N. 64 SENTENZA 10 marzo - 17 aprile 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Consiglio regionale (poteri in regime di prorogatio) - Pianificazione
  paesaggistica (procedimento per la  conformazione  e  l'adeguamento
  degli   strumenti   urbanistici   comunali   al   Piano   Regionale
  Paesistico). 
- Legge della Regione Abruzzo 28 aprile  2014,  n.  26  (Disposizioni
  regionali per il coordinamento della  pianificazione  paesaggistica
  con gli altri strumenti di pianificazione), intero testo;  medesima
  legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26, art. 2, commi  4
  e 5, nel testo  originario,  antecedente  alla  modifica  apportata
  dall'art. 1 della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014,  n.
  40 (Modifiche ed integrazioni all'art. 2 della legge  regionale  28
  aprile 2014, n. 26, all'art. 14 della legge  regionale  25  ottobre
  1996, n. 96, alla legge regionale 10 marzo 2008, n. 2  e  ulteriori
  norme in materia di edilizia residenziale pubblica). 
-   
(GU n.16 del 22-4-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo  GROSSI,  Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'intero  testo  e
dell'art. 2, commi 4 e 5, della legge della Regione Abruzzo 28 aprile
2014, n.  26  (Disposizioni  regionali  per  il  coordinamento  della
pianificazione   paesaggistica   con   gli   altri    strumenti    di
pianificazione), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri
con ricorso notificato l'8-9 luglio 2014, depositato  in  cancelleria
il 15 luglio 2014 ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2014. 
    Udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore
Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'8-9  luglio  2014  e  depositato  il
successivo 15 luglio,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
ritualmente proposto in  via  principale  questione  di  legittimita'
costituzionale della legge della Regione Abruzzo 28 aprile  2014,  n.
26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della  pianificazione
paesaggistica  con  gli  altri  strumenti  di  pianificazione),   per
violazione dell'art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale
28 dicembre 2006 (Statuto  della  Regione  Abruzzo),  in  riferimento
all'art.  123  della  Costituzione.  E,  gradatamente,  ha   altresi'
proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2,  commi
4 e 5, della stessa  legge  regionale,  in  riferimento  all'art.117,
secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  per  contrasto  con  le  norme
interposte di cui  agli  artt.  135,  143,  145  e  156  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
    1.1.- Il ricorrente rileva, innanzitutto, che la legge censurata,
nella sua interezza, e' illegittima perche'  adottata  dal  Consiglio
regionale nel periodo  di  prorogatio  successivo  allo  scioglimento
dell'assemblea regionale per fine legislatura  (ed  antecedente  alla
data fissata per lo svolgimento delle nuove elezioni), in assenza dei
presupposti per l'esercizio  del  potere  legislativo  regionale  che
caratterizzano tale periodo. 
    La  difesa  dello  Stato   osserva,   infatti,   che   la   legge
costituzionale 22  novembre  1999,  n.  1  (Disposizioni  concernenti
l'elezione  diretta  del  Presidente   della   Giunta   regionale   e
l'autonomia statutaria  delle  Regioni),  ha  attribuito  alla  fonte
statutaria la definizione della forma di governo e l'enunciazione dei
principi  fondamentali  di  organizzazione  e   funzionamento   della
Regione, in armonia con la  Costituzione  (ai  sensi  dell'art.  123,
primo  comma,  Cost.);  ed  ha  demandato  allo  stesso   legislatore
regionale (nel rispetto dei principi fondamentali fissati  con  legge
della Repubblica,  «che  stabilisce  anche  la  durata  degli  organi
elettivi», ex art.  122,  primo  comma,  Cost.),  la  disciplina  del
sistema elettorale. In particolare, l'art. 86, comma 3,  lettera  a),
dello statuto della Regione Abruzzo prevede che, «[...] nei  casi  di
scioglimento anticipato  e  di  scadenza  della  Legislatura:  a)  le
funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalita'
disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle  operazioni
di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli
interventi che si rendono  dovuti  in  base  agli  impegni  derivanti
dall'appartenenza all'Unione Europea, a disposizioni costituzionali o
legislative statali o che, comunque, presentano  il  carattere  della
urgenza e necessita' [...]». 
    Pertanto, secondo il ricorrente, il Consiglio regionale  dispone,
in tale situazione, di poteri attenuati, verificandosi, in  sostanza,
una sorta di "depotenziamento" delle sue funzioni, la  cui  ratio  e'
volta a coniugare il principio di rappresentativita'  con  quello  di
continuita' funzionale dell'organo. Per cui, se va escluso  che  tale
depotenziamento possa spingersi fino ad una indiscriminata  e  totale
paralisi dell'organo  stesso,  tuttavia  al  Consiglio  regionale  e'
consentito di deliberare in circostanze straordinarie o di urgenza, o
per il compimento di atti dovuti o di ordinaria amministrazione (come
chiarito nella sentenza n. 68 del 2010), ma non di  legiferare  oltre
tali indefettibili limiti (ribaditi  dall'art.  141  del  Regolamento
interno per i lavori del Consiglio regionale, approvato con  delibera
del Consiglio regionale della Regione Abruzzo n. 56/2 del 12  ottobre
2010), rispetto ai quali, peraltro, le concrete situazioni di urgenza
ed indifferibilita' devono essere adeguatamente motivate. 
    Cio' posto, la difesa dello Stato rileva che la  legge  in  esame
non presenta alcuno dei richiamati caratteri di  indifferibilita'  ed
urgenza, ne' si configura quale atto dovuto tale da non poter  essere
rinviato per non recare  danno  alla  collettivita'  regionale  o  al
funzionamento dell'ente. Tali  presupposti,  infatti,  non  sarebbero
ravvisabili  (come  invece  affermato  nella  relazione  al  relativo
disegno di legge)  nella  volonta'  di  rimuovere  la  situazione  di
incertezza creatasi, nella materia de qua, a seguito  della  sentenza
n. 211 del 2013, con cui la Corte ha dichiarato l'incostituzionalita'
dell'art. 2 della legge della Regione Abruzzo 28 agosto 2012, n.  46,
che apportava «Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2,
recante "Disposizioni in materia di beni paesaggistici e  ambientali,
in attuazione della Parte Terza del D.Lgs. 22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio)"»,  come  dimostrato  dal
fatto che la  Regione  medesima  non  ha  ancora  adeguato  il  piano
paesaggistico alle disposizioni del codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi degli articoli 135, 143, 145  e  156  del  citato
d.lgs. n. 42 del 2004. 
    1.2.- In secondo luogo, il ricorrente impugna l'art. 2, commi 4 e
5, della medesima legge regionale, che disciplina il caso in cui,  in
sede  di  adeguamento  della  pianificazione  urbanistica  a   quella
comunale,  «la  proposta  comunale  si  configuri  come  proposta  di
variante al P.R.P.». 
    In particolare,  per  la  difesa  dello  Stato,  il  procedimento
descritto in tali disposizioni - non  prevedendo  l'apposito  accordo
con il competente organo statale previsto dagli artt. 143, comma 2, e
156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma  la  mera  partecipazione
degli  organi  ministeriali  ad  una  conferenza  di  servizi  -  non
garantisce adeguatamente il coinvolgimento del Ministero per  i  beni
culturali ed ambientali nella pianificazione paesaggistica, e  quindi
viola l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Poiche',  infatti,
la fattispecie disciplinata dal comma  4  dell'art.  2  si  configura
sostanzialmente in  una  revisione,  ancorche'  limitata,  del  piano
paesaggistico (non derogabile da parte degli  strumenti  urbanistici,
ex art. 145, comma 3, del d.lgs.  n.  42  del  2004),  essa  dovrebbe
essere soggetta alle medesime garanzie previste dal codice  dei  beni
culturali e del paesaggio in materia di  elaborazione  congiunta  del
piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143 e  156  del  medesimo
d.lgs.  n.  42  del  2004).  Viceversa,  le  disposizioni   censurate
presentano  i  medesimi  profili  di  illegittimita'   costituzionale
(sanzionati con la sentenza n. 211 del 2013) dell'art. 2 della  legge
reg. n. 46 del 2012, che escludeva qualsiasi forma di  partecipazione
di   qualsivoglia   organismo   ministeriale   al   procedimento   di
conformazione  ed  adeguamento  degli  strumenti   urbanistici   alle
previsioni della pianificazione paesaggistica. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri propone innanzitutto
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'intero  testo  della
legge della Regione Abruzzo  28  aprile  2014,  n.  26  (Disposizioni
regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con
gli altri  strumenti  di  pianificazione),  in  quanto  provvedimento
adottato dal Consiglio regionale nel periodo di prorogatio successivo
allo scioglimento dell'assemblea regionale per fine  legislatura  (ed
antecedente  alla  data  fissata  per  lo  svolgimento  delle   nuove
elezioni), in assenza dei  presupposti  per  l'esercizio  del  potere
legislativo regionale che caratterizzano tale periodo. 
    In particolare, il ricorrente denuncia  la  violazione  dell'art.
123 della Costituzione,  per  l'insussistenza  delle  condizioni  che
legittimano  il  Consiglio  regionale   a   legiferare,   contemplate
nell'art. 86,  comma  3,  lettera  a),  dello  statuto  regionale  28
dicembre 2006 (Statuto della  Regione  Abruzzo),  in  base  al  quale
«[...] nei casi  di  scioglimento  anticipato  e  di  scadenza  della
Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale  sono  prorogate,
secondo  le  modalita'  disciplinate   nel   Regolamento,   sino   al
completamento delle operazioni di proclamazione  degli  eletti  nelle
nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in
base agli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione  Europea,  a
disposizioni costituzionali o legislative statali  o  che,  comunque,
presentano il carattere della urgenza e necessita' [...]». 
    L'oggetto e la portata delle censure mosse dal ricorrente,  e  le
ragioni poste  a  sostegno  delle  medesime,  attengono  dunque  alla
formale contestazione, a monte, del potere  stesso  di  approvare  la
legge da parte del  Consiglio  regionale  abruzzese.  Di  conseguenza
(conformemente ai precedenti  casi  in  cui  questa  Corte  e'  stata
chiamata a pronunciarsi sulla denunciata  violazione  dei  poteri  in
regime di prorogatio: sentenze n. 181 del 2014 e n. 68 del  2010)  e'
pienamente ammissibile che l'impugnazione riguardi l'atto legislativo
nel suo testo integrale, a prescindere dal carattere dispositivo piu'
o meno eterogeneo del suo contenuto normativo. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    2.1.- Questa Corte ha gia'  avuto  occasione  di  riferirsi  alla
eventualita' che i poteri dei Consigli  delle  Regioni  ad  autonomia
ordinaria possano essere prorogati  al  periodo  successivo  al  loro
scioglimento, in previsione delle imminenti nuove elezioni. 
    La  sentenza  n.  68  del  2010  -  premessa   la   ricostruzione
dell'antecedente regolamentazione dell'istituto della prorogatio  dei
Consigli regionali (sentenze n. 515 del 1995 e n. 468 del 1991) -  ha
sottolineato come il quadro normativo ed applicativo sia notevolmente
mutato a seguito della legge costituzionale 22 novembre  1999,  n.  1
(Disposizioni concernenti l'elezione  diretta  del  Presidente  della
Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni).  Questa  ha
attribuito allo statuto  ordinario  la  definizione  della  forma  di
governo e l'enunciazione dei principi fondamentali di  organizzazione
e funzionamento della Regione, in armonia con la  Costituzione  (art.
123, primo comma, Cost.); e ha demandato, nel contempo, la disciplina
del  sistema  elettorale  e  dei  casi  di   ineleggibilita'   e   di
incompatibilita' allo stesso  legislatore  regionale,  sia  pure  nel
rispetto  dei  principi  fondamentali   fissati   con   legge   della
Repubblica, «che stabilisce anche la durata  degli  organi  elettivi»
(art. 122, primo comma, Cost.).  Cosicche'  -  anche  sulla  base  di
quanto successivamente previsto nella legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  Titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione) - questa Corte ha affermato  che  «una  interpretazione
sistematica  delle  citate  nuove  norme  costituzionali  conduce   a
ritenere che la disciplina della eventuale  prorogatio  degli  organi
elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni,
e degli eventuali limiti dell'attivita' degli organi  prorogati,  sia
oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della  Regione,  ai
sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma
di governo regionale»; e che, nel disciplinare  questo  profilo,  gli
statuti «dovranno essere in armonia con i precetti e con  i  principi
tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi  dell'art.  123,  primo
comma, della Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003; anche  sentenza
n. 304 del 2002). 
    Va pertanto ribadito, in sintesi, che l'istituto della prorogatio
riguarda, in termini generali, fattispecie in cui  «coloro  che  sono
nominati a tempo a coprire  uffici  rimangono  in  carica,  ancorche'
scaduti, fino all'insediamento dei successori» (sentenza n.  208  del
1992);  che,  con  specifico  riferimento  agli  organi  elettivi,  e
segnatamente ai Consigli regionali, esso attiene solo  all'«esercizio
dei poteri nell'intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di
tale  mandato,  e  l'entrata  in  carica  del  nuovo  organo  eletto»
(sentenza n. 196 del 2003); e che l'istituto in esame  presuppone  la
scadenza,  naturale  o  anticipata,  del  mandato  dell'organo,   non
potendovi logicamente  esservi  prorogatio  prima  di  tale  scadenza
(sentenze n. 181 del 2014 e n.  68  del  2010).  Detto  esercizio  va
inteso come necessariamente limitato alle esigenze  di  rispondere  a
speciali contingenze, quale ragionevole  soluzione  di  bilanciamento
tra il principio di rappresentativita' e il principio di  continuita'
funzionale (sentenze n. 55 e n. 44 del 2015). 
    2.2.-  Cio'  premesso   (in   termini   generali,   quanto   alla
individuazione  del  momento  in  cui  sorge  e  vige  il  regime  di
prorogatio), sotto un profilo piu' specifico va anche rilevato che la
Regione Abruzzo ha effettivamente regolamentato  il  contenuto  e  la
portata dei poteri attribuiti al Consiglio regionale  in  periodo  di
prorogatio. 
    In particolare l'art. 86,  comma  3,  dello  statuto,  nella  sua
originaria previsione disponeva che «[...] in  caso  di  scioglimento
anticipato  e  di  scadenza  della  legislatura,   il   Consiglio   e
l'Esecutivo regionale sono prorogati sino  alla  proclamazione  degli
eletti nelle nuove elezioni, indette entro tre  mesi  dal  Presidente
della Giunta, secondo le modalita' definite dalla legge  elettorale».
Peraltro, a seguito della sentenza n. 68 del 2010 -  con  cui  questa
Corte, in assenza di una espressa limitazione dei poteri  dell'organo
prorogato, aveva interpretato la norma statutaria come «facoltizzante
il solo esercizio delle attribuzioni relative  ad  atti  necessari  e
urgenti, dovuti o costituzionalmente  indifferibili»,  ritenendo  che
tale  limitazione  dei  poteri   del   consiglio   fosse   «immanente
all'istituto  della   stessa   prorogatio»   e   rappresentasse   una
«ragionevole  soluzione  di  bilanciamento  tra   il   principio   di
rappresentativita' ed il principio di continuita'  funzionale»  -  la
norma  statutaria  e'  stata  sostituita  dall'art.  10  della  legge
statutaria regionale 9 febbraio 2012, n. 1  (Modifiche  allo  Statuto
della Regione Abruzzo). Nel testo  oggi  vigente,  essa  prevede  che
«[...] nei casi  di  scioglimento  anticipato  e  di  scadenza  della
Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale  sono  prorogate,
secondo  le  modalita'  disciplinate   nel   Regolamento,   sino   al
completamento delle operazioni di proclamazione  degli  eletti  nelle
nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in
base agli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione  Europea,  a
disposizioni costituzionali o legislative statali  o  che,  comunque,
presentano il carattere della urgenza e necessita' [...]». 
    E' indubbio che l'impugnata legge reg. Abruzzo n.  26  del  2014,
sia stata  approvata  e  promulgata  in  periodo  di  prorogatio  del
Consiglio regionale abruzzese, essendo scaduti il 14 dicembre 2013  i
cinque anni di durata in carica del Consiglio  regionale,  mentre  le
successive elezioni regionali sono state indette  per  il  giorno  25
maggio 2014 (con decreto del Presidente  della  Giunta  regionale  14
gennaio 2014, n. 6); e la proclamazione dell'ultimo degli  eletti  e'
avvenuta l'11 giugno 2014 (come da nota  del  Consiglio  regionale  -
Direzione affari  della  presidenza  e  legislativi  n.  prot.  12396
dell'11 giugno 2014). 
    2.3.- Cio' premesso, va sottolineato che le  censure  svolte  dal
ricorrente appaiono  tutte  incentrate  sull'assunto  (mutuato  dalle
motivazioni espresse nella sentenza n. 68 del 2010  e  dal  contenuto
dell'art. 141 del Regolamento interno  per  i  lavori  del  Consiglio
regionale, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 56/2 del
12 ottobre 2010, cui la norma statutaria  fa  richiamo)  dell'assenza
dei  caratteri  di  indifferibilita'  ed  urgenza  nel  provvedimento
legislativo de quo, che non si configurerebbe "quale atto dovuto tale
da non poter essere rinviato per non recare danno alla  collettivita'
regionale o al funzionamento dell'ente". 
    A queste affermazioni puo' essere opposto un  duplice  ordine  di
considerazioni. Il primo attinente al fatto che le condizioni fissate
dalla norma statutaria  per  consentire  l'esercizio  delle  funzioni
legislative del Consiglio regionale in periodo di prorogatio non sono
limitate ai soli  casi  di  interventi  che  presentino  i  caratteri
dell'urgenza e della necessita'. L'art.  86,  comma  3,  lettera  a),
dello statuto (in ordine al quale da questa Corte e' stato  affermato
che non sono stati superati i limiti imposti dall'art.  123  Cost.  e
sul cui contenuto non e' stata mossa alcuna censura, neppure ai sensi
e nei termini di  cui  al  secondo  comma  dell'art.  123  Cost.)  si
riferisce agli interventi «che,  comunque,  presentano  il  carattere
dell'urgenza  e  necessita'»,  come  ad  una  ipotesi   autonoma   ed
aggiuntiva rispetto «agli interventi che si rendono  dovuti  in  base
agli  impegni  derivanti  dall'appartenenza  all'Unione  Europea,   a
disposizioni costituzionali o legislative statali». Questi interventi
dunque (secondo il senso inequivoco desumibile  dalla  lettera  della
norma e dalla sua ratio) non devono essere necessariamente  connotati
nei fatti dalla configurabilita' dei presupposti della  necessita'  e
urgenza, che, viceversa, giustificano la legittimita'  di  interventi
diversi da quelli tipizzati. 
    Il  secondo,  derivante  dalla  considerazione  che  la  asserita
portata estensiva e generalizzante del  limite  della  necessita'  ed
urgenza (legittimante, come detto, il prorogato esercizio dei  poteri
legislativi del Consiglio regionale) non puo'  trarsi  dalla  portata
precettiva  della  norma  regolamentare  (anch'essa  richiamata   dal
ricorrente), giacche' - se e' vero che il comma 2 dell'art.  141  del
citato Regolamento interno  per  i  lavori  del  Consiglio  regionale
disciplina i termini di evidenziazione delle «situazioni  di  estrema
gravita' che esigono interventi immediati  ed  improcrastinabili,  la
cui adozione non puo' essere rinviata senza arrecare grave danno  per
gli interessi affidati alla cura della Regione» -  cio'  e'  riferito
proprio (e  solo)  a  quegli  interventi  residuali  connotati  dalla
necessita' ed urgenza. 
    Pertanto, l'enfatizzazione  del  requisito  della  necessita'  ed
urgenza, quale unico  e  generale  presupposto  per  l'esercizio  dei
poteri in periodo di prorogatio, e' frutto di un erroneo  presupposto
interpretativo in cui e' incorso il ricorrente, fermo restando che la
prorogatio comporta che non possa essere invaso il campo delle scelte
normative connaturate  al  pieno  esercizio  del  mandato  elettorale
(sentenze n. 55 e n. 44 del 2015). 
    2.4.- Sotto altro profilo, poi, va posto  in  evidenza  il  fatto
che, dalla relazione al progetto di legge in questione  (da  cui,  in
base a quanto affermato nella sentenza n. 68 del 2010, puo' trarsi la
ratio dell'intervento e la  sussistenza  dei  connaturati  limiti  di
legittimazione), il legislatore abruzzese premette espressamente  che
l'adozione dell'atto normativo nasce dalla «esigenza di rimuovere  la
situazione  di  incertezza,  sul  piano  normativo,  in  ordine  alla
procedura  da  seguire  per   assicurare   il   coordinamento   della
pianificazione   paesaggistica   con   gli   altri    strumenti    di
pianificazione». E  che  tale  situazione  «trae  origine  dal  vuoto
normativo creatosi con la pronuncia della Corte costituzionale n. 211
del  3-18   luglio   2013,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2 della L.R. 28 agosto 2012, n. 46 [...], il
cui testo aveva sostituito l'art. 2-bis della L.R. 2/2003, recante la
disciplina  del  coordinamento   delle   previsioni   fissate   nella
pianificazione paesaggistica regionale  con  quelle  contenute  negli
strumenti pianificatori sottordinati». Sicche', e' proprio in seguito
alla citata sentenza che «si registra,  pertanto,  la  necessita'  di
procedere  [...]   all'approvazione   di   un   nuovo   provvedimento
legislativo  allo  scopo  di  colmare  il  vulnus   provocato   dalla
declaratoria di incostituzionalita' dell'art.  2  della  L.R.  46/12,
attraverso   l'introduzione   nell'ordinamento   regionale   di   una
disciplina che individui le  procedure  da  seguire  per  l'esercizio
delle funzioni  di  coordinamento  dell'attivita'  di  pianificazione
paesaggistica con quella di pianificazione  locale,  in  ossequio  ai
principi di tutela e partecipazione fissati dall'art. 145 del  Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio, nonche' in linea con  la  lettura
fornita dal Giudice delle Leggi circa gli obblighi di  pianificazione
concertata». 
    Orbene, va rilevato come proprio nella sentenza n. 211  del  2013
(dal cui decisum e' derivato  il  vuoto  normativo  conseguente  alla
integrale caducazione della disposizione censurata  a  seguito  della
declaratoria di incostituzionalita'), questa Corte, da un lato, abbia
sottolineato espressamente la necessita' che la Regione  (nell'ottica
della   salvaguardia   del   territorio    mediante    pianificazione
paesaggistica ad opera congiunta dello Stato e delle Regioni, ex art.
135, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42  (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo  10  della
legge  6  luglio  2002,  n.  137)  predisponga  una  disciplina   del
«procedimento  di  conformazione  ed  adeguamento   degli   strumenti
urbanistici  alle  previsioni  della  pianificazione   paesaggistica,
assicurando  la   partecipazione   degli   organi   ministeriali   al
procedimento medesimo» (ai sensi dell'art. 145, comma 5,  del  d.lgs.
n.  42  del  2004).  E,  dall'altro  lato,  abbia  affermato  che  la
circostanza (prospettata dalla difesa dello Stato anche nel  presente
giudizio, al fine di negare ulteriormente la  necessita'  ed  urgenza
della legge impugnata) che «non  risulti  ancora  adottato  un  piano
paesaggistico regionale adeguato alle  disposizioni  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio finisce per rendere ancor  piu'  acuta
la  vulnerazione  delle  prerogative  statali,  considerato  che,  in
relazione a quelle che saranno le concrete  previsioni  dello  stesso
piano, dovranno poi essere verosimilmente ridisciplinate, dalla legge
regionale, le procedure di  adeguamento  degli  "altri  strumenti  di
pianificazione"». 
    Pertanto, le richiamate ragioni contenute nei lavori  preparatori
(citati  dallo  stesso  ricorrente),  lungi  dal  configurarsi   come
giustificazioni  meramente  pretestuose  circa  la  sussistenza   dei
requisiti del legittimo esercizio del potere legislativo in tempo  di
prorogatio consentono di ricomprendere, quello impugnato, nel  novero
degli  interventi  che  si  rendano  comunque  dovuti   in   base   a
disposizioni  costituzionali  e/o  legislative  statali,   e   dunque
consentiti dalla piu' volte richiamata norma statutaria. 
    3.- Il ricorrente censura ulteriormente i commi 4 e 5 dell'art. 2
della medesima legge regionale, che disciplinano il caso in  cui,  in
sede  di  adeguamento  della  pianificazione  urbanistica  a   quella
comunale,  «la  proposta  comunale  si  configuri  come  proposta  di
variante al P.R.P.». La difesa  dello  Stato  lamenta  la  violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,   poiche'   il
procedimento  descritto  in  tali  disposizioni  -   non   prevedendo
l'apposito accordo con il competente organo statale di cui agli artt.
143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma  la  mera
partecipazione degli organi ministeriali ad una conferenza di servizi
- non garantisce adeguatamente il coinvolgimento del Ministero per  i
beni culturali  ed  ambientali  nella  pianificazione  paesaggistica.
Viceversa,  configurandosi  l'intervento   sostanzialmente   in   una
revisione, ancorche' limitata, del piano paesaggistico, esso dovrebbe
essere soggetto alle medesime garanzie previste dal codice  dei  beni
culturali e del paesaggio in materia di  elaborazione  congiunta  del
piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143 e 156 del  d.lgs.  n.
42 del 2004). 
    3.1.-  Occorre  innanzitutto  rilevare  che  -  a  seguito  della
proposizione del presente giudizio  in  via  principale  ed  al  fine
(esplicitato nella relazione di accompagnamento al relativo  progetto
di legge) di comporre il conflitto originato  dalla  impugnativa  dei
citati commi 4 e 5 dell'art. 2,  mediante  accoglimento  dei  rilievi
governativi «in linea con una lettura  costituzionalmente  orientata»
ed in uno spirito di leale collaborazione che consenta di  addivenire
alla cessazione della materia del contendere - la Regione Abruzzo  ha
emanato la legge regionale 12 novembre  2014,  n.  40  (Modifiche  ed
integrazioni all'art. 2 della legge regionale 28 aprile 2014, n.  26,
all'art. 14 della legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96, alla  legge
regionale 10 marzo 2008,  n.  2  e  ulteriori  norme  in  materia  di
edilizia residenziale pubblica), il cui art. 1,  in  particolare,  ha
sostituito l'art. 2 della impugnata legge regionale n. 26 del 2014. 
    Le censure mosse dal ricorrente a sostegno della impugnazione del
testo originario dei commi 4 e 5 di detta norma riguardano (nel  caso
in cui, in sede di adeguamento  della  pianificazione  urbanistica  a
quella comunale, «la proposta comunale si configuri come proposta  di
variante al P.R.P.») la previsione di una mera  partecipazione  degli
organi ministeriali ad una conferenza di servizi, senza  la  garanzia
di un adeguato coinvolgimento (finalizzato al  raggiungimento  di  un
accordo ai sensi degli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs.
n. 42 del 2004), e quindi in violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera  s),  Cost.  La  sopravvenuta  modifica   normativa   risulta
pienamente satisfattiva delle pretese del Governo, giacche' la  nuova
disposizione espressamente prevede (con  particolare  riferimento  ai
commi 4 e 5) che «Nel caso in cui la proposta comunale  si  configuri
come proposta di variante al P.R.P., il parere espresso, in seno alla
Conferenza di Servizi di cui al comma 2, dai  competenti  organi  del
Ministero dei beni e delle  Attivita'  Culturali  e  del  Turismo  e'
vincolante. All'esito  della  Conferenza  di  Servizi,  la  proposta,
unitamente al parere espresso dal Ministero viene trasmessa,  per  il
tramite della Direzione regionale competente, al Consiglio  regionale
che si esprime con apposito atto deliberativo» (comma 4); e  che  «Il
provvedimento di cui al comma 4,  pubblicato  sul  BURA,  costituisce
variante al P.R.P. ed e' condizione imprescindibile per la definitiva
approvazione della variante proposta» (comma 5). 
    Ne consegue che la previsione della vincolativita' di tale parere
obbligatorio nei casi di proposta di variante e la  sua  riconosciuta
valenza di condizione imprescindibile per la definitiva  approvazione
della   variante   medesima   (commi   4   e   5)   presuppongono   e
procedimentalizzano  il  necessario   coinvolgimento   degli   organi
ministeriali al procedimento  medesimo,  finalizzato  (e  strumentale
rispetto) alla effettiva  elaborazione  congiunta  e  concordata  dei
piani paesaggistici (ex artt. 135, comma 1, 143, comma 2, 145,  comma
5, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004). 
    3.2.- Se puo' dunque ritenersi  realizzata  la  prima  delle  due
condizioni che la giurisprudenza di questa  Corte  ha  enucleato  per
pervenire  alla  declaratoria  di  cessazione   della   materia   del
contendere (da ultimo, sentenze n. 2 del 2015 e  n.  269  del  2014),
tuttavia non altrettanto puo' dirsi in ordine  alla  configurabilita'
dell'ulteriore requisito della  mancata  applicazione  medio  tempore
della norma censurata,  in  mancanza  di  prova  del  verificarsi  di
siffatta condizione ed in  considerazione  del  non  breve  tempo  di
vigenza (nella specie oltre sei  mesi)  della  disposizione  abrogata
(sentenze n. 108 e n. 97 del 2014, e n. 272 del 2013). 
    Alla impossibilita' di pervenire ad una pronuncia  di  cessazione
della materia del contendere,  consegue,  dunque,  la  necessita'  di
esaminare le censure nel merito. 
    3.3.- La questione e' fondata. 
    3.4.- Risulta evidente come il  testo  originario  dell'impugnato
art. 2, commi 4 e 5, della legge reg.  n.  26  del  2014  presentasse
profili  di   illegittimita'   costituzionale   analoghi   a   quelli
(sanzionati con la citata sentenza n. 211 del 2013) dell'art. 2 della
legge reg. 28 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge  regionale  13
febbraio  2003,  n.  2  recante  "Disposizioni  in  materia  di  beni
paesaggistici e ambientali,  in  attuazione  della  Parte  Terza  del
D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 -  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio"), che  escludeva  qualsiasi  forma  di  partecipazione  di
qualsivoglia organismo ministeriale al procedimento di  conformazione
ed adeguamento degli  strumenti  urbanistici  alle  previsioni  della
pianificazione paesaggistica.  Allo  stesso  modo,  infatti,  la  qui
censurata previsione (nel  caso  in  cui  «la  proposta  comunale  si
configuri  come  proposta  di  variante  al  P.R.P.»)  di  una   mera
partecipazione degli organi ministeriali alla conferenza di  servizi,
senza sancire la necessita' di pervenire ad una soluzione  concordata
dell'ente locale con il  competente  organo  statale  previsto  dagli
artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42  del  2004,  non
garantiva adeguatamente il coinvolgimento del Ministero  per  i  beni
culturali ed ambientali nella pianificazione paesaggistica. 
    Infatti, questa Corte, anche di  recente  (sentenza  n.  197  del
2014), ha ribadito che la mancata  (o  non  adeguata)  partecipazione
degli  organi  ministeriali  al  procedimento  di  conformazione   ed
adeguamento  degli  strumenti  urbanistici  alle   previsioni   della
pianificazione paesaggistica determina l'evidente  contrasto  con  la
normativa statale, che - in linea con le prerogative  riservate  allo
Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (tra le  molte,
sentenza n. 235 del 2011) -  specificamente  impone  che  la  Regione
adotti  la  propria  disciplina  di  conformazione  «assicurando   la
partecipazione degli organi ministeriali  al  procedimento  medesimo»
(sentenze n. 211 del 2013 e n. 235 del 2011).  Costituisce,  infatti,
affermazione costante - su cui si fonda il principio della  gerarchia
degli strumenti di pianificazione dei diversi  livelli  territoriali,
dettato dall'evocato art. 145, comma 5, del d.lgs.  n.  42  del  2004
(sentenze n. 197 del 2014, n. 193 del 2010  e  n.  272  del  2009)  -
quella  secondo  cui   l'impronta   unitaria   della   pianificazione
paesaggistica «e' assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale» (sentenza n. 182 del  2006).  Al  contrario,  la  generale
esclusione o la previsione di una mera  partecipazione  degli  organi
ministeriali nei  procedimenti  di  adozione  delle  varianti,  nella
sostanza,  viene  a  degradare  la  tutela  paesaggistica  da  valore
unitario prevalente e a concertazione  rigorosamente  necessaria,  in
mera esigenza urbanistica (sentenza n. 437 del 2008). 
    3.5.- Poiche' la fattispecie disciplinata dalla  norma  censurata
si configurava sostanzialmente in una revisione, ancorche'  limitata,
del piano paesaggistico (non  derogabile  da  parte  degli  strumenti
urbanistici, ex art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004), il suo
mancato assoggettamento alle medesime garanzie  previste  dal  codice
dei beni  culturali  e  del  paesaggio  in  materia  di  elaborazione
congiunta del piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143,  comma
2, 145, comma 5, e 156, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004),
si pone in contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost., che  determina  l'illegittimita'  costituzionale  della  norma
impugnata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara la illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 4
e 5, della  legge  della  Regione  Abruzzo  28  aprile  2014,  n.  26
(Disposizioni regionali per  il  coordinamento  della  pianificazione
paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione),  nel  testo
originario, antecedente alla modifica  apportata  dall'art.  1  della
legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014,  n.  40  (Modifiche  ed
integrazioni all'art. 2 della legge regionale 28 aprile 2014, n.  26,
all'art. 14 della legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96, alla  legge
regionale 10 marzo 2008,  n.  2  e  ulteriori  norme  in  materia  di
edilizia residenziale pubblica); 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della medesima legge reg.  Abruzzo  n.  26  del  2014,
proposta -  in  riferimento  all'art.  123  della  Costituzione,  per
violazione dell'art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale
28 dicembre 2006 (Statuto della Regione Abruzzo) - dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI