N. 51 SENTENZA 11 - 26 marzo 2015
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Soci lavoratori di societa' cooperative - Determinazione della retribuzione nel caso di pluralita' di contratti intervenuti per la medesima categoria. - Decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31 - art. 7, comma 4. -(GU n.13 del 1-4-2015 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alessandro CRISCUOLO; Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, promosso dal Tribunale ordinario di Lucca nel procedimento vertente tra Biscardi Gianluca e Il Castello service societa' cooperativa, con ordinanza del 24 gennaio 2014, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2014. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'11 marzo 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 24 gennaio 2014, il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 39 della Costituzione, dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte in cui stabilisce che, «[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di societa' cooperative, in presenza di una pluralita' di contratti collettivi della medesima categoria, le societa' cooperative che svolgono attivita' ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale nella categoria». 1.1.- Il rimettente premette di essere stato adito da un socio lavoratore, con mansioni di lavoratore facchino, della societa' cooperativa Il Castello, per ottenere la condanna, in applicazione del citato art. 7, comma 4, del decreto-legge n. 248 del 2007, della predetta societa' al pagamento delle differenze retributive correlate all'applicazione del CCNL unico della logistica, trasporto, merci e spedizione, sottoscritto in data 9 novembre 2006, da CONFETRA, CONFTRASPORTO, ANITA, ANCST LEGACOOP, CONFARTIGIANATO ed altri (parte datoriale) e da FILT CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI (parte dei lavoratori), anziche' del diverso CCNL applicato dalla convenuta (CCNL multi servizi, stipulato da UNCI-FESICA-CONFSAL). Il Tribunale ordinario di Lucca precisa, inoltre, che la societa' convenuta ha fornito evidenza della delibera, intervenuta nel corso di apposita assemblea dei soci lavoratori, in merito all'applicazione del CCNL multiservizi stipulato da UNCI-FESICA-CONFSAL. Essa ha eccepito l'illegittimita' costituzionale del citato comma 4 dell'art. 7, per violazione degli artt. 39 e 41 Cost. Tanto premesso, il rimettente solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, nei termini suindicati, osservando, in punto di rilevanza, che tale disposizione e' alla base della domanda proposta dal ricorrente, cosicche' essa deve trovare applicazione nel giudizio pendente dinanzi al medesimo. 1.2.- In particolare, il Tribunale ordinario di Lucca ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto con l'art. 39 Cost. Quest'ultimo, infatti, come chiarito dalla Corte costituzionale, garantirebbe «alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformita' di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti»: pertanto, una «legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che e' una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima» (sentenza n. 106 del 1962). La norma in esame, imponendo al giudice, in presenza di una pluralita' di contratti collettivi di settore, di applicare un trattamento retributivo non inferiore a quello previsto da alcuni di tali contratti, senza una previa valutazione ex art. 36 Cost. del diverso contratto collettivo applicato per affiliazione sindacale dall'impresa, inciderebbe autoritativamente sul dinamismo, anche conflittuale, della concorrenza intersindacale, realizzando un'indebita estensione dell'efficacia collettiva dei contratti collettivi (sia pure limitatamente alla sola parte economica), in violazione appunto dell'art. 39 Cost. 2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. Secondo la difesa statale la questione sarebbe inammissibile, anzitutto, per difetto di motivazione sulla rilevanza, attesa l'apoditticita' e l'assertivita' delle affermazioni contenute nell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza. Nella specie, difetterebbero anche le condizioni per porre validamente una questione di legittimita' costituzionale, considerato che la motivazione sulla rilevanza della questione stessa, proposta nei confronti dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, sarebbe manifestamente arbitraria ed implausibile, essendo gia' stato chiarito che «[l]a finalita' perseguita [dalla norma] e' quella di garantire l'estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicurando la parita' di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori» (sentenza di questa Corte n. 59 del 2013). Da cio' deriverebbe il carattere pretestuoso della questione sollevata e, quindi, il difetto di rilevanza della stessa. La questione sarebbe inammissibile anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Ad avviso della difesa statale nell'ordinanza di rimessione non sarebbe chiarito "dove le norme denunciate sarebbero incostituzionali" e "quale sarebbe il quadro precettivo costituzionale in ordine al quale concretamente affiorerebbe il contrasto". Nel merito, la difesa statale sostiene che la questione sollevata sia infondata. La norma censurata, lungi dall'obbligare lavoratore e cooperativa ad applicare al rapporto di lavoro una regolamentazione pattuita da attori sindacali che non li rappresentano, mortificando, in tal modo, la liberta' sindacale, sarebbe espressione di un interesse costituzionalmente protetto, ossia quello di dare integrale attuazione all'art. 36 Cost. Essa si limiterebbe ad offrire un criterio per la scelta dei contratti collettivi che forniscano piu' garanzie ai lavoratori nel determinare la retribuzione sufficiente, «proporzionata alla quantita' e qualita'» del lavoro svolto. In definitiva, la difesa statale ritiene che la norma censurata preveda che, a parita' di attivita' lavorativa esercitata, la contrattazione collettiva che assicura una retribuzione piu' elevata, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale nella categoria economica in cui opera il datore di lavoro, costituisca parametro retributivo non derogabile verso il basso. Lo scopo della norma sarebbe quello di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo minimo dei lavoratori, con riferimento agli standard concordati nei contratti collettivi di riferimento. Considerato in diritto 1.- Il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento all'art. 39 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte in cui stabilisce che, «[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di societa' cooperative, in presenza di un pluralita' di contratti collettivi della medesima categoria, le societa' cooperative che svolgono attivita' ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale nella categoria». A suo avviso, questa norma violerebbe il parametro costituzionale indicato, nell'imporre al giudice di applicare al socio lavoratore di una societa' cooperativa un trattamento retributivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative, pur in presenza di una pluralita' di fonti collettive. In assenza di una previa valutazione, ex art. 36 Cost., del contratto collettivo applicato dalla societa' cooperativa, in ragione della sua adesione alla organizzazione firmataria del contratto medesimo, si violerebbe il principio di liberta' sindacale, realizzando un'indebita estensione dell'efficacia erga omnes dei contratti collettivi, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 39 Cost. 2.- In linea preliminare, va osservato che il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l'inammissibilita' della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, a causa della ritenuta apoditticita' ed assertivita' delle affermazioni contenute sul punto nell'ordinanza di rimessione. L'eccezione non e' fondata. Nella specie, il rimettente non si limita ad affermare, in punto di rilevanza della questione, che "la domanda di differenze retributive di parte ricorrente si fonda sull'applicazione dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248", e che, "la disposizione deve trovare applicazione da parte di questo giudice", ma fornisce anche una descrizione della fattispecie concreta che, pur se in forma sintetica, rende evidente la riconducibilita' della stessa all'ambito di applicazione della norma della cui costituzionalita' dubita e, dunque, chiarisce la rilevanza della questione. 3.- La difesa statale ha, altresi', eccepito l'inammissibilita' della questione per la "manifesta arbitrarieta' nonche' manifesta implausibilita' della motivazione del giudice a quo sulla rilevanza". Anche questa eccezione non e' fondata. Questa Corte ha piu' volte riconosciuto che, per aversi una questione di legittimita' validamente posta, e' sufficiente che il giudice a quo fornisca un'interpretazione non implausibile della disposizione contestata che, per una valutazione compiuta in una fase meramente iniziale del processo, egli ritenga di dover applicare nel giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari di conformita' a determinate norme costituzionali (fra le tante, sentenza n. 463 del 1994). Nella specie, il Tribunale ordinario di Lucca ha chiaramente proposto il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, di cui avrebbe dovuto fare applicazione per decidere se accogliere o meno la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive. Ha fornito una lettura della norma in questione, nella parte in cui impone alle societa' cooperative di applicare «i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale nella categoria», lettura orientata a riconoscere efficacia erga omnes a taluni tipi di contratti collettivi. Una tale interpretazione non risulta manifestamente implausibile. 4.- La sollevata questione sarebbe, infine, inammissibile secondo la difesa statale, anche per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto non sarebbe adeguatamente chiarito, nell'ordinanza di rimessione, "dove le norme denunciate sarebbero incostituzionali" e "quale sarebbe il quadro precettivo costituzionale in ordine al quale concretamente affiorerebbe il contrasto". L'eccezione non e' fondata. Nell'ordinanza di rimessione, il Tribunale ordinario di Lucca non solo riproduce ampi brani di una risalente decisione di questa Corte (la sentenza n. 106 del 1962), richiamando le argomentazioni ivi svolte sull'illegittimita' costituzionale di leggi che estendano gli effetti erga omnes di contratti collettivi in contrasto con quanto previsto dall'art. 39 Cost., ma chiarisce che l'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, sarebbe costituzionalmente illegittimo, proprio in quanto attribuirebbe efficacia erga omnes ai contratti collettivi di categoria, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative, in assenza delle condizioni prescritte dal predetto art. 39 Cost. Risultano, pertanto, individuate chiaramente, sebbene sinteticamente, le ragioni che inducono il rimettente a dubitare della legittimita' costituzionale della norma censurata, alla stregua della decisione riportata (in questo senso, fra le altre, sentenze n. 328 del 2011 e n. 234 del 2011). 5.- Nel merito, la questione non e' fondata. 5.1.- La norma censurata si inserisce nel contesto normativo delineato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore). Con detta legge il legislatore ha portato a compimento e sviluppato precedenti indirizzi, espressi a livello sia normativo sia giurisprudenziale, volti ad estendere la tutela propria del lavoro subordinato ai soci lavoratori delle cooperative. Tale norma ha previsto la prima disciplina unitaria ed organica che attiene alla posizione del socio lavoratore di societa' cooperativa. Quest'ultimo, accanto al rapporto mutualistico, che scaturisce dalla sua partecipazione allo scopo dell'impresa collettiva e che lo rende titolare di poteri e di diritti nel concorrere alla formazione della volonta' della societa', «stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma» (art. 1, comma 3). Questa riforma ha riconosciuto al socio lavoratore di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato diritti individuali e collettivi previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) (art. 2). Essa ha stabilito che, «[f]ermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300» che impone alle imprese titolari di benefici accordati dallo Stato ed agli appaltatori di opere pubbliche di applicare o far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona - «le societa' cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine» (art. 3). Si e' voluto cosi' confermare il criterio, seguito dalla giurisprudenza nell'applicazione dell'art. 36 Cost., secondo cui il giudice valuta la conformita' della retribuzione ai parametri del medesimo articolo, facendo riferimento ai CCNL applicabili alla categoria di appartenenza oppure ad una categoria affine, per poi determinare la retribuzione secondo equita', ai sensi dell'art. 2099 del codice civile (fra le tante, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 1° febbraio 2006, n. 2245), come, d'altronde, chiarito espressamente nella circolare del Ministero del lavoro 17 giugno 2002, n. 34. Nella stessa prospettiva si colloca l'art. 9, comma 1, lettera f), della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) che, nel modificare l'art. 6, comma 2, della legge n. 142 del 2001, ha stabilito che il rinvio ai contratti collettivi nazionali operi per il «solo trattamento economico minimo di cui all'articolo 3, comma 1» della legge n. 142 del 2001. Con la circolare n. 10 del 18 marzo 2004, il Ministero del lavoro ha precisato che, a seguito della citata modifica, «al socio lavoratore inquadrato con rapporto di lavoro subordinato [deve] essere garantita una retribuzione non inferiore ai minimi contrattuali non solo per quanto riguarda la retribuzione di livello, [...] ma anche per quanto riguarda le altre norme del contratto che preved[o]no voci retributive fisse, ovvero il numero delle mensilita' e gli scatti di anzianita', a fronte delle prestazioni orarie previste dagli stessi contratti di lavoro». 5.2.- In questo quadro normativo si pone il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, che, come gia' ricordato, recita «[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di societa' cooperative, in presenza di un pluralita' di contratti collettivi della medesima categoria, le societa' cooperative che svolgono attivita' ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale nella categoria». Tale previsione e' stata adottata all'indomani del Protocollo d'intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l'impegno di avviare «ogni idonea iniziativa amministrativa affinche' le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato, previsti dall'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento» (punto C). L'obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo e' di contestare l'applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentativita', che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all'art. 36 Cost., secondo l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l'art. 2099 cod. civ. Con l'entrata in vigore dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007 si e' assistito a una intensa attivita' ispettiva, promossa dal Ministero del lavoro, per ribadire che «in presenza di piu' "contratti collettivi nazionali di lavoro nello stesso settore merceologico vanno applicati i trattamenti economici previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative"», cosi' come disposto dall'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in relazione alle tipologie dei rapporti di lavoro instaurati alla luce del regolamento interno ex art. 6, comma 1, lettera a), della legge n. 142 del 2001 (circolari del Ministero del lavoro 9 novembre 2010 e 6 marzo 2012) ed in linea con specifici indici sintomatici di rappresentativita' sindacale, individuati nella circolare del Ministero del lavoro 1° giugno 2012. La giurisprudenza di legittimita' ha confermato tale impostazione e ha sostenuto che «in tema di societa' cooperative [...] al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilita', quanto ai minimi contrattuali, non e' condizionata dall'entrata in vigore del regolamento previsto dall'art. 6, della legge n. 142 del 2001, che, destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalita' di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, applicabili, non puo' contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria» (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 agosto 2014, n. 17583; in senso analogo, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 agosto 2013, n. 19832). Anche questa Corte, chiamata di recente a pronunciarsi sulla medesima questione di legittimita' costituzionale oggi sollevata (peraltro dal medesimo giudice) nei confronti dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in riferimento all'art. 39 Cost., pur dichiarandola inammissibile, in ragione dell'inconferenza della norma sottoposta a scrutinio circa il thema decidendum demandato al giudice rimettente, precisava, con riguardo sia al predetto art. 7, comma 4, sia al connesso art. 3, comma 1, della legge n. 142 del 2001, che «[l]a finalita', perseguita da entrambe le norme, e' quella di garantire l'estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicurando la parita' di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori» (sentenza n. 59 del 2013). 5.3.- Sulla base di quanto fin qui richiamato, risulta evidente che la censura sollevata dal Tribunale ordinario di Lucca si fonda su un erroneo presupposto interpretativo. Il censurato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, congiuntamente all'art. 3 della legge n. 142 del 2001, lungi dall'assegnare ai predetti contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative, efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito dall'art. 39 Cost., mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti, e piu' precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalita' e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell'art. 36 Cost. Tale parametro e' richiamato - e dunque deve essere osservato - indipendentemente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7, che fa riferimento «alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di societa' cooperative». Nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le societa' cooperative, l'articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalita' e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente piu' rappresentative (fra le tante, la sentenza gia' citata della Corte di cassazione n. 17583 del 2014).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata, in riferimento all'art. 39 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Lucca, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2015. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente Silvana SCIARRA, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2015. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella Paola MELATTI