N. 99 ORDINANZA 6 aprile - 6 maggio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Arbitrato - Contratti pubblici - Preventiva  autorizzazione  motivata
  della pubblica amministrazione a pena di  nullita'  della  clausola
  compromissoria - Clausole  pattuite  anteriormente  all'entrata  in
  vigore della legge n. 190 del 2012. 
- Legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la
  repressione della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella  pubblica
  amministrazione), art. 1, comma 25; decreto legislativo  12  aprile
  2006, n. 163 (Codice dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,
  servizi e forniture in  attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e
  2004/18/CE), art. 241, comma 1, come sostituito dall'art. 1,  comma
  19, della legge n. 190 del 2012. 
-   
(GU n.19 del 11-5-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
25, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella pubblica  amministrazione),  e  dell'art.  241,  comma  1,  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e  2004/18/CE),  come  sostituito  dall'art.  1,
comma 19,  della  legge  n.  190  del  2012,  promosso  dal  Collegio
arbitrale di Palermo nel procedimento vertente tra Runfola Antonio  e
altri  e  l'Azienda  ospedaliera  di   Rilievo   Nazionale   e   Alta
Specializzazione "Civico - Di Cristina - Benfratelli", con  ordinanza
del 6 luglio 2015, iscritta al n. 238 del registro ordinanze  2015  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  46,  prima
serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2016  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
    Ritenuto che, con  ordinanza  del  6  luglio  2015,  il  Collegio
arbitrale costituito in Palermo per la risoluzione della controversia
insorta tra Antonio  Runfola  e  altri  e  l'Azienda  ospedaliera  di
Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione "Civico  -  Di  Cristina  -
Benfratelli"  (ARNAS),  ha  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 25, della legge 6 novembre 2012, n.
190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e  la   repressione   della
corruzione e dell'illegalita'  nella  pubblica  amministrazione),  in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e 111  della  Costituzione,
nonche' dell'art. 241, comma 1, del  decreto  legislativo  12  aprile
2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,
servizi e  forniture  in  attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e
2004/18/CE), come sostituito dall'art. 1, comma 19,  della  legge  n.
190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24,  25,  41,  102  e  111
Cost.; 
    che la questione e' sorta nel  corso  di  un  giudizio  arbitrale
relativo al pagamento dei compensi per l'attivita' di  progettazione,
direzione, misura e contabilita' dei lavori di  ristrutturazione  del
padiglione di chirurgia generale dell'ARNAS,  oggetto  del  contratto
(cosiddetto «disciplinare di incarico») stipulato il 13 giugno 2000; 
    che il  giudizio  e'  stato  promosso  da  alcuni  professionisti
incaricati  dell'opera,  che   si   sono   avvalsi   della   clausola
compromissoria prevista dall'art. 17  del  contratto,  a  tenore  del
quale «[t]utte le controversie che possano sorgere relativamente alla
liquidazione dei compensi previsti dalla presente convenzione  e  non
definite in via amministrativa saranno, nel termine di 30  giorni  da
quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo, deferite
ad un collegio arbitrale costituito da tre membri, di cui uno  scelto
dall'Amministrazione tra gli Avvocati dello  Stato  o  designato  dal
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati con la  qualifica  di  avvocato,
uno dai professionisti ed il terzo  da  designarsi  d'intesa  tra  le
parti o, in mancanza, dal Presidente del Tribunale competente»; 
    che, dopo  avere  descritto  nel  dettaglio  lo  svolgimento  del
processo principale, il giudice a quo espone in via  preliminare  che
l'arbitrato per il quale e' causa e' stato «conferito» dopo l'entrata
in vigore della legge n. 190 del 2012 - sia pure sulla  base  di  una
clausola compromissoria pattuita  anteriormente  -,  atteso  che  gli
arbitri sono stati nominati nel 2013, e che non e' intervenuta alcuna
autorizzazione dell'ARNAS; 
    che il rimettente osserva che la parte pubblica ha  adottato  nel
processo  principale  atti   e   comportamenti   «concludenti»,   che
manifesterebbero in modo univoco  la  sua  volonta'  di  deferire  ad
arbitri la controversia e di proseguire il giudizio arbitrale,  quali
la nomina dell'arbitro, la  nomina  del  difensore,  il  conferimento
della procura ad litem,  la  «condivisione»  nell'individuazione  del
presidente del collegio arbitrale, la nomina del  consulente  tecnico
di parte, l'autorizzazione alla testimonianza di un proprio tecnico; 
    che,  a  suo  avviso,   un'interpretazione   delle   disposizioni
contenute nell'art. 1, commi 19 e 25, della legge n. 190 del 2012 che
attribuisca carattere «tassativo» all'autorizzazione  espressa  degli
arbitrati in materia di contratti pubblici e neghi rilievo  giuridico
a    evidenti    e    univoche    manifestazioni    della    volonta'
dell'amministrazione di conferire e di  «coltivare»  l'arbitrato,  si
esporrebbe  ai  dubbi  di  costituzionalita'  gia'  scrutinati  nella
sentenza n. 108 del  2015,  con  la  quale  la  Corte  ha  dichiarato
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  delle  stesse
norme, sollevata da un altro collegio arbitrale  in  una  fattispecie
analoga; 
    che secondo il rimettente tale sentenza, emessa nelle more  della
decisione arbitrale, non sarebbe risolutiva dei dubbi ora  sollevati,
giacche'  non   riguarderebbe   il   profilo   della   compatibilita'
dell'indicata interpretazione  normativa  con  i  medesimi  parametri
costituzionali invocati nel precedente giudizio; 
    che  le  norme   denunciate   determinerebbero   retroattivamente
l'inefficacia,  in  assenza   di   autorizzazione,   delle   clausole
compromissorie pattuite prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
190 del 2012, rimettendo cosi'  alla  parte  pubblica  il  potere  di
decidere sull'accesso alla giurisdizione arbitrale,  «pur  di  fronte
all'adozione di atti e comportamenti univoci nel senso  di  convenire
[sic] in arbitri la controversia»; 
    che,  inerendo  la  questione  all'ammissibilita'  dell'arbitrato
nella controversia principale, ne sarebbe certa la rilevanza rispetto
alla definizione della lite, attesa la sua natura pregiudiziale; 
    che,  nel  merito,  il  rimettente  dubita   innanzitutto   della
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 25, della legge n. 190
del 2012, per violazione degli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e 111  Cost.,
in quanto la norma contrasterebbe con il principio di certezza  e  di
stabilita' dell'ordinamento giuridico, con la liberta' di  iniziativa
economica,  con  l'autonomia  negoziale  e  con  la  tutela  che   la
Costituzione assicura all'istituto dell'arbitrato; 
    che la lesione sarebbe  «peraltro  rafforzata  dalla  circostanza
secondo la quale, nel caso di  specie,  la  novella  del  2012  (...)
imporrebbe  di   considerare   irrilevanti   atti   e   comportamenti
processuali  adottati  dalla  p.a.  in   spregio   ai   principi   di
proporzionalita' e parita' delle parti nel processo»; 
    che, inoltre,  la  norma  distoglierebbe  le  parti  dal  giudice
naturale contrattualmente individuato, con ulteriore violazione degli
artt. 24, 25 e 111 Cost.; 
    che l'art. 241, comma  1,  del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  come
sostituito dall'art. 1,  comma  19,  della  legge  n.  190  del  2012
contrasterebbe a sua volta, in primo luogo, con gli  artt.  3  e  111
Cost., perche' attribuirebbe alla pubblica amministrazione il  potere
di autorizzare il ricorso all'arbitrato e cio' si risolverebbe in  un
vero e proprio  privilegio  processuale  «vincolato  a  soli  profili
formali (l'ineludibilita'  dell'autorizzazione  motivata)»,  tale  da
pregiudicare i principi di  parita'  delle  parti  nel  processo,  di
economicita'  dei  mezzi  processuali  e  di  garanzia  della  tutela
giurisdizionale; 
    che  la  norma  violerebbe,  inoltre,  l'art.  3  Cost.  per   la
disparita' di trattamento normativo -  che  ne  deriverebbe  -  degli
arbitrati  in  materia  di  contratti  pubblici  rispetto  a   quelli
disciplinati dal codice di rito civile; 
    che, con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il  1°
dicembre 2015, e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione; 
    che, a sostegno  della  sua  richiesta,  la  difesa  dello  Stato
richiama il precedente costituito dalla sentenza  n.  108  del  2015,
osservando che le statuizioni in essa  contenute,  con  le  quali  e'
stata   esclusa   l'illegittimita'   delle   medesime   disposizioni,
dovrebbero valere anche nel presente giudizio. 
    Considerato che il Collegio arbitrale  di  Palermo  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  25,  della  legge  6
novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e   la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e  111
della Costituzione, e dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive  2004/17/CE
e 2004/18/CE), come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge  n.
190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24,  25,  41,  102  e  111
Cost.; 
    che, con la sentenza n.  108  del  2015,  questa  Corte  ha  gia'
positivamente scrutinato la legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 25, della legge n. 190  del  2012,  in  relazione  ai  medesimi
parametri invocati da un altro collegio arbitrale in una  fattispecie
analoga e in base a censure sostanzialmente identiche; 
    che tali  censure  sono  state  disattese  in  quanto  «[l]o  ius
superveniens consistente nel divieto di deferire le  controversie  ad
arbitri  senza  una  preventiva  e  motivata  autorizzazione  non  ha
l'effetto  di  rendere  nulle  in   via   retroattiva   le   clausole
compromissorie originariamente inserite nei contratti, bensi'  quello
di  sancirne  l'inefficacia  per  il  futuro,  in  applicazione   del
principio, espresso dalla costante  giurisprudenza  di  legittimita',
secondo il quale la nullita' di un contratto o  di  una  sua  singola
clausola,   prevista   da   una   norma   limitativa   dell'autonomia
contrattuale che sopravvenga nel corso di esecuzione di un  rapporto,
incide sul  rapporto  medesimo,  non  consentendo  la  produzione  di
ulteriori effetti, sicche' il contratto o la sua singola clausola  si
devono ritenere non piu' operanti»; 
    che - prosegue la sentenza n. 108  del  2015  -  «[n]on  si  pone
conseguentemente  alcun  problema  di  retroattivita'   della   norma
censurata o di ragionevolezza della supposta deroga all'art. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale»; 
    che  questa  Corte,  pertanto,  ha  gia'  ritenuto  infondato  il
presupposto, «comune a tutte le censure, secondo il  quale  la  norma
attribuirebbe efficacia retroattiva al  divieto  di  arbitrato  senza
preventiva autorizzazione»; 
    che il Collegio rimettente si sforza di declinare le  censure  in
una prospettiva diversa e piu' limitata - secondo la quale  la  norma
renderebbe inefficaci le preesistenti clausole  compromissorie  anche
nel caso in  cui  l'amministrazione  avesse  tacitamente  manifestato
l'univoca volonta' di ricorrere all'arbitrato, mediante comportamenti
«concludenti» -, tentando di riproporre per la via di una particolare
interpretazione  della  norma   stessa   la   questione   della   sua
costituzionalita', gia' sottoposta al vaglio di questa Corte; 
    che il tentativo appare vano, dal  momento  che  le  ragioni  del
lamentato contrasto con i parametri costituzionali  indicati  muovono
dallo stesso presupposto, gia' disatteso,  che  il  comma  25  faccia
retroagire il divieto di arbitrato senza preventiva autorizzazione; 
    che, sotto questo determinante e  assorbente  profilo,  il  thema
decidendum del giudizio costituzionale e i motivi di censura non sono
sostanzialmente mutati rispetto al caso precedente, sicche' non  sono
ravvisabili ragioni che inducano a una diversa decisione; 
    che, con la richiamata sentenza n. 108 del 2015, questa Corte  ha
gia' scrutinato la legittimita' anche dell'art.  241,  comma  1,  con
riferimento agli stessi parametri invocati dal Collegio rimettente  e
per analoghe violazioni, delle quali ha escluso l'esistenza; 
    che,  dopo  avere  ricordato  il  proprio  costante  orientamento
secondo il quale il legislatore sicuramente gode di  discrezionalita'
nell'individuare  le   materie   sottratte   alla   possibilita'   di
compromesso, con il solo  limite  della  manifesta  irragionevolezza,
questa Corte ha  affermato  che,  «[a]  maggior  ragione,  la  scelta
discrezionale del legislatore  di  subordinare  a  una  preventiva  e
motivata autorizzazione  amministrativa  il  deferimento  ad  arbitri
delle controversie derivanti dall'esecuzione dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di
idee, non e' manifestamente  irragionevole,  configurandosi  come  un
mero   limite   all'autonomia   contrattuale,   la    cui    garanzia
costituzionale non e' incompatibile con la prefissione  di  limiti  a
tutela di interessi generali (ordinanza n. 11 del 2003)»; 
    che nella stessa sentenza n. 108 del  2015  e'  stato  precisato,
altresi', che le medesime esigenze di contenimento  dei  costi  delle
controversie e di tutela degli  interessi  pubblici  coinvolti,  gia'
considerate meritevoli di protezione in sede di scrutinio dei divieti
normativi  di  ricorrere  all'arbitrato,  «valgono  anche  in  questa
materia, nella quale  a  tali  esigenze  si  accompagna  la  generale
finalita' di prevenire l'illegalita' della pubblica amministrazione»,
a cui «e' dichiaratamente  ispirata  la  censurata  previsione  della
legge n. 190 del 2012, che non esprime un irragionevole  sfavore  per
il ricorso all'arbitrato, come sostiene il rimettente, ma si limita a
subordinare il  deferimento  delle  controversie  ad  arbitri  a  una
preventiva autorizzazione amministrativa che  assicuri  la  ponderata
valutazione degli interessi coinvolti e delle  circostanze  del  caso
concreto»; 
    che  nemmeno  la  mancata  equiparazione  tra  assenso  tacito  e
autorizzazione espressa, di cui si duole specificamente  il  Collegio
arbitrale a quo, incorre nel  vizio  di  manifesta  irragionevolezza,
giacche' solo la espressa preventiva autorizzazione  motivata  e'  in
grado di assicurare - a  differenza  dell'assenso  tacito  -  che  la
scelta dell'amministrazione di deferire ad  arbitri  le  controversie
relative ai contratti pubblici  sia  il  risultato  della  «ponderata
valutazione degli interessi coinvolti e delle  circostanze  del  caso
concreto», e la stessa  prescritta  motivazione  dell'autorizzazione,
diretta a garantire pubblicita'  e  trasparenza  alle  ragioni  della
scelta dell'amministrazione di avvalersi dell'arbitrato, esclude  che
possa  essere  assegnato  a  un  comportamento   concludente   valore
equivalente all'autorizzazione espressa; 
    che, alla luce di queste considerazioni, il fatto  che  la  norma
denunciata richieda l'autorizzazione motivata e non conceda spazio  a
quella tacita non introduce alcuna  novita'  rispetto  ai  motivi  di
censura, gia' disattesi dalla richiamata sentenza n.  108  del  2015,
concernenti la lesione del  principio  di  parita'  delle  parti  nel
processo e la disparita' di trattamento fra arbitrati in  materia  di
contratti pubblici e arbitrati di  diritto  comune,  sicche'  neppure
sotto tale profilo sono ravvisabili  ragioni  per  discostarsi  dalla
decisione precedentemente assunta; 
    che, pertanto, le questioni sollevate  devono  essere  dichiarate
manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  25,  della  legge  6
novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la  prevenzione  e   la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione), in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 41, 108 e  111
della Costituzione, e dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive  2004/17/CE
e 2004/18/CE), come sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge  n.
190 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 24,  25,  41,  102  e  111
Cost., sollevate dal Collegio arbitrale di Palermo,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA