N. 87 ORDINANZA 22 marzo - 13 aprile 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Misure  cautelari   personali   -   Procedimento
  applicativo. 
- Codice di procedura penale, art. 291. 
-   
(GU n.16 del 20-4-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  291  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Grosseto nel procedimento penale a carico di F.A. con  ordinanza  del
12 gennaio 2015, iscritta al n. 58  del  registro  ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  N.R.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2016 il Giudice relatore
Giuseppe Frigo; 
    uditi l'avvocato Alessandro Diddi per  N.R.  e  l'avvocato  dello
Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 12  gennaio  2015,  il  Tribunale
ordinario di Grosseto, in composizione monocratica, ha sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e  111,  secondo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 291 del codice di procedura penale, nella parte  in  cui  -
secondo l'orientamento  espresso  da  due  pronunce  della  Corte  di
cassazione, assunto quale "diritto vivente" - «consente  al  pubblico
ministero  di  presentare  a  fondamento  della  richiesta  cautelare
elementi diversi da  quelli  utilizzabili  dal  giudice  che  procede
secondo le disposizioni regolative del procedimento o della fase  del
procedimento penale di cognizione in corso di svolgimento, e comunque
nella parte in cui consente al giudice dibattimentale  di  utilizzare
in funzione decisoria sulla richiesta cautelare elementi  diversi  da
quelli legittimamente acquisiti nel dibattimento»; 
    che il rimettente riferisce di essere  investito,  quale  giudice
del dibattimento, del processo penale nei confronti  di  una  persona
imputata  dei  delitti  di  sottrazione  e  trattenimento  di  minore
all'estero (art. 574-bis del codice penale) e di  mancata  esecuzione
dolosa continuata di provvedimenti  del  giudice  civile  concernenti
l'affidamento dei figli minori  (artt.  81,  secondo  comma,  e  388,
secondo comma, cod. pen.); 
    che, dopo lo svolgimento di un'«udienza introduttiva» e prima che
fosse iniziata l'istruzione  dibattimentale,  il  pubblico  ministero
aveva chiesto al giudice a quo, tramite deposito di apposita istanza,
che la misura cautelare  del  divieto  di  espatrio,  precedentemente
applicata all'imputato per il primo dei due delitti, fosse sostituita
con quella, piu' grave, degli arresti domiciliari; 
    che la sussistenza dei presupposti  del  provvedimento  richiesto
dovrebbe essere desunta  dalle  risultanze  degli  atti  di  indagine
contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, allegato a  tal  fine
all'istanza; 
    che, al riguardo, il rimettente osserva come, alla  luce  di  due
concordi sentenze della Corte di  cassazione  (Corte  di  cassazione,
sezione  seconda,  14  febbraio-5  marzo  2001,  n.  9395;  Corte  di
cassazione, sezione seconda, 26 novembre  2008-13  gennaio  2009,  n.
1179),   debba    ritenersi    «solidamente    accreditato»,    nella
giurisprudenza di legittimita', il principio  per  cui  gli  elementi
utilizzabili dal giudice penale ai fini della  decisione  in  materia
cautelare - indipendentemente dalla fase o dal grado in cui versa  il
procedimento principale di cognizione - sarebbero  quelli  risultanti
dagli atti delle indagini preliminari del pubblico ministero; 
    che a tale principio si farebbe eccezione - come precisato da una
successiva decisione (Corte di cassazione, sezione prima, 20 dicembre
2011-21 marzo 2012, n. 10923) - solo  quando  gli  atti  di  indagine
abbiano gia' condotto alla formazione in contraddittorio della  prova
con essi individuata: ipotesi nella quale l'elemento utilizzabile nel
giudizio cautelare sarebbe quello assurto alla dignita' di prova; 
    che,  in  questa  prospettiva,  il  giudice   del   dibattimento,
investito della richiesta di applicazione di  una  misura  cautelare,
potrebbe  dunque  conoscere  e  utilizzare  gli  atti  contenuti  nel
fascicolo  del  pubblico  ministero,   cosi'   come   sostenuto   dal
rappresentante della pubblica accusa nel giudizio a quo; 
    che il Tribunale rimettente  sottopone  a  diffusa  critica  tale
indirizzo, contestandone la «congruenza logica e sistematica rispetto
al vigente assetto legale della funzione giurisdizionale cautelare»; 
    che, a suo sostegno, non gioverebbe,  in  particolare,  far  leva
sull'inapplicabilita' ai  procedimenti  incidentali  cautelari  delle
regole in tema di  «separazione  delle  fasi»  e  di  formazione  del
cosiddetto «doppio fascicolo», la  quale  dipenderebbe  semplicemente
dal fatto che detti procedimenti non contemplano alcuna  suddivisione
in fasi, e non gia' dal fatto che la relativa disciplina  costituisca
«espressione di ritualita' inquisitorie piuttosto che accusatorie»; 
    che parimenti non persuasivo sarebbe l'altro argomento addotto  a
supporto dell'indirizzo in esame, basato sul  rilievo  che,  ai  fini
dell'adozione di misure cautelari, il giudice del  dibattimento  deve
applicare  la  disciplina  propria  del  subprocedimento  incidentale
cautelare, e non quella del processo principale di cognizione; 
    che l'argomento si risolverebbe, infatti,  in  una  petizione  di
principio, dando per scontato quanto occorrerebbe  dimostrare:  ossia
che gli atti utilizzabili in sede di  giurisdizione  cautelare  siano
necessariamente quelli delle indagini preliminari; 
    che, sul piano letterale, d'altro  canto,  l'enunciato  dell'art.
291 cod. proc. pen. - in base al quale «le misure  sono  disposte  su
richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice  competente
gli elementi su cui  la  richiesta  si  fonda»  -  non  avvalorerebbe
affatto l'orientamento avversato; 
    che  le  espressioni  linguistiche   «presenta»   ed   «elementi»
risultano, in effetti, del tutto generiche e, dunque, suscettibili di
assumere  una  valenza   differenziata   a   seconda   del   contesto
procedimentale di riferimento; 
    che le  predette  espressioni  andrebbero  lette  alla  luce  del
disposto  dell'art.  279  cod.  proc.  pen.,  in  forza   del   quale
sull'applicazione e sulla revoca delle misure cautelari provvede  «il
giudice che  procede»:  locuzione  che  individuerebbe  non  solo  il
giudice competente, ma  anche  le  modalita'  di  esercizio  di  tale
competenza, di  modo  che  la  disciplina  degli  elementi  di  prova
utilizzabili per la decisione si identificherebbe in quella  operante
nella fase del procedimento principale in corso davanti  al  predetto
giudice; 
    che neppure varrebbe osservare che, se non  fosse  consentito  al
pubblico ministero di presentare (e al giudice  del  dibattimento  di
utilizzare)  gli  elementi  a   carico   scaturiti   dalle   indagini
preliminari, la stessa  applicazione  della  misura  risulterebbe  di
fatto impossibile prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale; 
    che un simile esito non avrebbe, infatti, nulla di anomalo, posto
che l'applicabilita' delle  misure  cautelari  dipende  non  soltanto
dalla  presenza  delle   relative   esigenze   fattuali,   ma   anche
dall'esistenza delle altre condizioni «di  rito  e  di  merito»  alle
quali il legislatore, nella sua discrezionalita', ha  subordinato  la
tutela giudiziaria delle predette esigenze; 
    che  ancor  piu'  gravi  sarebbero,  peraltro,  le   perplessita'
generate dall'orientamento interpretativo in  discussione  sul  piano
del rispetto dei principi costituzionali; 
    che la possibilita' che il giudice del  dibattimento  si  avvalga
degli atti di indagine raccolti dal pubblico ministero ai fini  della
decisione cautelare  implicherebbe,  anzitutto,  una  violazione  dei
principi  di  imparzialita'  del  giudice   e   del   contraddittorio
processuale, sanciti dall'art. 111, secondo comma, Cost.; 
    che il  giudice  del  dibattimento  si  troverebbe,  infatti,  ad
operare una pregnante valutazione  di  merito  sullo  stesso  oggetto
sostanziale  del  processo   basata   su   atti   strutturalmente   e
funzionalmente estranei alla fase dibattimentale in corso; 
    che la conoscenza  di  tali  atti  porrebbe,  d'altra  parte,  il
giudice del dibattimento in uno «stato psicologico naturalisticamente
diverso» da  quello  del  giudice  immune  da  tale  conoscenza,  con
conseguente   alterazione   degli   equilibri   del   contraddittorio
dibattimentale; 
    che  l'interpretazione  avversata  si  porrebbe,   altresi',   in
contrasto con  la  presunzione  di  non  colpevolezza  dell'imputato,
enunciata dall'art. 27, secondo comma, Cost., non potendosi  ritenere
coerente  con  quest'ultima  la  possibilita'  che  il  giudice   del
dibattimento anticipi il giudizio  di  colpevolezza,  anziche'  sulla
base  degli  elementi  cognitivi  da   lui   stesso   acquisiti   nel
contraddittorio tra le parti, sulla base di atti  assunti  da  organi
inquirenti in altra fase del procedimento; 
    che  la  predetta  interpretazione  violerebbe,   altresi',   «il
principio  di  eguaglianza,  proporzionalita'  e  ragionevolezza  dei
trattamenti giuridici», stabilito dall'art. 3 Cost., determinando una
ingiustificata disparita'  di  trattamento  dell'ipotesi  considerata
rispetto  a  fattispecie  analoghe,  nelle  quali  -  in   forza   di
disposizioni di legge (quale l'art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen.)
o di pronunce della Corte costituzionale (quali le  sentenze  n.  131
del 1996, n. 439 del 1993 e n. 399 del  1992)  -  trova  applicazione
l'istituto dell'incompatibilita' del giudice; 
    che il rimettente ritiene, dunque, di dover  sollevare  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 291  cod.  proc.  pen.,  nei
termini indicati in principio: questione  che  apparirebbe  rilevante
nel giudizio a quo,  giacche'  in  caso  di  inutilizzabilita'  delle
risultanze investigative a sostegno della richiesta  di  aggravamento
della misura cautelare proposta dal  pubblico  ministero,  la  stessa
andrebbe  senz'altro  respinta,  in  quanto  sfornita  di   qualsiasi
elemento di supporto; 
    che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a
quo rileva che, «sul piano  concettuologico»,  la  «solidita'»  della
questione apparirebbe «compromessa» dalla possibilita' di  evitare  i
vulnera   denunciati   tramite   una   interpretazione   diversa    e
costituzionalmente orientata della norma  censurata:  interpretazione
che - per quanto in precedenza evidenziato - risulterebbe  ampiamente
consentita «dal dato linguistico legislativo di riferimento»; 
    che il Tribunale toscano non ritiene, tuttavia, di poter adottare
una  simile   interpretazione,   in   contrasto   con   la   funzione
nomofilattica della Corte di cassazione: giacche', se cosi'  facesse,
assumerebbe una decisione destinata,  con  «somma  probabilita'»,  ad
essere  «riforma[ta]   nei   susseguenti   gradi   di   giurisdizione
cautelare», e come tale «fallimentare  in  relazione  al  prioritario
scopo di scongiurare la perpetuazione della applicazione [...]  della
legge costituente espressione della norma interpretativa  di  diritto
vivente della cui costituzionalita' si dubita»; 
    che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile  in  ragione
della sua intrinseca contraddittorieta',  avendo  lo  stesso  giudice
rimettente prospettato una interpretazione alternativa  della  norma,
ritenuta conforme ai principi costituzionali, o  che,  comunque,  sia
dichiarata manifestamente infondata nel merito; 
    che si e' costituita, altresi', la parte civile  nel  giudizio  a
quo, chiedendo, in via principale, che la questione venga  dichiarata
manifestamente inammissibile sia perche' irrilevante, potendo,  nella
specie, il Tribunale decidere sulla richiesta cautelare  in  base  ai
soli atti gia' contenuti  nel  fascicolo  per  il  dibattimento,  sia
perche' volta a censurare una scelta discrezionale  del  legislatore,
operata nella logica del bilanciamento dei valori; in subordine,  che
la questione sia rigettata in quanto infondata. 
    Considerato che il Tribunale ordinario  di  Grosseto  dubita,  in
riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e  111,  secondo  comma,
della Costituzione, della legittimita' costituzionale  dell'art.  291
del codice di procedura penale,  nella  parte  in  cui  -  alla  luce
dell'orientamento espresso da due pronunce della Corte di cassazione,
assunto quale "diritto vivente" - «consente al pubblico ministero  di
presentare a fondamento della richiesta cautelare elementi diversi da
quelli utilizzabili dal giudice che procede secondo  le  disposizioni
regolative del procedimento o della fase del procedimento  penale  di
cognizione in corso di svolgimento, e comunque  nella  parte  in  cui
consente  al  giudice  dibattimentale  di  utilizzare   in   funzione
decisoria  sulla  richiesta  cautelare  elementi  diversi  da  quelli
legittimamente acquisiti nel dibattimento»; 
    che - conformemente a quanto  eccepito  dall'Avvocatura  generale
dello  Stato  -  la  questione   risulta   prospettata   in   termini
intrinsecamente contraddittori; 
    che il giudice a quo sottopone, infatti, a  diffusa  e  insistita
critica l'indirizzo interpretativo  della  Corte  di  cassazione  che
forma oggetto del quesito di costituzionalita',  concludendo  che  e'
ampiamente praticabile, alla luce tanto del  dato  letterale  che  di
argomenti di ordine logico e sistematico, una diversa interpretazione
della norma censurata, ritenuta conforme ai principi  costituzionali:
interpretazione che viene, anzi, chiaramente prospettata come l'unica
corretta; 
    che il rimettente dichiara, tuttavia, di non  poter  adottare  la
predetta  interpretazione  alternativa  in   ragione   della   «somma
probabilita'» che il provvedimento su di essa basato venga  riformato
nei successivi gradi di giurisdizione cautelare; 
    che risulta quindi  evidente  come  il  giudizio  incidentale  di
legittimita'  costituzionale  sia  stato,  nella  specie,  utilizzato
all'improprio  scopo  di  ottenere  da   questa   Corte   un   avallo
dell'interpretazione   ritenuta    dal    rimettente    corretta    e
costituzionalmente  adeguata,   nella   prospettiva   di   preservare
l'emanando provvedimento da censure in sede di impugnazione; 
    che, per costante giurisprudenza di questa Corte, un  simile  uso
improprio dell'incidente  di  costituzionalita'  rende  la  questione
manifestamente inammissibile (ex plurimis, ordinanze n. 161 del 2015,
n. 205 del 2014 e n. 363 del 2010): e cio' a prescindere dal  rilievo
che la soluzione prospettata dal giudice a quo  conduce  a  risultati
palesemente  disfunzionali,  rendendo,   di   fatto,   quasi   sempre
impossibile, o fortemente problematica, non solo l'applicazione delle
misure  cautelari,  ma  anche,  di  riflesso,  la   loro   revoca   o
sostituzione  a  vantaggio  dell'imputato,  nella  fase  che  precede
l'inizio dell'istruzione  dibattimentale  (o,  amplius,  la  compiuta
acquisizione della prova); 
    che, per la ragione indicata, la questione va dichiarata, dunque,
manifestamente  inammissibile,  rimanendo  assorbite   le   ulteriori
eccezioni  di  inammissibilita'   formulate   dalla   parte   privata
costituita. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 291  del  codice  di  procedura
penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma,  e
111, secondo comma, della Costituzione, dal  Tribunale  ordinario  di
Grosseto con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Giuseppe FRIGO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA