N. 175 SENTENZA 21 giugno - 14 luglio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Mafia e criminalita' organizzata -  Assunzione  nei  ruoli  regionali
  delle vittime del terrorismo e della criminalita'  organizzata  per
  chiamata diretta e personale con livello contrattuale  e  qualifica
  corrispondenti al titolo di studio posseduto -  Individuazione  dei
  beneficiari e dei soggetti obbligati - Riconoscimento  del  diritto
  ad assentarsi dal posto di lavoro per un numero  massimo  di  cento
  ore annue retribuite al fine di partecipare a iniziative  pubbliche
  per la diffusione della cultura della legalita'. 
- Legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12  (Promozione  della
  cultura della legalita', della memoria e  dell'impegno),  artt.  7,
  commi 1, 3 e 5, 8, commi 1 e 3. 
-   
(GU n.29 del 20-7-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giuseppe FRIGO, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano  AMATO,
  Silvana SCIARRA, Nicolo' ZANON, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  commi
1, 3 e 5, 8, commi 1 e 3, della legge della Regione Puglia  23  marzo
2015, n. 12 (Promozione della cultura della legalita', della  memoria
e dell'impegno), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri
con  ricorso  notificato  il  25-27  maggio   2015,   depositato   in
cancelleria il 28 maggio 2015 ed  iscritto  al  n.  57  del  registro
ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  giugno  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il  Presidente
del Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Marina  Altamura  per  la
Regione Puglia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito  per  la  notifica  il  25  maggio  2015,
ricevuto dalla resistente il 27 maggio 2015 e depositato il 28 maggio
2015 (reg. ric. n. 57 del 2015),  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale,  in  via
principale, dell'art. 7, commi 1, 3 e 5 e dell'art. 8, commi 1  e  3,
della legge della Regione Puglia 23 marzo  2015,  n.  12  (Promozione
della cultura della legalita', della  memoria  e  dell'impegno),  per
violazione degli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere  l)  e  o),
della Costituzione. 
    1.1.- Quanto all'art. 7 della legge regionale  citata,  la  parte
ricorrente  assume  che  le  disposizioni   impugnate   dettino   una
disciplina difforme  rispetto  a  quella  racchiusa  nella  normativa
statale di riferimento (legge  23  novembre  1998,  n.  407,  recante
«Nuove  norme  in  favore  delle  vittime  del  terrorismo  e   della
criminalita' organizzata») e siano, pertanto, lesive della competenza
esclusiva statale in tema di ordinamento civile  (art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost.) e previdenza  sociale  (art.  117,  secondo
comma, lettera o), Cost.). 
    A dire della parte ricorrente,  la  disciplina  del  rapporto  di
lavoro  nelle  pubbliche   amministrazioni   attiene   alla   materia
dell'ordinamento  civile,  di  competenza  esclusiva  statale,  e   a
un'altra materia  di  competenza  esclusiva  statale,  la  previdenza
sociale, attiene la disciplina del collocamento obbligatorio. 
    Il ricorrente  lamenta  che  le  discrepanze  tra  la  disciplina
regionale  attuativa  e  la  normativa  statale   contravvengano   al
principio  di  eguaglianza,  in   quanto   generano   disparita'   di
trattamento tra i  parenti  delle  vittime  del  terrorismo  e  della
criminalita' organizzata: persone  nell'identica  situazione  possono
accedere al collocamento obbligatorio in Puglia e non in altre  parti
del territorio nazionale. 
    1.1.1.- In particolare, l'art. 7, comma 1, della legge  regionale
n. 12 del 2015, nel prevedere  in  linea  generale  l'assunzione  nei
ruoli regionali delle vittime del  terrorismo  e  della  criminalita'
organizzata per semplice chiamata diretta e personale, contrasterebbe
con l'art. 1, comma 2, della legge  n.  407  del  1998,  che,  per  i
livelli retributivi dal sesto all'ottavo, subordina l'assunzione  del
personale all'espletamento di una prova di idoneita'  e  al  rispetto
del limite del dieci per cento delle vacanze nell'organico. 
    L'assunzione in  ruolo  senza  previo  concorso  si  porrebbe  in
conflitto, inoltre, con l'art. 97 Cost., che impone il concorso quale
modalita'   di   reclutamento   del   personale    delle    pubbliche
amministrazioni. 
    1.1.2.-  Quanto  all'art.  7,  comma  3,  della  legge  regionale
impugnata, esso contemplerebbe  altri  beneficiari  (conviventi  more
uxorio e genitori) in aggiunta  a  quelli  individuati  dall'art.  1,
comma 2, della legge n. 407  del  1998  (coniuge,  figli  superstiti,
fratelli conviventi e a carico dei soggetti deceduti). 
    1.1.3.- L'art. 7, comma 5, della legge regionale n. 12 del  2015,
che vincola gli enti o agenzie  istituiti  o  comunque  dipendenti  o
controllati dalla Regione  Puglia,  le  societa'  di  capitale  dalla
stessa interamente partecipate e le aziende e unita' sanitarie locali
all'attuazione   del   diritto    al    collocamento    obbligatorio,
allargherebbe  la  platea  dei  soggetti  obbligati   rispetto   alle
indicazioni dell'art. 1, comma 2, della legge n.  407  del  1998:  la
normativa   statale,   difatti,   enumera    tutte    le    pubbliche
amministrazioni  individuate  dall'art.  1,  comma  2,  del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle  amministrazioni  pubbliche),  senza
far parola degli enti e delle agenzie istituiti o comunque dipendenti
o controllati  dalla  Regione  Puglia,  delle  societa'  di  capitale
partecipate dalla Regione e delle aziende e unita' sanitarie locali. 
    1.2.- Il  ricorrente  dubita  della  legittimita'  costituzionale
della disciplina regionale dei  permessi  retribuiti  dei  lavoratori
assunti perche' vittime della mafia, della criminalita'  organizzata,
del terrorismo e del dovere. 
    Le censure del Presidente del Consiglio dei ministri investono, a
tale riguardo, l'art. 8 della legge regionale n.  12  del  2015,  che
accorda ai lavoratori  subordinati,  assunti  in  applicazione  della
normativa regionale sul  collocamento  obbligatorio,  il  diritto  di
assentarsi per cento ore annue, al fine di partecipare  a  iniziative
pubbliche,  anche  presso  scuole  e   istituzioni,   finalizzate   a
diffondere la cultura della legalita' e della memoria  delle  vittime
della mafia, della criminalita' organizzata,  del  terrorismo  e  del
dovere (comma 1). 
    Le ore di assenza sono retribuite, anche  a  fini  previdenziali,
quali normali ore di lavoro (comma 3). 
    Con riguardo a tali disposizioni, il Presidente del Consiglio dei
ministri deduce la violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
l), Cost. e argomenta che la disciplina in esame invade la competenza
esclusiva  statale  nella  materia   dell'ordinamento   civile,   che
ricomprende la  regolamentazione  dei  rapporti  di  lavoro  pubblico
privatizzati, come quelli dei dipendenti delle Regioni. 
    Il ricorrente prospetta, inoltre, la  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera o), Cost., sul presupposto che le disposizioni
menzionate, nel disciplinare i riflessi previdenziali  delle  ore  di
assenza, invadano la competenza esclusiva che la  Carta  fondamentale
attribuisce allo Stato nella materia della previdenza sociale. 
    Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate ledono  anche
il principio di eguaglianza: con riguardo al diritto  di  fruire  dei
permessi  per  assenze  retribuite,  i  lavoratori  con  le  medesime
caratteristiche, collocati presso altre amministrazioni pubbliche, si
troverebbero  in  una  diversa  e  deteriore  posizione  rispetto  ai
lavoratori assunti dalla Regione Puglia. 
    2.- Nel giudizio si e' costituita la Regione Puglia,  in  persona
del  Presidente   pro   tempore,   e   ha   chiesto   di   dichiarare
l'inammissibilita' o comunque l'infondatezza delle  censure  proposte
con il ricorso introduttivo. 
    2.1.- La Regione resistente  eccepisce  l'inammissibilita'  delle
censure riguardanti l'art. 7 della legge impugnata, asserendo di  non
essere stata adeguatamente informata circa le  critiche  formulate  a
tale riguardo: la relazione inviata dal Dipartimento per  gli  Affari
regionali, le Autonomie e lo Sport non conterrebbe alcun richiamo  ai
precetti costituzionali violati dall'art. 7 della legge regionale. 
    Ad  ogni  modo,  le  censure,  che  si  appuntano   contro   tale
disposizione, sarebbero infondate. 
    2.1.1.- La Regione replica che,  soltanto  per  l'assunzione  nei
livelli sesto, settimo e ottavo, si svolge una previa prova selettiva
e si applica il limite del 10% del numero di vacanze dell'organico. 
    Il personale della Regione, per  contro,  sarebbe  articolato  in
quattro categorie contrattuali, che comprendono  livelli  retributivi
tutti inferiori al sesto. 
    Le disposizioni regionali non arrecherebbero alcun pregiudizio al
sistema del collocamento obbligatorio: la  legge  regionale  mantiene
inalterato il  sistema  del  collocamento  obbligatorio  e  si  muove
nell'alveo delle prescrizioni della legge statale. 
    2.1.2.- Quanto all'estensione del  collocamento  obbligatorio  al
convivente more uxorio, la legge  censurata  si  sarebbe  limitata  a
recepire l'equiparazione tra coniuge e  convivente  more  uxorio  che
gia' traspare, seppure  in  modo  frammentario  e  incompiuto,  dalla
legislazione  statale  e  da  altre  leggi  regionali,  come   quella
siciliana, adottate nella medesima  materia  e  non  impugnate  dallo
Stato. 
    Tale equiparazione - argomenta la parte resistente - e'  conforme
ai principi enunciati dal Parlamento Europeo, con la  Risoluzione  13
marzo 2012 sulla parita' tra  donne  e  uomini  nell'Unione  europea,
dalla giurisprudenza costituzionale  e  dalle  pronunce  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo. 
    L'estensione del beneficio ai genitori della vittima  sarebbe  in
linea con altre previsioni statali, riguardanti dipendenti pubblici e
cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche. 
    2.1.3.- La parte resistente reputa generiche e,  di  conseguenza,
inammissibili  le  doglianze  sull'estensione  della   platea   degli
obbligati al collocamento, che comunque ricomprende anche le societa'
interamente partecipate dalla Regione, per effetto dell'art.  18  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n. 133. 
    2.2.- Ad avviso della Regione resistente, non  coglierebbero  nel
segno neppure le censure riguardanti l'art. 8 della legge regionale. 
    La contrattazione collettiva, che,  secondo  la  difesa  statale,
avrebbe la prerogativa di disciplinare la materia  dei  permessi,  ha
accordato al dipendente la facolta' di fruire di  altri  permessi,  a
patto che siano previsti da ulteriori disposizioni di legge (art. 19,
comma 9, del contratto  collettivo  nazionale  per  Regioni  ed  enti
locali del 6 luglio  1995).  La  legge  regionale  impugnata  sarebbe
riconducibile al novero di tali disposizioni. 
    A dire della Regione Puglia,  le  disposizioni  sui  permessi  si
configurano come misure di "collocamento mirato", volte a  facilitare
l'inserimento nel posto di lavoro, secondo le previsioni dell'art.  2
della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro  dei
disabili),  applicabile  anche  alla  fattispecie  del   collocamento
obbligatorio delle vittime del dovere in virtu' del richiamo generale
contenuto nell'art. 1 della legge n. 407 del 1998. 
    Cosi'  inquadrata,  la  disciplina  sui  permessi  rientra  nella
competenza    residuale    della    Regione    sull'ordinamento     e
sull'organizzazione amministrativa regionale e  persegue  l'obiettivo
di promuovere efficacemente la cultura della legalita',  riconoscendo
l'apporto offerto  dalle  vittime  della  mafia,  della  criminalita'
organizzata, del terrorismo e del dovere. 
    3.- In prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio  dei
ministri ha depositato  una  memoria  illustrativa,  nella  quale  ha
ribadito le conclusioni gia' rassegnate e ha  contrastato  i  rilievi
della parte resistente. 
    Quanto all'inammissibilita' parziale dell'impugnazione, la  parte
ricorrente ha replicato che la corrispondenza dei motivi  di  ricorso
dev'essere valutata con riguardo alla relazione  del  Ministro  degli
affari regionali,  allegata  alla  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri, e non gia' con riguardo alla  comunicazione,  peraltro  non
obbligatoria, successivamente inviata dagli uffici  del  Dipartimento
per gli Affari regionali, le Autonomie e lo Sport. 
    Quanto alle censure  formulate  all'art.  7,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri osserva che la legge regionale,  senza  alcuna
distinzione tra gli effettivi livelli di  inquadramento,  dispensa  i
propri dipendenti dalla preventiva prova di idoneita'  e  dal  limite
percentuale di assunzioni sancito dalla legge statale. 
    Ad avviso  della  parte  ricorrente,  e'  apodittico,  oltre  che
inesatto, il rilievo che  i  livelli  retributivi  sesto,  settimo  e
ottavo  non  trovino  riscontro  nei   livelli   retributivi   e   di
inquadramento del personale della Regione. 
    La legislazione regionale, inoltre, si dovrebbe  uniformare  alle
prescrizioni della  legge  statale,  che  delimitano  la  platea  dei
beneficiari del collocamento obbligatorio, escludendo i genitori e  i
conviventi more uxorio, con  apprezzamento  discrezionale  rispettoso
del canone di ragionevolezza. 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  osserva  che,  sulle
restanti censure, la parte resistente non ha articolato  critiche  di
sorta. 
    4.- All'udienza pubblica del 21  giugno  2016,  la  difesa  della
Regione  Puglia  ha  rinunciato  all'eccezione  di   inammissibilita'
parziale del ricorso; per  il  resto,  le  parti  hanno  ribadito  le
conclusioni gia' rassegnate nei rispettivi atti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1, 3 e 5, e  dell'art.
8, commi 1 e 3, della legge della Regione Puglia 23 marzo 2015, n. 12
(Promozione  della  cultura  della   legalita',   della   memoria   e
dell'impegno), per violazione degli artt. 3, 97, 117, secondo  comma,
lettere l) e o), della 
    Costituzione. 
    1.1.- Quanto alle disposizioni dell'art. 7 della legge  regionale
n. 12 del 2015, il ricorrente prospetta la lesione  della  competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost.) e previdenza  sociale  (art.  117,  secondo
comma,  lettera  o),  Cost.)  e  la  violazione  del   principio   di
eguaglianza e pone in risalto il contrasto con la  normativa  statale
di riferimento, dettata dalla legge 23 novembre 1998, n.  407  (Nuove
norme in favore delle vittime del  terrorismo  e  della  criminalita'
organizzata). 
    1.1.1.- Il ricorrente impugna l'art.  7,  comma  1,  della  legge
regionale  citata,  nella   parte   in   cui   sancisce   la   regola
dell'assunzione nei  ruoli  della  Regione  per  chiamata  diretta  e
personale, discostandosi dalla previsione statale che, per i  livelli
retributivi dal sesto all'ottavo, individua presupposti piu' rigorosi
(una prova preliminare di idoneita' e un limite del 10% delle vacanze
dell'organico). 
    Tale  disposizione  derogatoria,  ad   avviso   del   ricorrente,
confliggerebbe  anche  con  il  principio  del   pubblico   concorso,
consacrato  dalla  Carta  fondamentale  come  modalita'  generale  di
reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni  (art.  97
Cost.). 
    1.1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  censura  l'art.
7, comma 3, della legge della Regione Puglia n. 12  del  2015,  nella
parte in cui estende  la  platea  dei  beneficiari  del  collocamento
obbligatorio delle vittime del dovere anche ai conviventi more uxorio
e ai genitori. 
    Una  tale  estensione  non  troverebbe  alcun   riscontro   nella
normativa di principio dettata dalla legge statale. 
    1.1.3.- Le censure del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
investono anche l'art. 7, comma 5, della legge regionale citata,  che
demanda il compito di attuare il collocamento obbligatorio anche agli
enti e alle agenzie «istituiti o comunque  dipendenti  o  controllati
dalla Regione  Puglia»,  alle  «societa'  di  capitale  dalla  stessa
interamente partecipate» e alle «aziende e unita' sanitarie locali». 
    Il ricorrente assume che tali enti,  contemplati  soltanto  dalla
previsione regionale, esulino dal novero dei soggetti enumerati dalla
legge dello Stato, che si indirizza alle  pubbliche  amministrazioni,
cosi' come identificate dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165 (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). 
    2.- Le doglianze del ricorrente  si  appuntano  anche  contro  la
speciale disciplina dei permessi, racchiusa nell'art. 8, commi 1 e 3,
della legge impugnata. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  argomenta  che  la
concessione alle vittime del dovere del beneficio di cento ore  annue
di permessi retribuiti e l'equiparazione delle ore di assenza,  anche
ai  fini  previdenziali,  a  normale  tempo  di  lavoro  invadono  la
competenza esclusiva statale in materia di ordinamento  civile  e  di
previdenza sociale (art. 117, secondo comma, lettere l) e o), Cost.). 
    3.- Si deve dare atto, in linea preliminare, che la difesa  della
Regione  Puglia,  all'udienza  del  21  giugno  2016,  ha  rinunciato
all'eccezione di inammissibilita' del ricorso, formulata con riguardo
all'impugnazione dell'art. 7 della legge regionale. 
    La Regione, nel costituirsi in giudizio, aveva evidenziato che la
relazione del  Ragioniere  generale  dello  Stato  non  enunciava  in
maniera esaustiva «tutte le obiezioni rivolte  alla  legge  regionale
impugnata», limitandosi a rinviare al «Dipartimento per  la  funzione
pubblica,  specificamente  competente  in  materia».  La   nota   del
Dipartimento,   tuttavia,   non   getterebbe   luce   sulle   ragioni
dell'impugnazione. 
    La rinuncia della Regione consente di soprassedere alla  disamina
di tale questione preliminare, che, nel merito,  si  rivela  comunque
infondata. 
    La documentazione, prodotta con il  ricorso  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, smentisce la  violazione  del  «principio  di
corrispondenza fra i motivi del rinvio e i motivi del ricorso». 
    La delibera del Consiglio dei ministri  del  18  maggio  2015  e'
corredata, con riguardo ai dubbi di costituzionalita' sull'art. 7, da
una  diffusa  argomentazione,  che   consente   di   riscontrare   la
corrispondenza tra la deliberazione con cui l'organo  legittimato  si
determina all'impugnazione e il contenuto del ricorso (fra le  altre,
la sentenza n. 246 del 2013). 
    4.-  L'esame  delle  censure  presuppone  la  ricognizione  della
complessa normativa statale, preordinata a tutelare  le  vittime  del
terrorismo e delle organizzazioni mafiose. 
    4.1.- La ratio che ispira  la  normativa  in  questione  consiste
nell'attuare gli inderogabili doveri di solidarieta' della  comunita'
statale (art. 2 Cost.) nei confronti di chi, a causa delle azioni  di
associazioni terroristiche e mafiose, abbia  sofferto  pregiudizio  o
abbia sacrificato la vita. 
    Tale disciplina, successivamente estesa al personale ferito ed ai
superstiti del personale ucciso nell'adempimento del dovere  a  causa
di azioni criminose (art. 82, comma 1, della legge 23 dicembre  2000,
n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001»), agli orfani  o,
in alternativa, al coniuge superstite delle vittime del lavoro  (art.
3,  comma  123,  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2008») e ai  testimoni  di  giustizia
(art. 7, comma 2-bis, secondo periodo, del  decreto-legge  31  agosto
2013, n. 101, recante « Disposizioni urgenti per il perseguimento  di
obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche  amministrazioni»,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
ottobre 2013, n. 125), ha registrato un'incessante evoluzione. 
    Per  quel  che  attiene  al  collocamento   obbligatorio,   parte
qualificante di tali misure di promozione,  il  legislatore  statale,
gia' con l'art. 12 della legge  13  agosto  1980,  n.  466  (Speciali
elargizioni a  favore  di  categorie  di  dipendenti  pubblici  e  di
cittadini vittime  del  dovere  o  di  azioni  terroristiche),  aveva
riconosciuto, principalmente a beneficio del coniuge superstite e dei
figli di chiunque fosse morto o rimasto invalido a  causa  di  azioni
terroristiche,  il  «diritto  di  assunzione  presso   le   pubbliche
amministrazioni,  gli  enti  pubblici  e  le  aziende   private»,   a
preferenza di altre categorie protette. 
    L'art. 14 della legge 20 ottobre 1990, n.  302  (Norme  a  favore
delle vittime del terrorismo e  della  criminalita'  organizzata)  ha
individuato i beneficiari nel  coniuge  superstite,  nei  figli,  nei
genitori dei soggetti deceduti o colpiti da invalidita' permanente in
misura  non  superiore  all'80%   della   capacita'   lavorativa   in
conseguenza  di  atti  di  terrorismo  o  di  eversione   dell'ordine
democratico. La normativa introdotta nel 1980 e  nel  1990  e'  stata
abrogata dalla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per  il  diritto  al
lavoro dei disabili). 
    La legge n. 407 del 1998 ha  delineato  un  diverso  assetto  del
collocamento obbligatorio delle vittime del dovere. 
    Del diritto all'assunzione sono oggi titolari, purche' non vi sia
alcuna connessione  con  gli  ambienti  delinquenziali,  la  vittima,
rappresentante delle istituzioni  o  semplice  cittadino,  che  abbia
subito un'invalidita' permanente a causa dell'evento  terroristico  o
mafioso, nonche' il coniuge e i figli superstiti;  in  alternativa  a
questi familiari, possono accedere  al  beneficio  dell'assunzione  i
fratelli, a patto che siano gli unici superstiti e siano conviventi a
carico della vittima. 
    Il collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo o della
criminalita' organizzata opera con precedenza  assoluta  rispetto  al
collocamento  obbligatorio  di  altre  categorie   protette   e   con
preferenza  a  parita'  di  titoli,  e  prescinde  dal  fatto  che  i
beneficiari gia' svolgano un'attivita' lavorativa. 
    Il decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 1999, n. 510
(Regolamento  recante  nuove  norme  in  favore  delle  vittime   del
terrorismo e della criminalita' organizzata) interviene per definirne
i  dettagli  applicativi,   con   riferimento   al   rilascio   delle
certificazioni attestanti lo status di invalido civile o di caduto  a
causa di atti di terrorismo, di criminalita' organizzata o comune. 
    Il  collocamento  obbligatorio  riguarda   anche   le   pubbliche
amministrazioni  e,  in  quest'ambito,   ottempera   a   prescrizioni
peculiari, sancite dall'art. 1, comma 2, della legge n. 407 del  1998
e dall'art. 35, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche). 
    Per il personale di tutte le amministrazioni pubbliche,  fino  al
quinto livello  retributivo,  le  assunzioni  obbligatorie  avvengono
mediante chiamata diretta nominativa. 
    Per il solo "comparto Ministeri", la  norma  statale  estende  le
assunzioni per chiamata diretta fino all'ottavo livello retributivo. 
    Per gli inquadramenti dal sesto all'ottavo  livello  retributivo,
la legge richiede il  superamento  di  una  prova  di  idoneita'  non
comparativa e pone il limite del 10% dell'organico vacante. 
    La normativa di settore si raccorda a  quella  generale,  dettata
dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, prima richiamata,  vero  e  proprio
snodo nella disciplina del collocamento obbligatorio. 
    Si deve  evidenziare  che  l'ampia  categoria  della  disabilita'
consente,  nell'impostazione  voluta  dal  legislatore,  di  superare
regimi diversi di tutela e di prescindere dalla causa generatrice del
disagio.  Si  perfeziona,  in  tal  modo,  un  sistema  integrato  di
collocamento  obbligatorio  che,  nel  consentire   una   diramazione
territoriale di  funzioni  organizzative,  attua  la  legge  statale,
seguendo un principio di prossimita' nell'erogazione delle misure  di
tutela. Il raggio di azione del sostegno legislativo si espande  fino
a includere  in  tale  tutela  le  vittime  del  terrorismo  o  della
criminalita' organizzata. 
    4.2.- Occorre, preliminarmente,  individuare  l'ambito  materiale
nel  quale   ricade   la   ricordata   normativa   sul   collocamento
obbligatorio, alla luce del costante orientamento  di  questa  Corte,
che impone di conferire rilievo alla ratio che ispira la  disciplina,
al  suo  contenuto   precettivo   e   all'oggetto   specifico   della
regolamentazione adottata (sentenze n. 245 del 2015, punto  3.1.  del
Considerato in diritto, e n. 140 del 2015, punto 6.  del  Considerato
in diritto). 
    La disciplina del collocamento  obbligatorio  delle  vittime  del
terrorismo o della criminalita' organizzata deve essere ascritta,  in
via prevalente,  alla  materia  dell'ordinamento  civile  (art.  117,
secondo comma, lettera l),  Cost.),  di  competenza  esclusiva  dello
Stato. 
    La definizione dei presupposti  oggettivi  e  soggettivi  di  una
normativa speciale, volta a dare concreta attuazione  a  inderogabili
doveri di solidarieta', interferisce, difatti, con la disciplina  del
rapporto di lavoro,  riconducibile  a  tale  materia,  e  postula  un
trattamento uniforme su tutto il territorio nazionale. 
    La pertinenza  della  disciplina  del  collocamento  obbligatorio
delle vittime del terrorismo o della  criminalita'  organizzata  alla
materia dell'ordinamento civile deve essere  ribadita  anche  per  il
lavoro alle dipendenze delle Regioni e degli enti locali (sentenza n.
150 del 2015), in seguito alla "privatizzazione", che ha assoggettato
tale rapporto alla disciplina generale dei  rapporti  di  lavoro  tra
privati (art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    Il collocamento obbligatorio, per altro  verso,  coinvolge  anche
competenze delle Regioni,  come  traspare  da  un  assetto  normativo
risalente, a partire dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469
(Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni  e  compiti
in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge
15 marzo 1997, n. 59), che demandava alle Regioni la  titolarita'  di
funzioni e compiti relativi al collocamento e alle  politiche  attive
del  lavoro,  «nell'ambito  di  un  ruolo  generale   di   indirizzo,
promozione e coordinamento dello Stato» (art. 1). 
    A tale ruolo si riallaccia anche il disposto dell'art.  20  della
legge n. 68 del 1999, che, in tema di collocamento  obbligatorio  dei
soggetti  svantaggiati,  conferisce  alle  Regioni  e  alle  Province
autonome  il  compito  di  attuare,  «nell'ambito  delle   rispettive
competenze», le disposizioni dettate dalla legge statale. 
    Nel contesto normativo cosi'  delineato,  si  situa  l'intervento
della Regione Puglia,  che  si  prefigge  di  allestire  «un  sistema
integrato  di  interventi  per  la  diffusione  della  cultura  della
legalita' e della pace» e di promuovere l'impegno «contro ogni  forma
di criminalita' e per il contrasto ad ogni fenomeno di  infiltrazione
del crimine organizzato nel tessuto sociale ed  economico  regionale»
(art. 1). 
    L'impegno e' strettamente correlato alla  scelta  di  attuare  il
diritto al collocamento obbligatorio delle vittime della mafia, della
criminalita' organizzata, del terrorismo e del dovere (art. 7,  comma
1), attraverso la disciplina censurata con l'odierno ricorso. 
    5.- Non sono fondate, nei termini di cui si dira', le censure che
vertono sull'art. 7, commi 1 e 5, della legge regionale impugnata. 
    5.1.-  Nel  prevedere  che  l'assunzione  dei   beneficiari   del
collocamento  obbligatorio   delle   vittime   della   mafia,   della
criminalita' organizzata, del terrorismo e  del  dovere  avvenga  per
chiamata diretta e personale, l'art. 7, comma 1,  della  legge  della
Regione Puglia n. 12  del  2015  non  lede  la  potesta'  legislativa
statale in  materia  di  ordinamento  civile  e  non  e'  disarmonico
rispetto alle  previsioni  della  legge  dello  Stato,  invocate  nel
ricorso. 
    La legge regionale, che manifesta a chiare lettere  l'intento  di
dare attuazione al diritto al collocamento obbligatorio  riconosciuto
dalla legge statale, prevede la chiamata diretta nei  limiti  in  cui
anche  la  legge  statale,  richiamata  come  riferimento   normativo
ineludibile, lo consente. 
    In una legge  che  persegue  compiti  meramente  attuativi  della
disciplina statale e si colloca, percio',  nell'alveo  tracciato  dal
citato art. 20 della legge  n.  68  del  1999,  il  riferimento  alla
chiamata diretta, prevista dall'art. 1, comma 2, della legge  n.  407
del 1998 e dall'art. 35, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n.  165
del 2001, concerne le  sole  ipotesi  (livelli  retributivi  fino  al
quinto),  in  cui  la  normativa  statale  contempla  tale  forma  di
assunzione. 
    A favore di  tale  interpretazione  sistematica  della  normativa
impugnata  militano  l'inequivocabile  riferimento  alla   disciplina
statale, preordinata a garantire la piu'  efficace  attuazione  delle
misure di sostegno e  di  inserimento  nel  lavoro,  e  l'assenza  di
elementi che possano avvalorare un'estensione indebita di tale  forma
di  assunzione,  derogatoria  rispetto  alla  regola   del   pubblico
concorso. Tale sarebbe l'ampliamento  delle  assunzioni  dirette  nei
livelli retributivi superiori al quinto, non contemplato dalla  legge
statale. 
    5.2.- Non colgono nel segno i motivi di  ricorso,  formulati  con
riguardo all'art. 7, comma 5, della legge regionale impugnata. 
    Nel disporre che il  diritto  al  collocamento  obbligatorio  sia
attuato «dagli enti e  agenzie  istituiti  o  comunque  dipendenti  o
controllati dalla Regione Puglia, dalle societa'  di  capitale  dalla
stessa  interamente  partecipate  nonche'  dalle  aziende  e   unita'
sanitarie locali», la  normativa  regionale  impugnata  non  sconfina
nella competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e
non estende arbitrariamente la platea degli obbligati  rispetto  alle
previsioni della legge statale. 
    Con la disposizione censurata, la  Regione  intende  attuare  una
normativa dello Stato provvista di valenza generale. 
    L'enumerazione degli enti, chiamati  ad  attuare  il  diritto  al
collocamento obbligatorio,  deve  essere  letta  in  una  prospettiva
sistematica, che  ponderi,  da  un  lato,  la  normativa  statale  di
riferimento,  nella  parte  in  cui  identifica  le   amministrazioni
pubbliche destinatarie dei precetti del d.lgs. n. 165  del  2001,  e,
dall'altro lato, le specificita' dei soggetti enumerati  nella  legge
regionale. 
    Quanto alle aziende e alle unita' sanitarie locali, e' la  stessa
normativa statale, dettata dall'art. 1, comma 2, del  d.lgs.  n.  165
del 2001 che include anche  «le  aziende  e  gli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale». 
    Quanto  agli  altri  organismi  indicati  nella  legge  regionale
(agenzie, enti istituiti o controllati o dipendenti  dalla  Regione),
le prescrizioni della  legge  pugliese  costituiscono  specificazioni
dell'ente Regione, indicato tra i destinatari della normativa statale
di cui al predetto decreto legislativo. 
    L'espressione, adoperata  dal  legislatore  pugliese,  evoca  una
categoria  di  enti,  legati  alla  Regione   da   un   rapporto   di
strumentalita',  che  conferisce  loro  il  rango  di   articolazione
dell'amministrazione regionale. Si  tratta  di  una  vasta  gamma  di
figure  soggettive  (enti,  agenzie,  istituti   e   societa'),   cui
l'amministrazione affida  parte  dei  propri  compiti  istituzionali,
sorvegliando, controllando e impartendo direttive. 
    In tale moltitudine di enti si  possono  ricomprendere  anche  le
societa' di capitale interamente partecipate dalla  Regione:  non  si
puo' disconoscere in capo alla Regione, titolare di poteri  direttivi
e  di  controllo  in  virtu'  della  partecipazione  totalitaria   al
capitale, il compito di attuare, anche in relazione a tali  soggetti,
le norme in questione. 
    Circoscritta  entro  queste  precise  coordinate,  la   normativa
censurata coglie la complessita' dell'apparato  amministrativo  della
Regione, comprensivo di tutti i soggetti che perseguono le  finalita'
istituzionali precipue dell'ente  territoriale.  La  connessione  con
l'ente territoriale, che esercita la direzione  e  il  controllo,  si
sostanzia in vincoli pregnanti di dipendenza. 
    Con l'indicazione dei soggetti chiamati ad attuare il diritto  al
collocamento obbligatorio, la disciplina impugnata non esorbita dalle
previsioni di principio della legge n. 68 del  1999  (art.  20),  che
rimette alla Regione il compito di attuare  le  disposizioni  dettate
dal legislatore statale, e incide su materie che  hanno  una  stretta
attinenza con l'organizzazione amministrativa della Regione. 
    Pertanto,  la  disciplina  in  esame  non  invade  la  competenza
esclusiva  dello  Stato,  ma  presidia  la  forza  precettiva   delle
disposizioni generali della legge  statale,  tutelandone  l'effettiva
attuazione anche sul versante  dell'amministrazione  regionale  e  di
tutte le sue multiformi realta'. 
    6.- E' fondata, in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,
comma 3, della legge regionale impugnata. 
    Nell'includere tra i beneficiari  del  collocamento  obbligatorio
delle  vittime  della  mafia,  della  criminalita'  organizzata,  del
terrorismo e del dovere anche i conviventi more uxorio e i  genitori,
la legge regionale lede la competenza esclusiva statale in materia di
ordinamento civile e si discosta dalla previsione dell'art. 1,  comma
2, della legge n. 407 del 1998, che, nella sua attuale  formulazione,
menziona soltanto il coniuge,  i  figli  e,  a  certe  condizioni,  i
fratelli. 
    L'individuazione dei beneficiari  del  collocamento  obbligatorio
delle  vittime  della  mafia,  della  criminalita'  organizzata,  del
terrorismo  e  del  dovere,  aspetto  di  primario  rilievo  di  tale
disciplina speciale, attiene alla materia dell'ordinamento civile, di
competenza esclusiva statale. 
    La  pertinenza   della   disciplina   in   esame   alla   materia
dell'ordinamento civile esclude che il  legislatore  regionale  possa
intervenire in contrasto  con  le  previsioni  della  legge  statale,
chiamate a garantire la parita' di trattamento e il  contemperamento,
nell'ambito di una disciplina generale e astratta, dei diversi valori
in gioco. 
    Restano assorbite le censure  che  fanno  leva  sulla  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera o), e dell'art. 3 Cost. 
    7.-  Tali  considerazioni  si  attagliano  anche  alle   censure,
prospettate con riguardo alla disciplina regionale dei permessi (art.
8, commi 1 e 3, della legge regionale), e conducono  all'accoglimento
dei dubbi di costituzionalita' sollevati dal ricorrente. 
    La  legge  regionale,  nell'attribuire  cento  ore  di   permessi
retribuiti, interviene su  una  materia  -  la  regolamentazione  del
rapporto di lavoro -  attinente  all'ordinamento  civile  e  attratta
nella competenza esclusiva dello Stato. 
    La regolamentazione del rapporto di lavoro e' contraddistinta dal
concorso della fonte legislativa statale  (le  previsioni  imperative
del d.lgs. n. 165 del 2001) e della contrattazione collettiva (art. 2
del d.lgs. n. 165  del  2001),  alla  quale,  in  forza  della  legge
statale,  e'  attribuita  una   potesta'   regolamentare   di   ampia
latitudine. 
    In  una  materia  attinente  all'ordinamento  civile,  vista   la
rigorosa tassativita' delle fonti di disciplina del  rapporto  (legge
statale e, nei limiti segnati dalla legge statale, la  contrattazione
collettiva), non e' dato ravvisare alcuna  riserva  in  favore  della
legislazione regionale a disciplinare aspetti, che si riverberano  in
misura rilevante nello svolgersi del rapporto di lavoro, come  accade
per  l'attribuzione  di  un  cospicuo  numero  di  ore  di   permessi
retribuiti. 
    La previsione della legge pugliese,  dal  carattere  marcatamente
derogatorio, non ha alcun  addentellato  con  le  disposizioni  della
legge statale  sul  collocamento  obbligatorio  delle  vittime  della
mafia, della criminalita' organizzata, del terrorismo e  del  dovere.
Nell'estendere una disciplina speciale, quale e' quella dei permessi,
essa non si connette in alcun modo  con  le  misure  di  collocamento
mirato previste in linea generale dall'art. 2 della legge n.  68  del
1999,  sotto  forma  di  iniziative  e   azioni   di   sostegno   per
l'inserimento dei disabili nel posto di lavoro. 
    Nel  disciplinare  il   trattamento   previdenziale   delle   ore
retribuite per permessi, il legislatore regionale ha  leso,  inoltre,
la competenza esclusiva in materia di previdenza sociale,  attribuita
allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera o), Cost. 
    Restano assorbite le censure,  incentrate  sulla  violazione  del
principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 3,
della legge della Regione Puglia 23 marzo  2015,  n.  12  (Promozione
della cultura della legalita', della memoria e  dell'impegno),  nella
parte in cui annovera anche i conviventi more uxorio e i genitori tra
i beneficiari  del  collocamento  obbligatorio  delle  vittime  della
mafia, della criminalita' organizzata, del terrorismo e del dovere; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi  1
e 3, della citata legge regionale, nella parte  in  cui  accorda,  ai
beneficiari del collocamento obbligatorio delle vittime della  mafia,
della criminalita' organizzata, del terrorismo e del dovere, permessi
retribuiti per cento ore annue e parifica le ore di assenza, anche ai
fini previdenziali, a normali ore di lavoro; 
    3) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi  1  e  5,
della citata legge regionale, promosse dal Presidente  del  Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                   Carmelinda MORANO, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Carmelinda MORANO