N. 100 SENTENZA 13 maggio - 5 giugno 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati tributari - Omesso versamento di ritenute certificate  -  Fatti
  commessi sino al 17 dicembre 2011 - Soglia di punibilita'  di  euro
  cinquantamila per ciascun periodo d'imposta. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.  74  (Nuova  disciplina  dei
  reati in materia di imposte sui redditi e sul  valore  aggiunto,  a
  norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno  1999,  n.  205),  art.
  10-bis. 
-   
(GU n.23 del 10-6-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici  :Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei  reati
in materia di imposte sui redditi e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205),  promossi  dalla
Corte d'appello di Milano con  ordinanza  del  19  giugno  2014,  dal
Tribunale ordinario di Verona con ordinanze del 28 e  del  25  luglio
2014, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario
di Bergamo con ordinanza del 2 ottobre 2014 e dal Tribunale ordinario
di Forli'  con  ordinanza  del  23  settembre  2014,  rispettivamente
iscritte ai nn. 187, 195 e 196 del registro ordinanze 2014 e  ai  nn.
15 e 17 del registro ordinanze  2015,  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 45, 46 e  47,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014 e n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto  di  costituzione  di  P.L.,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 12 maggio 2015 e nella camera  di
consiglio del 13 maggio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo; 
    udito l'avvocato Roberto Brancaleoni per P.L. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 19 giugno 2014 (r.o. n.  187  del
2014), la Corte d'appello di  Milano  ha  sollevato,  in  riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis  del  decreto  legislativo  10  marzo
2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in  materia  di  imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205), «nella parte in cui, con riferimento  ai  fatti
commessi sino al 17 settembre 2011, punisce  l'omesso  versamento  di
ritenute certificate, dovute  in  base  alla  relativa  dichiarazione
annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d'imposta, ad
euro 103.291,48» (recte: 103.291,38). 
    La Corte rimettente premette  di  essere  investita  dell'appello
proposto da una persona riconosciuta colpevole, in primo  grado,  del
delitto previsto dalla norma censurata, per non aver versato entro il
termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto  d'imposta
ritenute risultanti dalla  certificazione  rilasciata  ai  sostituiti
relative al periodo di imposta 2007, per un ammontare di euro  57.248
(superiore,  dunque,  alla  soglia  di   punibilita'   prevista   dal
denunciato art. 10-bis, pari ad euro 50.000). 
    La  questione   sarebbe,   dunque,   rilevante,   non   essendovi
contestazione sull'effettiva debenza della somma indicata nel capo di
imputazione. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo  osserva
che, con  sentenza  n.  80  del  2014,  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 10-ter del d.lgs. n.
74 del 2000 nella parte in cui, con  riferimento  ai  fatti  commessi
sino al 17 settembre 2011, puniva  l'omesso  versamento  dell'imposta
sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla relativa dichiarazione
annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo  di  imposta,
ad euro 103.291,38. La Corte costituzionale ha ritenuto,  in  specie,
lesiva del principio di eguaglianza la previsione, per il delitto  di
omesso versamento  dell'IVA,  di  una  soglia  di  punibilita'  (euro
50.000) inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele  e
l'omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5  del  medesimo  legislativo,
prima delle modifiche introdotte dal decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione  finanziaria  e
per lo sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  14
settembre 2011, n. 148, applicabili ai soli fatti commessi dopo il 17
settembre 2011 (rispettivamente euro 103.291,38 ed  euro  77.468,53).
In questo modo, infatti, veniva riservato un trattamento deteriore  a
comportamenti di evasione tributaria meno insidiosi  e  lesivi  degli
interessi del fisco, attenendo l'omesso versamento a somme di cui  lo
stesso contribuente si era riconosciuto debitore nella  dichiarazione
annuale dell'IVA. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  una  conclusione  analoga   si
imporrebbe anche con riguardo al  delitto  di  omesso  versamento  di
ritenute certificate, previsto dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 74  del
2000, trattandosi di una fattispecie «gemella» a quella colpita dalla
declaratoria di incostituzionalita', sia sul piano sostanziale che su
quello formale. 
    In entrambe le ipotesi delittuose, infatti, i detentori di  somme
di spettanza del  fisco  ne  omettono  il  versamento  alla  scadenza
temporale stabilita, pur dopo essersene riconosciuti  debitori  nelle
rispettive dichiarazioni annuali e, nel caso dell'art. 10-bis,  anche
attraverso  il  rilascio  delle  certificazioni  ai  sostituiti:   in
assenza, quindi, di comportamenti fraudolenti o, comunque,  decettivi
nei confronti dell'amministrazione finanziaria. 
    Sul piano della  struttura  formale  delle  fattispecie,  d'altro
canto, apparirebbe significativo che l'art.  10-ter  non  preveda  in
modo esplicito ne' la misura della pena, ne' la soglia  di  rilevanza
penale del fatto, rinviando  per  esse  alla  disposizione  dell'art.
10-bis, della quale mutua cosi' integralmente «l'impostazione». 
    La norma censurata violerebbe, di conseguenza, l'art. 3 Cost. sia
nel raffronto con le soglie di punibilita' previste dagli artt. 4 e 5
del d.lgs. n. 74 del 2000, prima della riforma operata  dal  d.l.  n.
138 del 2011, sia nella comparazione con quella introdotta  nell'art.
10-ter per effetto della citata sentenza della  Corte  costituzionale
n. 80 del 2014. 
    2.- Con due ordinanze di analogo tenore, depositate il 25 e il 28
luglio 2014 (r.o. n. 196 e n. 195 del 2014), il  Tribunale  ordinario
di Verona ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del  d.lgs.  n.  74  del
2000, «nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino  al
17  settembre  2011,  punisce  l'omesso  versamento  delle   ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai  sostituiti  anche  per
importi inferiori a 103.291,38 euro». 
    Il giudice a quo premette di essere investito  del  processo  nei
confronti di una persona imputata  del  reato  previsto  dalla  norma
impugnata, per aver  omesso  di  versare  ritenute  risultanti  dalle
certificazioni rilasciate ai sostituiti in  relazione  agli  anni  di
imposta 2009 (quanto all'ordinanza r.o.  n.  195  del  2014)  e  2010
(quanto all'ordinanza r.o.  n.  196  del  2014),  per  un  ammontare,
rispettivamente, di euro 93.884 e di euro 60.108. 
    Secondo il Tribunale  veronese,  la  norma  censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost. anzitutto nel raffronto con l'art. 10-ter  del  d.lgs.
n. 74 del 2000. A seguito della sentenza n. 80 del 2014, quest'ultima
disposizione punisce i fatti di omesso versamento dell'IVA,  commessi
fino al 17 settembre 2011, solo  ove  l'imposta  non  versata  superi
103.291,38 euro; mentre  l'art.  10-bis  attribuisce  rilievo  penale
all'omesso versamento di ritenute certificate  quando  l'importo  non
versato sia superiore a soli euro 50.000. 
    Tale  disparita'  di  regime  non  troverebbe   una   spiegazione
ragionevole   nella   diversa   natura   fiscale    dell'obbligazione
inadempiuta. La stessa strutturazione degli  artt.  10-bis  e  10-ter
dimostrerebbe,  infatti,  come  le  due   figure   delittuose   siano
pienamente sovrapponibili sul  piano  del  disvalore.  L'art.  10-ter
richiama, tanto in relazione alla  soglia  di  punibilita'  che  alla
pena,  l'art.   10-bis,   presupponendo,   cosi',   una   valutazione
legislativa  di  assoluta  equivalenza  delle  condotte  incriminate:
equivalenza che torna, d'altro  canto,  ad  essere  perfetta  per  le
condotte successive al 17 settembre 2011. 
    L'ordinanza r.o. n. 195 del 2014  rileva,  altresi',  che  l'art.
10-bis e' richiamato, quanto alla soglia di punibilita' e alla  pena,
anche dall'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, in  rapporto  al
delitto di indebita compensazione: figura criminosa applicabile anche
alle compensazioni effettuate al fine  di  non  corrispondere  l'IVA.
L'omesso versamento dell'IVA e delle ritenute certificate  avrebbero,
quindi, un regime identico nel caso di evasione  realizzata  mediante
indebita compensazione, e, invece, un regime differenziato - fino  al
17 settembre 2011 - per la mera omissione del versamento. 
    L'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche nel raffronto  con  gli
artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, per le ragioni indicate  nella
citata sentenza n. 80 del 2014, estensibili alla norma incriminatrice
di  cui  all'art.  10-bis.  La  dichiarazione  infedele  e   l'omessa
dichiarazione - per le quali gli artt. 4 e 5 prevedevano, sino al  17
settembre 2011, soglie di punibilita'  superiori  -  costituirebbero,
infatti,  illeciti   incontestabilmente   piu'   gravi,   sul   piano
dell'attitudine lesiva degli  interessi  del  fisco,  anche  rispetto
all'omesso versamento di ritenute certificate.  Con  il  rilascio  ai
sostituiti della  certificazione  dell'avvenuta  effettuazione  delle
ritenute  il  sostituto  d'imposta  renderebbe,  infatti,  palese   e
immediatamente accertabile dal fisco la propria inadempienza. 
    3.- L'art. 10-bis del d.lgs. n. 74  del  2000  e'  censurato,  in
termini similari, anche dal Giudice per le indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Bergamo con ordinanza depositata il 2  ottobre
2014 (r.o. n. 15 del 2015). 
    Il giudice a quo  riferisce  di  dover  decidere,  quale  giudice
dell'esecuzione, sulle istanze volte ad ottenere l'applicazione della
disciplina della continuazione, ai sensi dell'art. 671 del codice  di
procedura penale, in relazione  ai  reati  oggetto  di  tre  condanne
definitive emesse nei confronti del soggetto istante, la prima  delle
quali  attinente  all'omesso  versamento  di   ritenute   certificate
relative al periodo  di  imposta  2009,  per  un  ammontare  di  euro
70.542,85. Di qui, dunque, la rilevanza della questione. 
    Anche  secondo  il  Giudice  bergamasco,   la   norma   censurata
violerebbe  l'art.  3  Cost.  sia  con  riferimento  alle  soglie  di
punibilita' previste dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, per
ragioni similari a quelle enunciate dalla sentenza n.  80  del  2014;
sia in relazione alla  soglia  di  punibilita'  introdotta  nell'art.
10-ter per effetto di detta pronuncia, stante  l'analogia  formale  e
sostanziale  tra  la  fattispecie  criminosa  dell'omesso  versamento
dell'IVA e quella oggetto di scrutinio. 
    4.- Con ordinanza del 23 settembre 2014 (r.o. n. 17 del 2015), il
Tribunale ordinario di Forli' ha sollevato, in riferimento agli artt.
3 e 24 Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui, con riferimento
ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, prevede  una  soglia  di
punibilita' di euro 50.000, anziche' di euro 103.291,38. 
    Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale
nei confronti di una persona imputata  di  plurimi  fatti  di  omesso
versamento di ritenute certificate  relative  agli  anni  di  imposta
2007, 2008  e  2009,  per  importi  compresi,  in  ognuno  dei  casi,
nell'intervallo fra le due cifre dianzi indicate. 
    Pure ad avviso del Tribunale di Forli', le considerazioni  svolte
dalla sentenza n. 80 del 2014 con riguardo al delitto di cui all'art.
10-ter del d.lgs. n. 74  del  2000  sarebbero  estensibili  al  reato
previsto  dalla  norma  censurata,  essendo  l'omesso  versamento  di
ritenute certificate una fattispecie sostanzialmente analoga a quella
dell'omesso versamento dell'IVA. 
    5.- Nei giudizi relativi alle ordinanze r.o. n. 187, n.  195,  n.
196 del 2014 e n. 15 del  2015,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  le  questioni  siano   dichiarate
inammissibili o, in subordine, infondate. 
    Secondo  la  difesa   dello   Stato,   le   questioni   sarebbero
inammissibili sia per l'insufficiente descrizione  della  fattispecie
concreta che per il difetto di motivazione sulla rilevanza, affermata
dai giudici a quibus in modo apodittico. 
    Con riguardo alla questione sollevata dal Giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Bergamo  (r.o.  n.  15  del   2015),
l'Avvocatura  dello  Stato  evidenzia,  in   particolare,   come   il
rimettente non abbia  specificato  se  sussistano,  nella  specie,  i
presupposti di operativita' dell'art. 671 cod. proc. pen., e,  cioe',
se sia effettivamente ravvisabile il vincolo della continuazione  tra
i reati oggetto delle condanne definitive di cui discute  e  se  esso
non sia stato escluso dal giudice della cognizione. 
    La questione sollevata dal Tribunale di  Verona  con  l'ordinanza
r.o. n. 195 del 2014 sarebbe,  inoltre,  senz'altro  irrilevante  con
riguardo alla denunciata disparita' di trattamento fra la fattispecie
di cui all'art. 10-ter (omesso versamento di IVA) e quella  dell'art.
10-quater (indebita compensazione), ove compiuta al fine di  omettere
il pagamento dell'IVA. Nel  giudizio  a  quo  non  risulta,  infatti,
contestato l'omesso pagamento dell'IVA ne' in forma  diretta,  ne'  a
mezzo di indebite compensazioni. 
    Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate, essendo la
minore  soglia   di   punibilita'   ampiamente   giustificata   dalle
particolarita' della figura criminosa in esame. 
    La similitudine tra le norme incriminatrici  di  cui  agli  artt.
10-bis e 10-ter sarebbe, in effetti, meramente  apparente,  rimanendo
legata alla scelta legislativa di formulare la  seconda  disposizione
tramite  un  rinvio  alla   prima.   Le   due   previsioni   punitive
differirebbero, nondimeno, sostanzialmente  in  rapporto  tanto  alla
condotta  incriminata  che  alla  disciplina  tributaria  in  cui  si
inseriscono. 
    La condotta  integrativa  del  delitto  di  cui  all'art.  10-ter
consiste, infatti, in un unico atto omissivo, costituito dal  mancato
pagamento alla scadenza prefissata dell'IVA dichiarata  dal  medesimo
contribuente. Il  delitto  di  cui  all'art.  10-bis  sarebbe  invece
integrato da due condotte distinte, poste in essere in tempi diversi:
da un lato,  l'omesso  versamento  di  un'imposta  (in  questo  caso,
l'imposta sui redditi  dovuta  dai  sostituiti),  anch'essa  indicata
mediante  l'apposita  dichiarazione  dei  sostituti;  dall'altro,  la
«certificazione» della ritenuta operata a carico del sostituito. 
    Questo  elemento  aggiuntivo  imprimerebbe  alla  fattispecie  un
maggior  disvalore,  stante  la  sua  idoneita'  a  produrre  effetti
decettivi. Se e' vero, infatti, che il sostituto «certifica» solo  di
avere operato la ritenuta, e' altrettanto vero  che  e'  suo  obbligo
riversarne l'importo all'erario: con la conseguenza che  il  rilascio
della certificazione indurrebbe a ritenere che tale obbligo sia stato
adempiuto. 
    La  validita'   dell'assunto   emergerebbe   in   modo   evidente
dall'evoluzione storica della figura criminosa, la quale  rivelerebbe
una ricorrente valutazione legislativa  di  maggiore  gravita'  della
condotta considerata sia rispetto  ai  fatti  di  omessa  o  infedele
dichiarazione   del   sostituto   d'imposta   (come   nell'originaria
disciplina dell'art. 2 del decreto-legge  10  luglio  1982,  n.  429,
recante «Norme per  la  repressione  della  evasione  in  materia  di
imposte sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto  e  per  agevolare  la
definizione delle pendenze in materia  tributaria»,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7  agosto  1982,  n.  516),  sia  rispetto
all'omesso  versamento  di  ritenute  non  certificate  (come   nella
disciplina introdotta dal decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, recante
«Modifiche al decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto  1982,  n.  516,  in  materia  di
repressione delle violazioni tributarie e disposizioni  per  definire
le relative pendenze», convertito, con modificazioni, dalla legge  15
maggio 1991,  n.  154):  valutazione  che,  proprio  in  quanto  gia'
compiuta in passato, non potrebbe essere ritenuta oggi  arbitraria  o
irrazionale. 
    La  norma  incriminatrice  dell'omesso  versamento  di   ritenute
certificate, soppressa in un primo momento dal d.lgs. n. 74 del 2000,
e' stata, d'altra parte, reintrodotta dall'art. 1, comma  414,  della
legge  30  dicembre  2004,  n.  311,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2005)»  -  secondo  quanto  emerge  dai  relativi  lavori
preparatori - a fronte della «constatata frequenza  del  fenomeno»  e
del danno che da esso «deriva all'Erario». Circostanze,  queste,  che
giustificherebbero l'adozione di soglie  di  punibilita'  piu'  basse
rispetto a quelle dell'omessa e dell'infedele dichiarazione, «che  si
presentano  nella   realta'   socio-economica   con   caratteristiche
diverse». 
    A ben guardare, la condotta incriminata dalla norma in  esame  si
rivelerebbe, per certi versi, persino maggiormente  lesiva  dei  beni
protetti rispetto a  quella  costitutiva  dei  reati  in  materia  di
dichiarazione. Mentre, infatti, in questi  ultimi  l'agente  commette
l'illecito mediante una dichiarazione di scienza, nel caso  dell'art.
10-bis lo realizza mediante una «certificazione», ossia  tramite  una
dichiarazione cui l'ordinamento riconosce particolare attendibilita'. 
    Si tratterebbe, in  specie,  di  un  documento  munito  di  «fede
privilegiata» riguardo  all'avvenuto  assolvimento  dell'obbligazione
tributaria, la cui formazione e' rimessa al privato, con  eccezionale
attribuzione di poteri di natura pubblicistica.  Di  conseguenza,  la
figura criminosa in discussione assumerebbe carattere plurioffensivo,
tutelando, a fianco dell'interesse dell'erario  alla  percezione  dei
tributi,  quello  alla  «trasparenza  fiscale»:  circostanza  che  la
renderebbe  meritevole  di  un  trattamento  piu'  severo  di  quello
riservato alla fattispecie monoffensiva dell'omesso versamento di IVA
e differenziato rispetto ad altre fattispecie. 
    Il reato  di  cui  all'art.  10-bis  presenterebbe  una  maggiore
pericolosita' sociale rispetto a quello  delineato  dall'art.  10-ter
anche sotto un  diverso  profilo.  Nel  caso  dell'omesso  versamento
dell'IVA, infatti,  il  soggetto  di  imposta  e'  lo  stesso  autore
dell'illecito, il quale commette la  violazione  mantenendo  nel  suo
patrimonio proprie disponibilita', in luogo di  versarle  all'erario.
Si sarebbe, quindi, di fronte ad una  condotta  contrastante  con  il
dovere di solidarieta'  sociale,  ma  non  prevaricatrice.  Nel  caso
dell'omesso  versamento  di  ritenute  certificate,  invece,   autore
dell'illecito non e' il soggetto di imposta, ma il suo sostituto, che
mantiene nel proprio patrimonio somme acquisite  mediante  trattenute
sulle competenze  di  terzi,  al  fine  di  adempiere  l'obbligazione
tributaria facente capo a questi. Si  tratterebbe,  percio',  di  una
condotta   non   solo   «aliena   dalla   solidarieta'»,   ma   anche
prevaricatrice. 
    6.- Nel giudizio relativo all'ordinanza r.o. n. 17 del 2015 si e'
costituito   P.L.,   imputato   nel   giudizio   a   quo,   chiedendo
l'accoglimento della questione. 
    La parte  privata  riferisce  di  aver  sostenuto,  nel  giudizio
principale, che la soglia di punibilita'  dell'omesso  versamento  di
ritenute  certificate  dovrebbe   considerarsi   gia'   innalzata   a
103.291,38 euro per effetto della sentenza n. 80  del  2014,  essendo
gli artt. 10-bis e 10-ter formulati con la tecnica del rinvio, quanto
al limite di rilevanza penale. La tesi era stata, peraltro, disattesa
dal giudice rimettente, che aveva quindi sollevato la questione. 
    La questione sarebbe, in effetti, fondata, posto  che  le  figure
criminose delineate  dai  citati  articoli  hanno  eguale  struttura,
trattandosi  di  reati  propri,  istantanei  e  di   mera   condotta;
proteggono il medesimo bene giuridico,  rappresentato  dall'interesse
dell'erario alla corretta e tempestiva riscossione delle somme dovute
dal  contribuente,  «cosi'  come  autoliquidate  e  certificate   dal
medesimo»; sono punibili, infine, entrambe a titolo di dolo generico,
diversamente dai delitti di  omessa  e  infedele  dichiarazione,  che
richiedono invece il dolo specifico di evadere le imposte. 
    Anche nel caso dell'omesso versamento di ritenute certificate, la
condotta del contribuente sarebbe, d'altra parte, trasparente e  meno
lesiva degli interessi  del  fisco  rispetto  alle  condotte  -  piu'
insidiose, «perche' fraudolente o occulte» - previste dagli artt. 4 e
5 del d.lgs. n. 74 del 2000: sicche' sarebbe irragionevole che, per i
fatti commessi fino al 17 settembre 2011, operi per il delitto di cui
all'art. 10-bis una soglia di punibilita' piu' bassa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello  di  Milano,  il  Tribunale  ordinario  di
Verona (con due ordinanze di rimessione), il Tribunale  ordinario  di
Forli' e  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario  di  Bergamo  dubitano  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74  (Nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e  sul  valore
aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno  1999,  n.
205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi  sino  al
17  settembre  2011,  punisce  l'omesso  versamento  delle   ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai  sostituiti  -  ovvero,
secondo la Corte d'appello di Milano e il  Giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Bergamo,  l'omesso  versamento   «di
ritenute certificate, dovute  in  base  alla  relativa  dichiarazione
annuale» - per importi non superiori, per ciascun periodo  d'imposta,
ad euro 50.000, anziche' ad euro 103.291,38. 
    Ad avviso dei giudici rimettenti, la norma  censurata  violerebbe
l'art. 3 della  Costituzione,  per  la  irragionevole  disparita'  di
trattamento della fattispecie considerata sia rispetto ai piu'  gravi
delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione (artt.  4
e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000), integrati  da  condotte  maggiormente
insidiose e lesive degli  interessi  del  fisco;  sia  rispetto  alla
fattispecie criminosa analoga dell'omesso versamento dell'imposta sul
valore aggiunto (IVA), prevista dall'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del
2000,   quale   risultante   a   seguito   della   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale parziale di cui alla sentenza n. 80 del
2014 di questa Corte. 
    Il solo Tribunale  di  Forli'  deduce,  altresi',  la  violazione
dell'art. 24 Cost. 
    2.- Le ordinanze di rimessione sollevano  questioni  identiche  o
analoghe,  sicche'  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere
definiti con unica decisione. 
    3.-  Le   eccezioni   di   inammissibilita'   per   insufficiente
descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla
rilevanza,  formulate  dall'Avvocatura  generale   dello   Stato   in
relazione alle questioni sollevate dalle ordinanze r.o.  n.  187,  n.
195 e n. 196 del 2014, sono infondate. 
    I giudici rimettenti hanno, infatti, riferito di essere investiti
di processi penali relativi a fatti di omesso versamento di  ritenute
certificate per importi compresi tra i 50.000 e  i  103.291,38  euro,
commessi prima del 17 settembre 2011: fatti che diverrebbero, dunque,
penalmente irrilevanti nel caso di accoglimento della questione. 
    Parimenti  infondata  e'  l'eccezione  di  inammissibilita'   per
difetto di rilevanza formulata dalla difesa dello Stato con  riguardo
alla questione sollevata dal Tribunale di Verona con l'ordinanza r.o.
n. 195 del 2014, per la  parte  in  cui  denuncia  la  disparita'  di
trattamento fra la fattispecie di cui all'art. 10-ter del  d.lgs.  n.
74 del 2000 (omesso versamento dell'IVA) e  quella  di  cui  all'art.
10-quater  (indebita  compensazione),  ove  realizzata  al  fine   di
omettere il pagamento dell'IVA: reati  entrambi  non  contestati  nel
giudizio a quo. La  predetta  disparita'  di  trattamento  e'  stata,
infatti, dedotta dal rimettente al solo fine di corroborare l'assunto
dell'illegittimita' costituzionale della norma censurata, e non  gia'
per introdurre una distinta questione avente  ad  oggetto  le  citate
disposizioni. 
    4.-  La  questione  sollevata  dal  Giudice   per   le   indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Bergamo (ordinanza r.o. n.  15
del 2015) e' manifestamente inammissibile. 
    La questione  e'  stata,  infatti,  proposta  nell'ambito  di  un
procedimento di esecuzione volto  all'applicazione  della  disciplina
della continuazione, ai sensi dell'art. 671 del codice  di  procedura
penale, fra i reati oggetto di tre  condanne  definitive,  una  delle
quali per un fatto di omesso versamento di ritenute  certificate  che
rientrerebbe nella sfera di operativita' della richiesta declaratoria
di illegittimita' costituzionale. 
    Come  questa  Corte  ha  gia'  evidenziato,  tuttavia,   non   e'
consentito sollevare nel procedimento di esecuzione un  incidente  di
legittimita'  costituzionale  concernente  una  norma  applicata  nel
giudizio di cognizione (la questione avrebbe dovuto essere,  infatti,
proposta  nell'ambito  di   quest'ultimo).   L'unica   eccezione   e'
rappresenta dall'ipotesi in cui venga in discussione, in  riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., la necessita' di conformarsi ad una
sentenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  in  materia
sostanziale, in  fattispecie  che  non  richieda  la  riapertura  del
processo, ma possa trovare direttamente  rimedio  in  sede  esecutiva
(sentenza n. 210 del 2013). Ipotesi  che  non  ricorre  nel  caso  in
esame. 
    Resta   con   cio'    assorbita    l'ulteriore    eccezione    di
inammissibilita' per difetto di  motivazione  sulla  rilevanza  della
Presidenza del Consiglio dei ministri,  basata  sul  rilievo  che  il
giudice  a  quo  non  avrebbe  precisato  se,  nel  caso  di  specie,
sussistano effettivamente i presupposti di  applicabilita'  dell'art.
671 cod. proc. pen. 
    5.- La questione sollevata dal Tribunale ordinario di  Forli'  e'
anch'essa  manifestamente  inammissibile   quanto   alla   denunciata
violazione dell'art. 24 Cost., per totale difetto di  motivazione  in
ordine alla non manifesta infondatezza. 
    Detto parametro costituzionale e' stato,  infatti,  invocato  dal
giudice a  quo  senza  alcun  argomento  di  supporto  (ex  plurimis,
ordinanze n. 20 del 2014 e n. 261 del 2012). 
    6.- Nel merito, le questioni sollevate dalle  ordinanze  r.o.  n.
187, n. 195, n. 196 del 2014 e n. 17 del 2015 in riferimento all'art.
3 Cost. non sono fondate. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale prospettati dai giudici  a
quibus traggono alimento dalla sentenza n.  80  del  2014  di  questa
Corte, concernente il delitto di omesso versamento dell'IVA, previsto
dall'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000. 
    Tale norma incriminatrice - introdotta dall'art. 35, comma 7, del
decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248  -  punisce  con  la
reclusione da sei mesi a due  anni  il  contribuente  che  non  versi
l'imposta sul valore aggiunto,  dovuta  in  base  alla  dichiarazione
annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo  al
periodo di imposta successivo, qualora la somma non versata superi  i
50.000 euro (importo, questo, individuato -  al  pari  della  pena  -
tramite un rinvio alle previsioni del precedente art. 10-bis). 
    Con la citata sentenza n. 80 del 2014, questa Corte  ha  rilevato
come emergesse un evidente difetto di coordinamento tra  la  predetta
soglia di punibilita' e quelle  dei  delitti  di  infedele  e  omessa
dichiarazione (artt. 4  e  5  del  d.lgs.  n.  74  del  2000),  pari,
rispettivamente, ad euro 77.468,53 e ad euro  103.291,38  di  imposta
evasa:   difetto   di   coordinamento   foriero   di    sperequazioni
sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza,  rendevano
censurabile l'esercizio  della  discrezionalita'  pure  spettante  al
legislatore nella configurazione delle fattispecie astratte di reato.
La  rilevata  discrasia   determinava,   infatti,   una   conseguenza
palesemente illogica e lesiva del principio di  eguaglianza  (art.  3
Cost.) nel caso in cui l'IVA  dovuta  dal  contribuente  si  situasse
nell'intervallo tra l'una e  le  altre  soglie.  In  tale  evenienza,
veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato  regolarmente
la  dichiarazione  IVA  senza  versare  l'importo  di  cui   si   era
riconosciuto debitore, rispetto a chi non avesse  presentato  affatto
la dichiarazione, o avesse presentato una dichiarazione  inveritiera,
evadendo del pari l'imposta. Nel primo caso, il contribuente  avrebbe
dovuto rispondere del delitto  di  omesso  versamento  dell'IVA;  nel
secondo sarebbe andato invece esente da pena, non risultando superate
le  soglie  di  punibilita'  previste   per   l'omessa   o   infedele
dichiarazione:   e   cio'    sebbene    tali    illeciti    risultino
incontestabilmente piu' gravi del primo,  sul  piano  dell'attitudine
lesiva degli interessi del fisco, in quanto idonei - diversamente  da
quello  -  ad  ostacolare  l'accertamento  dell'evasione   da   parte
dell'amministrazione finanziaria. 
    L'incongruenza era stata, in effetti, gia' rimossa  dallo  stesso
legislatore con il decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138  (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
il cui art. 2, comma 36-vicies semel,  aveva  ridotto  le  soglie  di
punibilita'    dell'omessa     e     dell'infedele     dichiarazione,
rispettivamente, a 30.000  e  50.000  euro:  dunque,  ad  un  importo
inferiore, nel primo caso, e pari, nel secondo, a quello della soglia
di punibilita' dell'omesso versamento dell'IVA, rimasta per  converso
inalterata. 
    Per espressa previsione  normativa,  tuttavia,  le  modifiche  in
questione (di segno peggiorativo, perche' ampliative dell'area  della
punibilita') si applicano ai soli fatti successivi  al  17  settembre
2011 (art. 2, comma 36-vicies bis, del d.l.  n.  138  del  2011).  Di
conseguenza,  per  i  fatti  anteriori  a  tale  data,  la  discrasia
permaneva. 
    Al fine di rimuoverla  nella  sua  interezza,  era  evidentemente
necessario allineare la soglia di punibilita' del  reato  considerato
alla piu' alta tra le due soglie di punibilita' di raffronto  (quella
della dichiarazione infedele). Questa Corte  ha,  quindi,  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 10-ter del  d.lgs.  n.  74  del
2000, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi  sino  al
17 settembre  2011,  punisce  l'omesso  versamento  dell'imposta  sul
valore aggiunto, dovuta  in  base  alla  dichiarazione  annuale,  per
importi  non  superiori,  per  ciascun  periodo  d'imposta,  ad  euro
103.291,38. 
    7.- Ad avviso degli odierni rimettenti, una similare declaratoria
di illegittimita' costituzionale si imporrebbe anche in  rapporto  al
delitto di omesso versamento di ritenute certificate, di cui all'art.
10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall'art.  1,  comma  414,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria  2005)»:  reato  del  quale  si  rende  responsabile   il
sostituto d'imposta che non versi entro il termine  previsto  per  la
presentazione  della   relativa   dichiarazione   annuale   «ritenute
risultanti dalla certificazione  rilasciata  ai  sostituiti,  per  un
ammontare  superiore  a  cinquantamila  euro  per   ciascun   periodo
d'imposta». 
    Al riguardo, va senz'altro disattesa la tesi della parte  privata
costituita, stando alla quale la soglia  di  punibilita'  dell'omesso
versamento di ritenute certificate risulterebbe gia' elevata,  quanto
ai fatti anteriori al 17 settembre 2011, al maggior importo  di  euro
103.291,38, per effetto della stessa sentenza  n.  80  del  2014.  La
tesi, non confortata in alcun modo dagli  argomenti  svolti  in  tale
pronuncia, non trova supporto neppure nel dato formale invocato dalla
parte privata, ossia nella circostanza che gli artt. 10-bis e  10-ter
del d.lgs. n. 74 del 2000 siano formulati «"per richiamo" quanto alla
soglia di punibilita'». Cio', per la dirimente ragione che e'  l'art.
10-ter -  vale  a  dire  la  norma  attinta  dalla  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale - a richiamare l'art.  10-bis  -  norma
oggi  censurata  -  ai  fini  dell'individuazione  della  soglia   di
punibilita', e non viceversa: con conseguente  evidente  carenza  dei
presupposti  per  il  riconoscimento  della   ventilata   "proprieta'
transitiva". 
    8.- Cio'  posto,  i  giudici  a  quibus  deducono  la  violazione
dell'art. 3 Cost. sotto due distinti profili. 
    In primo luogo, assumono che, con riguardo  ai  fatti  di  omesso
versamento di ritenute certificate, commessi  sino  al  17  settembre
2011, si  assisterebbe  alla  medesima  irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto ai fatti  di  infedele  e  omessa  dichiarazione
riscontrata dalla sentenza n. 80 del  2014  con  riguardo  all'omesso
versamento dell'IVA, in dipendenza dello iato tra le relative  soglie
di punibilita'. 
    I  rimettenti  trascurano,  tuttavia,   un   particolare,   posto
puntualmente in evidenza dalla Corte  di  cassazione  nel  dichiarare
manifestamente infondata la questione oggi in  esame  (terza  sezione
penale, sentenza 11 novembre-15 dicembre 2014, n. 52038):  e,  cioe',
che - a differenza della dichiarazione  IVA  -  la  dichiarazione  di
sostituto d'imposta, nella quale devono  essere  indicati,  ai  sensi
dell'art. 4, comma 2, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322  (Regolamento
recante modalita' per la presentazione delle  dichiarazioni  relative
alle imposte  sui  redditi,  all'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi  dell'articolo
3, comma 136, della legge 23  dicembre  1996,  n.  662),  i  compensi
erogati ai sostituiti e  le  ritenute  operate,  non  rientra  -  per
giurisprudenza unanime, confortata dal dato normativo e  dall'analisi
storica - tra quelle rilevanti ai fini  dei  delitti  di  infedele  e
omessa dichiarazione, invocati come tertia comparationis. 
    La  norma  impugnata  non  richiede  neppure,  d'altra  parte   -
diversamente da quanto avviene per  l'omesso  versamento  dell'IVA  e
contrariamente a quanto mostra di  ritenere  la  Corte  d'appello  di
Milano - che le ritenute non versate  risultino  dalla  dichiarazione
del sostituto (la quale e' richiamata al solo fine di individuare  il
termine penalmente rilevante per il  versamento),  ma  che  risultino
dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti. 
    Con riguardo all'illecito in questione, non  si  ripete  affatto,
pertanto, l'incongruenza rilevata dalla sentenza n. 80 del  2014.  Il
sostituto d'imposta che omette di  versare  le  ritenute  certificate
puo' essere chiamato a rispondere, sul piano penale,  unicamente  del
reato di cui all'art. 10-bis, tanto se abbia regolarmente  assolto  i
propri  obblighi  dichiarativi,  quanto  se  abbia   presentato   una
dichiarazione infedele, quanto se non  abbia  presentato  affatto  la
dichiarazione  (l'omessa  o  infedele  dichiarazione   di   sostituto
d'imposta   integrano,   per   communis   opinio,   solo   l'illecito
amministrativo di cui all'art. 2 del decreto legislativo 18  dicembre
1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie  non  penali
in materia di imposte dirette, di imposta sul valore  aggiunto  e  di
riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133,  lettera
q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»: illecito  che  concorrera',
se del caso, con il delitto in esame). 
    Di conseguenza, i delitti di omessa e infedele dichiarazione  non
possono costituire  utili  termini  di  comparazione,  salvo  che  si
pretenda di porre a raffronto la posizione  del  sostituto  d'imposta
(che puo' rendersi responsabile del reato di cui all'art. 10-bis) con
quella del contribuente (soggetto attivo dei delitti in dichiarazione
di cui agli artt. 4 e 5  del  d.lgs.  n.  74  del  2000):  raffronto,
tuttavia, improponibile alla luce  di  quanto  si  osservera'  subito
appresso. 
    9.- Secondo i  rimettenti,  la  soglia  di  punibilita'  prevista
dall'art. 10-bis si porrebbe in contrasto con l'art.  3  Cost.  anche
sotto un altro profilo: e, cioe', nella comparazione con  quella  del
delitto  di  omesso  versamento  dell'IVA,  come  rimodellata   dalla
sentenza n. 80 del 2014. 
    A sostegno dell'assunto, i  giudici  a  quibus  osservano  che  i
delitti di cui agli artt. 10-bis e 10-ter costituiscono  "fattispecie
gemelle", tanto sul piano della descrizione normativa  -  posto  che,
come  detto,  la  seconda  disposizione  rinvia  alla  prima  per  la
determinazione della pena e della soglia di punibilita' - quanto  sul
piano della struttura e dell'interesse protetto. Per i fatti commessi
dopo il 17 settembre 2011, d'altra parte, le  soglie  di  punibilita'
dei due illeciti tornano ad essere pienamente allineate:  prospettiva
nella quale la sperequazione venutasi a creare per i fatti  anteriori
a detta data si paleserebbe ingiustificata. 
    Anche tale censura e' insuscettibile di avallo. 
    Questa Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  escludere  che  l'omesso
versamento delle ritenute e l'omesso versamento  dell'IVA  siano  tra
loro comparabili, ai fini di desumerne la violazione del principio di
eguaglianza, trattandosi di fattispecie eterogenee (ordinanza n.  376
del 1989). Cio' e' avvenuto nella  vigenza  della  disciplina  penale
tributaria dettata dal decreto-legge 10 luglio 1982,  n.  429  (Norme
per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze  in
materia tributaria), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 1982, n. 516: disciplina  alla  cui  stregua  mentre  l'omesso
versamento  delle  ritenute  costituiva  delitto,   indipendentemente
dall'ammontare delle somme non versate (art. 2,  secondo  comma,  del
citato decreto-legge,  nel  testo  originario),  l'omesso  versamento
dell'IVA rimaneva del tutto privo di rilevanza penale. 
    La  conclusione  non  puo'  che  essere  ribadita   in   rapporto
all'attuale quadro normativo. 
    La circostanza che il legislatore del  2006,  nell'elevare  anche
l'omesso versamento dell'IVA  al  rango  di  illecito  penale,  abbia
optato per il suo allineamento all'omesso versamento  delle  ritenute
certificate  quanto  a  soglia  di  punibilita'   e   a   trattamento
sanzionatorio, non esclude che permangano elementi differenziali  tra
le due fattispecie tali da precludere la prospettata comparazione. 
    Le previsioni punitive di cui agli  artt.  10-bis  e  10-ter  del
d.lgs. n. 74 del 2000  non  solo  attengono  a  tributi  diversi  (le
imposte sui redditi, nel primo caso, l'imposta sul  valore  aggiunto,
nel secondo), ma hanno anche  -  e  soprattutto  -  come  destinatari
soggetti i cui ruoli sono nettamente distinti, sul piano  tributario:
rispettivamente, il sostituto d'imposta e il  contribuente,  soggetto
passivo dell'IVA. Si tratta di posizioni non equiparabili, stante  la
peculiarita' delle funzioni affidate al sostituto d'imposta, il quale
e' chiamato ad  adempiere  l'obbligazione  tributaria  in  luogo  del
soggetto in capo al quale  si  realizza  il  presupposto  impositivo,
effettuando, nei casi normativamente previsti,  ritenute  alla  fonte
sulle somme erogate  ai  sostituiti  per  poi  riversarle  all'erario
(ordinanza n. 376 del 1989). 
    Ne' gioverebbe opporre che anche la disciplina  dell'IVA  prevede
un meccanismo di rivalsa dell'imposta nei confronti del committente o
del cessionario da parte di chi effettua  la  prestazione  imponibile
(art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante  «Istituzione  e
disciplina dell'imposta sul valore aggiunto»): e cio'  anche  perche'
la rivalsa ha luogo con modalita' ben diverse nei due  casi  (in  via
preventiva, attraverso il meccanismo della ritenuta, nel  caso  della
sostituzione tributaria; tramite addebito, e dunque in via successiva
- con conseguente esigenza della collaborazione della  controparte  -
nel caso della rivalsa dell'IVA). 
    Sul piano penale, d'altro canto, i due soggetti sono  considerati
in modo totalmente diversificato. Nell'attuale panorama normativo, il
delitto di cui all'art. 10-bis e' l'unico reato proprio del sostituto
di imposta; al contrario, il contribuente -  e,  in  particolare,  il
soggetto passivo dell'IVA - oltre a poter rispondere del  delitto  di
cui all'art. 10-ter, si pone al centro del sistema tanto dei  delitti
in materia di dichiarazione (artt. 2 e seguenti del d.lgs. n. 74  del
2000), che dei delitti in materia di documenti e pagamento di imposte
(artt. 8 e seguenti). 
    Anche sul versante  della  fattispecie  oggettiva,  i  due  reati
presentano, d'altronde, significativi  elementi  differenziali.  Come
gia' accennato, l'art. 10-ter richiede che l'IVA non versata  risulti
dalla relativa dichiarazione annuale; l'art. 10-bis richiede, invece,
che le ritenute non versate risultino dalle certificazioni rilasciate
ai sostituiti: documenti, questi ultimi, che assumono una particolare
rilevanza nell'attuazione del rapporto  tributario.  Nel  caso  della
ritenuta  a  titolo  di   imposta,   infatti,   il   rilascio   della
certificazione comporta, salvo casi particolari, la  liberazione  del
sostituito  dall'obbligazione  tributaria,  potendo,  dopo  di  esso,
l'erario rivolgersi,  per  l'adempimento,  unicamente  al  sostituto;
mentre nel caso della ritenuta d'acconto la certificazione abilita il
sostituito a compensare il credito corrispondente  all'importo  della
ritenuta con  il  debito  complessivo  di  imposta  risultante  dalla
dichiarazione. 
    In questa prospettiva, l'allineamento quoad  poenam  e  quanto  a
soglie di punibilita' delle due ipotesi di omesso versamento, operato
dal  legislatore  nel  2006,  rappresenta,  dunque,   una   soluzione
costituzionalmente  compatibile,  ma  non  certo   costituzionalmente
imposta. 
    L'analisi della parabola storica delle due fattispecie ne e', del
resto, la riprova piu' eloquente. La tutela  penale  contro  l'omesso
versamento di ritenute - gia' prefigurata dall'art. 260 del d.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645 (Approvazione del testo unico delle leggi  sulle
imposte dirette) e quindi dall'art. 92, terzo comma,  del  d.P.R.  29
settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
sul reddito) - e' stata mantenuta e rafforzata dal gia'  citato  art.
2, secondo comma, del d.l. n. 429 del 1982, per poi  subire  solo  un
limitato ridimensionamento ad opera del decreto-legge 16 marzo  1991,
n. 83 (Modifiche al decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, in  materia  di
repressione delle violazioni tributarie e disposizioni  per  definire
le relative pendenze), convertito, con modificazioni, dalla legge  15
maggio 1991, n. 154. Dopo la  temporanea  abrogazione  ad  opera  del
d.lgs. n. 74 del 2000, il reato di omesso versamento di  ritenute  e'
stato alfine reintrodotto, con l'attuale fisionomia, dalla  legge  n.
311 del 2004. 
    Per converso, l'omesso versamento dell'IVA - gia'  previsto  come
delitto, punito con severa pena, dall'art. 50 del d.P.R. n.  633  del
1972 - e' scomparso dall'orizzonte penalistico con il d.l. n. 429 del
1982 (art. 13), tornando a farvi ingresso solo a seguito del d.l.  n.
223 del 2006. 
    Dunque, per un periodo complessivo di circa vent'anni  (dal  1982
al 2000 e dal 2004 al 2006), mentre l'omesso versamento  di  ritenute
costituiva reato (dal 1982 al 1991 senza che fosse  neppure  prevista
alcuna soglia di punibilita'), l'omesso versamento dell'IVA  rimaneva
confinato tra i semplici  illeciti  amministrativi.  Cio',  a  chiara
dimostrazione di come il trattamento sanzionatorio delle  due  figure
possa bene seguire percorsi diversificati. 
    A fronte di cio', si deve, quindi, conclusivamente escludere  che
il (temporaneo) innalzamento della soglia di punibilita'  dell'omesso
versamento dell'IVA - operato da questa Corte con la sentenza  n.  80
del 2014 per esigenze di ripristino  della  legalita'  costituzionale
che attengono esclusivamente a tale  fattispecie  -  abbia  necessari
"effetti  di  trascinamento"  sulla   distinta   figura   dell'omesso
versamento di ritenute certificate. 
    10.- Inconferente appare, da ultimo, il riferimento al delitto di
indebita compensazione operato dal Tribunale ordinario di Verona  con
l'ordinanza r.o. n. 195 del 2014. 
    Il Tribunale osserva che l'art. 10-bis e' richiamato, quanto alla
soglia di punibilita' e alla  pena,  anche  dall'art.  10-quater  del
d.lgs.  n.  74  del  2000,  in  rapporto  al  delitto   di   indebita
compensazione: figura criminosa applicabile anche alle  compensazioni
effettuate al fine di non corrispondere l'IVA. Con la conseguenza che
l'omesso versamento dell'IVA e delle ritenute  certificate  avrebbero
un regime identico nel caso di evasione realizzata mediante  indebita
compensazione, e, invece,  un  regime  differenziato  -  fino  al  17
settembre 2011 - per la mera omissione del versamento. 
    Ma, alla luce di quanto evidenziato, tale  ragionamento  potrebbe
giustificare, in ipotesi, solo la proposizione di  una  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-quater:   questione   che
risulterebbe, peraltro, irrilevante nel giudizio a quo e in relazione
alla quale dovrebbe tenersi comunque conto del fatto  che,  nel  caso
dell'indebita compensazione, il contribuente si sottrae al  pagamento
delle imposte tramite una condotta specifica non priva  di  connotati
"insidiosi" nei confronti del fisco, quale l'esposizione  di  crediti
inesistenti o non spettanti (circostanza che  impedisce  di  scorgere
nell'evidenziato  assetto  tratti  di  "anomalia"  costituzionalmente
rilevante). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis  del  decreto  legislativo  10  marzo
2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in  materia  di  imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205), sollevate,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  dalla  Corte  d'appello  di  Milano,   dal   Tribunale
ordinario di Verona e  dal  Tribunale  ordinario  di  Forli'  con  le
ordinanze indicate in epigrafe; 
    2)  dichiara  manifestamente  inammissibile   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del  d.lgs.  n.  74  del
2000, sollevata, in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,  dal
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    3)  dichiara  manifestamente  inammissibile   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del  d.lgs.  n.  74  del
2000, sollevata, in riferimento all'art. 24 della  Costituzione,  dal
Tribunale ordinario di Forli' con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI