N. 273 SENTENZA 1 - 22 dicembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni varie in materia di  bilancio  e  contabilita'  pubblica
  (compensazione degli oneri derivanti  dall'entrata  in  vigore  dei
  decreti legislativi di attuazione della delega di  cui  all'art.  1
  della legge n. 23  del  2014;  copertura  finanziaria  delle  spese
  disposte dal d.l. n. 66 del 2014 con le maggiori entrate  derivanti
  dal medesimo d.l.). 
- Legge  23  giugno  2014,  n.  89   (Conversione   in   legge,   con
  modificazioni, del decreto-legge 24 aprile  2014,  n.  66,  recante
  misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale.
  Deleghe al Governo  per  il  completamento  della  revisione  della
  struttura  del  bilancio  dello  Stato,  per  il   riordino   della
  disciplina per la gestione del bilancio e  il  potenziamento  della
  funzione del bilancio di cassa, nonche' per l'adozione di un  testo
  unico in materia di contabilita' di Stato e di tesoreria), art.  1,
  comma 11; decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure  urgenti  per
  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale)  -  convertito,  con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.
  89 - art. 50, comma 10. 
-   
(GU n.52 del 30-12-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
11, della legge 23 giugno 2014, n.  89  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66,  recante
misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale.  Deleghe
al Governo per il completamento della revisione della  struttura  del
bilancio dello  Stato,  per  il  riordino  della  disciplina  per  la
gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del  bilancio
di cassa, nonche' per l'adozione di un  testo  unico  in  materia  di
contabilita' di Stato e di tesoreria), e dell'art. 50, comma 10,  del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, promosso dalla Regione siciliana con  ricorso  notificato  il  22
agosto 2014, depositato in cancelleria il 28 agosto 2014 ed  iscritto
al n. 66 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2015  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato Paolo Chiapparrone per la  Regione  siciliana  e
l'avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato  il  22  agosto  2014,  depositato  il
successivo 28 agosto e iscritto al n. 66 del registro  ricorsi  2014,
la Regione siciliana  ha  promosso,  ai  sensi  dell'art.  127  della
Costituzione, tra le altre, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014, n. 89 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66,
recante misure urgenti per la competitivita' e la giustizia  sociale.
Deleghe  al  Governo  per  il  completamento  della  revisione  della
struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della  disciplina
per la gestione del bilancio e il potenziamento  della  funzione  del
bilancio di cassa, nonche'  per  l'adozione  di  un  testo  unico  in
materia di contabilita' di Stato e di  tesoreria),  e  dell'art.  50,
comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per
la  competitivita'  e  la   giustizia   sociale),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, per violazione degli artt. 14, 17, 36, 37,  38  e  43  del  regio
decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello
statuto   della   Regione   siciliana),   convertito   dalla    legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell'art. 2 del decreto  del
Presidente della  Repubblica  26  luglio  1965,  n.  1074  (Norme  di
attuazione  dello  Statuto  della  Regione   siciliana   in   materia
finanziaria), nonche' del principio di leale collaborazione. 
    La prima disposizione censurata, modificatrice dell'art. 16 della
legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al  Governo  recante  disposizioni
per un sistema  fiscale  piu'  equo,  trasparente  e  orientato  alla
crescita), stabilisce che qualora  uno  o  piu'  decreti  legislativi
attuativi della delega determinino nuovi o maggiori  oneri,  che  non
trovino  compensazione  nel  proprio  ambito,  si  provvede  mediante
compensazione  con  le  risorse   finanziarie   recate   da   decreti
legislativi  presentati  prima  o  contestualmente   a   quelli   che
comportano i  nuovi  o  maggiori  oneri.  Al  fine  di  garantire  la
compensazione, le maggiori entrate confluiscono in un apposito  fondo
istituito nello stato di previsione  del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze. La ricorrente lamenta la violazione dell'art. 36 dello
statuto speciale e dell'art. 2  del  d.P.R.  n.  1074  del  1965,  di
attuazione dell'autonomia finanziaria, in quanto e' previsto che  «le
iniziative  legislative   dirette   ad   alleggerire   la   pressione
tributaria, che si traducono in minori entrate  tributarie  spettanti
alla Regione ricorrente, trovino compensazione in  risorse  riservate
al Ministero». 
    La seconda  disposizione,  modificata  in  sede  di  conversione,
stabilisce che agli oneri derivanti dai  commi  precedenti  «ai  fini
della  compensazione  degli  effetti  in  termini  di  fabbisogno  ed
indebitamento netto, si provvede  mediante  utilizzo  delle  maggiori
entrate e dalle minori spese derivanti dal presente provvedimento». 
    Secondo  la  Regione  ricorrente,  tali  previsioni   lederebbero
l'autonomia finanziaria regionale, in quanto mirano a un assestamento
della finanza statale «mediante contributi derivanti  dal  taglio  di
risorse regionali o attribuzione allo Stato di aliquote di tassazione
aggiuntiva  di  imposte  di  spettanza  regionale».  Osserva  a   tal
proposito la Regione siciliana  che  la  previsione  di  una  riserva
statale sulle maggiori entrate attese (quali sono ad  esempio  quelle
derivanti dall'imposta sul valore aggiunto in conseguenza  di  misure
adottate ai sensi dello stesso provvedimento - art. 50, comma 11, del
d.l. n. 66 del 2014, come convertito - e dall'innalzamento al 26  per
cento dell'imposta sui redditi di natura finanziaria - art. 3,  comma
1,  dello  stesso  decreto-legge,  come   modificato   in   sede   di
conversione) contrasta con la previsione statutaria secondo la  quale
«spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa
direttamente  deliberate,  tutte  le  entrate   tributarie   erariali
riscosse  nell'ambito  del  suo  territorio,  dirette  o   indirette,
comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate  tributarie  il
cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di  oneri
diretti a soddisfare particolari finalita' contingenti o continuative
dello Stato specificate nelle leggi medesime» (art. 36 dello  statuto
siciliano, come integrato dall'art. 2 del d.P.R. n. 1074  del  1965).
Cio' perche', anche a voler qualificare gli interventi previsti dalle
disposizioni  censurate   entrate   tributarie   nuove,   mancherebbe
l'indicazione  della  loro  specifica  destinazione,  non   potendosi
ritenere  il  riferimento  a  una  generica  esigenza  di   copertura
finanziaria degli oneri derivanti  da  determinate  disposizioni  del
provvedimento impugnato sufficiente a soddisfare il  requisito  della
specificita'. Ritiene, inoltre, la ricorrente che sussista violazione
del principio costituzionale di leale collaborazione, non potendo  lo
Stato raggiungere l'equilibrio di  bilancio  «mediante  l'imposizione
alla Regione di  oneri  di  importo  determinato  d'imperio  e  senza
preventiva consultazione o con la sottrazione di maggiori entrate  di
imposte alla stessa spettanti». 
    2.- Con atto depositato il 30 settembre 2014, si e' costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile o infondato. 
    2.1.-  Preliminarmente,   l'Avvocatura   generale   dello   Stato
eccepisce tre profili di inammissibilita' del ricorso. 
    2.1.1.- In primo luogo, viene richiamato l'art. 50-bis  del  d.l.
n. 66 del 2014, introdotto in sede di conversione, ai sensi del quale
«Le disposizioni del presente decreto si  applicano  alle  regioni  a
statuto speciale e alle province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative
norme di attuazione». Tale disposizione conterrebbe una  clausola  di
salvaguardia, nel cui ambito rientrano le disposizioni censurate, che
assicura, secondo il  resistente,  «il  pieno  rispetto  delle  norme
statutarie». 
    2.1.2.-  In  via  subordinata,  l'inammissibilita'  del   ricorso
deriverebbe dal  fatto  che  «tutte  le  disposizioni  censurate,  in
ragione del loro contenuto, costituiscono principi fondamentali della
finanza pubblica che, come tali, non possono non imporsi  a  tutti  i
livelli di governo». 
    2.1.3.-  Infine,  il  ricorso  sarebbe   inammissibile   per   la
genericita' delle censure. 
    2.2.- Secondo la difesa  statale,  inoltre,  sarebbe  cessata  la
materia del contendere alla luce dell'accordo in materia  di  finanza
pubblica, sottoscritto tra il Ministero dell'economia e delle finanze
e il Presidente della Regione siciliana in data 9 giugno 2014, con il
quale sono stati definiti gli impegni per il periodo 2014-2017. 
    2.3.- Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce
l'infondatezza delle censure. 
    2.3.1.- La doglianza nei confronti dell'art. 1, comma  11,  della
legge n. 89 del 2014 sarebbe infondata in quanto, per come formulata,
fa riferimento «ad una presunta  lesione  dell'autonomia  finanziaria
regionale  che  non  deriva,  in  via  diretta  ed  immediata,  dalla
disposizione censurata ma potra' eventualmente  originare  da  futuri
decreti legislativi». Inoltre, secondo il resistente,  la  norma  non
determina una riduzione delle entrate regionali nel  loro  complesso,
ma introduce un meccanismo di compensazione, volto a  «garantire,  da
un lato, la copertura integrale delle esigenze della spesa  regionale
e,  per  altro  verso,  evitare  aumenti  della   pressione   fiscale
complessiva a carico dei contribuenti». 
    2.3.2.- Sarebbe  altresi'  infondata  la  censura  nei  confronti
dell'art. 50, comma 10, del d.l.  n.  66  del  2014,  nella  versione
modificata in sede di conversione, per tre ordini di motivi: sussiste
in capo allo Stato la possibilita' di disporre dei  tributi  da  esso
istituiti,  anche  se  il  correlativo  gettito  sia   di   spettanza
regionale, «purche' non sia  alterato  il  rapporto  tra  complessivi
bisogni  regionali  e  mezzi  finanziari  per   farvi   fronte»;   le
disposizioni  censurate  specificano  la  finalita'  erariale   delle
maggiori entrate, «essendo  destinate  alla  copertura  dei  nuovi  e
maggiori oneri per il finanziamento di interventi, volti a soddisfare
le particolari finalita' contingenti o continuative dello Stato»;  il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 27  della  legge  5
maggio 2009, n. 42 (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo
fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione) non puo'
reputarsi violato,  trattandosi  di  norma  ordinaria  soggetta  alle
regole della successione delle leggi nel tempo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso iscritto al n. 66  del  registro  ricorsi  del
2014, la Regione siciliana ha promosso, tra le  altre,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  11,  della  legge  23
giugno 2014, n. 89 (Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure  urgenti  per  la
competitivita' e la giustizia sociale.  Deleghe  al  Governo  per  il
completamento della revisione  della  struttura  del  bilancio  dello
Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del  bilancio
e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonche'  per
l'adozione di un testo unico in materia di contabilita' di Stato e di
tesoreria), e dell'art. 50, comma 10,  del  decreto-legge  24  aprile
2014, n. 66 (Misure urgenti per  la  competitivita'  e  la  giustizia
sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 23 giugno 2014, n. 89, per violazione degli artt. 14,  17,  36,
37, 38 e 43 del regio decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455
(Approvazione dello  statuto  della  Regione  siciliana),  convertito
dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e dell'art. 2  del
decreto del Presidente della  Repubblica  26  luglio  1965,  n.  1074
(Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia
finanziaria), nonche' del principio di leale collaborazione. 
    La Regione siciliana lamenta la  previsione  di  una  illegittima
riserva all'erario di maggiori entrate. Piu' precisamente,  la  prima
disposizione, nella parte in cui prevede la compensazione degli oneri
derivanti  dall'entrata  in  vigore  dei   decreti   legislativi   di
attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 11  marzo  2014
n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema  fiscale
piu' equo, trasparente e orientato alla crescita), realizzerebbe  una
diminuzione delle entrate spettanti alla regione in violazione  delle
norme statutarie. La seconda disposizione,  laddove  dispone  che  le
maggiori entrate derivanti dall'entrata in vigore del d.l. n. 66  del
2014,  come  convertito,  possono  essere  utilizzate  al   fine   di
compensare gli oneri derivanti  dai  commi  precedenti  del  medesimo
articolo,  condurrebbe  a  includere   (   attraverso   una   lettura
sistematica delle disposizioni dello  stesso  decreto  (  nel  novero
delle  maggiori  entrate  riservate  allo  Stato  anche  quelle   che
dovrebbero spettare alla Regione ai sensi delle  norme  statutarie  e
delle  relative  norme  di   attuazione,   quali   quelle   derivanti
dall'imposta sul valore aggiunto in conseguenza di misure adottate ai
sensi dello stesso provvedimento (art. 50, comma 11)  e  dall'aumento
al 26 per cento dell'imposta sui redditi di natura finanziaria  (art.
3, comma  1).  Entrate,  quelle  indicate,  che,  se  pur  di  natura
tributaria  e  connotate   della   qualifica   della   novita',   non
soddisfarebbero  il  requisito  della   specificazione   della   loro
destinazione. 
    2.- Riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  sulle  altre
questioni promosse dalla ricorrente, vanno preliminarmente  esaminate
le  eccezioni  di  inammissibilita'  sollevate  dal  Presidente   del
Consiglio dei ministri. 
    2.1.- Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  ricorso
sarebbe in primo luogo inammissibile  alla  luce  della  clausola  di
salvaguardia contenuta nell'art. 50-bis del d.l. n. 66 del 2014. 
    L'eccezione non puo' essere accolta. E' pur vero che, secondo  la
costante giurisprudenza di questa Corte, una clausola di tale  tenore
«non costituisce una mera formula  di  stile,  priva  di  significato
normativo, ma ha la  "precisa  funzione  di  rendere  applicabile  il
decreto agli enti ad autonomia differenziata solo  a  condizione  che
siano 'rispettati' gli statuti speciali" (sentenza n. 241  del  2012)
ed  i  particolari  percorsi  procedurali   ivi   previsti   per   la
modificazione delle  norme  di  attuazione  degli  statuti  medesimi»
(sentenza  n.  236  del  2013).  Tuttavia,  la   riserva   all'erario
introdotta  dalle  disposizioni   impugnate   rinviene   il   proprio
fondamento  direttamente  nell'art.  36  dello  statuto  siciliano  e
nell'art.  2  del  d.P.R.  n.  1074  del  1965,  che  consentono   al
legislatore statale - a  determinate  condizioni  -  di  destinare  a
specifiche  esigenze  dell'erario  il  gettito  dei  propri   tributi
riscossi sul territorio siciliano. Cio' significa che, a  prescindere
da ogni altra considerazione, la clausola di salvaguardia  non  esime
questa Corte dall'esame nel merito del ricorso promosso dalla Regione
siciliana, il quale verte proprio sul rispetto delle norme statutarie
da parte della norma statale impugnata. 
    2.2.- Secondo la difesa statale, il ricorso sarebbe inammissibile
in quanto «tutte le  disposizioni  censurate,  in  ragione  del  loro
contenuto, costituiscono principi fondamentali della finanza pubblica
che, come tali,  non  possono  non  imporsi  a  tutti  i  livelli  di
governo»,  e  richiama,  a  sostegno  della  sua  argomentazione,  la
sentenza n. 88 del 2014,  nella  quale  si  riconosce  che  il  nuovo
sistema delineato dalla legge costituzionale 20  aprile  2012,  n.  1
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale) impone «il coinvolgimento e  il  rispetto  dei  nuovi
principi sui vincoli di finanza pubblica da parte di tutti  gli  enti
territoriali». 
    Anche tale eccezione non puo' essere accolta. E' pur vero che  la
giurisprudenza costituzionale ha piu' volte precisato che i  principi
di coordinamento della finanza  pubblica  recati  dalla  legislazione
statale  si  applicano  anche  ai  soggetti  ad  autonomia   speciale
(sentenze n. 82 e n. 77  del  2015).  Deve  tuttavia  precisarsi  che
quand'anche, in ipotesi, la disposizione impugnata fosse ritenuta  un
principio  di  coordinamento  della   finanza   pubblica,   da   tale
qualificazione  discenderebbe,   secondo   quanto   affermato   dalla
giurisprudenza costituzionale,  proprio  con  riguardo  alla  Regione
siciliana, «semmai, l'infondatezza e non gia' l'inammissibilita'  del
ricorso» (sentenza n. 176 del 2015). 
    2.3.-  L'Avvocatura  generale  dello   Stato   ritiene   altresi'
inammissibili le questioni per genericita' delle censure. 
    2.3.1.- Tale eccezione deve essere accolta con  riferimento  alla
questione di legittimita' promossa sull'art. 1, comma 11, della legge
n. 89 del 2014. Secondo una costante giurisprudenza di questa  Corte,
i termini delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  debbono
essere ben identificati, individuando le  disposizioni  impugnate,  i
parametri  evocati  e  le   ragioni   dei   dubbi   di   legittimita'
costituzionale (sentenze n. 176 e n. 131 del 2015; n. 241 del  2012).
Questa Corte ha infatti piu' volte chiarito  che  l'esigenza  di  una
adeguata motivazione a fondamento  della  richiesta  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  termini  perfino   piu'
pregnanti nei giudizi  diretti  rispetto  a  quelli  incidentali  (ex
multis, sentenze n. 233, n. 218, n. 153, n. 142 e n.  82  del  2015).
Nel caso di specie la  ricorrente  si  e'  limitata  a  lamentare  la
violazione dell'art. 36 dello statuto  speciale  e  dell'art.  2  del
d.P.R.  n.  1074  del  1965,  in  quanto  la  disposizione  impugnata
stabilisce  che  i  decreti  legislativi  ivi  previsti  miranti  «ad
alleggerire la pressione  tributaria,  che  si  traducono  in  minori
entrate  tributarie  spettanti  alla  Regione   ricorrente,   trovino
compensazione in risorse riservate al Ministero».  La  genericita'  e
l'assertivita' della censura, secondo  la  giurisprudenza  di  questa
Corte (ex multis, sentenze n. 184 del 2014; n. 185, n. 129, n. 114  e
n.  68  del  2011;  n.   278   e   n.   45   del   2010),   implicano
l'inammissibilita' del ricorso in parte qua. 
    2.3.2.-  Similmente  generiche  e  assertive  sono  le   promosse
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 11, della
legge n. 89 del 2014 e dell'art. 50, comma 10, del  decreto-legge  24
aprile 2014, n. 66, in riferimento agli artt. 14, 17, 37 e  38  dello
statuto speciale, richiamati nel  ricorso  senza  ulteriori  sviluppi
argomentativi. Pertanto, in relazione a tali parametri, le  questioni
devono essere dichiarate inammissibili per le ragioni sopra esposte. 
    2.3.3.-  L'eccezione  di  inammissibilita'  per  genericita'  del
ricorso, al contrario, si rileva priva di fondamento per la questione
promossa sull'art. 50, comma 10,  del  d.l.  n.  66  del  2014,  come
convertito, per violazione dell'art. 36  dello  statuto  regionale  e
dell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965. 
    In relazione a tale disposizione, la ricorrente ha specificamente
indicato le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le  ragioni
dei dubbi di legittimita' costituzionale. In  ordine  a  quest'ultimo
aspetto, in particolare, la Regione non si e' limitata  a  richiamare
genericamente l'art. 36 dello statuto regionale e l'art. 2 del d.P.R.
n. 1074 del 1965, ma ha specificato le ragioni  per  cui  la  riserva
allo  Stato  delle  maggiori   entrate   violerebbe   la   previsione
statutaria: il ricorso si sofferma in particolare sul requisito della
specificita' della finalizzazione  delle  entrate,  che  non  sarebbe
rispettato dalla  disposizione  impugnata.  L'atto  introduttivo  del
giudizio risulta, quindi, in parte qua,  adeguatamente  motivato  con
argomentazioni specifiche e del tutto autosufficienti. 
    3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine,  invoca  la
cessazione della materia del contendere, alla  luce  dell'Accordo  in
materia  di  finanza   pubblica   sottoscritto   tra   il   Ministero
dell'economia e delle finanze e il Presidente della Regione siciliana
in data 9 giugno 2014, con il quale e'  stato  definito  il  concorso
della Regione al rispetto del patto  di  stabilita'  interno  per  il
periodo 2014-2017. 
    Tuttavia, il raggiunto Accordo non e' sufficiente, di per se',  a
determinare la cessazione della materia del contendere quando non sia
seguito da rinuncia al ricorso da parte del  ricorrente  (ex  multis,
sentenze n. 176 e n. 19 del 2015). 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 50, comma 10, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, come
convertito, non e' fondata. 
    Questa Corte ha piu' volte  precisato  che  «L'evocato  art.  36,
primo comma, dello statuto, in combinato disposto con l'art. 2, primo
comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, indica le seguenti tre condizioni
per l'eccezionale  riserva  allo  Stato  del  gettito  delle  entrate
erariali: a) la natura tributaria dell'entrata; b) la novita' di tale
entrata; c) la destinazione del  gettito  "con  apposite  leggi  alla
copertura  di  oneri  diretti  a  soddisfare  particolari   finalita'
contingenti  o  continuative  dello  Stato  specificate  nelle  leggi
medesime"» (ex multis, sentenze n. 176 del 2015; n. 145 del 2014 e n.
241 del 2012). 
    Occorre dunque verificare se la riserva allo Stato prevista dalla
disposizione  censurata  sia  conforme   a   tali   presupposti.   In
particolare questa  Corte  e'  chiamata  a  valutare  se  il  gettito
derivante dalle maggiori entrate tributarie erariali sia destinato «a
finalita' contingenti o continuative dello  Stato  specificate  nelle
leggi medesime», mentre non risultano in  discussione,  nel  presente
giudizio, ne' la natura tributaria, ne' la novita' dell'entrata. 
    Come piu' volte affermato da questa Corte,  la  condizione  della
specifica destinazione del gettito non puo' reputarsi soddisfatta  da
un generico riferimento agli obiettivi di finanza pubblica,  «perche'
il raggiungimento del pareggio di bilancio e' alla base di  qualsiasi
misura finanziaria adottata dallo Stato  e  perche'  comunque,  nella
visione unitaria del bilancio statale, tutto concorre al pareggio;  e
cio' a maggior ragione dopo la revisione dell'art. 81 Cost. che,  con
effetto dal 2014, ha elevato  a  dignita'  costituzionale  la  regola
dell'equilibrio fra le entrate e le spese del bilancio  statale»  (ex
multis, sentenza n. 241  del  2012).  Nella  disposizione  in  esame,
tuttavia, non puo' riscontrasi  il  lamentato  vizio  di  genericita'
della destinazione del gettito. L'art. 50, comma 10, del d.l.  n.  66
del 2014, come convertito, infatti, dispone che le  maggiori  entrate
(tra  cui  quelle  derivanti  dall'imposta  sul  valore  aggiunto  in
conseguenza di misure adottate ai sensi dello stesso provvedimento  e
dall'aumento al 26 per  cento  dell'imposta  sui  redditi  di  natura
finanziaria)  saranno  utilizzate  a   compensazione   degli   «oneri
derivanti dagli articoli 1, 2, 4, comma 11, 5, 9, comma 9, 16,  commi
6 e 7, 27, comma 1, 31, 32, 35, 36, 45, 48, comma 1, e  dal  comma  6
del presente articolo, ad esclusione degli oneri cui si  provvede  ai
sensi del comma 9 del presente articolo, pari a  6.563,2  milioni  di
euro per l'anno 2014, a 6.184,7 milioni di euro per  l'anno  2015,  a
7.062.8 milioni di euro per l'anno 2016, a 6.214 milioni di euro  per
l'anno 2017 e a 4.069 a decorrere dall'anno  2018,  che  aumentano  a
7.600,839 milioni di euro per l'anno 2014, a 6.229,8 milioni di  euro
per l'anno 2015, a 6.236 milioni di euro per l'anno 2017 e a  4.138,7
milioni di euro a decorrere dall'anno 2018». 
    Le minori entrate e le maggiori  spese,  alla  cui  compensazione
saranno   riservate   le   maggiori   entrate,   risultano   pertanto
dettagliatamente indicate e rispondono a una pluralita'  di  esigenze
specifiche, tra loro eterogenee, di carattere ora contingente ed  ora
continuativo  (sentenza  n.  135   del   2012).   La   pluralita'   e
l'eterogeneita' degli oneri da compensare con la riserva delle  nuove
entrate  non  impediscono  di  ritenere  soddisfatto   il   requisito
statutariamente previsto della specificita' della destinazione. 
    Ne consegue che la riserva all'erario e' legittimamente  disposta
dal  legislatore,  in  quanto  rispettosa  degli  evocati   parametri
statutari. 
    4.1.- Dalle argomentazioni che precedono consegue che non possono
ritenersi lesi, come argomentato dalla ricorrente,  l'art.  43  dello
statuto speciale e il  principio  di  leale  collaborazione,  la  cui
invocazione e', rispetto alla questione sottoposta, inconferente. 
    A tale proposito la Regione lamenta l'imposizione unilaterale, da
parte dello Stato, di tagli alle risorse regionali,  in  deroga  alle
disposizioni  statutarie  e  alle  norme  di  attuazione,  in   vista
dell'obiettivo  dell'equilibrio   del   bilancio.   La   disposizione
impugnata, tuttavia, rientra nella diversa ipotesi della riserva  del
gettito derivante da nuovi tributi erariali a favore dello Stato, che
trova il proprio fondamento direttamente nelle  norme  statutarie  (e
nelle relative norme di attuazione) e la cui legittimita' deriva  dal
rispetto delle stesse norme. Trattandosi di riserva che  soddisfa  le
condizioni stabilite dallo statuto speciale all'art. 36 e all'art.  2
del d.P.R. n. 1074 del 1965, la questione prospettata in  riferimento
ai parametri sopra richiamati deve ritenersi non fondata. 
    5.-  Alla  luce  delle  argomentazioni  suesposte,  va   pertanto
dichiarata non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 50, comma 10, del d.l. n. 66  del  2014,  come  convertito,
promossa dalla Regione siciliana in riferimento agli artt.  36  e  43
dello statuto speciale e all'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del  1965,  n.
1074, nonche' al principio di leale collaborazione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni  di  legittimita'  costituzionale  promosse  dalla  Regione
siciliana con il ricorso indicato in epigrafe; 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 11, della legge 23 giugno 2014,  n.
89 (Conversione in legge, con  modificazioni,  del  decreto-legge  24
aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitivita' e la
giustizia sociale. Deleghe al  Governo  per  il  completamento  della
revisione della struttura del bilancio dello Stato, per  il  riordino
della disciplina per la gestione  del  bilancio  e  il  potenziamento
della funzione del bilancio di cassa, nonche' per  l'adozione  di  un
testo unico in materia di contabilita'  di  Stato  e  di  tesoreria),
promossa dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 50, comma  10,  del  d.l.  n.  66  del  2014
(Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l.  n.  89
del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 14, 17, 37 e 38  e  del
regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione  dello
statuto   della   Regione   siciliana),   convertito   dalla    legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dalla Regione siciliana con il
ricorso in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 50, comma 10,  del  d.l.  n.  66  del  2014,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l.  n.  89
del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n.
455 del 1946, convertito dalla legge cost. n. 2 del 1948, e  all'art.
2 del d.P.R. 26 luglio 1965,  n.  1074  (Norme  di  attuazione  dello
Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria),  nonche'  al
principio di leale collaborazione, dalla  Regione  siciliana  con  il
ricorso in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI