N. 218 SENTENZA 22 settembre - 5 novembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Impiego pubblico - Regioni ed enti  locali  sottoposti  al  patto  di
  stabilita' interno - Limite all'assunzione  di  personale  a  tempo
  indeterminato negli anni 2014 e 2015. 
- Decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
  semplificazione e la trasparenza amministrativa e per  l'efficienza
  degli uffici giudiziari) - convertito, con modificazioni, dall'art.
  1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114 - art. 3, comma 5. 
-   
(GU n.45 del 11-11-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 5,
del decreto-legge 24 giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, promosso  dalla  Regione
Veneto con ricorso notificato  il  20  ottobre  2014,  depositato  in
cancelleria il 27 ottobre 2014 ed iscritto  al  n.  84  del  registro
ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione  di  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto  e  l'avvocato
dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso, notificato il 20  ottobre  2014,  depositato  il
successivo 27 ottobre, la Regione Veneto  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale, in via principale, dell'art. 3, comma 5,
del decreto-legge 24 giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 11 agosto 2014,  n.  114,  in  riferimento  agli
artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- La Regione ricorrente premette che la norma impugnata,  che
ha abrogato l'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   finanziaria),   convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133, in tema di spese di personale per gli enti locali,  ha  disposto
che «[n]egli anni 2014 e 2015 le regioni e gli enti locali sottoposti
al patto di stabilita' interno procedono ad assunzioni di personale a
tempo  indeterminato  nel  limite  di  un  contingente  di  personale
complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento  di
quella relativa al personale di ruolo cessato  nell'anno  precedente.
Resta  fermo  quanto  disposto  dall'articolo  16,   comma   9,   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. La predetta facolta'  ad  assumere
e' fissata nella misura dell'80 per cento negli anni 2016  e  2017  e
del 100 per cento  a  decorrere  dall'anno  2018.  Restano  ferme  le
disposizioni previste dall'articolo 1, commi 557, 557-bis e  557-ter,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296». 
    Essa stabilisce, inoltre, che «[a] decorrere  dall'anno  2014  e'
consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni  per  un
arco  temporale  non  superiore  a  tre  anni,  nel  rispetto   della
programmazione   del   fabbisogno   e   di   quella   finanziaria   e
contabile[...]. L'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.
133, e'  abrogato.  Le  amministrazioni  di  cui  al  presente  comma
coordinano le politiche assunzionali dei soggetti di cui all'articolo
18, comma 2-bis, del citato decreto-legge n. 112 del 2008, al fine di
garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione  della
percentuale tra spese di personale e spese correnti,  fermo  restando
quanto previsto dal medesimo articolo 18, comma 2-bis, come da ultimo
modificato dal comma 5-quinquies del presente articolo». 
    1.2.- Tale disposizione, nella parte in cui abroga la  precedente
disciplina contenuta nell'art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008,
come  convertito,  sostituendo  alla  stessa  una  nuova  dettagliata
disciplina, sarebbe costituzionalmente  illegittima,  anzitutto,  per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    La ricorrente ritiene, infatti, che il citato art.  3,  comma  5,
del d.l. n. 90 del 2014, come  convertito,  riconducibile  all'ambito
materiale del «coordinamento della finanza pubblica», non  si  limiti
ad abrogare una norma "vincolistica",  gia'  di  per  se'  di  dubbia
costituzionalita', ma sostituisca ad essa una disciplina di dettaglio
sicuramente  non  conforme  alle  indicazioni  della   giurisprudenza
costituzionale. 
    L'art. 3, comma 5, del d.l. n.  90  del  2014,  come  convertito,
sarebbe costituzionalmente illegittimo  anche  per  violazione  degli
artt.  3  e  97  Cost.  ed  in  specie  dei  canoni  di  eguaglianza,
ragionevolezza e buon andamento ivi previsti. 
    Esso, infatti, eliminando il divieto di assumere  previsto  dalla
norma abrogata (il citato art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008,
come convertito) nei confronti dei soli enti  nei  quali  l'incidenza
delle spese di personale sia pari o superiore al 50 per  cento  delle
spese correnti, ed imponendo a tutti gli enti gli stessi limiti  alle
assunzioni di personale, creerebbe un'ingiustificata  discriminazione
tra  enti  locali  che  abbiano  coerentemente   ed   efficientemente
perseguito il contenimento della spesa pubblica e quelli  che  invece
abbiano, intenzionalmente o meno, sforato tale limite percentuale, in
contrasto  con  i  canoni  di  eguaglianza,  ragionevolezza  e   buon
andamento dell'amministrazione. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  e
comunque infondato. 
    2.1.- In linea preliminare il ricorso sarebbe  inammissibile  per
assoluta genericita'. Esso, infatti, non indicherebbe in  alcun  modo
quali aspetti della disciplina introdotta dalla norma impugnata - che
si compone di ben sette  diversi  periodi,  ciascuno  contenente  una
disposizione diversa - avrebbe le caratteristiche  di  dettaglio  non
consentite dall'art. 117, terzo comma, Cost., omettendo di  precisare
quale delle  diverse  disposizioni  della  predetta  norma  sarebbero
costituzionalmente illegittime. 
    Esso,  inoltre,  sarebbe  inammissibile  anche  per  carenza   di
interesse.  La   disciplina   introdotta   dalla   norma   impugnata,
sostituendo quella dettata dall'abrogato art. 76, comma 7,  del  d.l.
n. 112 del 2008, come convertito (che, peraltro, conteneva norme  non
meno dettagliate), avrebbe ampliato le possibilita' di assunzione  in
capo  agli  enti  sottoposti  al  patto  di   stabilita'.   Pertanto,
un'eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale che venisse a
colpire la citata norma abrogatrice del predetto art.  76,  comma  7,
comporterebbe il ripristino della norma abrogata (sentenza n. 108 del
1986), espressione di una legislazione  maggiormente  limitativa  dei
poteri di assunzione  degli  enti,  con  la  conseguente  carenza  di
interesse della Regione ricorrente ad ottenere un simile risultato. 
    Inammissibili  sarebbero,  inoltre,  le   censure   promosse   in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in linea con  la  giurisprudenza
costituzionale secondo cui le Regioni possono far valere il contrasto
con norme costituzionali diverse da quelle attributive di  competenze
legislative solo se esso si risolva in una esclusione  o  limitazione
dei poteri regionali, «senza che possano  avere  rilievo  denunce  di
illogicita' o  di  violazione  di  principi  costituzionali  che  non
ridondino in lesione delle sfere di competenza  regionale»  (sentenza
n. 116 del 2006). 
    2.2.- Nel merito il ricorso sarebbe, comunque, infondato. 
    La norma - ad avviso della difesa  statale  -  si  limiterebbe  a
semplificare e rimodulare le limitazioni al turn over nelle pubbliche
amministrazioni per  il  quinquennio  2014-2018  e  sostituirebbe  al
criterio basato sui  risparmi  di  spesa,  connessi  alle  cessazioni
dell'anno precedente, limiti corrispondenti ad una percentuale  della
spesa relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. 
    La difesa statale  sostiene  che  la  disposizione  impugnata  si
inserisce  nel  quadro  complessivo  di  interventi  finalizzati   ad
assicurare il contenimento della spesa di personale  nelle  pubbliche
amministrazioni regionali e locali, in coerenza con il  principio  di
coordinamento della finanza pubblica, senza eccedere dal carattere di
norma di principio, ai sensi dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  in
linea con le  indicazioni  della  giurisprudenza  costituzionale.  La
predetta norma, infatti, creerebbe un sistema  virtuoso  di  gestione
che mira ad un  risparmio  di  spesa  sul  piano  dell'organizzazione
amministrativa  e   politica,   obiettivo,   quest'ultimo,   per   il
conseguimento del quale il contributo  delle  autonomie  territoriali
sarebbe necessario,  pur  nel  rispetto  degli  ambiti  di  autonomia
costituzionalmente  garantiti,  anche  alla  luce  del  primo   comma
dell'art. 119 Cost. che prevede che tutti gli enti ivi indicati  sono
tenuti a concorrere ad assicurare l'osservanza dei vincoli  economici
e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. 
    Con  particolare  riferimento  ai  limiti  alle   assunzioni   di
personale,  la  difesa  statale  ricorda,  inoltre,  che   la   Corte
costituzionale, a partire dalla sentenza n. 173 del 2012 in  tema  di
limiti alle assunzioni a tempo  determinato  e  contratti  di  lavoro
flessibile di cui all'art. 9, comma 28, del decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica) come convertito, dall'art. 1, comma 1,
della legge 30 luglio 2012, n. 122, ha precisato che tali norme  sono
state legittimamente emanate dallo  Stato  nell'esercizio  della  sua
competenza concorrente in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, tramite la previsione della percentuale di riduzione del 50
per cento della spesa complessiva rispetto  a  quella  sostenuta  nel
2009, ferma restando la  facolta'  delle  Regioni  di  riallocare  le
risorse entro il tetto previsto. 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle difese svolte nelle memorie scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure
urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e  per
l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma  1,  della  legge  11  agosto  2014,  n.  114,  in
riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Tale norma, nella parte in cui stabilisce che «[n]egli anni
2014 e 2015 le regioni e gli  enti  locali  sottoposti  al  patto  di
stabilita' interno procedono  ad  assunzioni  di  personale  a  tempo
indeterminato   nel   limite   di   un   contingente   di   personale
complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento  di
quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno  precedente»,
disponendo l'abrogazione dell'art. 76, comma 7, del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo  economico,
la  semplificazione,  la  competitivita',  la  stabilizzazione  della
finanza pubblica e  la  perequazione  finanziaria),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133, sarebbe costituzionalmente illegittima in  quanto  sostituirebbe
alla precedente normativa,  gia'  di  dubbia  costituzionalita',  una
disciplina di dettaglio in materia di  «coordinamento  della  finanza
pubblica»,  sicuramente   non   conforme   alle   indicazioni   della
giurisprudenza costituzionale e quindi in  contrasto  con  l'art.117,
terzo comma, Cost. 
    Essa, inoltre, eliminando il divieto di assumere  previsto  dalla
norma abrogata (il citato art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008,
come convertito), nei confronti dei soli enti nei  quali  l'incidenza
delle spese di personale sia pari o superiore al 50 per  cento  delle
spese correnti, ed imponendo a tutti gli enti gli stessi limiti  alle
assunzioni di personale, creerebbe un'ingiustificata  discriminazione
tra  enti  locali  che  abbiano  coerentemente   ed   efficientemente
perseguito il contenimento della spesa pubblica e quelli  che  invece
abbiano, intenzionalmente o meno, sforato tale limite percentuale, in
contrasto  con  i  canoni  di  eguaglianza,  ragionevolezza  e   buon
andamento dell'amministrazione. 
    2.- In via preliminare, occorre valutare  l'eccezione,  sollevata
dalla difesa statale, di inammissibilita' del ricorso per genericita'
dello stesso. 
    Quest'ultimo non indicherebbe in alcun modo quali  aspetti  della
disciplina introdotta dalla norma impugnata - che si compone  di  ben
sette diversi periodi, ciascuno contenente una disposizione diversa -
avrebbero le caratteristiche di dettaglio  non  consentite  dall'art.
117, terzo comma, Cost., omettendo di precisare quali  delle  diverse
disposizioni  della  predetta  norma   sarebbero   costituzionalmente
illegittime. 
    2.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Questa Corte ha piu' volte  affermato  che  «il  ricorso  in  via
principale  deve  identificare  esattamente  la  questione  nei  suoi
termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie,  la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della questione e che, inoltre, deve  contenere
una argomentazione di merito a sostegno della richiesta  declaratoria
di illegittimita' costituzionale, giacche' l'esigenza di una adeguata
motivazione a supporto della impugnativa si pone in  termini  perfino
piu' pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali  (ex
plurimis, sentenza n. 259 del 2014)» (sentenza n. 82 del 2015). 
    Nella specie, tali requisiti sono soddisfatti. 
    Il ricorso, sebbene molto conciso, rende  «ben  identificabili  i
termini  delle  questioni  proposte,  individuando  le   disposizioni
impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimita'
costituzionale (sentenza n. 241  del  2012)»  (sentenza  n.  176  del
2015). In esso e' riportato l'intero contenuto della norma  impugnata
che,  pur  componendosi  di  sette  diversi  periodi,   delinea   una
disciplina unitaria dei limiti entro i quali  gli  enti  territoriali
possono procedere ad assunzioni di personale  a  far  data  dall'anno
2014. Ed e' chiaramente  l'intera  disciplina  dettata  dall'art.  3,
comma 5, del d.l. n. 90  del  2014,  come  convertito,  che,  secondo
l'assunto del ricorrente, non sarebbe riconducibile ai  «principi  di
coordinamento della finanza pubblica» in  ragione  della  sua  natura
estremamente dettagliata, con conseguente invasione della  competenza
regionale concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.-  Ancora  in  linea   preliminare,   deve   essere   esaminata
l'ulteriore  eccezione  di  inammissibilita'  del  ricorso   proposta
dall'Avvocatura generale dello Stato e inerente alla pretesa  carenza
di  interesse  della  ricorrente  a  ottenere  una  declaratoria   di
illegittimita' costituzionale della disciplina introdotta dalla norma
impugnata. 
    Secondo la difesa statale, l'art. 3, comma 5, del d.l. n. 90  del
2014, sostituendo la disciplina dettata dall'abrogato art. 76,  comma
7, del d.l. n. 112 del 2008,  avrebbe  ampliato  le  possibilita'  di
assunzione in capo agli  enti  sottoposti  al  patto  di  stabilita',
rispetto a quanto precedentemente  disposto.  Pertanto,  un'eventuale
pronuncia di  illegittimita'  costituzionale  della  norma  impugnata
comporterebbe il ripristino della norma abrogata (il citato art.  76,
comma 7, del d.l. n. 112 del 2008), espressione di  una  legislazione
maggiormente limitativa dei poteri di assunzione degli enti. 
    3.1.- Anche tale eccezione risulta destituita di fondamento. 
    Come gia' affermato, «il fenomeno  della  reviviscenza  di  norme
abrogate [...] non opera in via generale e automatica e  puo'  essere
ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate» (sentenza n. 13
del  2012).  Fra  di  esse  e'  stata   individuata   «l'ipotesi   di
annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del  giudice
costituzionale», che costituisce «caso a se'»  (sentenza  n.  13  del
2012)  in  quanto  riguarda   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale di una norma che sia meramente abrogativa di una norma
precedente, la quale torna per cio' stesso a rivivere. 
    Nella specie, la norma impugnata interviene  in  tema  di  limiti
alle assunzioni  di  personale  da  parte  degli  enti  territoriali,
dettando  una  disciplina  che  modifica  la  precedente,   contenuta
nell'art. 76, comma 7, del d.l. n. 112  del  2008,  come  convertito.
Quest'ultima norma e' espressamente abrogata  al  fine  di  escludere
ogni dubbio circa la perdurante vigenza della precedente  disciplina.
La  norma  di  cui  si  chiede  la  declaratoria  di   illegittimita'
costituzionale non e', pertanto, norma il cui contenuto essenziale e'
quello abrogativo; ne' di essa si  chiede  l'annullamento  in  quanto
dispone l'abrogazione della  vecchia  disciplina.  Si  deve,  dunque,
escludere che, nella specie,  l'eventuale  accoglimento  del  ricorso
possa produrre l'effetto di far rivivere  la  precedente  disciplina,
con conseguente riconoscimento della sussistenza  dell'interesse  del
ricorrente all'annullamento dell'art. 3, comma 5, del d.l. n. 90  del
2014, come convertito. Questo si puo' affermare indipendentemente  da
ogni valutazione in ordine alla fondatezza o  meno  dell'assunto,  da
cui muove il ricorrente, del carattere maggiormente limitativo per le
Regioni della disciplina previgente rispetto a quella ora in esame. 
    4.- La  difesa  statale  eccepisce,  inoltre,  l'inammissibilita'
delle censure promosse nei confronti dell'art. 3, comma 5,  del  d.l.
n. 90 del 2014, come convertito, in riferimento agli  artt.  3  e  97
Cost., in quanto attinenti a parametri non  inerenti  al  riparto  di
attribuzione delle competenze e per il fatto che dalla  loro  pretesa
lesione non  sarebbe  desunta  alcuna  compressione  delle  sfere  di
attribuzione regionale. 
    4.1.- L'eccezione e' fondata. 
    Secondo l'indirizzo ormai costante di questa Corte,  «le  Regioni
possono evocare parametri  di  legittimita'  diversi  da  quelli  che
sovrintendono al riparto di attribuzioni solo  quando  la  violazione
denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 8 del  2013  e
n. 199 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine
ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione  sul
riparto di competenze, assolvendo all'onere di operare la  necessaria
indicazione della specifica competenza regionale che ne  risulterebbe
offesa e delle ragioni di tale lesione (sentenze n. 229 del 2013 e n.
33 del 2011)» (sentenza n. 89 del 2015). 
    Nella specie le richiamate condizioni non sussistono. 
    La  Regione   ricorrente,   infatti,   lamenta   l'ingiustificata
discriminazione che deriverebbe dalla normativa  impugnata  a  carico
degli enti  territoriali  che  abbiano  efficacemente  perseguito  il
contenimento della spesa pubblica.  Questi  enti  sarebbero  trattati
allo stesso modo di quelli che, con o senza una precisa intenzione di
farlo, si trovino a  non  aver  raggiunto  un  simile  obiettivo,  in
violazione  dei  principi  di  eguaglianza,  ragionevolezza  e   buon
andamento dell'amministrazione.  Essa,  tuttavia,  non  svolge  alcun
argomento per spiegare in quali  termini  tale  vizio  «comporti  una
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite  o  ridondi  sul  riparto  di  competenze  legislative  (ex
plurimis, sentenze n. 128 e n. 33 del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010)»
(sentenza n. 236 del 2013). 
    Deve, pertanto, dichiararsi  l'inammissibilita'  della  questione
promossa in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.- Resta da valutare nel merito  la  questione  di  legittimita'
costituzionale promossa nei confronti del medesimo art. 3,  comma  5,
del d.l. n. 90 del 2014, come  convertito,  in  riferimento  all'art.
117,  terzo  comma,  Cost.,  sull'assunto  che  la  norma   impugnata
sostituisca   alla   precedente    normativa,    gia'    di    dubbia
costituzionalita'  perche'  dettagliata,  una  nuova  disciplina   di
dettaglio in materia di «coordinamento della finanza  pubblica»,  non
conforme alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale. 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    L'art. 3, comma 5, del d.l. n. 90 del 2014, come  convertito,  si
inserisce nel quadro  complessivo  dei  numerosi  interventi  che  il
legislatore  statale,  ormai  da  tempo,  ha  effettuato   in   vista
dell'obiettivo di assicurare il contenimento della spesa di personale
nelle pubbliche amministrazioni regionali e locali. 
    Sin dalle prime decisioni rese  all'indomani  della  riforma  del
Titolo V della Parte seconda  della  Costituzione,  questa  Corte  ha
ricondotto le disposizioni dettate dal legislatore statale  in  vista
del contenimento della spesa corrente degli  enti  territoriali  alle
finalita' di coordinamento della finanza pubblica,  sull'assunto  che
«[n]on e' contestabile il potere del legislatore statale  di  imporre
agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse
ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti»  (sentenza  n.  36  del  2004).  E  cio'  in  quanto  «il
contenimento del tasso di crescita della spesa corrente rispetto agli
anni precedenti costituisce pur sempre uno degli strumenti principali
per la realizzazione degli obiettivi  di  riequilibrio  finanziario»,
essendo «indicato fin dall'inizio fra le azioni attraverso  le  quali
deve perseguirsi la riduzione del disavanzo annuo» (sentenza n.36 del
2004). 
    Si e', tuttavia, precisato che, perche' norme statali che fissano
limiti  alla  spesa  delle  Regioni  e  degli  enti  locali   possano
qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, occorre, in primo luogo, «che si limitino a porre obiettivi
di  riequilibrio  della  [stessa],  intesi  anche  nel  senso  di  un
transitorio contenimento complessivo,  sebbene  non  generale,  della
spesa corrente»; in secondo luogo, che  «non  prevedano  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi»  (sentenza  n.
169 del 2007). 
    Fra le misure di contenimento della  spesa  di  Regioni  ed  enti
locali si sono da tempo ravvisate quelle inerenti alle spese  per  il
personale, alle quali devono ricondursi quelle  oggetto  della  norma
impugnata. Esse perseguono «l'obiettivo  di  contenere  entro  limiti
prefissati una delle piu' frequenti e rilevanti cause  del  disavanzo
pubblico,  costituita  dalla  spesa  complessiva  per  il   personale
(sentenza n. 4 del 2004)» (sentenza n. 169 del 2007). Tale obiettivo,
pur non riguardando la generalita' della spesa corrente, ha  tuttavia
«rilevanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di stabilita'
interno, e concerne non una minuta voce di spesa, bensi' un rilevante
aggregato della spesa di parte  corrente,  nel  quale  confluisce  il
complesso degli oneri relativi al personale»  (sentenza  n.  169  del
2007), cosicche', sempre che siano rispettate le predette condizioni,
esso legittima l'intervento limitativo del legislatore statale. 
    Su queste basi, e' stata riconosciuta (sentenza n. 148 del  2012)
natura di principio fondamentale in materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica all'art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, come
successivamente  modificato,  nella  parte  in  cui  poneva  -  prima
dell'abrogazione disposta con la norma ora in esame - il  divieto  di
procedere ad assunzioni di qualsiasi tipo  per  gli  enti  nei  quali
l'incidenza delle spese di personale fosse pari o superiore al 50 per
cento delle spese correnti e imponeva ai restanti enti  di  procedere
ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel  limite  del  40
per  cento  della  spesa  corrispondente  alle  cessazioni  dell'anno
precedente (fra le altre, sentenze n. 181 del 2014, n. 287 del  2013,
n. 217 del 2012, n. 161 del 2012). 
    Sulla richiamata disposizione e' intervenuto l'art. 3 del d.l. n.
90 del 2014,  convertito  dalla  legge  n.  114  del  2014,  che,  in
particolare, ai commi 5, 5-quater e  5-quinquies,  ha  modificato  la
disciplina in essa contenuta prescrivendo che, «[n]egli anni  2014  e
2015 le regioni e gli enti locali sottoposti al patto  di  stabilita'
interno procedono ad assunzioni di personale  a  tempo  indeterminato
nel  limite  di  un   contingente   di   personale   complessivamente
corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento di  quella  relativa
al personale di ruolo cessato nell'anno precedente» (comma  5,  primo
periodo), mentre per gli anni 2016 e 2017 le assunzioni sono  fissate
nella misura dell'80 per cento e, a decorrere dall'anno  2018,  nella
misura del 100 per cento (comma 5, terzo periodo). Al comma 5-quater,
si e' inoltre precisato che «gli enti indicati al  comma  5,  la  cui
incidenza delle spese di personale sulla spesa  corrente  e'  pari  o
inferiore al 25 per cento, possono procedere ad  assunzioni  a  tempo
indeterminato a decorrere dal 1° gennaio 2014, nel limite dell'80 per
cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio
nell'anno precedente e nel limite  del  100  per  cento  a  decorrere
dall'anno 2015». 
    Alla luce di quanto detto, risulta evidente che  anche  la  norma
ora sottoposta a scrutinio (l'art. 3, comma 5, del  d.l.  n.  90  del
2014, come convertito) e' norma  recante  principi  di  coordinamento
della finanza pubblica. Essa, infatti, nella parte  in  cui  reca  la
previsione  del  contenimento  delle  spese  correnti  inerenti  alle
assunzioni del personale a tempo indeterminato, imponendo il  «limite
di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una
spesa pari al 60 per cento di quella relativa al personale  di  ruolo
cessato nell'anno precedente», incide  sulla  spesa  inerente  ad  un
vasto settore del personale (sentenza n.  173  del  2012),  che  puo'
costituire «una delle piu' frequenti e rilevanti cause del  disavanzo
pubblico» (sentenza n. 169 del 2007),  concernendo  «non  una  minuta
voce di spesa, bensi' un rilevante aggregato  della  spesa  di  parte
corrente», in un'ottica  di  contenimento  complessivo,  sebbene  non
generale, della  spesa  corrente  in  vista  del  riequilibrio  della
finanza pubblica (sent.  n.  169  del  2007).  Si  tratta,  in  altri
termini, di una norma volta a «realizzare in  concreto  la  finalita'
del  coordinamento  finanziario  -  che  per  sua  natura  eccede  le
possibilita' di intervento dei  livelli  territoriali  sub-statali  -
[...]  e,  proprio  perche'  viene   "incontro   alle   esigenze   di
contenimento  della  spesa  pubblica  e  di  rispetto  del  patto  di
stabilita' interno", e' idonea a realizzare l'ulteriore finalita' del
buon andamento delle pubbliche amministrazioni (sentenza  n.  64  del
2005)» (sentenza n. 417 del 2005; anche sentenza n. 52 del 2010). 
    Serve soprattutto sottolineare che la norma soddisfa i  requisiti
necessariamente prescritti  al  fine  di  escludere  l'illegittimita'
costituzionale delle misure limitative da essa introdotte, escludendo
che le stesse  determinino  la  lesione  delle  sfere  di  competenza
regionale e degli enti locali e in particolare  il  sacrificio  della
loro autonomia di spesa. 
    Infatti, fissando il limite alle assunzioni di personale a  tempo
indeterminato in  termini  percentuali  rispetto  al  contingente  di
personale di ruolo cessato nell'anno precedente, l'art. 3,  comma  5,
del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, soddisfa  il  requisito  di
non prevedere  «in  modo  esaustivo  strumenti  e  modalita'  per  il
perseguimento dei suddetti obiettivi»  di  contenimento  della  spesa
(sentenza n. 236 del 2013), lasciando alle Regioni la possibilita' di
provvedere esse stesse, in piena autonomia, a differenziare le misure
necessarie al raggiungimento dell'indicato obiettivo,  tenendo  conto
delle  diverse  esigenze  dei   vari   settori   dell'amministrazione
regionale. Occorre, inoltre,  rilevare  che  la  citata  disposizione
risponde alla necessita' che le misure di intervento del  legislatore
statale siano adottate in via transitoria ed in  vista  di  specifici
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, come e'  dimostrato
dalla circostanza che il limite alle assunzioni da parte  di  Regioni
ed enti locali opera per gli anni 2014 e  2015  e,  in  maniera  meno
stringente, per gli anni 2016 e 2017, per cessare improrogabilmente a
decorrere dal 2018. 
    Deve, pertanto, dichiararsi priva di fondamento la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 5, del d.l. n. 90  del
2014, come convertito, promossa dalla Regione Veneto  in  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma  5,  del  decreto-legge  24  giugno
2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  11
agosto 2014, n. 114, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della
Costituzione, dalla  Regione  Veneto,  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  3,  comma  5,  del  d.l.  n.  90  del  2014
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
114 del 2014, promossa, in riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,
Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2015 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI