N. 103 ORDINANZA 29 aprile - 5 giugno 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Persona  gravemente  indiziata  del   reato   di
  associazione di tipo mafioso - Sussistenza di esigenze cautelari  -
  Presunzione assoluta, anziche' relativa, di adeguatezza della  sola
  custodia cautelare in carcere. 
- Codice di procedura penale, art. 275, comma 3. 
-   
(GU n.23 del 10-6-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 275,  comma
3, del codice  di  procedura  penale  promosso  dal  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro   nel
procedimento penale a carico di P.V. con  ordinanza  dell'11  gennaio
2014, iscritta al n. 244 del registro  ordinanze  2014  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale,
dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 29  aprile  2015  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza dell'11 gennaio 2014, il Giudice  per
le indagini preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro  ha
sollevato, in riferimento agli  artt.  3,  13,  primo  comma,  e  27,
secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  275,  comma  3,  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui - nel  prevedere  che,  quando  sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine al  delitto  di  cui  all'art.
416-bis  del  codice  penale  (associazioni  di  tipo  mafioso  anche
straniere) e' applicata la custodia cautelare in carcere,  salvo  che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari - non fa salva, altresi', con riferimento ai  casi
di «concorso esterno» nel suddetto delitto, l'ipotesi  in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure; 
    che il giudice a quo premette di essere investito dell'istanza di
sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con gli
arresti domiciliari, proposta da una persona sottoposta  ad  indagini
per il delitto di associazione di tipo  mafioso,  quale  «concorrente
esterno» ad essa; 
    che  all'accoglimento  della   questione   osterebbe   la   norma
censurata, che impone di applicare la custodia cautelare  in  carcere
nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza
per una serie di delitti, tra cui quello previsto  dall'art.  416-bis
cod. pen., salvo che siano acquisiti elementi dai quali  risulti  che
non  sussistono  esigenze  cautelari:  donde   la   rilevanza   della
questione; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva
come la Corte costituzionale,  con  una  serie  di  dichiarazioni  di
illegittimita' costituzionale,  abbia  ridisegnato  i  confini  della
presunzione in materia cautelare sancita dall'art. 275, comma 3, cod.
proc. pen., il cui ambito applicativo era stato esteso ben  oltre  il
settore dei  reati  di  criminalita'  mafiosa  dal  decreto-legge  23
febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
e di contrasto alla  violenza  sessuale,  nonche'  in  tema  di  atti
persecutori), convertito, con modificazioni, dalla  legge  23  aprile
2009, n. 38; 
    che,  con  le  suddette  pronunce  -  passate  sinteticamente  in
rassegna nell'ordinanza  di  rimessione  -  la  Corte  ha  dichiarato
illegittima la norma nella parte cui, con riferimento  a  determinati
reati o gruppi  di  reati,  prevedeva  una  presunzione  assoluta  di
adeguatezza della sola custodia carceraria, anziche' una  presunzione
solo  relativa,  superabile,  cioe',  ove  siano  acquisiti  elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; 
    che  la  Corte  ha  rilevato  che  la  presunzione  in  parola  -
giustificabile in rapporto ai «delitti di mafia in senso stretto»,  i
quali implicano un'adesione permanente ad un sodalizio criminoso  con
caratteristiche di accentuata pericolosita' - non lo era, invece,  in
relazione agli altri reati di volta in volta presi in esame, i quali,
se pur gravi e odiosi,  in  un  numero  non  marginale  di  casi  non
postulavano esigenze cautelari  affrontabili  esclusivamente  con  la
misura di maggior rigore; 
    che, con la sentenza n. 57  del  2013,  la  Corte  ha  dichiarato
costituzionalmente illegittima la presunzione di cui si tratta  anche
in  rapporto  ai  delitti  aggravati  ai  sensi   dell'art.   7   del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti  in  tema
di lotta alla  criminalita'  organizzata  e  di  trasparenza  e  buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, in quanto commessi
con "metodo mafioso" o  per  agevolare  l'attivita'  di  associazioni
mafiose; 
    che, in detta pronuncia, si e'  segnatamente  osservato  che  «Il
semplice impiego del cosiddetto "metodo mafioso" o la  finalizzazione
della condotta criminosa all'agevolazione di un'associazione  mafiosa
[...]  non  sono  necessariamente   equiparabili,   ai   fini   della
presunzione in questione, alla partecipazione all'associazione, ed e'
a  questa  partecipazione  che  e'  collegato   il   dato   empirico,
ripetutamente constatato, della inidoneita'  del  processo,  e  delle
stesse misure cautelari, a recidere il vincolo associativo  e  a  far
venir meno la connessa attivita' collaborativa,  sicche',  una  volta
riconosciuta   la   perdurante    pericolosita'    dell'indagato    o
dell'imputato del delitto previsto dall'art. 416-bis  cod.  pen.,  e'
legittimo presumere che solo la custodia  in  carcere  sia  idonea  a
contrastarla efficacemente»; 
    che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  analoghe  considerazioni
dovrebbero valere in rapporto alla figura  del  concorso  esterno  in
associazione   mafiosa,   risultante   dalla    combinazione    delle
disposizioni degli artt. 416-bis e 110 cod. pen.; 
    che,  alla  stregua  di  un  indirizzo  ormai  consolidato  della
giurisprudenza di legittimita',  deve  essere,  infatti,  qualificato
come concorrente esterno il soggetto che, senza essere inserito nella
struttura  organizzativa  del  sodalizio,  fornisce   un   contributo
concreto, specifico, consapevole e volontario alla conservazione o al
rafforzamento dell'associazione criminale; 
    che   la   differenza    tra    il    partecipante    «intraneus»
all'associazione mafiosa e il concorrente esterno risiede,  pertanto,
nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non e' inserito
nella  struttura  criminale,  pur  offrendo  un  apporto  causalmente
rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto  il
profilo soggettivo,  e'  privo  dell'«affectio  societatis»,  laddove
invece  l'«intraneus»  e'  animato  dalla  coscienza  e  volonta'  di
contribuire  attivamente  alla  realizzazione  dell'accordo   e   del
programma criminoso in modo stabile e permanente; 
    che, a fronte di cio',  il  contributo  offerto  all'associazione
mafiosa dal concorrente eventuale esterno potrebbe  assumere  i  piu'
vari contenuti e tradursi in condotte che  presentano  «disvalore  ed
intrinseca pericolosita' differente», impedendo cosi' di ritenere che
la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria
risponda a un dato di esperienza  generalizzato,  ricollegabile  alla
struttura stessa e  alle  connotazioni  criminologiche  della  figura
criminosa; 
    che in un numero tutt'altro che marginale di  casi,  infatti,  le
esigenze cautelari sarebbero suscettibili di trovare risposta, per il
concorrente esterno, anche in misure diverse  da  quella  carceraria,
prima fra tutte gli  arresti  domiciliari,  misura  limitativa  della
liberta'  di  movimento   dell'indagato,   idonea   ad   impedire   i
collegamenti  tra  quest'ultimo  e  il   contesto   di   criminalita'
organizzata cui risulta essere «contiguo»; 
    che la norma censurata violerebbe, pertanto, in parte qua, l'art.
3  Cost.,  per  l'ingiustificata  equiparazione  di   figure   -   il
partecipante e il concorrente esterno -  che,  sebbene  riconducibili
entrambi  al  paradigma  dell'art.  416-bis  cod.   pen.,   risultano
oggettivamente differenti tra loro; l'art. 13,  primo  comma,  Cost.,
imponendo il massimo sacrificio della liberta'  personale  «all'esito
di  un  giudizio  di  bilanciamento  non  corretto,  in  quanto   non
rispettoso del principio  di  ragionevolezza»;  nonche',  da  ultimo,
l'art. 27, secondo comma, Cost., per contrasto con la presunzione  di
non colpevolezza, affidando  al  regime  cautelare  funzioni  proprie
della pena, la cui applicazione presuppone un giudizio definitivo  di
responsabilita'; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    Considerato che  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  ordinario   di   Catanzaro   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art.  275,  comma  3,  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui - nel  prevedere  che,  quando  sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine al  delitto  di  cui  all'art.
416-bis  del  codice  penale  (associazioni  di  tipo  mafioso  anche
straniere) e' applicata la custodia cautelare in carcere,  salvo  che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari - non fa salva, altresi', rispetto al  concorrente
esterno nel  suddetto  delitto,  l'ipotesi  in  cui  siano  acquisiti
elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti
che le  esigenze  cautelari  possono  essere  soddisfatte  con  altre
misure; 
    che, successivamente all'ordinanza di  rimessione,  questa  Corte
ha, peraltro, gia' dichiarato costituzionalmente illegittima, con  la
sentenza n. 48 del 2015, la norma censurata nei sensi  auspicati  dal
giudice rimettente; 
    che, dunque, la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile per sopravvenuta mancanza  di  oggetto,  in  quanto,  a
seguito della sentenza ora citata, la norma censurata e'  gia'  stata
rimossa dall'ordinamento, in parte qua, con  efficacia  ex  tunc  (ex
plurimis, ordinanze n. 28 del 2015, n. 276 e n. 206 del 2014). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma  3,  del  codice  di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3,  13,  primo
comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Catanzaro   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI