N. 51 SENTENZA 11 - 26 marzo 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro - Soci lavoratori di  societa'  cooperative  -  Determinazione
  della retribuzione nel caso di pluralita' di contratti  intervenuti
  per la medesima categoria. 
- Decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti
  da disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in  materia
  finanziaria) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
  della legge 28 febbraio 2008, n. 31 - art. 7, comma 4. 
-   
(GU n.13 del 1-4-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo  GROSSI,  Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4,
del decreto-legge 31  dicembre  2007,  n.  248  (Proroga  di  termini
previsti  da  disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in
materia finanziaria), convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n. 31, promosso dal  Tribunale
ordinario di Lucca nel procedimento vertente tra Biscardi Gianluca  e
Il Castello  service  societa'  cooperativa,  con  ordinanza  del  24
gennaio 2014, iscritta al  n.  100  del  registro  ordinanze  2014  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  26,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'11  marzo  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 gennaio 2014, il Tribunale ordinario  di
Lucca ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento all'art. 39 della Costituzione, dell'art. 7, comma 4, del
decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di  termini  previsti
da  disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in   materia
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte  in  cui  stabilisce
che, «[f]ino alla completa attuazione della normativa in  materia  di
socio  lavoratore  di  societa'  cooperative,  in  presenza  di   una
pluralita' di  contratti  collettivi  della  medesima  categoria,  le
societa' cooperative che svolgono attivita' ricomprese nell'ambito di
applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri  soci
lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge  3  aprile
2001, n. 142, i trattamenti economici  complessivi  non  inferiori  a
quelli   dettati   dai   contratti   collettivi    stipulati    dalle
organizzazioni   datoriali   e   sindacali   comparativamente    piu'
rappresentative a livello nazionale nella categoria». 
    1.1.- Il rimettente premette di essere stato adito  da  un  socio
lavoratore, con  mansioni  di  lavoratore  facchino,  della  societa'
cooperativa Il Castello, per ottenere la  condanna,  in  applicazione
del citato art. 7, comma 4, del decreto-legge n. 248 del 2007,  della
predetta societa' al pagamento delle differenze retributive correlate
all'applicazione del CCNL unico della logistica, trasporto,  merci  e
spedizione, sottoscritto  in  data  9  novembre  2006,  da  CONFETRA,
CONFTRASPORTO, ANITA, ANCST LEGACOOP, CONFARTIGIANATO ed altri (parte
datoriale) e  da  FILT  CGIL,  FIT-CISL  e  UILTRASPORTI  (parte  dei
lavoratori), anziche' del  diverso  CCNL  applicato  dalla  convenuta
(CCNL multi servizi, stipulato da UNCI-FESICA-CONFSAL). Il  Tribunale
ordinario di Lucca precisa, inoltre, che  la  societa'  convenuta  ha
fornito evidenza della delibera, intervenuta nel  corso  di  apposita
assemblea dei soci lavoratori, in merito  all'applicazione  del  CCNL
multiservizi  stipulato  da  UNCI-FESICA-CONFSAL.  Essa  ha  eccepito
l'illegittimita' costituzionale del citato comma 4 dell'art.  7,  per
violazione degli artt. 39 e 41 Cost. 
    Tanto  premesso,  il   rimettente   solleva   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del
2007, nei termini suindicati, osservando, in punto di rilevanza,  che
tale disposizione e' alla base della domanda proposta dal ricorrente,
cosicche'  essa  deve  trovare  applicazione  nel  giudizio  pendente
dinanzi al medesimo. 
    1.2.- In particolare, il Tribunale ordinario di Lucca ritiene che
la norma  in  esame  si  ponga  in  contrasto  con  l'art.  39  Cost.
Quest'ultimo, infatti,  come  chiarito  dalla  Corte  costituzionale,
garantirebbe «alle associazioni sindacali di regolare i conflitti  di
interessi che sorgono  tra  le  contrapposte  categorie  mediante  il
contratto, al quale poi  si  riconosce  efficacia  obbligatoria  erga
omnes, una volta che sia stipulato in conformita' di una  determinata
procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti»:  pertanto,
una «legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato
della dilatazione ed estensione, che e' una  tendenza  propria  della
natura del  contratto  collettivo,  a  tutti  gli  appartenenti  alla
categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da
quella stabilita dal  precetto  costituzionale,  sarebbe  palesemente
illegittima» (sentenza n. 106 del 1962). La norma in esame, imponendo
al giudice, in presenza di una pluralita' di contratti collettivi  di
settore, di applicare un  trattamento  retributivo  non  inferiore  a
quello previsto  da  alcuni  di  tali  contratti,  senza  una  previa
valutazione  ex  art.  36  Cost.  del  diverso  contratto  collettivo
applicato  per  affiliazione  sindacale   dall'impresa,   inciderebbe
autoritativamente   sul   dinamismo,   anche   conflittuale,    della
concorrenza  intersindacale,   realizzando   un'indebita   estensione
dell'efficacia  collettiva  dei  contratti   collettivi   (sia   pure
limitatamente alla  sola  parte  economica),  in  violazione  appunto
dell'art. 39 Cost. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque infondata. 
    Secondo la difesa statale  la  questione  sarebbe  inammissibile,
anzitutto,  per  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,   attesa
l'apoditticita'  e  l'assertivita'   delle   affermazioni   contenute
nell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza. 
    Nella  specie,  difetterebbero  anche  le  condizioni  per  porre
validamente una questione di legittimita' costituzionale, considerato
che la motivazione sulla rilevanza della questione  stessa,  proposta
nei confronti dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, sarebbe
manifestamente  arbitraria  ed  implausibile,  essendo   gia'   stato
chiarito che «[l]a finalita' perseguita [dalla norma]  e'  quella  di
garantire  l'estensione   dei   minimi   di   trattamento   economico
(cosiddetto  minimale   retributivo)   agli   appartenenti   ad   una
determinata categoria, assicurando la parita' di  trattamento  tra  i
datori di lavoro e tra i lavoratori» (sentenza di questa Corte n.  59
del  2013).  Da  cio'  deriverebbe  il  carattere  pretestuoso  della
questione sollevata e, quindi, il difetto di rilevanza della stessa. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile  anche   per   difetto   di
motivazione sulla non manifesta infondatezza. Ad avviso della  difesa
statale nell'ordinanza di rimessione non sarebbe  chiarito  "dove  le
norme denunciate sarebbero  incostituzionali"  e  "quale  sarebbe  il
quadro precettivo costituzionale in  ordine  al  quale  concretamente
affiorerebbe il contrasto". 
    Nel merito, la difesa statale sostiene che la questione sollevata
sia infondata. 
    La norma censurata, lungi dall'obbligare lavoratore e cooperativa
ad applicare al rapporto di lavoro una regolamentazione  pattuita  da
attori sindacali che non li rappresentano, mortificando, in tal modo,
la  liberta'  sindacale,  sarebbe   espressione   di   un   interesse
costituzionalmente  protetto,  ossia   quello   di   dare   integrale
attuazione all'art. 36  Cost.  Essa  si  limiterebbe  ad  offrire  un
criterio per la scelta dei contratti collettivi che  forniscano  piu'
garanzie ai lavoratori nel determinare la  retribuzione  sufficiente,
«proporzionata alla quantita' e qualita'» del lavoro svolto. 
    In definitiva, la difesa statale ritiene che la  norma  censurata
preveda  che,  a  parita'  di  attivita'  lavorativa  esercitata,  la
contrattazione collettiva che assicura una retribuzione piu' elevata,
sottoscritta dalle  organizzazioni  sindacali  comparativamente  piu'
rappresentative a livello nazionale nella categoria economica in  cui
opera il datore di  lavoro,  costituisca  parametro  retributivo  non
derogabile verso il basso. Lo scopo della  norma  sarebbe  quello  di
garantire l'invarianza del trattamento economico  complessivo  minimo
dei  lavoratori,  con  riferimento  agli  standard   concordati   nei
contratti collettivi di riferimento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in  riferimento
all'art.   39   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 4, del  decreto-legge  31  dicembre
2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e disposizioni  urgenti  in  materia  finanziaria),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n.
31,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che,  «[f]ino  alla  completa
attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di societa'
cooperative, in presenza di un  pluralita'  di  contratti  collettivi
della  medesima  categoria,  le  societa'  cooperative  che  svolgono
attivita' ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di
categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo
3, comma 1,  della  legge  3  aprile  2001,  n.  142,  i  trattamenti
economici complessivi non inferiori a quelli  dettati  dai  contratti
collettivi  stipulati  dalle  organizzazioni  datoriali  e  sindacali
comparativamente  piu'  rappresentative  a  livello  nazionale  nella
categoria». A  suo  avviso,  questa  norma  violerebbe  il  parametro
costituzionale indicato, nell'imporre  al  giudice  di  applicare  al
socio  lavoratore  di  una  societa'   cooperativa   un   trattamento
retributivo non inferiore a quello previsto dai contratti  collettivi
di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali  comparativamente
piu' rappresentative, pur in presenza  di  una  pluralita'  di  fonti
collettive. In assenza di una previa valutazione, ex art.  36  Cost.,
del contratto collettivo applicato  dalla  societa'  cooperativa,  in
ragione  della  sua  adesione  alla  organizzazione  firmataria   del
contratto medesimo, si violerebbe il principio di liberta' sindacale,
realizzando un'indebita  estensione  dell'efficacia  erga  omnes  dei
contratti collettivi, in contrasto con quanto stabilito dall'art.  39
Cost. 
    2.- In linea preliminare, va  osservato  che  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha eccepito l'inammissibilita' della questione
per difetto di motivazione sulla rilevanza, a  causa  della  ritenuta
apoditticita' ed assertivita' delle affermazioni contenute sul  punto
nell'ordinanza di rimessione. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Nella specie, il rimettente non si limita ad affermare, in  punto
di  rilevanza  della  questione,  che  "la  domanda   di   differenze
retributive di parte ricorrente si fonda sull'applicazione  dell'art.
7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248", e  che,  "la
disposizione deve trovare applicazione da parte di  questo  giudice",
ma fornisce anche una descrizione della fattispecie concreta che, pur
se in forma  sintetica,  rende  evidente  la  riconducibilita'  della
stessa   all'ambito   di   applicazione   della   norma   della   cui
costituzionalita' dubita e,  dunque,  chiarisce  la  rilevanza  della
questione. 
    3.- La difesa statale ha, altresi',  eccepito  l'inammissibilita'
della questione per la  "manifesta  arbitrarieta'  nonche'  manifesta
implausibilita' della motivazione del giudice a quo sulla rilevanza". 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte ha piu'  volte  riconosciuto  che,  per  aversi  una
questione di legittimita' validamente posta, e'  sufficiente  che  il
giudice a quo  fornisca  un'interpretazione  non  implausibile  della
disposizione contestata che, per una valutazione compiuta in una fase
meramente iniziale del processo, egli ritenga di dover applicare  nel
giudizio principale e su cui nutra dubbi non arbitrari di conformita'
a determinate norme costituzionali (fra le tante, sentenza n. 463 del
1994). Nella specie, il Tribunale ordinario di Lucca  ha  chiaramente
proposto il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 7,  comma
4, del d.l. n. 248 del 2007, di cui avrebbe dovuto fare  applicazione
per decidere se accogliere o meno la domanda di condanna al pagamento
delle differenze retributive. Ha fornito una lettura della  norma  in
questione, nella parte in cui impone  alle  societa'  cooperative  di
applicare «i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli
dettati  dai  contratti  collettivi  stipulati  dalle  organizzazioni
datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello
nazionale nella categoria», lettura orientata a riconoscere efficacia
erga  omnes  a  taluni  tipi  di  contratti  collettivi.   Una   tale
interpretazione non risulta manifestamente implausibile. 
    4.- La sollevata questione sarebbe, infine, inammissibile secondo
la difesa  statale,  anche  per  difetto  di  motivazione  sulla  non
manifesta infondatezza, in quanto non sarebbe adeguatamente chiarito,
nell'ordinanza di rimessione, "dove  le  norme  denunciate  sarebbero
incostituzionali"   e   "quale   sarebbe   il    quadro    precettivo
costituzionale in  ordine  al  quale  concretamente  affiorerebbe  il
contrasto". 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Nell'ordinanza di rimessione, il Tribunale ordinario di Lucca non
solo riproduce ampi brani di una risalente decisione di questa  Corte
(la sentenza n. 106 del  1962),  richiamando  le  argomentazioni  ivi
svolte sull'illegittimita' costituzionale di leggi che estendano  gli
effetti erga omnes di contratti collettivi in  contrasto  con  quanto
previsto dall'art. 39 Cost., ma chiarisce che l'art. 7, comma 4,  del
d.l. n. 248 del 2007, sarebbe costituzionalmente illegittimo, proprio
in quanto attribuirebbe efficacia erga omnes ai contratti  collettivi
di    categoria,    stipulati    dalle    organizzazioni    sindacali
comparativamente piu' rappresentative, in  assenza  delle  condizioni
prescritte  dal  predetto  art.   39   Cost.   Risultano,   pertanto,
individuate  chiaramente,  sebbene  sinteticamente,  le  ragioni  che
inducono il rimettente a dubitare della  legittimita'  costituzionale
della norma censurata, alla stregua  della  decisione  riportata  (in
questo senso, fra le altre, sentenze n. 328 del 2011  e  n.  234  del
2011). 
    5.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    5.1.- La norma censurata  si  inserisce  nel  contesto  normativo
delineato  dalla  legge  3  aprile  2001,  n.  142  (Revisione  della
legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento
alla posizione del socio lavoratore). Con detta legge il  legislatore
ha portato a compimento e sviluppato precedenti indirizzi, espressi a
livello sia normativo sia giurisprudenziale, volti  ad  estendere  la
tutela propria  del  lavoro  subordinato  ai  soci  lavoratori  delle
cooperative. Tale norma ha previsto la prima disciplina  unitaria  ed
organica che attiene alla posizione del socio lavoratore di  societa'
cooperativa. Quest'ultimo,  accanto  al  rapporto  mutualistico,  che
scaturisce  dalla  sua   partecipazione   allo   scopo   dell'impresa
collettiva e che lo  rende  titolare  di  poteri  e  di  diritti  nel
concorrere alla formazione della volonta' della societa', «stabilisce
con la  propria  adesione  o  successivamente  all'instaurazione  del
rapporto associativo  un  ulteriore  rapporto  di  lavoro,  in  forma
subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma» (art. 1, comma 3).
Questa riforma ha riconosciuto al socio lavoratore di cooperativa con
rapporto di  lavoro  subordinato  diritti  individuali  e  collettivi
previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della
liberta' e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'  sindacale  e
dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di   lavoro   e   norme   sul
collocamento) (art. 2). Essa  ha  stabilito  che,  «[f]ermo  restando
quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n.  300»
che impone alle imprese titolari di benefici accordati dallo Stato ed
agli appaltatori di opere pubbliche di applicare o far applicare  nei
confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle
risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della
zona - «le societa' cooperative sono tenute a corrispondere al  socio
lavoratore un trattamento economico  complessivo  proporzionato  alla
quantita' e qualita' del lavoro prestato e comunque non inferiore  ai
minimi  previsti,  per  prestazioni  analoghe,  dalla  contrattazione
collettiva nazionale del settore o della categoria affine» (art.  3).
Si  e'  voluto  cosi'   confermare   il   criterio,   seguito   dalla
giurisprudenza nell'applicazione dell'art. 36 Cost., secondo  cui  il
giudice valuta la conformita' della  retribuzione  ai  parametri  del
medesimo articolo,  facendo  riferimento  ai  CCNL  applicabili  alla
categoria di appartenenza oppure ad una  categoria  affine,  per  poi
determinare la retribuzione secondo equita', ai sensi dell'art.  2099
del codice civile (fra le tante, Corte di cassazione, sezione lavoro,
sentenza 1° febbraio  2006,  n.  2245),  come,  d'altronde,  chiarito
espressamente nella circolare del  Ministero  del  lavoro  17  giugno
2002, n. 34. 
    Nella stessa prospettiva si colloca l'art. 9,  comma  1,  lettera
f), della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia
di occupazione e mercato del lavoro) che, nel  modificare  l'art.  6,
comma 2, della legge n. 142 del 2001, ha stabilito che il  rinvio  ai
contratti  collettivi  nazionali  operi  per  il  «solo   trattamento
economico minimo di cui all'articolo 3, comma 1» della legge  n.  142
del 2001. Con la circolare n. 10 del 18 marzo 2004, il Ministero  del
lavoro ha precisato che, a seguito della citata modifica,  «al  socio
lavoratore inquadrato  con  rapporto  di  lavoro  subordinato  [deve]
essere  garantita  una   retribuzione   non   inferiore   ai   minimi
contrattuali non solo per quanto riguarda la retribuzione di livello,
[...] ma anche per quanto riguarda le altre norme del  contratto  che
preved[o]no voci retributive fisse, ovvero il numero delle mensilita'
e gli  scatti  di  anzianita',  a  fronte  delle  prestazioni  orarie
previste dagli stessi contratti di lavoro». 
    5.2.- In questo quadro normativo si pone  il  censurato  art.  7,
comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, che, come gia'  ricordato,  recita
«[f]ino alla completa attuazione della normativa in materia di  socio
lavoratore di societa' cooperative, in presenza di un  pluralita'  di
contratti  collettivi   della   medesima   categoria,   le   societa'
cooperative  che  svolgono  attivita'   ricomprese   nell'ambito   di
applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri  soci
lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge  3  aprile
2001, n. 142, i trattamenti economici  complessivi  non  inferiori  a
quelli   dettati   dai   contratti   collettivi    stipulati    dalle
organizzazioni   datoriali   e   sindacali   comparativamente    piu'
rappresentative a livello nazionale nella categoria». Tale previsione
e' stata adottata all'indomani del Protocollo d'intesa,  sottoscritto
il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello  sviluppo
economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL,  in  cui
il Governo assumeva l'impegno  di  avviare  «ogni  idonea  iniziativa
amministrativa  affinche'   le   cooperative   adottino   trattamenti
economici complessivi del lavoro subordinato, previsti  dall'articolo
3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli
previsti dal contratto collettivo nazionale  di  lavoro  sottoscritto
dalle associazioni del movimento cooperativo e  dalle  organizzazioni
sindacali  per   ciascuna   parte   sociale   comparativamente   piu'
rappresentative sul  piano  nazionale  nel  settore  di  riferimento»
(punto C). L'obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo  e'  di
contestare l'applicazione di  contratti  collettivi  sottoscritti  da
organizzazioni   datoriali   e    sindacali    di    non    accertata
rappresentativita',    che    prevedano    trattamenti    retributivi
potenzialmente  in  contrasto  con   la   nozione   di   retribuzione
sufficiente, di cui  all'art.  36  Cost.,  secondo  l'interpretazione
fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l'art.  2099  cod.
civ. 
    Con l'entrata in vigore dell'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del
2007 si e' assistito a una intensa attivita' ispettiva, promossa  dal
Ministero  del  lavoro,  per  ribadire  che  «in  presenza  di   piu'
"contratti  collettivi  nazionali  di  lavoro  nello  stesso  settore
merceologico vanno applicati i  trattamenti  economici  previsti  dai
contratti  collettivi  stipulati  dalle  organizzazioni  datoriali  e
sindacali  comparativamente  piu'   rappresentative"»,   cosi'   come
disposto dall'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in relazione
alle tipologie dei  rapporti  di  lavoro  instaurati  alla  luce  del
regolamento interno ex art. 6, comma 1, lettera a),  della  legge  n.
142 del 2001 (circolari del Ministero del lavoro 9 novembre 2010 e  6
marzo  2012)  ed  in  linea  con  specifici  indici  sintomatici   di
rappresentativita'  sindacale,  individuati   nella   circolare   del
Ministero del lavoro 1° giugno 2012. 
    La giurisprudenza di legittimita' ha confermato tale impostazione
e ha sostenuto che «in tema di societa' cooperative  [...]  al  socio
lavoratore subordinato spetta la  corresponsione  di  un  trattamento
economico complessivo (ossia concernente la retribuzione  base  e  le
altre voci retributive) comunque non inferiore  ai  minimi  previsti,
per prestazioni analoghe, dalla contrattazione  collettiva  nazionale
del settore o della categoria affine, la cui  applicabilita',  quanto
ai minimi contrattuali, non e' condizionata  dall'entrata  in  vigore
del regolamento previsto dall'art. 6, della legge n.  142  del  2001,
che,  destinato  a  disciplinare,  essenzialmente,  le  modalita'  di
svolgimento delle prestazioni lavorative  da  parte  dei  soci  e  ad
indicare le norme, anche collettive, applicabili, non puo'  contenere
disposizioni derogatorie di minor  favore  rispetto  alle  previsioni
collettive  di  categoria»  (Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenza 4  agosto  2014,  n.  17583;  in  senso  analogo,  Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 agosto 2013, n. 19832). 
    Anche questa Corte, chiamata  di  recente  a  pronunciarsi  sulla
medesima questione  di  legittimita'  costituzionale  oggi  sollevata
(peraltro dal medesimo giudice) nei confronti dell'art. 7,  comma  4,
del d.l. n. 248 del 2007,  in  riferimento  all'art.  39  Cost.,  pur
dichiarandola inammissibile, in ragione dell'inconferenza della norma
sottoposta a scrutinio circa il thema decidendum demandato al giudice
rimettente, precisava, con riguardo sia al predetto art. 7, comma  4,
sia al connesso art. 3, comma 1, della legge n.  142  del  2001,  che
«[l]a finalita', perseguita  da  entrambe  le  norme,  e'  quella  di
garantire  l'estensione   dei   minimi   di   trattamento   economico
(cosiddetto  minimale   retributivo)   agli   appartenenti   ad   una
determinata categoria, assicurando la parita' di  trattamento  tra  i
datori di lavoro e tra i lavoratori» (sentenza n. 59 del 2013). 
    5.3.- Sulla base di quanto fin qui richiamato,  risulta  evidente
che la censura sollevata dal Tribunale ordinario di Lucca si fonda su
un erroneo presupposto interpretativo. 
    Il censurato  art.  7,  comma  4,  del  d.l.  n.  248  del  2007,
congiuntamente  all'art.  3  della  legge  n.  142  del  2001,  lungi
dall'assegnare ai  predetti  contratti  collettivi,  stipulati  dalle
organizzazioni  sindacali  comparativamente   piu'   rappresentative,
efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito  dall'art.  39
Cost., mediante un recepimento normativo  degli  stessi,  richiama  i
predetti contratti,  e  piu'  precisamente  i  trattamenti  economici
complessivi  minimi  ivi  previsti,  quale   parametro   esterno   di
commisurazione,   da   parte   del   giudice,   nel    definire    la
proporzionalita'  e  la  sufficienza  del  trattamento  economico  da
corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell'art. 36  Cost.  Tale
parametro  e'  richiamato  -  e  dunque  deve  essere   osservato   -
indipendentemente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7,  che
fa riferimento «alla completa attuazione della normativa  in  materia
di socio lavoratore  di  societa'  cooperative».  Nell'effettuare  un
rinvio  alla  fonte  collettiva  che,  meglio  di  altre,   recepisce
l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le
societa' cooperative, l'articolo censurato si propone di  contrastare
forme di competizione salariale al ribasso, in linea con  l'indirizzo
giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti  della
proporzionalita' e della sufficienza (art. 36 Cost.) la  retribuzione
concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni
comparativamente piu' rappresentative (fra le tante, la sentenza gia'
citata della Corte di cassazione n. 17583 del 2014). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge  31  dicembre  2007,  n.  248
(Proroga  di  termini  previsti   da   disposizioni   legislative   e
disposizioni  urgenti  in  materia  finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 28 febbraio 2008, n.
31, sollevata, in riferimento all'art.  39  della  Costituzione,  dal
Tribunale ordinario di Lucca, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI