N. 165 ORDINANZA 14 giugno - 7 luglio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezione dei membri del Parlamento  Europeo  spettanti  all'Italia  -
  Sistema elettorale - Liste di candidati eventualmente presentate da
  partiti o  gruppi  politici  espressi  dalla  minoranza  di  lingua
  francese della Valle d'Aosta, di lingua tedesca della Provincia  di
  Bolzano e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia -  Soglia  di
  sbarramento. 
- Legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei  membri  del  Parlamento
  europeo spettanti all'Italia), artt. 12,  comma  9,  21,  comma  1,
  numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, come modificati dalla  legge  20
  febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n.  18,
  concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo  spettanti
  all'Italia). 
-   
(GU n.28 del 13-7-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 12,  comma
9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e  3,  della  legge  24
gennaio 1979, n. 18  (Elezione  dei  membri  del  Parlamento  europeo
spettanti all'Italia), come modificati dalla legge 20 febbraio  2009,
n. 10 (Modifiche alla legge  24  gennaio  1979,  n.  18,  concernente
l'elezione dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia),
promossi dal Tribunale ordinario di Cagliari, con  ordinanza  del  12
maggio 2014, iscritta al n. 173 del registro ordinanze  2014,  e  dal
Tribunale ordinario di Trieste, seconda sezione civile, con ordinanza
del 12 agosto 2014, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2015,  e
rispettivamente pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica
n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2014  e  n.  11,  prima  serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione di  C.F.  ed  altri,  di  C.M.  ed
altri, di S.F. ed altri nonche' gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  14  giugno  2016  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi gli avvocati Felice Carlo Besostri per C.F. ed altri,  C.M.
ed altri, Felice Carlo Besostri e Enrico Bulfone per S.F. ed altri, e
l'avvocato della Stato Massimo Salvatorelli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di  Cagliari,  con  ordinanza
del  12  maggio  2014,  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e  3),
e 22, commi 2 e 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18  (Elezione  dei
membri  del  Parlamento  europeo  spettanti  all'Italia),  nel  testo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 20  febbraio  2009,
n. 10 (Modifiche alla legge  24  gennaio  1979,  n.  18,  concernente
l'elezione dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia),
in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, e  51,  primo  comma,
della Costituzione; 
    che  il  giudice  rimettente  premette  che,  nell'ambito  di  un
giudizio promosso con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis  del  codice
di procedura civile, alcuni cittadini iscritti nelle liste elettorali
di Comuni appartenenti alla circoscrizione europea V  insulare  della
Sardegna e della Sicilia per le elezioni dei rappresentanti  italiani
al Parlamento europeo, hanno convenuto in giudizio il Presidente  del
Consiglio dei ministri e  il  Ministro  dell'interno,  affinche'  sia
accertato il loro diritto  all'esercizio  del  voto  libero,  eguale,
personale e diretto nelle consultazioni elettorali; 
    che i ricorrenti hanno assunto  che  tale  diritto  non  potrebbe
essere esercitato nelle forme e nei limiti previsti e  garantiti  dal
combinato disposto degli artt. 1, 2, 3, 48, 49, 51,  56,  58  e  117,
primo comma, Cost.; dell'art. 3  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4  novembre  1950  e  del  Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa, firmato a  Parigi  il  20  marzo
1952); degli artt. 20, 22, 223 e 224 del Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea; degli artt. 2,  6,  9,  10  e  14  del  Trattato
dell'Unione europea; del preambolo, secondo capoverso, e degli  artt.
10, 12, 20, 21 e 39 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione
europea; della decisione 25 giugno  2002  e  23  settembre  2002,  n.
2002/772/CE/Euratom  del  Consiglio  dell'Unione  europea,   che   ha
modificato  l'atto  relativo  all'elezione  dei   rappresentanti   al
Parlamento europeo a  suffragio  universale  diretto,  allegato  alla
decisione  20  settembre   1976,   n.   76/787/CECA/CEE/Euratom   del
Consiglio; infine, della sentenza della Corte di giustizia 23  aprile
1986 (Parti ecologiste «Les  Verts»  contro  Parlamento  europeo,  in
causa-294/83); 
    che, in relazione a tutti i  parametri  ricordati,  i  ricorrenti
hanno dedotto plurime eccezioni di illegittimita' costituzionale e di
non conformita' al diritto dell'Unione europea di varie  disposizioni
contenute nella legge n. 18 del 1979, come modificata dalla legge  n.
10 del 2009; 
    che il rimettente, dopo aver illustrato le ragioni per  le  quali
non ha accolto larga parte delle doglianze prospettate  dalle  parti,
solleva questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  12,
comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della  legge
n. 18 del 1979, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla
legge n. 10 del 2009, i quali consentono solo alle liste di candidati
eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi  dalle
minoranze di lingua francese della Valle d'Aosta, di  lingua  tedesca
della  Provincia  autonoma  di  Bolzano  e  di  lingua  slovena   del
Friuli-Venezia  Giulia,  di  sottrarsi  al  limite  della  soglia  di
sbarramento del quattro per cento,  se  coalizzate  con  altra  lista
della stessa circoscrizione presente in tutte le circoscrizioni; 
    che egli ritiene che tali  disposizioni  sarebbero  lesive  degli
artt. 3, 48, secondo comma, e  51,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto
discriminerebbero, favorendole, le liste espresse dalle tre ricordate
minoranze linguistiche rispetto alle liste  eventualmente  presentate
da altre minoranze linguistiche riconosciute e tutelate da una  legge
dello Stato o da convenzioni internazionali ratificate dall'Italia; 
    che, quanto alla rilevanza delle questioni cosi' prospettate,  il
rimettente -  nel  rigettare  un'eccezione  dell'Avvocatura  generale
dello Stato - richiama «l'autorevole precedente  rappresentato  dalle
pronunzie  della  Corte  di  cassazione   di   cui   alla   ordinanza
interlocutoria n.  12060/2013  del  21.3.2013  e  dalla  sentenza  n.
8878/2014 del 4 aprile 2014» e afferma che le  questioni  prospettate
sarebbero  rilevanti  «al  fine  dell'accoglimento   dell'azione   di
accertamento-costitutiva proposta dai ricorrenti»; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a  quo
premette che l'art. 6 Cost. tutela  le  minoranze  linguistiche;  che
l'art. 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme  in  materia  di
tutela delle  minoranze  linguistiche  storiche)  prevede  che  «[i]n
attuazione dell'articolo 6 della Costituzione  e  in  armonia  con  i
principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali,
la Repubblica  tutela  la  lingua  e  la  cultura  delle  popolazioni
albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene  e  croate  e  quelle
parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano,  il  ladino,
l'occitano e il sardo»; e che la «normativa  comunitaria»  riconosce,
accanto alla tutela delle lingue regionali o minoritarie di cui  alla
Carta  europea  delle  lingue  regionali  o  minoritarie,   fatta   a
Strasburgo  il  5  novembre  1992,  «la  protezione  delle  minoranze
nazionali e dei diritti e delle liberta' delle persone appartenenti a
queste minoranze» e garantisce «ad ogni persona appartenente  ad  una
minoranza nazionale il diritto all'eguaglianza di fronte alla legge e
ad una  eguale  protezione  dalla  legge»  attraverso  l'adozione  di
«misure adeguate in vista di promuovere, in  tutti  i  settori  della
vita economica, sociale, politica e culturale una  eguaglianza  piena
ed effettiva tra le persone appartenenti ad una minoranza nazionale e
quelle appartenenti alla maggioranza» (sono richiamati gli artt. 1  e
2  della  Convenzione-quadro  per  la  protezione   delle   minoranze
nazionali, fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, ratificata e  resa
esecutiva dall'Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302); 
    che  egli  ricorda,  inoltre,  che  gli   Stati   europei   hanno
predisposto vari strumenti per garantire la  rappresentanza  politica
delle minoranze etniche e linguistiche in materia  elettorale  e,  in
particolare, per limitare gli effetti conseguenti alla previsione  di
soglie di sbarramento: o introducendo deroghe a tali  soglie  proprio
per le liste espresse  da  minoranze  etniche  o  linguistiche  (come
previsto dall'art. 87, primo comma, numero 3,  del  d.P.R.  20  marzo
1957, n. 361, recante  «Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
recanti norme per la elezione della  Camera  dei  deputati»),  ovvero
consentendo loro il collegamento con altre liste; 
    che tale ultima soluzione, adottata con le disposizioni censurate
dal rimettente, non contrasterebbe con il principio  di  eguaglianza,
poiche' non mirerebbe a garantire una rappresentanza  alle  minoranze
in quanto tali, ma sarebbe diretta a creare un'effettiva  eguaglianza
nel procedimento elettorale sia tra tali minoranze e il  resto  della
popolazione, sia tra le diverse minoranze (sul  punto  richiamando  i
punti 22 e 23 del Codice di buona  condotta  in  materia  elettorale,
adottato dalla Commissione di Venezia nel corso della 52a sessione  -
Venezia, 18-19 ottobre 2002); 
    che la stessa Corte costituzionale, nella  sentenza  n.  159  del
2009, avrebbe affermato che la tutela  delle  minoranze  linguistiche
costituisce    un     principio     fondamentale     dell'ordinamento
costituzionale; 
    che, in tale contesto, le disposizioni censurate si porrebbero in
contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza,   con   le   garanzie
riconosciute dall'art. 48 Cost. al diritto di  voto  e  dall'art.  51
Cost.  per  l'accesso  in  condizioni  di  eguaglianza  alle  cariche
elettive, poiche'  la  previsione  di  «correttivi»  a  tutela  delle
minoranze linguistiche ed  etniche  non  sarebbe  rivolta  in  eguale
misura e con identica efficacia  nei  confronti  di  tutti  i  gruppi
espressione delle minoranze linguistiche  riconosciute  espressamente
nel nostro ordinamento; 
    che la riserva  dei  correttivi  ricordati  alle  sole  liste  di
candidati delle tre minoranze individuate all'art. 12, comma 9, della
legge n. 18 del  1979  lascerebbe  senza  valida  giustificazione  il
trattamento  deteriore  delle  altre  minoranze  -  quelle  albanesi,
catalane,  greche,  croate  e  quelle  parlanti  il  francese  e   il
franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e  il  sardo  -
pure riconosciute dalla legislazione nazionale; 
    che il Tribunale ordinario di Trieste,  seconda  sezione  civile,
con  ordinanza  del  12  agosto  2014,  ha  sollevato  questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 12, comma  9,  21,  comma  1,
numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della legge n. 18  del  1979,  nel
testo vigente in seguito alle modificazioni apportate dalla legge  n.
10 del 2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 48, secondo comma, e 51,
primo comma, Cost.; 
    che il giudice a quo premette che,  nell'ambito  di  un  giudizio
promosso con ricorso ai sensi  dell'art.  702-bis  cod.  proc.  civ.,
alcuni cittadini,  residenti  in  Comuni  «friulianofoni»,  ai  sensi
dell'art. 3 della legge n. 482 del  1999,  ed  iscritti  nelle  liste
elettorali di Comuni appartenenti alla circoscrizione europea II nord
orientale per le elezioni dei rappresentanti italiani  al  Parlamento
europeo, hanno convenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri e il Ministro dell'interno, affinche' sia accertato il  loro
diritto all'esercizio del voto libero, eguale,  personale  e  diretto
nelle consultazioni elettorali; 
    che i ricorrenti assumono che tale diritto  non  potrebbe  essere
esercitato  nelle  forme  e  nei  limiti  previsti  e  garantiti  dal
combinato disposto degli artt. 1, 2, 3, 48, 49, 51,  56,  58  e  117,
primo comma, Cost.; dell'art. 3  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848; degli  artt.  20,  22,  223  e  224  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; degli artt. 2, 6,  9,
10 e 14 del Trattato  dell'Unione  europea;  del  preambolo,  secondo
capoverso, e degli artt. 10, 12, 20, 21 e 39 della Carta dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea; della decisione 25 giugno 2002 e 23
settembre 2002,  n.  2002/772/CE/Euratom  del  Consiglio  dell'Unione
europea,  che  ha  modificato  l'atto   relativo   all'elezione   dei
rappresentanti al Parlamento europeo a suffragio universale  diretto,
allegato alla decisione 20 settembre 1976, n. 76/787/CECA/CEE/Euratom
del Consiglio; infine, della sentenza della  Corte  di  giustizia  23
aprile 1986 (Parti ecologiste «Les Verts» contro Parlamento  europeo,
in causa-294/83), e che,  percio',  denunciano  «la  lesivita'  delle
modifiche della L. 18/79 introdotte dalla  L.  10/09  in  materia  di
elezioni europee, e dichiarando quindi di agire ai sensi degli  artt.
24, comma 1 e 2, e 111, comma 1 e 2, Cost., nonche'  99,  100  e  102
c.p.c.»; 
    che il rimettente afferma che «lo strumento adottato ex art.  702
bis c.p.c.» sarebbe «rituale»,  in  quanto  «avente  ad  oggetto  una
questione di esercizio di diritti, sia pure di natura  pubblica,  che
si assume leso»; 
    che egli  osserva  che  sussisterebbe,  in  capo  ai  ricorrenti,
l'interesse ad agire, richiamando,  sul  punto,  le  decisioni  della
Corte di cassazione, prima sezione civile  -  ordinanza  21  marzo-17
maggio 2013, n. 12060 e sentenza 4-16 aprile 2014, n.  8878  -  nelle
quali sarebbe stata fornita  risposta  affermativa  in  relazione  ad
analoga domanda di accertamento svolta da alcuni  elettori  circa  la
lesione del rispettivo esercizio del voto in modo libero,  diretto  e
conforme alle previsioni, sia della  Costituzione,  sia  delle  fonti
europee; 
    che, secondo il rimettente, il fatto che le elezioni  dei  membri
del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia  si  siano  svolte  nel
maggio 2014 non potrebbe porre in dubbio la concretezza ed attualita'
di  tale  interesse,   giacche'   il   medesimo   problema   potrebbe
ragionevolmente riproporsi  in  occasione  delle  prossime  elezioni,
previste nel 2019; 
    che, dopo aver illustrato le ragioni per le quali ritiene di  non
accogliere  varie  censure  prospettate  dalle  parti,  il  Tribunale
ordinario di Trieste solleva questioni di legittimita' costituzionale
degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e
3, della legge n. 18 del 1979, nel testo risultante  dalle  modifiche
introdotte dalla legge n. 10 del 2009, in riferimento agli  artt.  2,
3, 48,  secondo  comma,  e  51,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  tali
disposizioni, contenendo «norme speciali e di deroga»  rispetto  alla
soglia di sbarramento solo per le minoranze linguistiche  «che  hanno
uno Stato di riferimento» (le  minoranze  di  lingua  francese  della
Valle d'Aosta, di lingua tedesca della  Provincia  di  Bolzano  e  di
lingua slovena  del  Friuli-Venezia  Giulia),  determinerebbero,  per
queste ultime,  un  trattamento  differenziato  rispetto  alle  altre
minoranze linguistiche pure riconosciute dalla legge n. 482 del  1999
(in particolare, all'art. 2); 
    che il rimettente, a sostegno delle censure proposte, menziona la
Carta  europea  delle  lingue  regionali  o  minoritarie,   fatta   a
Strasburgo il  5  novembre  1992,  e  la  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle  minoranze  nazionali,  fatta  a  Strasburgo  il  1°
febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva dall'Italia con  legge  n.
302 del 1997, dalle quali emergerebbe  il  pieno  riconoscimento  dei
principi di protezione  ed  eguaglianza  delle  minoranze  nazionali,
anche attraverso l'adozione di misure adeguate a promuovere, in tutti
i settori della vita economica, sociale, politica  e  culturale,  una
eguaglianza piena ed effettiva tra le  persone  appartenenti  ad  una
minoranza nazionale e quelle appartenenti alla maggioranza; 
    che il giudice rimettente afferma, inoltre, che gli Stati europei
avrebbero  predisposto  vari  strumenti  di  tutela  delle  minoranze
etniche e linguistiche, anche in materia elettorale; 
    che la stessa Corte costituzionale avrebbe  piu'  volte  ribadito
l'esistenza di un principio fondamentale di  tutela  delle  minoranze
linguistiche, richiamando, in particolare, la  sentenza  n.  215  del
2013, in cui sarebbe stata  affermata  l'«effettiva  eguaglianza  tra
tutte le comunita'  linguistiche  regionali  riconosciute,  anche  se
prive di uno Stato  straniero  di  riferimento,  quali  la  comunita'
linguistica  friulanofona,  cui  appartengono  appunto  gli   odierni
istanti»; 
    che, sulla base di tali considerazioni, il rimettente assume  che
le norme censurate,  le  quali  determinerebbero  una  disparita'  di
trattamento  non  sorretta  da  una  razionale  giustificazione,   si
porrebbero in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., come pure  con  la
«liberta' di voto ed elettorale ex artt. 48 e 51 Cost.»; 
    che le questioni cosi' prospettate - afferma infine il rimettente
- sarebbero rilevanti in ordine all'azione di  accertamento  proposta
dai ricorrenti, anche alla luce della loro documentata,  e  pacifica,
appartenenza alla comunita' friulanofona (con la  sola  eccezione  di
uno degli otto ricorrenti); 
    che, con atti di analogo tenore, depositati in data  11  novembre
2014 nel giudizio instaurato dal Tribunale ordinario di Cagliari e in
data 7 aprile 2015 in quello instaurato dal  Tribunale  ordinario  di
Trieste, e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate   inammissibili   e,
comunque, infondate; 
    che l'Avvocatura generale dello Stato solleva  plurime  eccezioni
di inammissibilita'; 
    che essa osserva,  anzitutto,  che  le  ordinanze  di  rimessione
sarebbero  assolutamente  carenti  sotto   il   profilo   dell'esatta
individuazione delle domande proposte nei giudizi pendenti dinanzi al
Tribunale ordinario di Cagliari e al Tribunale ordinario di  Trieste,
limitandosi  a  riportare  le  conclusioni   contenute   negli   atti
introduttivi, e che l'omessa descrizione delle  fattispecie  concrete
impedirebbe di valutare la rilevanza delle questioni; 
    che, in secondo luogo, i giudici rimettenti non indicherebbero  i
principi espressi  dalle  disposizioni  costituzionali  che  assumono
lese,   omettendo,   altresi',    di    fornire    un'interpretazione
costituzionalmente conforme delle disposizioni censurate; 
    che, in terzo luogo, i rimettenti  non  avrebbero  indicato  «una
concreta motivazione»  in  ordine  alla  rilevanza  della  questione,
sottolineando l'Avvocatura generale dello Stato che le parti  private
non agiscono dinanzi al  giudice  amministrativo  con  gli  strumenti
previsti in tema di impugnazione dei risultati elettorali a tutela di
un diritto attuale e  asseritamente  leso  in  concreto,  bensi',  di
fronte al giudice civile, a tutela di un  astratto  diritto  al  voto
libero, eguale, personale e diretto, cosi' che le norme  oggetto  del
giudizio  di   costituzionalita'   verrebbero   in   buona   sostanza
direttamente censurate per una (allo  stato  del  tutto  ipotetica  e
astratta) loro errata applicazione; 
    che i  rimettenti,  inoltre,  non  si  sarebbero  preoccupati  di
verificare la reale appartenenza dei ricorrenti ad una o  piu'  delle
minoranze in ipotesi discriminate; 
    che,  infine,  l'Avvocatura  generale   dello   Stato   eccepisce
l'inammissibilita'  delle  questioni,  poiche'  i  giudici  a  quibus
prospetterebbero vizi di illegittimita' costituzionale a  fronte  dei
quali non  sarebbe  possibile  individuare  un'univoca  modalita'  di
intervento, tale da rimuovere la (presunta)  discriminazione  tra  le
varie minoranze, introducendo un regime che, in caso di  sentenza  di
accoglimento, consenta lo svolgimento delle elezioni  senza  che  nel
sistema si verifichino insanabili aporie (viene ricordata la sentenza
della Corte costituzionale n. 271 del 2010); 
    che, quanto al merito delle questioni  sollevate  dai  giudici  a
quibus, l'Avvocatura generale dello Stato premette che,  in  tema  di
tutela  delle  minoranze   linguistiche,   il   legislatore   avrebbe
apprestato una disciplina generale, contenuta nella legge n. 482  del
1999,  «per  tutte  le  minoranze  linguistiche  storiche»,   e   una
disciplina specifica per alcune minoranze «tipiche» (quelle di lingua
francese  della  Valle  d'Aosta,  di  lingua  tedesca  del   Trentino
Alto-Adige, e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia), quale  e'
quella,  di  rango  costituzionale,  contenuta  negli  statuti  delle
Regioni  ad  autonomia  speciale,  nelle  relative  disposizioni   di
attuazione, e in leggi ordinarie di riforma di particolari settori; 
    che, secondo l'Avvocatura generale dello Stato,  tale  differente
regime di tutela sarebbe pienamente giustificato, sia  dalla  diversa
natura e consistenza delle minoranze linguistiche  storiche  rispetto
alle  altre  tre  menzionate  minoranze   linguistiche,   sia   dalle
differenze intercorrenti tra le stesse minoranze storiche; 
    che la stessa legge n. 482 del 1999 regolerebbe, infatti, in  via
generale,  e  indistintamente,  piccole  lingue  d'enclave  e  lingue
regionali nazionali, limitandosi a stabilire che tale generica tutela
debba poi essere precisata in interventi specifici e differenziati, e
che essa stessa prevederebbe, per le minoranze  di  lingua  francese,
tedesca e  slovena,  un  grado  di  tutela  diverso,  in  particolare
attribuendo a tali lingue il carattere della «coufficialita'»,  cosi'
che siano pienamente parificate alla lingua italiana, secondo  i  due
modelli del cosiddetto «bilinguismo integrale» e della «separazione»; 
    che, in  tale  quadro  normativo,  non  sarebbe  irragionevole  -
secondo l'Avvocatura generale dello  Stato  -  prevedere  per  quelle
minoranze, «"qualificate" dalla previsione  degli  Statuti  regionali
speciali», una particolare tutela anche  in  materia  elettorale,  al
fine di limitare gli effetti conseguenti alla previsione di soglie di
sbarramento; 
    che, sul punto, l'Avvocatura generale  dello  Stato  richiama  la
sentenza n.  159  del  2009,  ove  la  Corte  costituzionale  avrebbe
affermato che il principio fondamentale di garanzia  delle  minoranze
linguistiche sarebbe norma programmatica  di  portata  generale,  che
puo' condurre a differenze in forza di norme interne  di  pari  rango
costituzionale, ovvero attuative di specifici accordi internazionali:
pertanto, se la protezione di idiomi alloglotti deve trovare  spazio,
senza intaccare il ruolo privilegiato della lingua ufficiale, sarebbe
tuttavia necessario tutelare riservatamente gli  ambiti  in  cui,  in
forza di norme anche di rango costituzionale, vige il bilinguismo; 
    che, per tali ragioni, sarebbe pienamente giustificato un  regime
differenziato  tra  minoranze  linguistiche,  in  conseguenza   della
discrezionale scelta del legislatore  di  regolare  in  modo  diverso
situazioni tra loro disomogenee (viene menzionata la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 213 del 1998); 
    che l'Avvocatura generale dello Stato, nell'atto di  costituzione
nel  giudizio  instaurato  dal  Tribunale  ordinario   di   Cagliari,
evidenzia,  a  titolo  esemplificativo,  che  mancherebbe  la  stessa
individuazione di una lingua sarda unificata,  risultando  la  stessa
articolata  in  piu'  dialetti  dotati  di  significativa   identita'
propria; 
    che,  nell'atto  di  costituzione  nel  giudizio  instaurato  dal
Tribunale ordinario di Trieste, essa osserva, invece,  come  sia  del
tutto ragionevole (e rientri nella libera scelta del legislatore) che
alla minoranza linguistica slovena sia riconosciuto anche in  materia
elettorale (nazionale e regionale) uno status particolare; 
    che, per tutte le ragioni illustrate, l'Avvocatura generale dello
Stato chiede, in entrambe le memorie, che le questioni prospettate in
relazione all'art. 3 Cost. siano dichiarate non fondate; 
    che non sarebbero violati neppure gli artt.  48  e  51  Cost.,  i
quali  riguarderebbero  l'astratta  possibilita'  di  esercitare   il
diritto di elettorato attivo e passivo in condizioni  di  parita'  ed
eguaglianza, e che tale diritto non sarebbe «minimamente inciso dalle
disposizioni di cui  si  tratta,  discendendo  il  differente  regime
relativo alla soglia di sbarramento dalla necessita' proprio di  fare
corretta applicazione  del  principio  di  uguaglianza  a  fronte  di
obblighi  costituzionali  che  riguardano   solo   talune   minoranze
linguistiche»; 
    che gli artt. 48 e 51 Cost. non riguarderebbero, in ogni caso, il
diritto di voto in se', ma, in via del tutto ipotetica ed  eventuale,
la possibilita' che, a  voto  espletato,  il  candidato  e  la  lista
prescelta dall'elettore non conseguano il seggio: cio'  rientrerebbe,
pero', «nel "gioco" elettorale», e potrebbe verificarsi con qualunque
sistema elettorale, proporzionale o maggioritario, in presenza o meno
di soglie di sbarramento; 
    che,  infine,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  osserva  che
nessuna delle disposizioni di  rango  internazionale  richiamate  dai
giudici a quibus sarebbe idonea a sostenere le argomentazioni esposte
nell'ordinanza di rimessione, in quanto la Carta europea delle lingue
regionali o minoritarie non  e'  mai  stata  ratificata  dallo  Stato
italiano,  mentre  la  Convenzione-quadro  per  la  protezione  delle
minoranze  nazionali,  non  dettando  una  definizione  di  minoranze
nazionali,  conterrebbe  affermazioni  di   principio   difficilmente
applicabili; 
    che, nell'imminenza dell'udienza  pubblica,  in  data  24  maggio
2016, l'Avvocatura generale dello  Stato  ha  depositato  memorie  in
entrambi i giudizi, anch'esse di analogo tenore, in cui  insiste  per
l'inammissibilita'  e,  in  subordine,   per   l'infondatezza   delle
questioni prospettate dal  Tribunale  ordinario  di  Cagliari  e  dal
Tribunale ordinario di Trieste; 
    che,  quanto  all'ammissibilita'   delle   questioni   sollevate,
l'Avvocatura generale dello Stato, oltre a ribadire le eccezioni gia'
esposte  nell'atto  di  costituzione,  rileva  che  le  ordinanze  di
rimessione sarebbero carenti in punto di motivazione sulla rilevanza,
poiche' si limiterebbero a prospettare l'esistenza  di  un  interesse
all'accertamento, astratto e pro futuro, di un diritto che si  assume
leso dalle  stesse  previsioni  normative  censurate,  e  che,  senza
offrire  una  motivazione  «ampia,   articolata   ed   approfondita»,
prospetterebbero  questioni  di   legittimita'   costituzionale   che
difettano del requisito dell'incidentalita'; 
    che  si  tratterebbe,  invero,  di  una  lis  ficta,   ossia   di
un'impugnazione diretta della legge della  cui  costituzionalita'  si
dubita, che la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  sarebbe
ferma nel ritenere inammissibile; 
    che, per tali ragioni - ad avviso dell'Avvocatura generale  dello
Stato - non  vi  sarebbero  motivi  per  discostarsi  dal  precedente
rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale  n.  110  del
2015; 
    che tale giurisprudenza potrebbe, infatti, risultare inconferente
solo laddove altro rimedio non fosse  consentito  (e'  richiamata  la
sentenza della Corte costituzionale  n.  1  del  2014),  ma  che  non
sarebbe questo il caso, essendo prospettabili altre vie d'azione piu'
consone; 
    che, nel merito, oltre a ribadire quanto gia'  esposto  nell'atto
di costituzione, l'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che  la
scelta compiuta  dal  legislatore  non  sarebbe  discriminatoria,  in
quanto la stessa legge n.  482  del  1999,  attribuendo  alle  lingue
francese, tedesca e slovena carattere di «coufficialita'» - ossia  di
equiparazione alla lingua italiana -  evidenzierebbe  il  particolare
riconoscimento  accordato  a  queste  tre  minoranze   e   che   tale
distinzione si fonderebbe, ragionevolmente, sulla differente natura e
consistenza  di  tali  minoranze  rispetto  alle  altre,  e   sarebbe
preordinata a bilanciare la tutela di speciali e specifiche minoranze
linguistiche con l'esigenza  di  non  frammentare  eccessivamente  la
rappresentanza; 
    che, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, non  vi  sarebbe,
inoltre, alcuna violazione degli artt. 48 e 51 Cost., in  riferimento
all'astratta possibilita' di  esercitare  il  diritto  di  elettorato
attivo e passivo in  condizioni  di  eguaglianza:  al  contrario,  il
differente regime della soglia di sbarramento  risponderebbe  proprio
alla corretta applicazione del principio di eguaglianza a  fronte  di
obblighi  costituzionali  che  riguardano   solo   talune   minoranze
linguistiche; 
    che nel giudizio instaurato dal Tribunale ordinario  di  Cagliari
si sono costituiti - con  due  distinti  atti,  di  identico  tenore,
depositati in data 11 novembre  2014  -  alcuni  dei  ricorrenti  nel
giudizio principale; 
    che, in  particolare,  un  primo  atto  di  intervento  e'  stato
spiegato da C.F., G.S. e P.A. e un  secondo  atto  di  intervento  da
C.M., Z.P.F. e M.P.; 
    che le difese delle parti private chiedono  l'accoglimento  delle
questioni sollevate dal rimettente; 
    che le medesime parti, in data 24 maggio 2016,  hanno  depositato
ulteriore memoria, in cui viene, anzitutto, approfondito  il  profilo
dell'ammissibilita' delle questioni di  legittimita'  costituzionale,
sollevate nell'ambito di azioni di accertamento, aventi ad oggetto la
disciplina legislativa in materia elettorale; 
    che, a tal fine, sono  ricostruite  le  vicende  processuali  che
hanno condotto la Corte di cassazione a  sollevare  le  questioni  di
legittimita' costituzionale decise dalla Corte costituzionale con  la
sentenza n. 1 del 2014, nonche' le analoghe vicende che hanno indotto
alcuni  giudici  ordinari  a  promuovere  questioni  di  legittimita'
costituzionale su disposizioni della legge per l'elezione dei  membri
del Parlamento europeo spettanti all'Italia; 
    che le parti ricordano che uno di questi giudizi di  legittimita'
costituzionale e' gia' stato deciso dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 110 del 2015, che  ha  dichiarato  l'inammissibilita'  di
questioni sollevate nell'ambito di azioni di accertamento, in  quanto
le vicende elettorali relative all'elezione dei membri del Parlamento
europeo spettanti all'Italia ben  possono,  a  differenza  di  quelle
relative al Parlamento nazionale, essere oggetto di ricorso di fronte
all'autorita' giudiziaria, la quale puo', in quella  sede,  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale; 
    che, rispetto alla decisione della Corte costituzionale da ultimo
citata, esse assumono che i  rimedi  giudiziari  ordinari  esperibili
prima e dopo le consultazioni elettorali  non  sarebbero  adeguati  a
tutelare  pienamente  la  liberta'   di   voto   rispetto   a   norme
asseritamente  incostituzionali  contenute   nella   disciplina   per
l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia; 
    che esse ritengono, inoltre, che la Corte costituzionale, con  la
sentenza n. 110 del  2015,  si  sarebbe  «sostituita  alla  Corte  di
cassazione» nel decidere una questione di  giurisdizione,  poiche'  -
ritenendo non possibile, nell'ambito di un'azione di accertamento del
diritto di voto instaurata di fronte al giudice ordinario,  sollevare
questioni di legittimita'  costituzionale  -  avrebbe  implicitamente
demandato  la  garanzia  di  tale  diritto  soggettivo   al   giudice
amministrativo, di fronte al quale  sono  impugnabili  gli  atti  del
procedimento elettorale; 
    che,  piu'  in   generale,   osservano   -   ancora   richiamando
criticamente  quanto  statuito  dalla  Corte   costituzionale   nella
sentenza n. 110 del 2015 - che «[s]e  esiste  un  diritto  di  votare
secondo Costituzione e questo e' stato accertato e dichiarato con  la
sentenza n. 8878/2014 questo deve valere in tutti i casi  in  cui  e'
prevista una elezione»; 
    che una disparita' di tutela a seconda del tipo di  elezione  non
sarebbe giustificabile, poiche' l'art. 48 Cost. non consentirebbe  di
differenziare a seconda che il diritto di  voto  sia  esercitato  per
eleggere un organo rappresentativo ovvero un altro; 
    che, nel giudizio  originato  dall'ordinanza  di  rimessione  del
Tribunale  ordinario  di  Trieste,  si  sono  costituiti,  con   atto
depositato il 1° aprile  2015,  le  parti  del  giudizio  principale,
chiedendo l'accoglimento delle questioni sollevate dal rimettente; 
    che  le  parti  assumono  che  le  disposizioni   censurate   dal
rimettente contrasterebbero con «parametri di  giudizio  comunitari»,
menzionando una pluralita' di disposizioni contenute nel Trattato sul
funzionamento   dell'Unione   europea,   e    con    «parametri    di
costituzionalita' del sistema CEDU»; 
    che esse ricordano poi le  disposizioni  costituzionali  poste  a
tutela delle minoranze linguistiche - gli artt. 2, 3 e 6  Cost.  -  e
come tali disposizioni siano ulteriormente rafforzate sul  territorio
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dall'art. 3 della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia), e dal decreto legislativo 12 settembre  2002,
n. 223 (Norme di attuazione  dello  statuto  speciale  della  regione
Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di funzioni in materia  di
tutela della lingua e  della  cultura  delle  minoranze  linguistiche
storiche nella regione); 
    che gli evocati principi costituzionali avrebbero «fatto  sentire
la loro influenza, anche a favore della lingua friulana»,  conducendo
a ritenere non applicabile la  legislazione  statale  nel  territorio
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (e' citata  la  sentenza
n. 215 del 2013), e che le questioni di  legittimita'  costituzionale
all'esame della Corte costituzionale prenderebbero «le mosse  proprio
dal fatto che le attuali clausole legislative di tutela  linguistica,
riservate alle cosiddette minoranze linguistiche forti o  con  stato»
non sarebbero piu' compatibili con la  giurisprudenza  costituzionale
piu' recente, la quale avrebbe riconosciuto l'ormai pacifico rilievo,
ad ogni effetto, anche delle minoranze linguistiche «deboli  o  senza
stato»  (anche  sul  punto  e'  citata  la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 215 del 2013); 
    che una  minoranza  linguistica  riconosciuta,  quale  e'  quella
friulanofona,   non   potrebbe   vedersi   discriminata   da    parte
dell'ordinamento italiano solamente «in quanto priva di stato  estero
di riferimento»; 
    che l'art. 3 dello statuto speciale della Regione  Friuli-Venezia
Giulia pone sullo stesso piano tutti i  gruppi  linguistici  presenti
nel territorio regionale; 
    che tali principi dovrebbero applicarsi a tutte  le  materie,  ed
anche a quella elettorale, tant'e' - assumono le parti private -  che
la  stessa  legislazione  elettorale  statale  darebbe  rilievo  agli
ordinamenti speciali per l'applicabilita' delle formule di favore  di
volta in volta previste; 
    che, nell'imminenza dell'udienza  pubblica,  in  data  20  maggio
2016, le  parti  costituite  nel  giudizio  di  fronte  al  Tribunale
ordinario di Trieste hanno depositato un'ulteriore  memoria,  in  cui
replicano alle osservazioni dell'Avvocatura generale dello Stato; 
    che,  quanto  alle  eccezioni   di   inammissibilita'   sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato, le parti  osservano  che  delle
disposizioni censurate non sarebbe possibile dare  un'interpretazione
costituzionalmente conforme e che solo l'accoglimento delle questioni
sollevate dal giudice a quo consentirebbe di dare  effettiva  parita'
di trattamento, garantita dagli artt. 2, 3 e 6 Cost., alle  minoranze
linguistiche riconosciute dalla legge n.  482  del  1999  e  tutelate
dall'art. 3  dello  statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia e dalla relativa disciplina di attuazione; 
    che sussisterebbe, inoltre, l'interesse delle parti ad agire  nel
giudizio principale, in quanto  il  ricorso  sarebbe  stato  promosso
prima dello svolgimento della consultazione elettorale del 2014, allo
scopo di potere esercitare il diritto di voto sotto la vigenza di una
legislazione elettorale  «costituzionalmente  compatibile»,  anziche'
dover attendere l'esito finale dell'applicazione di leggi  elettorali
incostituzionali  per  impugnarne,  in  un  momento   successivo,   i
risultati; 
    che, quanto alla concretezza dell'interesse ad  agire,  le  parti
evidenziano che il ricorso e' stato  promosso  in  relazione  ad  una
legislazione  elettorale  che,   nel   2009,   aveva   gia'   trovato
applicazione; 
    che i ricorrenti - in qualita'  di  appartenenti  alla  minoranza
friulanofona  -  vanterebbero  anche  un  interesse  all'affermazione
dell'eguaglianza  tra  minoranze  linguistiche  (sono  menzionate  le
sentenze della Corte costituzionale n. 215 del  2013  e  n.  159  del
2009) e, infatti,  l'accertamento  richiesto  nel  giudizio  pendente
avanti al Tribunale  civile  di  Trieste  risulterebbe  riferito  non
soltanto  alle   questioni   elettorali,   ma   all'affermazione   di
fondamentali  principi  di  parita'  di  trattamento  tra  tutte   le
comunita' linguistiche autoctone legislativamente riconosciute; 
    che,  quanto  al  merito  delle  censure  sollevate  dal  giudice
rimettente, le parti ribadiscono - anche attraverso il richiamo  alle
gia' menzionate decisioni della Corte costituzionale - la  necessita'
di garantire l'eguaglianza tra minoranze linguistiche, in particolare
ricordando i caratteri e la diffusione  della  comunita'  linguistica
friulanofona; 
    che, infine,  esse,  in  via  subordinata,  chiedono  alla  Corte
costituzionale di operare  un  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia, ai sensi dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione   europea,   in   merito   alla   «compatibilita'   della
legislazione elettorale interna per il  Parlamento  Europeo  rispetto
all'ordinamento comunitario», in relazione al mantenimento in  vigore
nell'ordinamento interno di uno Stato  membro  delle  discriminazioni
legislative tendenti ad escludere, o comunque a trattare  in  maniera
deteriore,  ai  fini  dell'elezione  dei  rappresentanti  dei  propri
cittadini comunitari in seno  al  Parlamento  europeo,  le  minoranze
linguistiche che non siano «collegate a uno Stato estero». 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Cagliari, con ordinanza
del  12  maggio  2014,  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 12, comma 9, 21, comma 1, numeri 1) e  3),
e 22, commi 2 e 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18  (Elezione  dei
membri  del  Parlamento  europeo  spettanti  all'Italia),  nel  testo
risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 20  febbraio  2009,
n. 10 (Modifiche alla legge  24  gennaio  1979,  n.  18,  concernente
l'elezione dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia),
in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, e  51,  primo  comma,
della Costituzione; 
    che il Tribunale ordinario di Trieste,  seconda  sezione  civile,
con  ordinanza  del  12  agosto  2014,  ha  sollevato  questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 12, comma  9,  21,  comma  1,
numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della legge n. 18  del  1979,  nel
testo risultante dalle modifiche apportate  dalla  legge  n.  10  del
2009, in riferimento agli artt. 2, 3, 48, secondo comma, e 51,  primo
comma, Cost.; 
    che entrambi i rimettenti lamentano che le disposizioni censurate
tratterebbero in modo diseguale le liste di  candidati  eventualmente
presentate da partiti o gruppi politici espressi dalle  minoranze  di
lingua  francese  della  Valle  d'Aosta,  di  lingua  tedesca   della
Provincia autonoma di Bolzano, di lingua slovena  del  Friuli-Venezia
Giulia, favorendole rispetto alle liste eventualmente  presentate  da
altre minoranze linguistiche «riconosciute e tutelate  da  una  legge
dello Stato o da Convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate
dall'Italia» e, in particolare, dall'art. 2 della legge  15  dicembre
1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
storiche); 
    che i giudizi, avendo ad oggetto le medesime disposizioni,  e  in
parte gli stessi parametri costituzionali, devono essere riuniti  per
essere decisi con un'unica pronuncia; 
    che le questioni prospettate sono  manifestamente  inammissibili,
per le ragioni gia' evidenziate da questa Corte nella sentenza n. 110
del 2015; 
    che, infatti, entrambi i giudici rimettenti, quanto all'interesse
ad agire dei ricorrenti nei due giudizi, si  limitano  a  richiamare,
con un rinvio per relationem, i contenuti delle decisioni della Corte
di cassazione, prima sezione civile,  21  marzo-17  maggio  2013,  n.
12060 e 4-16 aprile 2014, n.  8878,  e  a  citare  il  petitum  delle
domande   rispettivamente    presentate    da    costoro,    relative
all'accertamento della conformita' a Costituzione del loro diritto di
voto; 
    che, cosi' facendo, entrambi i giudici a quibus non  argomentano,
sul punto, in modo sufficiente e non implausibile, cosi'  da  esimere
questa Corte da un riesame della motivazione in ordine alla rilevanza
delle questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 110 del 2015,  n.
200 del 2014, n. 91 del 2013 e n. 41 del 2011); 
    che, in particolare, in relazione alle questioni di  legittimita'
costituzionale  sollevate,  i  rimettenti  non  offrono   un'adeguata
motivazione  sull'appartenenza   dei   ricorrenti   alle   specifiche
minoranze linguistiche, asseritamente  discriminate,  limitandosi  ad
affermare, il solo Tribunale ordinario di Trieste, che essi  sono  di
lingua friulanofona,  nulla  invece  essendo  esposto  dal  Tribunale
ordinario di Cagliari; 
    che, inoltre, le disposizioni di legge regolanti  l'elezione  dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia possono  pervenire
al vaglio di  legittimita'  costituzionale  secondo  l'ordinaria  via
incidentale, in  un  giudizio  avente  ad  oggetto  una  controversia
concretamente originatasi nel procedimento  elettorale  (sentenza  n.
110 del 2015); 
    che, in particolare,  contrariamente  a  quanto  affermato  dalla
difesa delle parti costituite, il  diritto  costituzionale  di  voto,
nelle  elezioni  dei  membri   del   Parlamento   europeo   spettanti
all'Italia,  puo'  trovare  tutela  non  solo  successivamente   alle
elezioni, attraverso  l'impugnazione  dei  risultati  elettorali,  ma
anche nell'ambito del  procedimento  elettorale  preparatorio,  nelle
ipotesi previste dall'art. 129 del decreto legislativo 2 luglio 2010,
n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), in ossequio al principio per  cui  il  sindacato  su
atti immediatamente lesivi del diritto a  partecipare  alle  elezioni
rappresenta una garanzia fondamentale dei cittadini e deve  svolgersi
attraverso una tutela giurisdizionale piena e tempestiva (sentenza n.
236 del 2010); 
    che tali possibilita' di  tutela  di  fronte  al  giudice  comune
giustificano   il   differente   trattamento   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale ora in esame, rispetto a quelle sollevate
nell'ambito di  azioni  volte  all'accertamento  della  pienezza  del
diritto di voto  in  relazione  alle  elezioni  per  il  rinnovo  del
Parlamento nazionale, diritto che, invece, non  puo'  trovare  tutela
giurisdizionale, in virtu' di quanto disposto dall'art.  66  Cost.  e
dall'art. 87 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo
unico delle leggi recanti norme per  la  elezione  della  Camera  dei
deputati), quali interpretati dai giudici comuni e  dalle  Camere  in
sede di verifica delle elezioni (sentenza n. 259 del 2009 e ordinanza
n. 512 del 2000), anche alla  luce  della  mancata  attuazione  della
delega contenuta nell'art. 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile), nella parte in
cui autorizzava il Governo ad introdurre la  giurisdizione  esclusiva
del giudice amministrativo nelle controversie  concernenti  atti  del
procedimento elettorale  preparatorio,  oltre  che  per  le  elezioni
amministrative ed europee, anche per  quelle  per  il  rinnovo  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   manifestamente   inammissibili   le    questioni    di
legittimita' costituzionale degli artt. 12, comma  9,  21,  comma  1,
numeri 1) e 3), e 22, commi 2 e 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18
(Elezione dei membri del Parlamento  europeo  spettanti  all'Italia),
come modificati dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10  (Modifiche  alla
legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei  membri  del
Parlamento europeo spettanti all'Italia),  promossi,  in  riferimento
agli artt. 2,  3,  48,  secondo  comma,  e  51,  primo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario di  Cagliari  e  dal  Tribunale
ordinario di  Trieste,  seconda  sezione  civile,  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 giugno 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA