N. 225 ORDINANZA 21 ottobre - 5 novembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati tributari - Reati in materia  di  imposte  sui  redditi  e  sul
  valore aggiunto - Condizioni per l'ammissibilita'  della  richiesta
  di applicazione della pena di cui all'art. 444 cod. proc. pen. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.  74  (Nuova  disciplina  dei
  reati in materia di imposte sui redditi e sul  valore  aggiunto,  a
  norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), art. 13,
  comma 2-bis, aggiunto dall'art. 2, comma 36-vicies  semel,  lettera
  m), del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori  misure
  urgenti per la stabilizzazione  finanziaria  e  per  lo  sviluppo),
  convertito, con modificazioni, dalla legge 14  settembre  2011,  n.
  148. 
-   
(GU n.45 del 11-11-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma
2-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina
dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto,  a
norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n.  205),  aggiunto
dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Torino nel procedimento penale
a carico di S.F.  ed  altri  con  ordinanza  del  15  dicembre  2014,
iscritta al n. 44 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  13,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 ottobre  2015  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che con  ordinanza  del  15  dicembre  2014  il  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Torino   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 77,  101,  104,  111,
112   e   113   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 2-bis, del decreto legislativo  10
marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia  di  imposte
sui redditi e sul valore aggiunto,  a  norma  dell'articolo  9  della
legge 25 giugno 1999, n. 205), aggiunto dall'art. 2, comma  36-vicies
semel,  lettera  m),  del  decreto-legge  13  agosto  2011,  n.   138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla  legge  14  settembre
2011, n. 148, in forza del quale, per i delitti di  cui  al  medesimo
decreto legislativo, l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444
del codice di procedura penale puo' essere chiesta dalle  parti  solo
qualora ricorra l'attenuante prevista dai commi 1 e  2  dello  stesso
art. 13:  ossia,  solo  se  i  debiti  tributari  relativi  ai  fatti
costitutivi  dei  predetti  delitti  -  comprensivi  delle   sanzioni
amministrative, ancorche' non applicabili all'imputato in  forza  del
principio di specialita' - siano stati estinti,  mediante  pagamento,
prima della dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento  di  primo
grado; 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale nei confronti  di  quattro  persone,  imputate  del  reato  di
associazione per delinquere costituita allo scopo di commettere reati
tributari, nonche', in concorso tra loro, dei  delitti  tributari  di
cui agli artt. 2, 5, 8, 10-bis e 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000; 
    che nel corso dell'udienza preliminare i difensori degli imputati
avevano chiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod.
proc. pen.; 
    che  il  pubblico  ministero,  pur  ritenendo  congrue  le   pene
richieste, non aveva prestato il  proprio  consenso  a  fronte  della
preclusione sancita dal censurato art. 13, comma 2-bis, del d.lgs. n.
74 del 2000, non essendo stati estinti i debiti tributari relativi ai
fatti per cui si procede; 
    che  il  giudice  a  quo  dubita,  tuttavia,  della  legittimita'
costituzionale della norma sotto plurimi profili; 
    che, a parere del rimettente, subordinando la facolta' di accesso
al rito alternativo alla sollecita definizione di ogni  pendenza  con
l'amministrazione  finanziaria,  la  disposizione   comprometterebbe,
anzitutto, il diritto di azione del contribuente-imputato contro  gli
atti impositivi illegittimi, in  violazione  degli  artt.  24,  primo
comma, e 113 Cost.; 
    che in presenza di errori nel computo dell'imposta  evasa,  degli
interessi o delle sanzioni amministrative, l'imputato che non  riesca
a trovare un accordo con l'amministrazione finanziaria si  troverebbe
di fronte a una alternativa: o adire il giudice  tributario  per  far
valere il suo diritto, perdendo, pero', la possibilita' di fruire del
"patteggiamento" nel procedimento penale, che intanto  segue  il  suo
corso; oppure pagare  senza  contestazioni  le  somme  richieste  dal
fisco, al fine di beneficiare del rito premiale; 
    che  in  entrambi  i  casi  sarebbe,  peraltro,   innegabile   la
frustrazione del diritto di difesa del contribuente-imputato; 
    che il dubbio di legittimita' costituzionale non potrebbe  essere
superato neppure ipotizzando che  l'immediato  pagamento  del  debito
tributario  non  pregiudichi  la  successiva  tutela  giurisdizionale
contro le imposizioni illegittime; 
    che anche in questa prospettiva la preclusione del patteggiamento
rappresenterebbe, comunque, un  effetto  negativo  collegato  ad  una
violazione della normativa tributaria non  ancora  accertata  ne'  in
sede penale, ne', di  norma,  nell'ambito  del  giudizio  tributario:
donde il contrasto della norma censurata tanto con  il  principio  di
inviolabilita' del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.),
che con i principi  del  giusto  processo  (art.  111,  primo  comma,
Cost.); 
    che per espressa previsione normativa, inoltre, l'estinzione  dei
debiti  fiscali  puo'  avvenire  anche  «a  seguito  delle   speciali
procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste  dalle
norme tributarie»: formula  "aperta"  che  abbraccia  la  generalita'
delle forme di definizione agevolata dei rapporti tributari; 
    che  in  questo  modo,  peraltro,   la   disposizione   censurata
subordinerebbe le scelte della difesa alla  «volonta'  discrezionale»
dell'amministrazione  finanziaria:   soggetto   che,   ove   non   si
costituisca parte civile - come nel caso di specie - non e' parte del
processo; 
    che   la   richiesta   di   "patteggiamento"    rappresenterebbe,
d'altronde, anche una delle modalita' di esercizio dell'azione penale
da parte del pubblico ministero (art. 405, comma 1, cod. proc. pen.):
con la conseguenza che la norma impugnata limiterebbe gli strumenti a
disposizione della pubblica accusa  per  l'attuazione  del  principio
costituzionale  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale  (art.   112
Cost.); 
    che facendo dipendere «la configurazione (e la  deflazione)»  del
processo penale dagli esiti, anche  non  definitivi,  «delle  vicende
amministrative  o  giudiziarie  del  debito  tributario»,  la   norma
impugnata si porrebbe  in  contrasto,  ancora,  con  gli  artt.  101,
secondo comma, e 104, primo comma, Cost.: il giudice penale  sarebbe,
infatti,  soggetto  non  piu'  soltanto  alla  legge,  ma  anche   al
procedimento  amministrativo,  e,  specularmente,   l'amministrazione
finanziaria  condizionerebbe   l'esercizio   delle   funzioni   della
magistratura, non solo giudicante, ma anche requirente; 
    che la disposizione censurata genererebbe, ancora, ingiustificate
disparita' di trattamento tra imputati del medesimo reato,  limitando
il diritto di difesa dell'imputato non abbiente,  il  quale  potrebbe
vedersi precluso l'accesso al rito speciale per  motivi  legati  alla
propria condizione economica (artt. 3 e 24 Cost.); 
    che apparirebbe, inoltre, irragionevole che  solo  l'imprenditore
imputato, potendo procedere alla  definizione  dei  debiti  tributari
originati dalla propria attivita' d'impresa, sia in grado di porre le
premesse  per  accedere   al   "patteggiamento",   diversamente   dai
coimputati estranei all'impresa, ai quali sarebbe  precluso  attivare
le procedure di estinzione dei debiti tributari; 
    che risulterebbe violato, poi,  l'art.  10  Cost.,  in  relazione
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, che riconosce il diritto ad  un  equo  processo,  nonche'  in
relazione all'art.  4  del  Protocollo  n.  7  a  detta  Convenzione,
adottato  a  Strasburgo  il  22  novembre  1984,  ratificato  e  reso
esecutivo con legge 9 aprile 1990, n.  98,  concernente  l'estensione
della lista dei diritti civili e politici, che prevede il  diritto  a
non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto  (ne  bis
in idem): cio', tenuto conto dell'interpretazione  "sostanzialistica"
del concetto di  «stesso  fatto»  offerta  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo; 
    che,  infatti,  dovendo  l'estinzione   del   debito   tributario
riguardare, ai sensi dell'art. 13, comma 2,  del  d.lgs.  n.  74  del
2000, anche  le  sanzioni  amministrative,  benche'  non  applicabili
all'imputato in forza del principio di specialita' sancito  dall'art.
19, comma 1, la norma censurata consentirebbe di  applicare,  per  lo
stesso fatto, tanto sanzioni amministrative che sanzioni penali; 
    che si riscontrerebbe, infine, un difetto di omogeneita'  tra  la
disposizione denunciata - introdotta dalla legge n. 148 del  2011  in
sede di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011 - e i contenuti
originari del decreto-legge convertito,  tale  da  interrompere  quel
nesso di interrelazione funzionale tra i due  atti  che,  secondo  la
giurisprudenza della Corte costituzionale, e'  presupposto  dall'art.
77, secondo comma, Cost.; 
    che il citato decreto-legge e' stato,  infatti,  emanato  -  alla
luce del suo preambolo - «per la stabilizzazione finanziaria e per il
contenimento della spesa pubblica al fine di garantire la  stabilita'
del  Paese  con  riferimento  all'eccezionale  situazione  di   crisi
internazionale e di instabilita' dei mercati  e  per  rispettare  gli
impegni assunti in sede di Unione Europea, nonche' di adottare misure
dirette a favorire lo sviluppo e la competitivita'  del  Paese  e  il
sostegno dell'occupazione»; 
    che la censurata limitazione del patteggiamento non potrebbe,  di
contro, perseguire fini di «stabilizzazione finanziaria», giacche' la
determinazione del debito tributario  da  parte  dell'amministrazione
finanziaria  e  il  suo  pagamento   ad   opera   dell'imputato   non
comporterebbero  ne'  un  accertamento   definitivo   della   ragione
creditoria, ne' la  definitiva  acquisizione  al  fisco  delle  somme
versate; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  comunque,
infondata. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
ordinario di Torino dubita,  in  riferimento  a  numerosi  parametri,
della legittimita' costituzionale  dell'art.  13,  comma  2-bis,  del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei  reati
in materia di imposte sui redditi e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9  della  legge  25  giugno  1999,  n.  205),  aggiunto
dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148,  il  quale  stabilisce  che,  per  i
delitti di cui al medesimo  decreto  legislativo,  le  parti  possono
accedere al "patteggiamento" solo ove ricorra  l'attenuante  prevista
dai commi 1 e 2 dello stesso art. 13, e, cioe', solo se 
    i debiti tributari relativi ai  fatti  costitutivi  dei  predetti
delitti - comprensivi delle sanzioni  amministrative,  ancorche'  non
applicabili all'imputato in forza  del  principio  di  specialita'  -
siano stati estinti, mediante pagamento, prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado; 
    che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'  intervenuto
il decreto legislativo 24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del
sistema sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1,  della
legge 11 marzo 2014, n. 23), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  del
7 ottobre 2015, serie generale n. 233, supplemento ordinario  n.  55,
che  ha  apportato  un  ampio  complesso  di  modifiche  al   sistema
sanzionatorio tributario, tanto penale che amministrativo; 
    che l'applicazione della nuova disciplina e' stata  differita  al
1° gennaio 2017 unicamente in rapporto alle disposizioni  del  Titolo
II, attinenti alle sanzioni amministrative (art.  32,  comma  1,  del
d.lgs. n. 158 del 2015): sicche' le nuove  norme  penali  -  che  qui
interessano - sono entrate in vigore  il  22  ottobre  2015,  decorso
l'ordinario termine di vacatio legis; 
    che l'art. 11 del citato  decreto  legislativo  ha  integralmente
sostituito l'art. 13 del d.lgs. n. 74  del  2000,  il  quale  risulta
attualmente dedicato alla disciplina dei casi nei quali il  pagamento
del debito tributario, gia' configurato come  circostanza  attenuante
speciale, assurge a causa di non punibilita'; 
    che la disposizione limitativa dell'accesso  al  "patteggiamento"
e' stata, quindi, trasferita nel comma 2 del nuovo  art.  13-bis  del
d.lgs. n. 74 del 2000, aggiunto dall'art. 12 del d.lgs.  n.  158  del
2015; 
    che  la  nuova  disposizione  non  e',  peraltro,  identica  alla
precedente, sottoposta a scrutinio dal rimettente: cosi' come non  lo
e' la disciplina, da essa richiamata,  della  circostanza  attenuante
speciale del risarcimento del danno, ora dislocata nel  comma  1  del
citato art. 13-bis (disciplina  che  assume  un  carattere  residuale
rispetto alle ipotesi nelle quali il pagamento del debito  tributario
esclude in radice la punibilita' del fatto); 
    che le due discipline - vecchia e nuova - differiscono  tra  loro
per un  insieme  di  particolari:  spetta,  pertanto,  al  rimettente
verificare se, e in quale misura, lo ius  superveniens  incida  sulla
rilevanza della questione e sulle singole censure formulate; 
    che va, dunque, disposta la restituzione degli atti al giudice  a
quo, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza  e  alla  non
manifesta infondatezza della questione alla luce  del  mutato  quadro
normativo. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    ordina  la  restituzione  degli  atti  al  Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Torino. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI