N. 153 SENTENZA 9 giugno - 14 luglio 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Contenimento della spesa pubblica  -  Tetto  massimo  al  trattamento
  economico annuo onnicomprensivo del personale statale - Obbligo  di
  adeguamento delle Regioni. 
- Decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
  competitivita'  e  la  giustizia   sociale)   -   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.
  89 - art. 13, commi 1, 2, 3 e 4. 
-   
(GU n.29 del 22-7-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  commi
1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure  urgenti
per la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, promosso dalla  Regione  Campania  con  ricorso  spedito  per  la
notifica il 21 agosto 2014, depositato in cancelleria  il  22  agosto
2014 ed iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Giudice relatore
Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Beniamino Caravita di  Toritto  per  la  Regione
Campania  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo  Salvatorelli  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con il ricorso  in  epigrafe,  la  Regione  Campania  impugna
l'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66
(Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  23
giugno 2014, n. 89, per contrasto con gli artt. 3, 97, 117,  terzo  e
quarto comma, 118, 119, 120 e 123 della Costituzione. 
    La ricorrente, in primo luogo, afferma che  le  norme  censurate,
imponendo  un  tetto   massimo   al   trattamento   economico   annuo
onnicomprensivo del personale  regionale  (fissato  in  euro  240.000
annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e  degli
oneri fiscali a carico del dipendente), avrebbero invaso la  potesta'
legislativa residuale delle  Regioni  in  materia  di  organizzazione
amministrativa, riconosciuta dall'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Non limitandosi poi a  prescrivere  un  determinato  contenimento
della spesa pubblica regionale, bensi' individuando specificamente  e
selettivamente la voce di spesa regionale  da  ridurre,  le  medesime
disposizioni sarebbero  altresi'  lesive  dell'autonomia  finanziaria
della Regione, la quale si esplica anche nella scelta delle spese  da
limitare a vantaggio di altre. 
    L'intervento normativo in esame non sfuggirebbe  al  giudizio  di
incostituzionalita' nemmeno ove, pur in assenza di una  sua  espressa
qualificazione in tale  senso,  fosse  ricondotto  alla  materia  del
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema  tributario».  In
tale caso, infatti, risulterebbe comunque violato l'art.  117,  terzo
comma, Cost.,  posto  che  il  legislatore  statale  non  si  sarebbe
limitato a sancire un principio generale, bensi' avrebbe disposto  la
diretta limitazione di una singola voce di spesa, in palese contrasto
con la  giurisprudenza  costituzionale  che  circoscrive  l'esercizio
della potesta' legislativa statale alla fissazione di mere  norme  di
principio (viene citata la sentenza n. 297 del 2009). 
    Sotto altro profilo,  l'estensione  temporale  dell'efficacia  di
tali previsioni anche ai rapporti in corso colliderebbe con l'art. 97
Cost., per gli effetti, si suppone negativi, che ne deriverebbero sul
buon andamento dell'azione amministrativa. 
    Il  vulnus  arrecato  alla  autonomia  regionale  sarebbe  ancora
aggravato  dalle  conseguenze  che  le  disposizioni  impugnate   (in
particolare, quella di cui al comma  3  dell'art.  13)  collegano  al
mancato  adeguamento  dell'ordinamento  regionale  al  nuovo   limite
sancito dal legislatore statale. La norma, invero, nella parte in cui
impone alle Regioni di adeguarsi «ai sensi dell'articolo 1, comma 475
della legge 27 dicembre 2013, n. 147»,  sembra  da  interpretare  (in
ragione del rinvio a sua volta  contenuto  nell'art.  1,  comma  475,
all'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  10  ottobre  2012,  n.  174,
recante Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento
degli enti territoriali, nonche'  ulteriori  disposizioni  in  favore
delle zone terremotate nel maggio 2012) nel senso di far derivare dal
mancato adeguamento nei termini indicati il taglio dei  trasferimenti
di risorse statali  nei  confronti  delle  Regioni  (nelle  quantita'
indicate dallo stesso all'art. 2, comma 1 del d.l. n. 174 del  2012).
Tale misura sanzionatoria, da  un  lato,  determinerebbe  conseguenze
gravemente sproporzionate rispetto  agli  obiettivi  di  contenimento
della spesa prefissati (tali da svilire e depotenziare l'attivita' di
programmazione e l'esercizio delle funzioni amministrative  dell'ente
territoriale); dall'altro, eliderebbe  qualsivoglia  discrezionalita'
della Regione in ordine all'an o al  quomodo  della  riduzione  della
propria   spesa,   con   gravissima   lesione   delle    attribuzioni
costituzionalmente riconosciute. 
    Da ultimo, le disposizioni di cui ai commi 2 e  3  del  censurato
art. 13, laddove  impongono  alle  Regioni  di  adeguare  il  proprio
ordinamento  al  previsto  abbassamento  del  parametro  massimo  del
trattamento economico annuo onnicomprensivo del personale interessato
e alle altre modifiche apportate dal medesimo decreto ai  commi  471,
472 e 473 dell'articolo unico della legge n. 147 del 2013,  entro  il
termine di sei mesi dall'entrata in vigore della stessa legge n.  147
del   2013   (ovvero   entro   il   1°   luglio   2014),    sarebbero
costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli  3,  97
117, 118, 119 e 120 Cost. Per garantire un corretto adeguamento degli
ordinamenti  regionali  a  tali  innovazioni   occorrerebbero   tempi
adeguati e congrui, mentre la legge di conversione del d.l. n. 66 del
2014, definitivamente entrata in vigore il 23 giugno 2014, lascerebbe
alle Regioni soltanto otto giorni per l'adeguamento, il  cui  termine
spirerebbe il 1° luglio 2014. Si tratterebbe dunque di un periodo  di
tempo  irragionevolmente  breve  e  lesivo  del  principio  di  leale
collaborazione,  in  quanto  chiaramente  inadeguato  rispetto   alla
tempistica ordinaria di espletamento dell'iter normativo necessario a
conformare l'ordinamento regionale  alle  nuove  norme  statali,  con
conseguente illegittimita' della previsione,  sulla  base  di  quanto
chiarito da questa Corte con sentenza n. 196 del 2004. 
    2.- Con atto depositato il 18 settembre 2014, si e' costituito in
giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   formulando
tuttavia deduzioni inconferenti rispetto alle questioni sollevate nel
presente giudizio. La difesa  erariale,  infatti,  premessi  generici
riferimenti  ai  mutamenti  dello  scenario  economico  nazionale   e
mondiale, nonche' al  quadro  dei  rapporti  tra  Stato  e  autonomie
introdotto  dalla  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,   n.   3
(Modifiche al titolo V della parte seconda  della  Costituzione),  si
intrattiene a lungo sui contenuti della legge 5 maggio  2009,  n.  42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione
dell'articolo 119 della Costituzione) e  del  decreto  legislativo  6
maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata
delle regioni a  statuto  ordinario  e  delle  province,  nonche'  di
determinazione dei  costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel  settore
sanitario), in relazione alla sfera  di  autonomia  delle  Regioni  a
statuto speciale.  Nessuna  considerazione  viene  dedicata  ai  temi
oggetto del ricorso in discussione. 
    3.- Con memoria depositata il 19 maggio 2015, la Regione Campania
aggiunge ulteriori censure a quanto prospettato in ricorso. 
    Le impugnate previsioni  opererebbero  un  prelievo  obbligatorio
sulle  retribuzioni,  qualificabile   come   "prelievo   tributario",
illegittimamente limitato alla categoria dei dipendenti  pubblici.  A
tale riguardo, viene richiamata la sentenza n. 223 del 2012,  secondo
cui l'imposizione di  un  prelievo  obbligatorio,  con  finalita'  di
concorso alle pubbliche spese,  ad  un'unica  categoria  di  soggetti
violerebbe il principio «della  parita'  di  prelievo  a  parita'  di
presupposto d'imposta economicamente rilevante». 
    Le  stesse  disposizioni  sarebbero  altresi'  costituzionalmente
illegittime per contrasto con gli artt. 36 e 38 Cost., in  quanto  il
prelievo  tributario   obbligatorio   disposto   sulle   retribuzioni
(eccedenti una determinata cifra) inciderebbe  illegittimamente  e  a
posteriori sulle retribuzioni e sulle indennita'  gia'  maturate  dai
pubblici dipendenti. 
    La regolamentazione retroattiva  di  diritti  gia'  acquisiti  in
mancanza di una legittima ragione imperativa di  interesse  generale,
determinerebbe ancora una lesione del legittimo affidamento  maturato
in  capo  ai  destinatari  delle  nuove  prescrizioni,   nonche'   la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Da ultimo, la decurtazione, poiche'  non  meramente  transitoria,
supererebbe i limiti  imposti  al  legislatore  dalla  giurisprudenza
della Corte costituzionale, la quale avrebbe ritenuto sacrifici anche
onerosi non lesivi dell'art. 3 Cost. a condizione, tuttavia,  che  si
trattasse di limitazioni eccezionali, transeunti,  non  arbitrarie  e
consentanee allo scopo prefisso nonche'  temporalmente  limitate  (si
citano l'ordinanza n. 299 del 1999 e le sentenze n. 310 del 2013,  n.
223 del 2012 e n. 245 del 1997). 
    Per il resto, la memoria ribadisce quanto  gia'  argomentato  nel
ricorso introduttivo  sia  in  ordine  alla  ritenuta  lesione  della
autonomia organizzativa, legislativa e amministrativa  della  Regione
(in violazione degli artt. 97, 117, terzo e quarto comma,  118,  119,
120 e 123 Cost.), sia sul carattere irragionevole,  sproporzionato  e
lesivo del principio di leale collaborazione del  termine  prescritto
per adeguare gli ordinamenti  regionali  alle  innovazioni  apportate
dall'art. 13 del d.l. n. 66 del 2014. 
    4.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni formulate  nelle  rispettive  difese
scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Campania impugna l'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, in riferimento agli articoli 3, 97, 117  primo,  terzo  e  quarto
comma, 118, 119, 120 e 123 della Costituzione. 
    1.1.- Secondo la ricorrente,  il  citato  articolo,  nella  parte
impugnata, imponendo alle Regioni di «adeguare i  propri  ordinamenti
al nuovo limite retributivo di cui al comma 1 [del medesimo art. 13],
ai sensi dell'articolo 1, comma 475, della legge 27 dicembre 2013, n.
147, nel termine ivi previsto», si porrebbe in contrasto: con  l'art.
117, quarto comma, e 123 Cost.,  poiche'  invaderebbe  la  competenza
legislativa  regionale  residuale  in   materia   di   organizzazione
amministrativa, da esercitarsi secondo i  «principi  fondamentali  di
organizzazione e funzionamento» fissati  negli  statuti;  con  l'art.
117, terzo comma, Cost., in quanto, ove anche ricondotto alla materia
del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema  tributario»,
avrebbe disposto la diretta limitazione di una singola voce di spesa,
in contrasto con l'indicata norma costituzionale che circoscriverebbe
l'esercizio della potesta' legislativa  statale  alla  fissazione  di
sole norme di principio; con  l'art.  119  Cost.,  in  quanto  lesivo
dell'autonomia finanziaria della Regione, che si esplica anche  nella
scelta delle spese da limitare a vantaggio di altre;  con  l'art.  97
Cost., per gli effetti sul buon andamento dell'azione  amministrativa
che  deriverebbero   dall'estensione   dell'efficacia   delle   norme
impugnate ai rapporti in corso; con l'art.  3  Cost.,  in  quanto  la
misura sanzionatoria prevista all'art. 2 del decreto-legge 10 ottobre
2012,  n.  174  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di   finanza   e
funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni
in favore delle zone terremotate nel maggio  2012),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012,  n.
213 (cui rinvia indirettamente il  terzo  comma  dell'impugnato  art.
13), sarebbe «sproporzionata ed illogica» rispetto agli obiettivi  di
contenimento della spesa prefissati; con gli artt. 3, 97,  117,  118,
119 e 120 Cost., la' dove impone alle Regioni di adeguare il  proprio
ordinamento  al  disposto  abbassamento  del  parametro  massimo  del
trattamento economico annuo onnicomprensivo del personale interessato
entro il termine di sei mesi dall'entrata in vigore  della  legge  n.
147 del 2013 (ovvero entro il 1° luglio 2014), trattandosi di termine
irragionevole e lesivo del  principio  di  leale  collaborazione,  in
quanto inadeguato rispetto all'iter normativo necessario a conformare
l'ordinamento regionale alle nuove norme statali. 
    1.2.- Occorre premettere che,  per  quanto  la  Regione  Campania
dichiari di impugnare i primi quattro commi dell'art. 13 del d.l.  n.
66 del 2014, le censure formulate attengono, in realta', soltanto  al
comma 3, il quale per l'appunto impone alle  Regioni  di  adeguare  i
propri ordinamenti al nuovo limite retributivo fissato (dal  comma  1
del medesimo art. 13) in euro 240.000 annui (al lordo dei  contributi
previdenziali ed assistenziali e degli oneri  fiscali  a  carico  del
dipendente). 
    1.3.- In  via  pregiudiziale,  va  dichiarata  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate  dalla  Regione  soltanto  con  la  memoria
depositata  il  19  maggio  2015  e  riferite:  alla  violazione  del
principio  «della  parita'  di  prelievo  a  parita'  di  presupposto
d'imposta economicamente rilevante»; al contrasto con gli artt. 36  e
38 Cost.; alla lesione del  legittimo  affidamento;  alla  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto  1955,  n.  848;  alla
violazione dell'art. 3 Cost., stante il carattere  definitivo  e  non
transeunte  del  sacrificio  imposto.  L'oggetto  del   giudizio   di
costituzionalita'  in  via  principale,  infatti,  e'   limitato   ai
parametri e alle questioni indicate nel ricorso introduttivo,  e  non
puo',  la   parte   ricorrente,   introdurre   nuove   censure   dopo
l'esaurimento del termine perentorio assegnato per impugnare  in  via
principale le leggi (sentenze n. 108 del 2012 e n. 169 del 2010). 
    1.4.- Ancora  in  via  preliminare,  si  deve  precisare  che  e'
riservata a separate pronunce la decisione  sull'altra  questione  di
legittimita' costituzionale  promossa  dalla  Regione  Campania,  con
ricorso iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2014. 
    2.-  Cosi'  circoscritto  il  thema  decidendum,  la  prospettata
violazione della competenza legislativa e dell'autonomia  finanziaria
della Regione e' infondata. 
    La spesa per il personale  costituisce  un  importante  aggregato
della spesa di parte corrente (sentenze n. 69 del 2011 e n.  169  del
2007), sicche' disposizioni dirette al  suo  contenimento  attraverso
l'individuazione di limiti generali ad essa, anche con la  fissazione
di un tetto massimo al trattamento  economico  annuo  onnicomprensivo
del personale, costituiscono legittima espressione  della  competenza
legislativa riservata allo Stato dall'art. 117, terzo  comma,  Cost.,
di  determinazione  dei  principi  fondamentali  nella  materia   del
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». 
    Come  questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato,  anche  «norme
puntuali adottate dal  legislatore  per  realizzare  in  concreto  la
finalita' del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le
possibilita' di intervento  dei  livelli  territoriali  sub-statali»,
possono essere ricondotte nell'ambito dei principi  di  coordinamento
della finanza pubblica (sentenza n.  237  del  2009;  in  precedenza,
nello  stesso  senso,  sentenza  n.  417  del  2005),  giacche'   «il
finalismo» insito in tale genere di disposizioni  esclude  che  possa
invocarsi «la logica della norma di dettaglio» (sentenza n.  205  del
2013).  A  questa  stregua,  sono  state  qualificate  come  principi
fondamentali di coordinamento finanziario norme che ponevano limiti a
singole voci  della  spesa  relativa  al  personale  (in  tal  senso,
recentemente le sentenze n. 61 e n. 23 del 2014), sul presupposto che
«la  stessa  nozione  di  principio  fondamentale  non  puo'   essere
cristallizzata in una formula valida in  ogni  circostanza,  ma  deve
tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione  ai
quali l'accertamento va compiuto e della peculiarita' della  materia»
(sentenza n. 16 del 2010). 
    Coerentemente   con   questa   ricostruzione   finalistica    del
coordinamento che si puo' realizzare anche tramite norme  finanziarie
le quali non si limitino a porre un obiettivo di  riequilibrio  della
finanza pubblica, ma prescrivano le specifiche modalita' per  il  suo
perseguimento,  si  e'   affermato   che   «la   specificita'   delle
prescrizioni, di per se', neppure  puo'  escludere  il  carattere  di
principio di una norma, qualora  essa  risulti  legata  al  principio
stesso da un evidente rapporto di  coessenzialita'  e  di  necessaria
integrazione (sentenze n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007)»  (sentenza
n. 16 del 2010). 
    La previsione impugnata, con  la  quale  e'  stato  imposto  alle
Regioni di estendere  al  proprio  personale  il  vincolo  del  tetto
massimo  al  trattamento  economico   annuo   onnicomprensivo,   gia'
introdotto per il personale statale, si colloca nel  contesto  di  un
piu' ampio intervento di revisione della spesa pubblica, concorrendo,
quale misura di razionalizzazione e  trasparenza  dell'organizzazione
degli apparati politico istituzionali (dello Stato e delle  autonomie
territoriali),    alla     stabilizzazione     della finanza pubblica
complessiva.  Questa  «scelta  di  fondo»  del  legislatore   statale
(sentenza n. 151 del  2012)  va  qualificata  dunque  come  principio
fondamentale di coordinamento  della  finanza  pubblica,  idoneo,  in
quanto tale, ad attrarre alla  stessa  competenza  legislativa  dello
Stato la definizione delle particolari regole che ne costituiscono il
necessario svolgimento tecnico. 
    All'accertata natura di principio fondamentale di  «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario» di  quanto  previsto
nella disposizione censurata, consegue che  la  lamentata  violazione
dell'autonomia di spesa delle  Regioni  non  sussiste  (ex  plurimis,
sentenze n. 79 del 2014, n. 52 del 2010, n. 237 e n. 139 del 2009, n.
36 del 2004). Ne' e' ravvisabile  alcuna  violazione  della  potesta'
legislativa residuale delle  regioni  in  materia  di  organizzazione
amministrativa, in quanto quest'ultima recede a fronte di  misure  di
coordinamento  finanziario   necessariamente   uniformi   sull'intero
territorio nazionale (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2013 e n.  151
del 2012). 
    3.- A  quanto  appena  esposto,  deve  comunque  aggiungersi  che
l'impugnata misura di  contenimento  finanziario  non  ricadrebbe  in
alcun caso,  come  invece  reputa  la  Regione,  in  una  materia  di
competenza regionale. 
    Questa Corte ha piu' volte statuito che il trattamento  economico
dei dipendenti pubblici va ricondotto alla materia  dell'«ordinamento
civile», prevalendo quest'ultimo ambito di competenza su ogni tipo di
potesta' legislativa delle Regioni, e quindi anche sulle attribuzioni
fatte valere, nella sua impugnazione,  dalla  Regione  ricorrente  in
materia di organizzazione amministrativa (sentenza n. 19  del  2013),
nonche' in materia di coordinamento della finanza pubblica  (sentenza
n. 225 del 2013). 
    Si perviene cosi', anche per questa diversa  via,  alla  medesima
conclusione di infondatezza di tutte le censure di  asserita  lesione
delle competenze legislative regionali invocate dalla ricorrente. 
    4.- La Regione lamenta anche la violazione  dell'art.  97  Cost.,
per gli effetti, si suppone negativi, sul buon andamento  dell'azione
amministrativa che deriverebbero dall'estensione dell'efficacia delle
norme impugnate ai rapporti in corso. 
    La questione e' inammissibile. 
    Secondo la  giurisprudenza  costituzionale  «le  Regioni  possono
evocare parametri di legittimita' diversi da quelli che sovrintendono
al riparto di attribuzioni solo allorquando la violazione  denunciata
sia "potenzialmente  idonea  a  determinare  una  vulnerazione  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni" (sentenza n. 199 del 2012)
e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine  ai  profili  di
una possibile ridondanza della predetta  violazione  sul  riparto  di
competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione
della specifica competenza regionale che  ne  risulterebbe  offesa  e
delle ragioni di tale lesione (sentenza n. 33 del 2011)» (sentenza n.
229 del 2013). 
    Queste condizioni non sono soddisfatte nel  caso  in  esame,  nel
quale la Regione, pur invocando la violazione di un parametro diverso
da quelli relativi al riparto delle competenze  legislative,  non  ha
spiegato in quali termini tale  vizio  «comporti  una  compromissione
delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite  o  ridondi
sul riparto di competenze legislative (ex plurimis, sentenze n. 128 e
n. 33 del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010)» (sentenza n. 236 del 2013). 
    5.- La questione sollevata con riguardo al  termine  imposto  per
l'adeguamento dell'ordinamento regionale e' anch'essa  inammissibile,
per un duplice ordine di ragioni. 
    In primo  luogo,  e'  evocata  in  modo  cumulativo,  generico  e
indistinto una pluralita' di norme costituzionali (in particolare, la
Regione prospetta la violazione degli artt. 3, 97, 117,  118,  119  e
120 Cost.), senza che vengano specificate le  ragioni  del  contrasto
delle disposizioni  impugnate  con  ciascuno  dei  parametri  citati.
Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il  ricorso  in  via
principale non puo' limitarsi a indicare «le norme  costituzionali  e
ordinarie, la  definizione  del  cui  rapporto  di  compatibilita'  o
incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della    questione    di
costituzionalita'» (sentenza n. 450 del 2005), ma deve contenere, per
superare lo scrutinio di ammissibilita', anche una argomentazione  di
merito, sia pure sintetica, a sostegno della  richiesta  declaratoria
di incostituzionalita', posto che l'impugnativa deve fondarsi su  una
motivazione adeguata e non meramente assertiva (sentenze n.  315  del
2009, n. 322 del 2008, n. 38 del 2007 e n.  233  del  2006).  E  tale
esigenza di motivazione si pone  inoltre  «in  termini  perfino  piu'
pregnanti  nei  giudizi  diretti  che  non  in  quelli   incidentali»
(sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005). 
    Sotto altro profilo, il motivo in esame presuppone che il comma 3
del censurato art. 13, la' dove impone alle regioni  di  adeguare  il
proprio  ordinamento  (all'abbassamento  del  parametro  massimo  del
trattamento economico annuo) «ai sensi dell'articolo  1,  comma  475,
della legge 27 dicembre 2013, n.  147,  nel  termine  ivi  previsto»,
debba essere interpretato nel senso che  il  termine  (di  sei  mesi)
decorre dall'entrata in vigore della stessa legge n.  147  del  2013,
andando quindi a spirare il 1° luglio  2014.  Cosicche',  essendo  la
legge di conversione del d.l. n. 66 del 2014 definitivamente  entrata
in vigore il 23 giugno 2014, le Regioni avrebbero avuto soltanto otto
giorni  di  tempo  per  provvedere  all'adeguamento  dei   rispettivi
ordinamenti. 
    Sennonche',  contrariamente  a  quanto  supposto  dalla  Regione,
sembra invece ben possibile interpretare la norma impugnata nel senso
che l'adeguamento dell'ordinamento regionale debba avvenire entro sei
mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione n. 89 del 2014
(e non dall'entrata in vigore  della  precedente  legge  n.  147  del
2013). La questione, quindi, e' inammissibile per mancato esperimento
del tentativo d'interpretazione  conforme  a  Costituzione.  Difatti,
secondo  il  costante  insegnamento  di   questa   Corte,   «di   una
disposizione   legislativa   non   si   pronuncia    l'illegittimita'
costituzionale quando  se  ne  potrebbe  dare  un'interpretazione  in
violazione  della  Costituzione,  ma  quando  non  se  ne  puo'  dare
un'interpretazione conforme a Costituzione» (sentenza n. 46 del 2013;
nello stesso senso sentenza n. 77 del  2007,  ordinanze  n.  102  del
2012, n. 212, n. 103 e n. 101 del 2011, n. 110, n. 192 e n.  322  del
2010, n. 257 del 2009, n. 363 del 2008). 
    In subordine, anche ammettendo che il termine semestrale  decorra
dall'entrata in vigore della legge n. 147 del 2013 (e vada  quindi  a
scadere il 1° luglio 2014), i giorni a disposizione della Regione per
l'adeguamento non sarebbero stati soltanto otto, come si sostiene nel
ricorso, bensi' piu' di sessanta, stante che l'obbligo di adeguamento
sarebbe sorto sin dalla entrata in vigore del d.l. n.  66  del  2014,
con la conseguenza che e' da tale data che la Regione stessa  avrebbe
potuto e dovuto attivarsi, senza attendere la legge  di  conversione.
L'erronea  ricostruzione  della  fattispecie  normativa   costituisce
ulteriore ragione di inammissibilita' della questione. 
    6.- La misura coercitiva prevista all'art. 2 del d.l. n. 174  del
2012, in quanto «sproporzionata ed illogica», secondo la Regione,  si
porrebbe in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  parametro  richiamato
soltanto nella intestazione del relativo paragrafo  del  ricorso,  ma
agevolmente   desumibile   sulla   base   degli   argomenti    svolti
(sull'ammissibilita' del riferimento in questi termini,  sentenze  n.
109 del 2007, n. 352 del 1996, n. 305 del 1994 e n. 115 del 1993). 
    La norma in questione - richiamata indirettamente dal comma 3 del
censurato art. 13, attraverso il rinvio  operato  all'art.  1,  comma
475, della legge n. 147 del 2013 - prevede al  comma  1,  per  quanto
rileva in questa sede, il taglio  dei  trasferimenti  erariali  nella
misura dell'ottanta per cento, fatta eccezione per  quelli  destinati
al finanziamento del Servizio sanitario  nazionale,  delle  politiche
sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico  locale,
per il caso in cui le Regioni  non  adottino,  nei  termini  in  essa
indicati, tutta una serie di provvedimenti, elencati dalla lettera a)
alla lettera m) dello stesso comma 1. Si tratta di una vasta congerie
di disposizioni accomunate dall'esigenza di contenimento della  spesa
pubblica (a titolo esemplificativo, si va dalla riduzione del  numero
delle societa'  sottoposte  a  controllo  pubblico,  all'entita'  dei
gettoni  di  presenza,  alla   gratuita'   della   partecipazione   a
commissioni, all'acquisto, manutenzione,  noleggio  ed  esercizio  di
autovetture, all'acquisto di buoni taxi,  all'imposizione  di  limiti
nell'assunzione di personale, alla soppressione o riduzione di  enti,
agenzie  e  organismi).  Al  novero  degli  adempimenti  posti  quale
condizione per l'erogazione dei trasferimenti erariali viene aggiunto
anche l'adeguamento al nuovo tetto retributivo, della quale  cosa  la
Regione Campania si duole nel suo ricorso, per i ricordati motivi. 
    Sennonche', nella delibera della Giunta regionale della  Campania
8 agosto 2014, n. 362, che autorizza la  presentazione  del  ricorso,
non viene espressa alcuna volonta' di impugnare l'art. 13 del d.l. n.
66 del 2014, in relazione alla misura prescritta dall'art. 2 del d.l.
n. 174 del 2012. La delibera cita si'  quest'ultima  disposizione  al
punto i) del «rilevato», ma unicamente  per  argomentare  a  sostegno
della  diversa  questione  dell'asserita  incongruita'  del   termine
imposto alle regioni per adeguarsi alle nuove  prescrizioni  statali,
come  e'  reso   evidente   dal   passo   che   qui   si   trascrive:
«L'irragionevolezza e  la  sproporzione  del  termine  rispetto  agli
adempimenti richiesti, nonche' la violazione del principio  di  leale
collaborazione,  risulta   ancora   piu'   grave   ed   evidente   in
considerazione delle pesanti sanzioni che la legge prescrive  per  il
mancato adempimento delle sue  disposizioni  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 475, della legge 147/2013, cui espressamente rinvia l'art.  13,
comma 3, del DL 66/2014». 
    Il difetto di corrispondenza tra ricorso  e  delibera,  quanto  a
oggetto dell'impugnazione, comporta  l'inammissibilita'  del  motivo.
L'esigenza che le impugnazioni regionali di leggi dello  Stato  siano
promosse dal Presidente della Giunta regionale, previa  deliberazione
della Giunta stessa, ai sensi dell'art. 32, comma 2, della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), risulterebbe infatti elusa, se  si  ammettesse
che il ricorso del Presidente possa denunciare vizi diversi da quelli
prefigurati  nella   delibera   della   Giunta   che   autorizza   la
presentazione dell'impugnazione in via principale  (sentenza  n.  180
del 1980). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione  sull'altra  questione
di legittimita' costituzionale,  di  cui  al  ricorso  della  Regione
Campania iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2014; 
    1)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge  24
aprile 2014, n.  66  (Misure  urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promossa, in  riferimento  agli
artt.  117,  quarto  comma,  123,  117,  terzo   comma,   119   della
Costituzione, dalla Regione  Campania  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe; 
    2) dichiara inammissibili le ulteriori questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l.  n.  66  del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, 118, 119 e  120
Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2015. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI