 1973 che opera il necessario bilanciamento tra gli interessi  che
vengono in rilievo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria provinciale di Como, con  ordinanza
del 25 febbraio 2014, ha  impugnato  l'art.  32,  quarto  comma,  del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia  di
accertamento delle imposte  sui  redditi),  prospettando  la  lesione
degli  artt.  24,  secondo  comma,  e  111,  secondo   comma,   della
Costituzione. 
    2.- Il giudizio tributario ha ad oggetto  l'impugnazione  di  due
avvisi di accertamento (IRPEF, anni di imposta 2007  e  2008)  emessi
dall'Amministrazione finanziaria a seguito di accertamento  sintetico
effettuato ai sensi dell'art. 38 del d.P.R.  n.  600  del  1973,  nel
testo  anteriore   alla   novella   introdotta   dall'art.   22   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122. 
    Quest'ultimo articolo, al quarto  comma,  nel  testo  applicabile
ratione temporis, stabilisce, per quanto qui rileva: «L'ufficio [...]
puo', in base ad elementi e circostanze di fatto  certi,  determinare
sinteticamente il  reddito  complessivo  netto  del  contribuente  in
relazione al contenuto  induttivo  di  tali  elementi  e  circostanze
quando il reddito  complessivo  netto  accertabile  si  discosta  per
almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine,  con  decreto  del
Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale,  sono
stabilite le modalita' in base alle quali l'ufficio puo'  determinare
induttivamente il reddito o il  maggior  reddito  in  relazione  agli
elementi indicativi di capacita' contributiva [...] quando il reddito
dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per  due
o piu' periodi di imposta». 
    Con il sistema  comunemente  denominato  "redditometro",  dunque,
l'ufficio puo'  determinare  sinteticamente  il  reddito  complessivo
netto del contribuente, persona fisica, non basandosi sulle singole e
specifiche  fonti  produttive  dello  stesso,  ma   assoggettando   a
tassazione anche redditi di fonte sconosciuta. 
    Il contribuente pero', ai sensi del successivo sesto comma  dello
stesso art. 38, sempre nel testo all'epoca vigente,  puo'  dimostrare
che il  maggior  reddito  presunto  induttivamente  e'  costituito  o
giustificato da redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a  titolo
d'imposta o da una  diminuzione  del  patrimonio  posseduto.  Precisa
inoltre la norma che «l'entita' di tali redditi e la durata del  loro
possesso devono risultare da idonea documentazione». 
    3.- E' in questo quadro che  si  inserisce  la  norma  impugnata,
secondo cui «Le  notizie  ed  i  dati  non  addotti  e  gli  atti,  i
documenti, i libri ed i registri  non  esibiti  o  non  trasmessi  in
risposta  agli  inviti  dell'ufficio  non  possono  essere  presi  in
considerazione a favore del contribuente, ai  fini  dell'accertamento
in  sede  amministrativa  e  contenziosa.  Di  cio'  l'ufficio   deve
informare il contribuente contestualmente alla richiesta». 
    Essa, dunque, stabilisce un collegamento fra  il  giudizio  e  il
procedimento tributario e  in  particolare  la  fase  istruttoria  di
quest'ultimo, i relativi poteri d'ufficio e  i  corrispondenti  oneri
del contribuente. 
    L'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, infatti,  stabilisce:  «per
l'adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono», tra
l'altro, «inviare ai  contribuenti  questionari  relativi  a  dati  e
notizie di carattere specifico rilevanti  ai  fini  dell'accertamento
nei loro confronti,  [...]  con  invito  a  restituirli  compilati  e
firmati» (art. 32, primo comma, numero 4). 
    E al riguardo si puo' ricordare come la circolare 9 agosto  2007,
n. 49/E, dell'Agenzia delle entrate abbia dato indicazioni  volte  ad
instaurare un contraddittorio anticipato fra l'Amministrazione  e  il
contribuente, ancor prima  della  specifica  disciplina  poi  dettata
dalla novella del d.l. n. 78 del 2010. 
    Cio' e' quanto avvenuto nella specie,  poiche'  l'Amministrazione
finanziaria ha inviato al contribuente un questionario che e' rimasto
senza risposta. 
    4.- Va premesso che una questione di legittimita'  costituzionale
del quarto comma dell'art. 32 del d.P.R. n. 600  del  1973,  e'  gia'
stata  sollevata  dalla  Commissione   tributaria   regionale   della
Lombardia, in riferimento all'art. 53, primo comma, Cost.;  e  questa
Corte, con l'ordinanza n. 181 del 2007, ne ha dichiarato la manifesta
infondatezza  poiche'  le  preclusioni  relative  all'allegazione  in
giudizio di documenti o dati di cui all'art. 32,  quarto  comma,  del
d.P.R. n. 600 del 1973, hanno natura processuale, in quanto attengono
alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24  Cost.),  e  non  al
principio di capacita' contributiva (art. 53,  primo  comma,  Cost.),
che ha natura sostanziale. 
    5.- Nel caso di specie non puo' giungersi  all'esame  del  merito
della questione sollevata  poiche'  essa  e'  inammissibile,  essendo
stata sottoposta a scrutinio una disposizione diversa  dall'effettivo
oggetto delle censure (ex multis, sentenza n. 59 del 2013). 
    6.-  Nella  stessa  prospettazione  della  rimettente  assume  un
rilievo determinante il quinto comma del medesimo art. 32. Esso ha la
finalita' «di circoscrivere l'efficacia della norma  sulle  cause  di
inutilizzabilita' in sede contenziosa» (d.d.l. Atto camera  4565-ter,
XIII Legislatura, Commissione VI, seduta del 1° ottobre 1998), e alla
sua stregua «Le cause di inutilizzabilita' previste dal terzo  comma»
(il riferimento si deve intendere  all'attuale  quarto  comma,  norma
impugnata, che era il terzo comma, prima che  l'art.  1,  comma  402,
lettera  c,  della  legge  30  dicembre   2004,   n.   311,   recante
"Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. Legge finanziaria 2005",  introducesse  l'attuale  terzo
comma) «non operano nei confronti del contribuente  che  depositi  in
allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo  grado  in  sede
contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri  e  i  registri,
dichiarando comunque contestualmente di  non  aver  potuto  adempiere
alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile». 
    Dall'ordinanza, infatti, si desume che la preclusione processuale
in cui e' incorso il contribuente discende in realta' da quest'ultima
disposizione, la' dove,  in  particolare,  la  rimettente  osserva  a
proposito della rilevanza che essa sussiste perche' il comma e' stato
interpretato dalla giurisprudenza nel senso che la  inutilizzabilita'
della  documentazione  si  verifica  anche  in  caso   di   omissione
procedimentale meramente colposa. 
    Ne consegue che secondo la Commissione tributaria, almeno in caso
di   dolo,   il   quarto   comma   non   dovrebbe   essere    rimosso
dall'ordinamento. 
    7.- In queste condizioni l'errore di individuazione  della  norma
e', oltre che formale,  sostanziale,  il  che  esclude  a  priori  la
possibilita' di pervenire in via interpretativa a superare il difetto
di prospettazione. 
    Si aggiunga che il ricorrente non ha dato alcuna  giustificazione
del suo comportamento  omissivo  in  sede  procedimentale,  cosicche'
un'ipotetica prospettazione della illegittimita' del quinto comma nei
termini suindicati avrebbe evidenziato a sua  volta  un  problema  di
rilevanza. 
    8.- Pertanto, in ragione  della  inesatta  identificazione  della
norma oggetto di censura, deve essere  dichiarata  l'inammissibilita'
della questione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 32, quarto comma, del  d.P.R.  29  settembre
1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia  di  accertamento  delle
imposte sui  redditi),  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  24,
secondo comma,  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione,  dalla
Commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza  indicata
in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI