N. 67 SENTENZA 9 febbraio - 5 aprile 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica - Edifici esistenti non piu'  compatibili  con
  gli  indirizzi  della  pianificazione  territoriale  -   Interventi
  conservativi consentiti nelle  more  dell'attuazione  del  relativo
  strumento urbanistico. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per
  l'apertura dei cantieri, la realizzazione di  opere  pubbliche,  la
  digitalizzazione  del  Paese,   la   semplificazione   burocratica,
  l'emergenza del dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
  attivita' produttive) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
  comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164 - art. 17,  comma  1,
  lettera b). 
-   
(GU n.14 del 6-4-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  17,  comma
1, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 2014,  n.  133  (Misure
urgenti per  l'apertura  dei  cantieri,  la  realizzazione  di  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre  2014,  n.  164,  promosso  dalla
Regione  Puglia  con  ricorso  notificato  il  9-14   gennaio   2015,
depositato in cancelleria il 15 gennaio 2015 ed iscritto al n. 5  del
registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  2016  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato Marcello  Cecchetti  per  la  Regione  Puglia  e
l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015, la Regione  Puglia
impugna, tra le altre disposizioni, l'art. 17, comma 1,  lettera  b),
del decreto-legge 12 settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  di  opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 11  novembre  2014,  n.  164,  denunciandone  il
contrasto con gli artt. 3, primo comma,  117,  terzo  comma,  e  118,
primo e secondo comma, della Costituzione. 
    La disposizione impugnata - che ha introdotto, dopo l'art. 3  del
d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A),  un  art.
3-bis, secondo cui «Lo strumento urbanistico  individua  gli  edifici
esistenti non piu' compatibili con gli indirizzi della pianificazione
[...]. Nelle more dell'attuazione del piano, resta salva la  facolta'
del proprietario di eseguire tutti gli  interventi  conservativi,  ad
eccezione  della   demolizione   e   successiva   ricostruzione   non
giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine  statico
od igienico sanitario»  -  sarebbe  suscettibile,  a  giudizio  della
ricorrente, di due interpretazioni, entrambe  censurabili  sul  piano
della legittimita' costituzionale. 
    Secondo una prima  opzione,  tutti  gli  interventi  conservativi
sugli immobili, «consentiti  dalla  disciplina  in  esame  sino  alla
adozione del Piano, sarebbero dotati automaticamente ex  lege  di  un
titolo abilitativo», con esclusione solo di quelli di  demolizione  e
successiva ricostruzione. Il che porrebbe la norma in  contrasto  con
l'art. 117, terzo comma, e 118, primo e secondo comma, Cost. 
    Quanto al primo parametro, infatti, la materia rientrerebbe nella
nozione di «governo del  territorio»,  assoggettata  alla  competenza
concorrente di Stato e Regioni; sicche' lo Stato potrebbe intervenire
solo  con  norme  che  stabiliscano  principi   fondamentali,   senza
precludere  l'intervento  normativo  di  dettaglio  da  parte   delle
Regioni: cosa che nella specie sarebbe avvenuta, avendo la  normativa
censurata introdotto una «disciplina  del  tutto  autoapplicativa  ed
autosufficiente». 
    Quanto  alla  violazione  dell'altro  richiamato  parametro,   la
concessione ex lege dei titoli abilitativi priverebbe i Comuni  delle
relative funzioni  amministrative,  quando  non  vi  sarebbe  «alcuna
plausibile ragione per ritenere il Comune inadeguato allo svolgimento
delle funzioni amministrative connesse alla regolare  formazione  dei
titoli abilitativi agli interventi edilizi in questione». 
    Si rileva, poi, che l'art. 118, secondo comma,  Cost.,  riconosce
ai Comuni l'esercizio di «funzioni proprie»,  fra  le  quali  sarebbe
tipica  proprio  quella  riconducibile   al   rilascio   dei   titoli
abilitativi in campo edilizio:  sicche',  la  sottrazione  di  queste
funzioni pregiudicherebbe,  nel  caso  di  specie,  «quel  nucleo  di
intangibile pertinenza dell'autogoverno  della  comunita'  locale»  e
«afferente alla categoria delle "funzioni proprie" dei Comuni». 
    Secondo  una  diversa  linea  interpretativa,   la   disposizione
censurata non determinerebbe un'automatica  concessione  ex  lege  di
titoli abilitativi agli interventi conservativi, ma si limiterebbe  a
renderli «semplicemente possibili, in base  al  loro  proprio  regime
giuridico», fino all'adozione del Piano: regime dal  quale  sarebbero
esclusi  gli  interventi  non  conservativi  e  le  demolizioni   con
successiva ricostruzione, non giustificati da esigenze statiche o  di
natura igienico-sanitaria. 
    In questa prospettiva, la norma avrebbe l'effetto non  gia',  per
l'appunto, di consentire determinati interventi di tipo conservativo,
ma di «vietare, sempre ex lege, un'altra categoria di interventi (non
conservativi, di demolizione e successiva ricostruzione)». 
    Anche in questo caso, la norma non si sottrarrebbe a  censure  di
illegittimita' costituzionale, perche' avrebbe  ugualmente  carattere
di disposizione di dettaglio, operando in  modo  automatico  e  senza
dare alcuno «spazio di manovra» alla legislazione regionale. 
    Violato sarebbe dunque l'art. 118, primo e secondo comma,  Cost.,
per ragioni analoghe a quelle gia' evidenziate: nel vietare, infatti,
determinati interventi edilizi,  i  Comuni  sarebbero  "espropriati",
come  gia'  rilevato,  di  funzioni   amministrative   proprie,   che
riguarderebbero  un  nucleo  intangibile  di  competenze,  in  quanto
coinvolgenti il tema della autodeterminazione in  ordine  all'assetto
ed alla utilizzazione del proprio territorio. 
    Risulterebbe, infine, violato anche l'art. 3, primo comma, Cost.,
in quanto la norma impugnata sarebbe  in  grado  di  determinare  «un
trattamento uniforme di  diverse  e  variegate  realta'  regionali  e
locali, in spregio alla  necessita'  costituzionale  di  adeguare  il
trattamento  normativo  delle  attivita'  urbanistiche  alle  diverse
condizioni  dei  vari  territori:  esigenza,  questa,   che   proprio
l'articolazione  delle  competenze  normative  e  amministrative   in
materia tra molteplici livelli di governo e' volta a salvaguardare». 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, deducendo l'infondatezza delle censure  svolte  dalla  Regione
ricorrente. 
    La  norma  impugnata   verterebbe,   infatti,   in   materia   di
attribuzione allo Stato di funzioni programmatorie valide  per  tutto
il territorio nazionale, in linea con quanto previsto  dall'art.  118
Cost., il quale prevede la  possibilita'  di  attribuire  a  enti  di
livello di competenza piu' elevato l'esercizio unitario  di  funzioni
amministrative. 
    La norma impugnata prevedrebbe,  comunque,  interventi  riservati
agli enti locali, giacche', attraverso lo strumento urbanistico,  «il
Comune individua gli edifici esistenti non piu' compatibili  con  gli
indirizzi  della  pianificazione  e  puo'  favorire,  in  alternativa
all'espropriazione, la riqualificazione delle aree» attraverso  forme
di compensazione. 
    3.-  In  una  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,
l'Avvocatura  generale,  ribadendo  quanto   dedotto   nell'atto   di
costituzione, ha precisato che, con la  disposizione  impugnata,  «il
legislatore  statale  si  e'  dunque  limitato  a   predisporre   una
disciplina di principio», nel pieno  rispetto  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost.; d'altra parte, la stessa disposizione «non ha  devoluto
all'amministrazione centrale il  concreto  esercizio  delle  funzioni
amministrative, bensi' ha riservato queste ultime ai  Comuni»,  senza
percio' incorrere in alcuna violazione dell'art. 118 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 15 gennaio 2015, la Regione  Puglia
impugna, fra le altre disposizioni, l'art. 17, comma 1,  lettera  b),
del decreto-legge 12 settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la  realizzazione  di  opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 11  novembre  2014,  n.  164,  denunciandone  il
contrasto con gli artt. 3, primo comma,  117,  terzo  comma,  e  118,
primo e secondo comma, della Costituzione. 
    Resta riservata a separate pronunce la decisione sulle  ulteriori
questioni promosse con il medesimo ricorso. 
    La disposizione impugnata  -  introduttiva  dell'art.  3-bis  del
d.P.R.  6  giugno  2001,  n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  edilizia)  -,  dopo  aver
previsto  che  «Lo  strumento  urbanistico  individua   gli   edifici
esistenti   non   piu'   compatibili   con   gli   indirizzi    della
pianificazione», ha stabilito che  «Nelle  more  dell'attuazione  del
piano, resta salva la facolta' del proprietario di eseguire tutti gli
interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e  successiva
ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili  ragioni
di ordine statico od igienico sanitario». 
    In tal modo, la predetta disposizione  offrirebbe  spazio  a  due
possibili  interpretazioni,  entrambe  censurabili  sul  piano  della
legittimita' costituzionale. 
    Secondo una prima scelta  interpretativa,  tutti  gli  interventi
conservativi sugli immobili, «consentiti dalla  disciplina  in  esame
sino alla adozione del Piano,  sarebbero  dotati  automaticamente  ex
lege di un titolo abilitativo», con  esclusione  solo  di  quelli  di
demolizione e successiva ricostruzione. 
    Secondo una  diversa  scelta,  la  norma  impugnata  produrrebbe,
invece, come effetto «non  gia'  quello  di  consentire  ex  lege  un
determinato tipo di interventi (quelli conservativi),  bensi'  quello
di vietare, sempre ex lege, un'altra  categoria  di  interventi  (non
conservativi, di demolizione e successiva ricostruzione)». 
    In entrambi i casi, la  disposizione  censurata  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 117, terzo comma,  Cost.,  in  quanto,  anziche'
limitarsi  a  dettare  un  principio  in  materia   di   legislazione
concorrente, quale il  «governo  del  territorio»,  stabilirebbe  una
«disciplina del tutto autoapplicativa ed  autosufficiente»,  che  non
lascerebbe, per il suo «carattere evidentemente dettagliato»,  alcuno
«spazio di manovra» all'iniziativa legislativa regionale. 
    Per entrambe le segnalate soluzioni interpretative,  inoltre,  si
profilerebbe una violazione dell'art. 118,  primo  e  secondo  comma,
Cost., dal  momento  che  i  Comuni  verrebbero  "espropriati"  delle
funzioni amministrative in tema  di  titoli  abilitativi  in  materia
edilizia, le quali apparterrebbero  «a  quel  nucleo  di  intangibile
pertinenza dell'autogoverno della comunita' locale individuato  dalla
giurisprudenza» costituzionale «e pertanto afferente  alla  categoria
delle "funzioni proprie" dei Comuni». 
    Violato sarebbe, infine, l'art. 3, primo comma, Cost., in  quanto
la norma oggetto di impugnativa sarebbe in grado di  determinare  «un
trattamento uniforme di  diverse  e  variegate  realta'  regionali  e
locali, in spregio alla  necessita'  costituzionale  di  adeguare  il
trattamento  normativo  delle  attivita'  urbanistiche  alle  diverse
condizioni  dei  vari  territori:  esigenza,  questa,   che   proprio
l'articolazione  delle  competenze  normative  e  amministrative   in
materia tra molteplici livelli di governo e' volta a salvaguardare». 
    2.- Prescindendo dalla non perspicua enunciazione del  dubbio  di
legittimita'  costituzionale,  prospettato  attraverso  una   duplice
opzione ermeneutica fondata sopra  una  irrisolta  alternativa  nella
lettura della  disciplina  coinvolta,  la  questione  proposta  dalla
Regione ricorrente si rivela priva di fondamento. 
    Come  emerge  dai  lavori  parlamentari  relativi  alla  fase  di
conversione in legge del cosiddetto decreto "sblocca Italia", e  come
anche messo in luce dalla difesa dello Stato, la norma  impugnata  si
propone espressamente di fornire una disciplina unitaria  per  quelle
situazioni in cui lo strumento  urbanistico  locale  identifichi  gli
edifici,  insistenti  su  una  determinata  area,   come   non   piu'
compatibili con le linee programmatiche del Piano; in  quel  caso  si
stabilisce - con una prescrizione evidentemente "di principio" -  che
le amministrazioni  comunali  possano  favorire,  quale  alternativa,
anche economicamente  preferibile  rispetto  all'espropriazione,  «la
riqualificazione  delle  aree  attraverso  forme   di   compensazione
incidenti sull'area interessata  e  senza  aumento  della  superficie
coperta». 
    Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo  riconducibile  al
sistema  della  cosiddetta  "perequazione  urbanistica",   inteso   a
combinare, in contesti procedimentali di  "urbanistica  contrattata",
il  mancato  onere  per  l'amministrazione  comunale,  connesso  allo
svolgersi   di   procedure   ablatorie,   con    la    corrispondente
incentivazione al  recupero,  eventualmente  anche  migliorativo,  da
parte dei proprietari, del patrimonio immobiliare esistente: il tutto
in linea con l'esplicito intento legislativo di promuovere la ripresa
del settore edilizio senza, tra l'altro, aumentare, e anzi riducendo,
il «consumo di suolo». 
    Tale  quadro  di  riferimento  e'  indubbiamente  connesso   alla
competenza dello  Stato  a  determinare  «principi  fondamentali»  di
settore (nella specie, perfettamente rispondenti  anche  all'esigenza
di  salvaguardare  le  attribuzioni  legislative  concorrenti   delle
Regioni e quelle amministrative degli enti territoriali minori. Resta
pertanto  inalterata  l'attribuzione  ai  Comuni   del   compito   di
pianificazione urbanistica e di individuazione in concreto delle aree
cui si riferisce l'intervento di risanamento,  con  l'adozione  degli
appositi strumenti di concertazione perequativa  e  di  assenso  alla
realizzazione  delle  opere).  Si  inserisce  qui  la   specifica   e
contestata previsione: secondo  la  quale,  fino  alla  («nelle  more
dell'»)  attuazione  del  Piano  -  e,  dunque,  in   via   meramente
transitoria, fintanto, cioe', che le amministrazioni  competenti  non
provvedano come dovrebbero - ai  proprietari  degli  immobili  «resta
salva» (espressione  evidentemente  ricognitiva  di  un  potere  gia'
attribuito e non attributiva di una nuova facolta')  la  possibilita'
di eseguire «tutti gli interventi conservativi» che non comportino la
demolizione con successiva ricostruzione, a meno che quest'ultima non
sia, poi giustificata  «da  obiettive  ed  improrogabili  ragioni  di
ordine statico od igienico sanitario». 
    Si tratta di una previsione chiaramente configurabile in  termini
"di  principio",  coerente  con  la   prospettiva   coltivata   dalla
disposizione nel suo complesso: la quale,  nel  proporsi  di  evitare
che, relativamente alle attivita' di risanamento urbanistico su tutto
il territorio della Repubblica, possano  determinarsi  disparita'  di
disciplina che, qua e la', vanifichino  gli  scopi  perseguiti  dallo
Stato nell'interesse  dell'intera  comunita'  nazionale,  si  propone
anche  di  evitare  che  l'eventuale  inerzia  delle  amministrazioni
locali,   relativamente   alla   attuazione   di    «interventi    di
conservazione» del patrimonio edilizio esistente, impedisca  comunque
agli stessi proprietari degli immobili di esercitare - entro,  com'e'
ovvio, i previsti limiti e,  comunque,  nell'osservanza  dei  diversi
obblighi "pubblicistici" - scelte o facolta' direttamente connesse al
proprio diritto dominicale. 
    Riguardo, poi, all'assunto secondo il quale la  norma  impugnata,
in quanto «del tutto autoapplicativa ed  autosufficiente»,  finirebbe
per diventare anche "di dettaglio", in contrasto  con  la  disciplina
costituzionale  del  riparto  delle  competenze  nelle  «materie   di
legislazione concorrente», esso appare non plausibile, posto  che  il
presunto carattere "autoapplicativo" di una disposizione non  implica
affatto il carattere "di dettaglio" della medesima. 
    La circostanza, infatti, che, pur nel sistema della  legislazione
concorrente, una disciplina statale "di principio" non abbisogni, per
divenire efficace, di specifiche  disposizioni  attuative,  non  puo'
essere considerata come automaticamente  produttiva  dell'effetto  di
"espropriare" i legislatori regionali del  loro  autonomo  potere  di
conformare la regolazione statale alle proprie specifiche esigenze. 
    La dichiarazione di  infondatezza  delle  censure  relative  alla
pretesa violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. assorbe i motivi
di dubbio riferiti agli artt. 3, primo comma, e 118, primo e  secondo
comma, Cost., trattandosi di  deduzioni  consequenziali  e  prive  di
autonomia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione sulle altre  questioni
promosse con il medesimo ricorso; 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 17, comma 1, lettera b),  del  decreto-legge  12  settembre
2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per  l'apertura  dei  cantieri,  la
realizzazione di opere pubbliche, la digitalizzazione del  Paese,  la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per  la  ripresa  delle  attivita'   produttive),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n.
164, promossa, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  117,  terzo
comma, e 118,  primo  e  secondo  comma,  della  Costituzione,  dalla
Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2016. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA