N. 205 SENTENZA 6 - 21 luglio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Concorso delle  Province  e  delle
  Citta'  metropolitane  al   contenimento   della   spesa   pubblica
  attraverso  una  riduzione  crescente  della   spesa   corrente   -
  Versamento delle corrispondenti risorse al bilancio dello Stato  e,
  in mancanza, recupero da parte dell'Agenzia delle entrate a  valere
  sui versamenti di  specifiche  imposte  -  Proroga  al  2018  delle
  riduzioni di spesa gia' previste dal d.l. n. 66 del 2014. 
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione  del
  bilancio annuale e pluriennale dello Stato -  legge  di  stabilita'
  2015), art. 1, commi 418, 419 e 451. 
-   
(GU n.30 del 27-7-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
418, 419 e 451, della legge 23 dicembre 2014,  n.  190  (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge di stabilita' 2015), promossi con ricorsi della Regione Veneto,
notificati il 26 e 27 febbraio 2015, depositati in cancelleria il 5 e
9 marzo 2015, ed iscritti ai nn. 36 e 42 del registro ricorsi 2015. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2016 il Giudice relatore
Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Ludovica Bernardi, Mario  Bertolissi  e  Luigi
Manzi per la  Regione  Veneto  e  l'avvocato  dello  Stato  Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Regione Veneto ha impugnato, con due distinti ricorsi (il
primo depositato il 5 marzo 2015 e iscritto al  n.  36  del  registro
ricorsi 2015, il secondo depositato il 9 marzo 2015 e iscritto al  n.
42 del registro ricorsi 2015), diverse disposizioni  della  legge  23
dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2015). 
    Con il primo ricorso la Regione ha impugnato, tra gli  altri,  il
comma 418 dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014,  mentre,  con  il
secondo ricorso, ha contestato, tra gli altri, i commi 418, 419 e 451
del medesimo articolo. 
    Il  comma  418  stabilisce  che  «[l]e  province  e   le   citta'
metropolitane  concorrono  al  contenimento  della   spesa   pubblica
attraverso una riduzione della spesa corrente  di  1.000  milioni  di
euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016  e  di
3.000 milioni di euro a  decorrere  dall'anno  2017»,  e  che,  «[i]n
considerazione» di queste riduzioni di spesa, «ciascuna  provincia  e
citta' metropolitana  versa  ad  apposito  capitolo  di  entrata  del
bilancio dello  Stato  un  ammontare  di  risorse  pari  ai  predetti
risparmi di spesa». Sono escluse da questo  versamento  «le  province
che risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014». Si prevede,
infine, che «[c]on decreto di natura non regolamentare del  Ministero
dell'interno, di concerto con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, da emanare entro il 31 marzo 2015, con il  supporto  tecnico
della Societa' per gli studi  di  settore  -  SOSE  Spa,  sentita  la
Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, e' stabilito l'ammontare
della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire
e del corrispondente versamento tenendo conto anche della  differenza
tra spesa storica e fabbisogni standard». 
    Il comma 419 statuisce che, «[i]n caso di mancato versamento  del
contributo di cui al comma 418, entro il 31 maggio di  ciascun  anno,
sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno,  l'Agenzia
delle entrate [...] provvede al recupero  delle  predette  somme  nei
confronti delle province e delle citta' metropolitane interessate,  a
valere sui versamenti  dell'imposta  sulle  assicurazioni  contro  la
responsabilita' civile derivante dalla  circolazione  dei  veicoli  a
motore, esclusi i ciclomotori, [...] riscossa  tramite  modello  F24,
all'atto del riversamento del relativo gettito alle medesime province
e  citta'  metropolitane».  In  caso  di  «incapienza  a  valere  sui
versamenti dell'imposta di cui  al  primo  periodo,  il  recupero  e'
effettuato  a  valere  sui  versamenti  dell'imposta  provinciale  di
trascrizione,  con  modalita'  definite  con  decreto  del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze,  di  concerto  con   il   Ministero
dell'interno». 
    Il comma 451 proroga dal 2017 al 2018  le  misure  previste  (con
riferimento alle province e alle citta' metropolitane) dall'art.  47,
commi 1 e 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure  urgenti
per la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art.1, comma 1, della legge 23  giugno  2014,  n.
89. L'art. 47, comma 1 (come modificato dal comma 451),  dispone  che
«[l]e province e le  citta'  metropolitane,  a  valere  sui  risparmi
connessi alle misure di cui al comma 2 e all'articolo 19, nonche'  in
considerazione delle misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n.  56,
nelle more dell'emanazione del Decreto del Presidente  del  Consiglio
di cui al comma 92 dell'articolo 1  della  medesima  legge  7  aprile
2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza  pubblica  pari  a
444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di  euro
per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016,
2017 e 2018». Il comma 2 aggiunge che, «[p]er le finalita' di cui  al
comma  1,  ciascuna  provincia  e  citta'  metropolitana  consegue  i
risparmi da versare ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato determinati con  decreto  del  Ministro  dell'interno  da
emanare entro il termine del 30 giugno, per l'anno  2014,  e  del  28
febbraio per gli anni successivi [...]», sulla  base  di  determinati
criteri, di seguito indicati. In base  al  comma  4,  «[i]n  caso  di
mancato versamento del contributo di cui ai commi 2 e 3, entro il  10
ottobre, sulla base dei dati comunicati dal  Ministero  dell'interno,
l'Agenzia delle Entrate [...] provvede  al  recupero  delle  predette
somme nei confronti  delle  province  e  delle  citta'  metropolitane
interessate, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni
contro la responsabilita' civile  derivante  dalla  circolazione  dei
veicoli a motore [...]». 
    2.- Il primo ricorso (r.r. n. 36 del  2015),  dopo  una  premessa
critica sul complesso delle misure adottate dal  legislatore  statale
negli ultimi anni in relazione agli enti locali,  si  sofferma  sulla
legittimazione  della  Regione  a  contestare  norme   lesive   delle
prerogative costituzionali degli  enti  locali  e  a  far  valere  la
violazione di parametri diversi da  quelli  relativi  al  riparto  di
competenze,  in   quanto   tali   violazioni   ridonderebbero   sullo
svolgimento delle funzioni garantite dalla Costituzione. 
    Nel merito, la Regione Veneto solleva, in relazione  all'art.  1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014, cinque distinte questioni  di
costituzionalita'. 
    In primo luogo, la Regione censura la violazione dei principi  di
solidarieta' e  di  eguaglianza  di  cui  agli  artt.  2  e  3  della
Costituzione, per la «disparita' di trattamento e di sacrifici tra  i
vari comparti di cui si  compone  la  Pubblica  Amministrazione»:  il
fatto che il sacrificio richiesto dal comma 418 alle province e  alle
citta'  metropolitane  non  sia  imposto  «ad  altri   comparti   (in
particolar  modo,  alle   Amministrazioni   di   livello   centrale)»
determinerebbe anche la violazione dei principi di  ragionevolezza  e
proporzionalita'. 
    In secondo luogo, la Regione lamenta la  violazione  dell'art.  5
Cost. Prevedendo un «trattamento deteriore» degli enti di area  vasta
rispetto  agli  altri  comparti  della  pubblica  amministrazione   e
apportando  «tagli   indiscriminati   ed   eccessivi   alle   risorse
finanziarie a disposizione delle Amministrazioni  locali»,  la  norma
impugnata  determinerebbe  una  lesione  delle   «esigenze   basilari
dell'autonomia e del decentramento». Il  comma  418  pregiudicherebbe
«la  programmazione  di  bilancio»  degli  enti  locali,   provocando
«l'impossibilita'  per  gli  stessi  di   far   fronte   alle   spese
programmate,  con  grave  pregiudizio  dei  bisogni   primari   della
cittadinanza». 
    In terzo luogo, la Regione lamenta la violazione degli artt.  117
e 119, primo, secondo, terzo e quarto  comma,  Cost.  Il  comma  418,
mediante  i  «"tagli"  sproporzionati  e  non  ragionevoli»  da  esso
previsti, priverebbe le province e le citta' metropolitane della loro
«autonomia  di  spesa»,  incidendo  «sull'equilibrio   dei   relativi
bilanci» (art. 119, primo comma). Inoltre,  imponendo  agli  enti  di
area vasta di versare allo Stato le  risorse  risparmiate,  la  norma
impugnata eliminerebbe le  «risorse  autonome»  e  capovolgerebbe  «i
meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di  risorse  dallo
Stato alla  periferia,  in  violazione  dei  commi  secondo  e  terzo
dell'art.  119  Cost.»,  poiche'  sarebbe  «lo  Stato  a  fruire   di
trasferimenti di risorse da parte degli enti  territoriali  [...],  e
non viceversa». La «diretta conseguenza» di  cio'  consisterebbe  nel
fatto che le province e le citta'  metropolitane  sarebbero  «private
delle risorse minime per assicurare il finanziamento integrale  delle
funzioni pubbliche loro attribuite, in violazione  del  quarto  comma
dell'art. 119 Cost.». In sostanza, la Costituzione non legittimerebbe
«meccanismi  di  trasferimento  di  risorse  economiche  dal  livello
periferico a quello centrale», come e' quello previsto dal comma 418;
il legislatore statale «si sarebbe dovuto limitare alla previsione di
adeguati "tagli"», senza prevedere l'obbligo degli enti di area vasta
di versare i corrispondenti risparmi allo Stato. Inoltre, la  Regione
sottolinea che le risorse  degli  enti  stessi  vanno  «a  finanziare
genericamente la spesa statale», in quanto il comma 418 non prescrive
alcuna destinazione specifica (quale potrebbe essere l'incremento del
fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, o delle  «risorse
aggiuntive» di cui all'art. 119, quinto comma, Cost.). 
    La quarta questione fa riferimento all'esclusione - dalle  misure
introdotte dal comma 418 - delle province «in dissesto alla data  del
15 ottobre 2014»: essa si tradurrebbe  in  una  «discriminazione  tra
Regioni e tra enti territoriali con differenti gradi di sviluppo», in
contrasto con l'art. 3 Cost., in relazione agli artt. 117 e 119 Cost.
Secondo  la  Regione,  il  legislatore  statale  non  avrebbe  dovuto
escludere le province in dissesto dall'applicazione del comma 418, ma
avrebbe dovuto, se del caso, attivare le misure di cui all'art.  119,
terzo e quinto comma, Cost. Viceversa, il comma  418  finirebbe  «per
accordare misure premiali proprio agli enti che hanno dato  prova  di
cattiva gestione della cosa pubblica». 
    Infine la Regione censura il comma 418 per  violazione  dell'art.
117, terzo e quarto comma,  e  dell'art.  119,  primo  comma,  Cost.,
«sotto l'aspetto della non  transitorieta'  della  misura  adottata»,
perche' la riduzione della spesa corrente e' imposta per il 2015, per
il 2016 e «a decorrere dall'anno 2017». 
    2.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale con memoria depositata  il  3
aprile 2015. 
    In via preliminare, la difesa  erariale  segnala  che  l'art.  1,
comma 418, della legge n. 190 del 2014 e'  stato  modificato,  subito
dopo la notificazione del ricorso,  dagli  emendamenti  apportati  al
decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di  termini  previsti
da disposizioni legislative), in sede di conversione, dalla legge  27
febbraio 2015, n. 11, ma che le  modifiche  non  inciderebbero  sulla
materia del contendere. 
    L'Avvocatura  eccepisce  poi  l'inammissibilita'  delle   censure
fondate sugli artt. 2, 3 e 5 Cost., in quanto la Regione non  avrebbe
«sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza delle  lamentate
violazioni sul riparto di competenze». Inammissibili per  genericita'
sarebbero anche le questioni sollevate con riferimento all'art. 118 e
all'art. 119 Cost. Con particolare riguardo a quest'ultimo parametro,
la difesa erariale osserva che la Regione non adduce «elementi atti a
dimostrare che gli  enti  locali,  per  effetto  di  tali  interventi
[riduzione delle risorse], non potranno assolvere in modo adeguato le
proprie funzioni». 
    Nel merito, il ricorso sarebbe infondato perche'  il  legislatore
statale avrebbe esercitato il proprio potere di  coordinamento  della
finanza pubblica. La previsione della riduzione della  spesa  sarebbe
legittima perche' porrebbe un  limite  complessivo,  «lasciando  agli
enti liberta' di allocazione delle risorse fra i  diversi  e  singoli
ambiti  e  obiettivi  di  spesa».  Il  legislatore  statale  potrebbe
legittimamente imporre agli enti locali  vincoli  alle  politiche  di
bilancio, perche' la finanza degli stessi e'  «"parte  della  finanza
pubblica allargata"» (si richiama in tal senso la sentenza n. 79  del
2014). Le misure adottate sarebbero legittime  in  quanto  introdotte
«"per ragioni di  coordinamento  finanziario  volte  a  salvaguardare
[...] l'equilibrio unitario della finanza  pubblica  complessiva,  in
connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati
anche da obblighi comunitari" (C. cost. sent. n. 237 del 2009)». Tali
scopi non potrebbero che essere perseguiti «dal legislatore nazionale
attraverso norme capaci d'imporsi all'intero sistema delle autonomie,
senza eccezioni,  e  in  base  a  parametri  comuni,  ugualmente  non
soggetti a deroghe, allo scopo di garantire la  confrontabilita'  dei
risultati in termini di risanamento della  finanza  pubblica»  (viene
richiamata la sentenza n. 175 del 2014). 
    2.2.- La Regione ha depositato  una  memoria  integrativa  il  12
aprile 2016. In  essa  la  ricorrente  si  sofferma  sulle  modifiche
apportate alla disposizione impugnata  dal  d.l.  n.  192  del  2014,
convertito  dalla  legge  n.  11  del  2015,  osservando   che   esse
aggraverebbero i contenuti lesivi di essa in quanto,  prevedendo  che
le riduzioni di spesa siano «ripartite nelle misure del 90 per  cento
fra gli enti appartenenti alle regioni  a  statuto  ordinario  e  del
restante 10 per cento fra gli enti della Regione  siciliana  e  della
Regione Sardegna», il legislatore statale avrebbe «dimostrato di  non
tenere in minimo conto [...] la  virtuosita'  del  singolo  ente  (o,
quanto  meno,  della  Regione  cui  quest'ultimo  afferisce  [...])».
Secondo la Regione,  le  questioni  di  costituzionalita'  dovrebbero
«intendersi trasferite al nuovo testo di legge». 
    La ricorrente replica  poi  alle  eccezioni  di  inammissibilita'
sollevate dalla Presidenza del Consiglio e sviluppa le argomentazioni
gia'  svolte  nel  ricorso.   Essa   censura   inoltre   la   mancata
considerazione della  virtuosita'  degli  enti,  in  quanto  i  tagli
«colpiscono indiscriminatamente» anche quelli che hanno gia'  ridotto
al minimo le proprie spese. 
    3.- Con il secondo ricorso (r.r.  n.  42  del  2015)  la  Regione
Veneto impugna alcune disposizioni della legge n. 190 del  2014  «che
influiscono gravemente sul processo di riforma» degli enti locali  di
cui alla legge 7  aprile  2014,  n.  56  (Disposizioni  sulle  citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni  e  fusioni  di  comuni),
pregiudicando le attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta
e della Regione Veneto. Con il primo motivo  di  ricorso  la  Regione
impugna congiuntamente i commi 418 (gia'  impugnato  con  il  ricorso
r.r. n. 36 del 2015), 419 e 451, in  quanto  inciderebbero  «in  modo
significativo  sulle   risorse   proprie   di   Province   e   Citta'
metropolitane,   minacciandone   la   solvibilita'   e    l'effettiva
possibilita' di continuare a svolgere le funzioni  amministrative  di
loro competenza». La ricorrente ricorda il contenuto dei commi 418  e
419 e aggiunge che il comma 451 aggraverebbe «ulteriormente il regime
di contribuzione forzosa delineato dai commi 418  e  419,  prorogando
anche per l'anno 2018 analogo contributo coattivo posto a  carico  di
Province e Citta' metropolitane dall'art. 47 del d.l. 24 aprile 2014,
n. 66 (pari a "576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7  milioni
di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018")». 
    La Regione precisa di agire  a  tutela  della  propria  autonomia
legislativa,   amministrativa   e   finanziaria,    «nonche'    delle
attribuzioni costituzionali degli enti di area  vasta  veneti»,  come
sarebbe ammesso dalla giurisprudenza costituzionale. 
    Con riferimento ai commi  418,  419  e  451,  la  Regione  avanza
quattro distinte censure di legittimita' costituzionale. 
    La prima questione e' sollevata  con  riferimento  all'art.  119,
primo, secondo  e  quarto  comma,  Cost.  La  riduzione  della  spesa
corrente prevista dal  comma  418  sarebbe,  «in  realta',  [...]  un
contributo economico forzoso che gli enti di area vasta sono tenuti a
versare alle casse dello Stato» e «[d]el  tutto  analoghe»  sarebbero
«le  caratteristiche  (e  la  ratio)  del   contributo   disciplinato
dall'art. 47 del d.l. n. 66/2014, prorogato fino al 2018 dall'art. 1,
comma 451, della l. n. 190/2014». 
    L'obiettivo del «contenimento della spesa pubblica» non  verrebbe
perseguito «tramite processi di ottimizzazione nella  gestione  delle
risorse statali (o locali), ma attraverso lo spostamento coattivo  di
risorse dalla periferia al centro: la leva fiscale e  le  conseguenti
risorse proprie di Province e Citta'  metropolitane  dovranno  essere
utilizzate (ed in modo consistente) non per finanziare le funzioni di
area vasta, ma per contribuire al risanamento del bilancio statale». 
    In tal modo risulterebbe violato  l'art.  119  Cost.,  in  quanto
«l'autonomia  finanziaria  di  entrata  e  di  spesa»,  le   «risorse
autonome» ed i «tributi ed entrate propri» (di cui devono  godere  le
province e le citta' metropolitane) «hanno a che vedere con  la  loro
capacita' di gestire responsabilmente le risorse  economiche  di  cui
dispongono, senza vincolo di subordinazione rispetto ad  alcun  altro
ente costitutivo della  Repubblica».  Tale  capacita'  verrebbe  meno
quando si impone a province e a citta'  metropolitane  «di  destinare
una parte cosi' rilevante di  tali  risorse  al  finanziamento  delle
funzioni altrui (dello Stato, in specie), in luogo delle proprie». 
    La lesione dell'autonomia di entrata e  di  spesa  di  tali  enti
sarebbe evidenziata dalle  «modalita'  di  riscossione  coattiva  del
contributo forzoso delineate dal comma 419,  che  incide  sulle  piu'
significative forme di finanziamento delle funzioni  di  area  vasta:
l'imposta  sulle  assicurazioni  contro  la  responsabilita'   civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore,  la  cui  aliquota
puo' essere dalle Province innalzata dal 12,5 al 16%»,  e  «l'imposta
provinciale di trascrizione, sulle cui tariffe le Province  hanno  un
margine di manovra del 30%», quest'ultima per il caso di «incapienza»
della prima. Il legislatore statale, dunque, avrebbe previsto che  il
«prelievo forzoso» imposto dal comma  418  possa  «esaurire  l'intero
gettito» derivante dalla citata imposta sulla assicurazione contro la
responsabilita' civile, gettito che rappresenterebbe, «da solo,  piu'
della meta' delle entrate tributarie di cui dispongono le Province». 
    Dunque, verrebbe meno «la natura di tributi propri derivati delle
due principali imposte provinciali,  che  presupporrebbe  l'effettivo
mantenimento in capo alle Province ed alle Citta'  metropolitane  del
relativo gettito». La ricorrente sottolinea che «[l]o  Stato  potra',
cosi',  giovarsi  delle  risorse  raccolte  da  Province   e   Citta'
metropolitane  senza  assumere  in  alcun  modo  la   responsabilita'
politica delle corrispondenti decisioni impositive»:  anche  da  cio'
deriverebbe  la  «violazione  dei  principi  di  autonomia  -  e   di
responsabilita' - finanziaria di cui all'art. 119 Cost.». 
    Secondo la Regione, il «contributo forzoso imposto dalla legge di
stabilita' per  il  2015  alle  Province  venete  causera'  [...]  un
disequilibrio grave nei saldi di parte corrente relativi  alla  spesa
per funzioni fondamentali, pari complessivamente a oltre  50  milioni
di euro nel 2015, e ad oltre 120 milioni di euro nel  2016»,  sicche'
«il saldo di parte corrente diverra' negativo», con punte nel 2016 di
circa 18 milioni di euro (Provincia di Padova), 34  milioni  di  euro
(Provincia di Treviso), 22 milioni di euro (Provincia di Venezia), 20
milioni di euro (Provincia di Verona), 28 milioni di euro  (Provincia
di Vicenza): da cio' si desume che, «a causa a dell'effetto combinato
dei contributi imposti dall'art 1, comma 418 della l. n. 190/2014,  e
dall'art 47 del d.l. n. 66/2014 (prorogato fino ai 2018 dall'art.  1,
comma 451, della l. n. 190/2014), Province e Citta' metropolitane non
riusciranno con le proprie risorse  a  "finanziare  integralmente  le
funzioni pubbliche  loro  attribuite"»,  con  conseguente  violazione
dell'art.  119,  quarto  comma,  Cost.  Dunque,  le  norme  impugnate
violerebbero  i  canoni  della  ragionevolezza   e   proporzionalita'
dell'intervento  normativo  rispetto  all'obiettivo  prefissato,   in
contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza  costituzionale
(vengono citate le sentenze n. 22 del 2014 e n. 236 del 2013). 
    Infine, la violazione dell'art. 119 Cost. deriverebbe  dalla  non
transitorieta' dei limiti previsti dalle norme impugnate (si  citano,
a tale proposito, le sentenze n. 44 del 2014 e n. 193 del  2012).  Il
comma 418 prevede «una riduzione della spesa corrente [...] di  3.000
milioni di euro, "a decorrere dall'anno 2017"» e, dunque, non  ha  un
orizzonte temporale definito. 
    Sotto altro versante, la ricorrente prospetta la violazione degli
artt. 3, 97 e 118 Cost. 
    A  suo  giudizio,  infatti,  l'intento  del  legislatore  statale
sarebbe quello di «comprimere in modo  progressivo  e  stringente  le
attribuzioni  delle  Province,  in  attesa  della  loro   programmata
soppressione», dimenticando pero' che «le  Province,  fino  a  quando
godranno  di  diretta  garanzia   costituzionale   in   quanto   enti
costitutivi  della  Repubblica,  sono  titolari   di   insopprimibili
funzioni fondamentali», che, del resto, sono state  confermate  dallo
stesso legislatore statale (in base all'art. 1, comma 85, della legge
n. 56 del 2014). 
    I commi 418, 419 e 451 violerebbero dunque gli  artt.  97  e  118
Cost. perche', privando le  province  delle  risorse  necessarie  per
l'esercizio delle funzioni fondamentali, comprometterebbero  il  buon
andamento della  pubblica  amministrazione  e  pregiudicherebbero  le
competenze amministrative spettanti alle province  in  base  all'art.
118 Cost. 
    Inoltre le norme impugnate violerebbero l'art.  3  Cost.  perche'
sarebbero irragionevoli e contraddittorie «rispetto  al  percorso  di
riforma degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale con  la
l. n. 56  del  2014»:  il  legislatore  «con  una  mano  conferma  la
titolarita' di funzioni fondamentali in  capo  a  Province  e  Citta'
metropolitane, e con l'altra le  priva  delle  risorse  necessarie  a
finanziarle». Inoltre, sarebbe violato il canone di  proporzionalita'
richiesto in questo ambito dalla giurisprudenza costituzionale. 
    Viene, ancora, prospettata la  violazione  dell'art.  114  Cost.,
come conseguenza diretta della gravita' della «lesione dell'autonomia
finanziaria e dell'autonomia amministrativa delle  Province  e  delle
Citta'  metropolitane»,  che  avrebbe  comportato  «una  piu'   ampia
compromissione della dignita' autonoma delle Province e delle  Citta'
metropolitane, quali componenti essenziali della  Repubblica  ex  art
114 Cost.», essendo tali enti divenuti «una  sorta  di  esattori  per
conto  dello  Stato,  tenuti  a  versare  nel  suo   bilancio   parte
consistente dei tributi propri», con mortificazione  della  «dignita'
costituzionale     delle     comunita'     provinciali,     anch'esse
costituzionalmente garantite dall'art. 114  Cost.,  e  meritevoli  di
ricevere servizi pubblici adeguati alla loro partecipazione, su  base
locale, alle pubbliche spese». 
    Viene infine prospettata la violazione  degli  artt.  117,  commi
terzo  e  quarto,  e  118  Cost.,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    In  attuazione  della  riforma  del  sistema  degli  enti  locali
delineata dalla legge n. 56 del 2014,  infatti,  alle  regioni  e  ai
comuni dovrebbero essere attribuite in tutto o in parte  le  funzioni
non fondamentali di attuale spettanza delle province  e  «le  risorse
finanziarie, gia' spettanti alle province ai sensi dell'articolo  119
della  Costituzione,  [...]  devono  essere  trasferite   agli   enti
subentranti per l'esercizio delle funzioni loro  attribuite,  dedotte
quelle necessarie alle funzioni fondamentali» (art 1, comma 92, della
legge n. 56 del 2014; la ricorrente cita  anche  l'Accordo  raggiunto
nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014 e  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei  ministri  26  settembre  2014,  recante
«Criteri per l'individuazione dei beni e delle  risorse  finanziarie,
umane, strumentali e organizzative  connesse  con  l'esercizio  delle
funzioni provinciali»). Ne  deriva  che  le  funzioni  amministrative
provinciali non fondamentali, che  dovranno  essere  trasferite  alle
regioni od ai comuni,  continueranno  ad  essere  finanziate  con  le
risorse proprie delle province, sicche' il contributo forzoso imposto
dai commi 418, 419 e 451  della  legge  n.  190  del  2014  «oltre  a
pregiudicare  direttamente   le   Province,   pregiudichera'   quindi
indirettamente anche gli enti subentranti, che difficilmente potranno
disporre delle  risorse  necessarie  a  finanziare  le  funzioni  non
fondamentali loro attribuite». 
    Il contestato contributo forzoso inciderebbe pertanto  gravemente
«anche sulla corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra
enti di area vasta, Regione e Comuni, che  spetterebbe  alla  Regione
disciplinare nell'esercizio della  sua  competenza  legislativa,  nel
rispetto degli artt. 117 e 118 Cost.» (ai sensi  dell'art.  1,  comma
89, della legge n. 56 del 2014). Nel Veneto le  funzioni  provinciali
non  fondamentali  sono  riconducibili  a  materie  ricadenti   nella
potesta' legislativa concorrente o residuale della Regione,  quali  i
servizi per il lavoro, la formazione  e  l'istruzione,  le  politiche
sociali,  il  turismo,  lo  sport,  la  cultura  e   lo   spettacolo,
l'agriturismo, le attivita' produttive. In  tutti  questi  ambiti,  a
giudizio della ricorrente,  la  Regione  «vedra'  inevitabilmente  ed
illegittimamente compressa la propria potesta' legislativa, de  facto
vincolata  e  limitata  dalla  scarsita'   di   risorse   finanziarie
provinciali imposta dallo Stato, tramite  il  contributo  forzoso  de
quo». 
    Da cio' discenderebbe anche la violazione del principio di  leale
collaborazione, dato  che  «la  libera  attribuzione  delle  funzioni
provinciali non fondamentali», da parte delle regioni, sarebbe  stata
«ribadita e concordata tra Stato e Regioni anche in sede  di  Accordo
raggiunto nella Conferenza Unificata dell'11 settembre 2014». 
    3.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e'  costituito  anche
in  questo  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  con  memoria
depositata il 3 aprile 2015. 
    La difesa erariale svolge considerazioni corrispondenti a  quelle
contenute nell'atto di costituzione depositato nel giudizio  r.r.  n.
36 del 2015, di cui si e' gia' riferito. 
    3.2.-  La  Regione  ha  depositato  una  memoria  integrativa   e
documenti il 12 aprile 2016. In essa, in particolare, ribadisce che i
saldi relativi alla spesa delle province  per  funzioni  fondamentali
sarebbero divenuti negativi, cita a sostegno una relazione  del  2015
della Corte  dei  conti  e  rileva  che  gli  effetti  eccessivamente
negativi  delle  norme  impugnate  sarebbero  confermati  «da  alcuni
interventi di favore che  recentemente  il  Governo  ha  ritenuto  di
concedere agli enti di  area  vasta»:  la  Regione  richiama  a  tale
proposito la legge 28 dicembre 2015, n.  208,  recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita' 2016)». 
    Inoltre,  la  Regione  illustra   ulteriormente   la   violazione
dell'art. 119 Cost., derivante dal fatto che  il  contributo  forzoso
imposto  dalle  norme  impugnate  contraddirebbe  la  ratio  di  tale
disposizione, sarebbe di «misura [...] sproporzionata per eccesso»  e
non sarebbe temporaneo. 
    Nella stessa data la Regione ha depositato una  memoria  relativa
al comma 451, uguale nel contenuto a quella appena citata,  salva  la
mancanza della censura relativa al carattere stabile del  contributo,
dato che il comma 451 lo proroga al 2018 e non a tempo indeterminato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha impugnato,  con  due  distinti  ricorsi,
diverse  disposizioni  della  legge  23   dicembre   2014,   n.   190
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2015). 
    Con il primo  ricorso  (r.r.  n.  36  del  2015)  la  Regione  ha
impugnato, tra gli altri, il comma 418 dell'art. 1 della legge n. 190
del  2014,  mentre,  con  il  secondo  (r.r.  n.  42  del  2015),  ha
contestato, tra gli altri, i commi 418, 419 e 451 del  medesimo  art.
1. 
    Il  comma  418  stabilisce  che  «[l]e  province  e   le   citta'
metropolitane  concorrono  al  contenimento  della   spesa   pubblica
attraverso una riduzione della spesa corrente  di  1.000  milioni  di
euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016  e  di
3.000 milioni di euro a  decorrere  dall'anno  2017»,  e  che,  «[i]n
considerazione» di queste riduzioni di spesa, «ciascuna  provincia  e
citta' metropolitana  versa  ad  apposito  capitolo  di  entrata  del
bilancio dello  Stato  un  ammontare  di  risorse  pari  ai  predetti
risparmi di spesa». Sono escluse da questo  versamento  «le  province
che risultano in dissesto alla data del 15 ottobre 2014». 
    Il comma 419 statuisce che, «[i]n caso di mancato versamento  del
contributo di cui al comma 418, entro il 31 maggio di  ciascun  anno,
sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell'interno,  l'Agenzia
delle entrate [...] provvede al recupero  delle  predette  somme  nei
confronti delle province e delle citta' metropolitane interessate,  a
valere sui versamenti  dell'imposta  sulle  assicurazioni  contro  la
responsabilita' civile derivante dalla  circolazione  dei  veicoli  a
motore, esclusi i ciclomotori, [...] riscossa  tramite  modello  F24,
all'atto del riversamento del relativo gettito alle medesime province
e  citta'  metropolitane».  In  caso  di  «incapienza  a  valere  sui
versamenti dell'imposta di cui  al  primo  periodo,  il  recupero  e'
effettuato  a  valere  sui  versamenti  dell'imposta  provinciale  di
trascrizione,  con  modalita'  definite  con  decreto  del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze,  di  concerto  con   il   Ministero
dell'interno». 
    Il comma 451 proroga dal 2017 al 2018  le  misure  previste  (con
riferimento alle province e alle citta' metropolitane) dall'art.  47,
commi 1 e 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure  urgenti
per la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),  convertito,  con
modificazioni, dall'art.1, comma 1, della legge 23  giugno  2014,  n.
89. L'art. 47, comma 1 (come modificato dal comma 451),  dispone  che
«[l]e province e le  citta'  metropolitane,  a  valere  sui  risparmi
connessi alle misure di cui al comma 2 e all'articolo 19, nonche'  in
considerazione delle misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n.  56,
nelle more dell'emanazione del Decreto del Presidente  del  Consiglio
di cui al comma 92 dell'articolo 1  della  medesima  legge  7  aprile
2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza  pubblica  pari  a
444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di  euro
per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016,
2017 e 2018». Il comma 2 aggiunge che, «[p]er le finalita' di cui  al
comma  1,  ciascuna  provincia  e  citta'  metropolitana  consegue  i
risparmi da versare ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio
dello Stato determinati con  decreto  del  Ministro  dell'interno  da
emanare entro il termine del 30 giugno, per l'anno  2014,  e  del  28
febbraio per gli anni successivi [...]», sulla  base  di  determinati
criteri, di seguito indicati. In base  al  comma  4,  «[i]n  caso  di
mancato versamento del contributo di cui ai commi 2 e 3, entro il  10
ottobre, sulla base dei dati comunicati dal  Ministero  dell'interno,
l'Agenzia delle Entrate [...] provvede  al  recupero  delle  predette
somme nei confronti  delle  province  e  delle  citta'  metropolitane
interessate, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni
contro la responsabilita' civile  derivante  dalla  circolazione  dei
veicoli a motore [...]». 
    1.1.- Con il primo ricorso la Regione Veneto impugna il comma 418
dell'art. 1 della legge  n.  190  del  2014  per  la  violazione  dei
seguenti parametri costituzionali: a) artt. 2 e 3 della  Costituzione
(principi  di  solidarieta',  di  eguaglianza,  di  ragionevolezza  e
proporzionalita') per il fatto che il sacrificio richiesto dal  comma
418 agli enti di area vasta non e' imposto  «ad  altri  comparti  (in
particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale)»; b)  art.
5 Cost., in quanto, apportando  «tagli  indiscriminati  ed  eccessivi
alle  risorse  finanziarie  a  disposizione   delle   Amministrazioni
locali»,  la  norma  impugnata  determinerebbe  una   lesione   delle
«esigenze basilari dell'autonomia e del decentramento»; c) artt.  117
e 119, primo, secondo, terzo e  quarto  comma,  Cost.,  in  quanto  i
«"tagli"  sproporzionati  e  non  ragionevoli»   da   esso   previsti
priverebbero  le  province  e  le  citta'  metropolitane  della  loro
«autonomia di  spesa»,  l'obbligo  di  versamento  allo  Stato  delle
corrispondenti    risorse    capovolgerebbe    «i    meccanismi    di
compartecipazione e di trasferimento  di  risorse  dallo  Stato  alla
periferia» e le province e le citta' metropolitane sarebbero «private
delle risorse minime per assicurare il finanziamento integrale  delle
funzioni pubbliche loro attribuite»; d) art. 3  Cost.,  in  relazione
agli artt. 117 e 119 Cost., in quanto l'esclusione delle province «in
dissesto alla data  del  15  ottobre  2014»  si  tradurrebbe  in  una
«discriminazione»  tra   enti   territoriali,   dovendo   invece   il
legislatore statale, se del caso, attivare le misure di cui  all'art.
119, terzo e quinto comma, Cost.; e) art. 117, terzo e quarto  comma,
e  art.  119,  primo  comma,  Cost.,  «sotto  l'aspetto   della   non
transitorieta' della misura adottata»,  perche'  la  riduzione  della
spesa corrente e' imposta per il 2015, per il  2016  e  «a  decorrere
dall'anno 2017». 
    1.2.- Con il secondo ricorso la Regione Veneto  impugna  i  commi
418, 419 e 451 dell'art. 1  della  legge  n.  190  del  2014  per  la
violazione dei seguenti parametri costituzionali: a) art. 119, primo,
secondo e quarto comma, Cost., in quanto le previsioni contenute  nei
commi impugnati pregiudicherebbero  la  «capacita'  [degli  enti]  di
gestire responsabilmente le risorse economiche  di  cui  dispongono»,
incrinerebbero  il  principio  di   responsabilita'   finanziaria   e
impedirebbero agli enti di area vasta di «finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite»; b)  artt.  3,  97  e  118  Cost.
perche'   le   previsioni   stesse    sarebbero    irragionevoli    e
contraddittorie «rispetto al percorso di riforma  degli  enti  locali
tracciato dal legislatore nazionale con la  l.  n.  56  del  2014»  e
perche', privando le province e le citta' metropolitane delle risorse
necessarie   per    l'esercizio    delle    funzioni    fondamentali,
comprometterebbero il buon andamento della pubblica amministrazione e
pregiudicherebbero le competenze amministrative spettanti  agli  enti
di area vasta in base all'art. 118 Cost.; c) art. 114 Cost. in quanto
le norme impugnate implicherebbero una «compromissione della dignita'
autonoma  delle  Province  e  delle   Citta'   metropolitane,   quali
componenti essenziali della Repubblica ex art. 114. Cost.»; d)  artt.
117, commi terzo e quarto, e 118 Cost., nonche' il principio di leale
collaborazione perche' alle regioni ed ai  comuni  dovrebbero  essere
attribuite le funzioni non fondamentali delle province e le  relative
risorse finanziarie, ragion per cui  il  contributo  forzoso  imposto
alle province dai commi 418, 419 e 451 della legge n.  190  del  2014
pregiudicherebbe   indirettamente   anche   gli   enti   subentranti,
condizionerebbe la potesta' legislativa  regionale  di  distribuzione
delle funzioni amministrative e  violerebbe  il  principio  di  leale
collaborazione, dato  che  «la  libera  attribuzione  delle  funzioni
provinciali non fondamentali», da parte delle regioni, sarebbe  stata
«ribadita e concordata tra Stato e Regioni anche in sede  di  Accordo
raggiunto nella Conferenza Unificata dell'11 settembre 2014». 
    2.- I due ricorsi hanno un oggetto parzialmente comune,  sia  per
le disposizioni impugnate che per le questioni sollevate, sicche'  ne
appare opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta. 
    3.-  In  via  preliminare,   occorre   soffermarsi   sull'ipotesi
(formulata dalla Regione nella memoria depositata nel  giudizio  r.r.
n. 36 del 2015) di  trasferimento  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale a seguito dello ius superveniens. 
    Il comma 418 e' stato modificato dall'art. 4,  comma  5-ter,  del
decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di  termini  previsti
da  disposizioni   legislative),   convertito,   con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della  legge  27  febbraio  2015,  n.  11,  con
l'aggiunta di un periodo che ripartisce le riduzioni di spesa tra gli
enti delle regioni ordinarie e gli enti delle  regioni  insulari.  Lo
ius superveniens, tuttavia, non incide ne' sulla norma censurata, ne'
- a ben vedere - sulla specifica disposizione  impugnata,  nel  senso
che il testo espressivo della riduzione di spesa corrente oggetto  di
contestazione  non  e'  stato  toccato,  limitandosi  la  novella  ad
aggiungere un periodo ulteriore. Dunque, non sussistono i presupposti
per un trasferimento delle questioni in quanto «[l]a citata  modifica
non incide comunque sui termini del ricorso»  (sentenze  n.  151  del
2016 e, analogamente, n. 272 del 2015). 
    3.1.- Sempre in  via  preliminare,  occorre  precisare  il  thema
decidendum con riferimento all'impugnazione del comma 451 dell'art. 1
della legge n. 190 del 2014. Il comma 451, lettere a) e  b),  proroga
al 2018 le riduzioni di  spesa  previste  dai  commi  1,  2,  8  e  9
dell'art. 47 del decreto-legge n. 66 del 2014, ma il ricorso  censura
la disposizione solo con riferimento  alle  province  e  alle  citta'
metropolitane, per cui la  norma  di  cui  alla  lettera  b)  risulta
estranea all'oggetto del giudizio la' dove fa riferimento ai commi  8
e 9 dell'art. 47, contemplanti un contributo  alla  finanza  pubblica
posto a carico dei comuni. 
    3.2.-  Infine,  e'  opportuno  ricordare  che  le  regioni   sono
legittimate a denunciare la lesione delle prerogative  costituzionali
degli enti locali (ex multis, sentenze n. 151 e n. 29  del  2016,  n.
236 e n. 220 del 2013, n. 298 del 2009, n. 196 del 2004). 
    4.- Si puo' ora passare ad esaminare le questioni promosse  dalla
Regione Veneto con il primo ricorso (r.r. n. 36 del 2015). 
    Con riferimento alla prima questione (violazione degli artt. 2  e
3 Cost., per la «disparita' di trattamento e di sacrifici tra i  vari
comparti di cui si compone la Pubblica  Amministrazione»)  la  difesa
erariale eccepisce l'inammissibilita' per  insufficiente  motivazione
sulla  «ridondanza  delle  lamentate  violazioni   sul   riparto   di
competenze». 
    L'eccezione e' infondata. La Regione osserva che «la politica  di
tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti territoriali
[...]  impedisce  a  questi  ultimi  di  svolgere  le  funzioni  loro
deferite: il che si riverbera, evidentemente, sulle garanzie  che  la
Costituzione assicura a tali enti per  l'esercizio  delle  rispettive
funzioni».   Tale   motivazione,   prospettando    la    compressione
dell'autonomia degli enti di area vasta in tutti i  settori  di  loro
competenza, quale deriva  chiaramente  dalla  riduzione  della  spesa
corrente e dal passaggio delle corrispondenti risorse allo Stato,  e'
sufficiente ad argomentare la ridondanza dei  vizi  denunciati  sulle
competenze degli enti stessi (sentenze n. 117, n. 110  e  n.  64  del
2016 e n. 250 del 2015). 
    4.1.- Il primo motivo del primo ricorso e' tuttavia inammissibile
per un'altra ragione. La Regione  non  svolge  alcuna  argomentazione
sull'assimilabilita' delle posizioni rispettive dello Stato  e  degli
enti di area vasta, e dunque sull'irragionevolezza della  limitazione
-  alle  province  e  alle  citta'  metropolitane  -  dell'ambito  di
applicazione del comma 418. 
    Una specifica motivazione sul  punto  sarebbe  stata  a  fortiori
necessaria perche', come si vedra', il comma  418  si  inserisce  nel
contesto della riforma prevista dalla legge  7  aprile  2014,  n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unioni e  fusioni  di  comuni),  e  delle  conseguenti  riduzioni  di
personale stabilite dall'art. 1, comma 421, della legge  n.  190  del
2014. Collegandosi dunque il comma in  contestazione  alla  peculiare
situazione delle province e delle citta'  metropolitane,  la  censura
immotivata della «disparita' di trattamento» non  si  presta  ad  uno
scrutinio   nel   merito   per   carenza   di    motivazione    sulla
«confrontabilita' delle situazioni» (sentenze n.  151  e  n.  69  del
2016). 
    5.- La  seconda  questione  (violazione  dell'art.  5  Cost.  per
lesione delle «esigenze basilari dell'autonomia e del decentramento»)
non richiede un esame distinto. Secondo la ricorrente  la  violazione
del principio di promozione delle autonomie  locali  deriverebbe  dal
«trattamento deteriore» riservato ad esse rispetto ad altri  comparti
della  pubblica  amministrazione  e  dai  «tagli  indiscriminati   ed
eccessivi   alle   risorse   finanziarie   a    disposizione    delle
Amministrazioni locali». Tale questione si  puo'  dunque  considerare
ricompresa sia in quella - appena esaminata  -  fondata  sull'art.  3
Cost., sia in quella che fa leva sull'art. 119 Cost., trattata qui di
seguito. 
    6.- La terza  questione  si  riferisce  ai  primi  quattro  commi
dell'art. 119 e all'art. 117 Cost. In realta' l'argomentazione e' poi
incentrata unicamente sull'art. 119 Cost., con la conseguenza che  e'
inammissibile, per difetto  di  motivazione,  la  questione  relativa
all'art. 117 Cost. 
    6.1.-  La  questione  avente  come  parametro  l'art.  119  Cost.
comprende due distinte censure:  la  prima  attiene  alla  violazione
dell'art. 119, quarto comma,  in  quanto  le  province  e  le  citta'
metropolitane sarebbero «private delle risorse minime per  assicurare
il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite»;
la seconda attiene alla  previsione  del  passaggio  di  risorse  dal
bilancio provinciale (e delle citta' metropolitane) a quello  statale
(senza alcuna prescrizione  sulla  destinazione  che  lo  Stato  deve
imprimere a tali risorse, salvo il riferimento al vincolo  a  versare
l'importo  «ad  apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio  dello
Stato»), con conseguente lesione dell'autonomia finanziaria di  spesa
e  capovolgimento  dei  «meccanismi   di   compartecipazione   e   di
trasferimento di risorse  dallo  Stato  alla  periferia»  (art.  119,
primo, secondo e terzo comma). 
    La prima censura e' avanzata dalla stessa  Regione  Veneto  anche
nel secondo ricorso  (r.r.  n.  42  del  2015)  e  dunque  viene  qui
esaminata  considerando  congiuntamente  gli  argomenti   svolti   in
entrambi i ricorsi. 
    Essa non e' fondata. 
    La giurisprudenza di questa Corte e' costante nel richiedere che,
qualora venga lamentata -  in  via  principale  o  incidentale  -  la
violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost. per  impossibilita'  di
esercizio delle funzioni degli enti territoriali,  venga  fornita  la
prova  di  tale  impossibilita',  cioe'  del  fatto  che   la   norma
legislativa contestata produce uno squilibrio finanziario eccessivo a
danno degli enti stessi (ex multis, sentenze n. 151, n. 127 e  n.  65
del 2016, n. 89 del 2015, n. 26 del 2014). 
    Nel primo ricorso la Regione Veneto non soddisfa  in  alcun  modo
l'onere probatorio, in quanto ne' l'atto introduttivo ne' la  memoria
integrativa forniscono dati di alcun tipo. Al ricorso  sono  allegati
due documenti, ma il primo di essi (Corte dei  conti,  sezione  delle
autonomie,  Relazione   sulla   gestione   finanziaria   degli   enti
territoriali, esercizio 2013, 29 dicembre 2014), oltre  a  riguardare
un esercizio non toccato dalle norme impugnate, non fornisce elementi
precisi, mentre il secondo (Documento della  Banca  d'Italia  Finanza
pubblica, fabbisogno e debito, 14 maggio 2014) riguarda solo i  commi
435 e 459 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 (impugnati  con  il
medesimo ricorso: sentenza n. 151 del 2016). 
    Nel secondo  ricorso  la  Regione  Veneto  cerca  di  provare  la
violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost.,  producendo  documenti
allegati sia all'atto introduttivo, sia alla memoria integrativa. 
    Tali documenti, tuttavia,  risultano  inutilizzabili,  in  quanto
consistono in tabelle  prive  di  qualsiasi  elemento  (intestazione,
firma o altro) idoneo a garantire o  perlomeno  a  indicare  la  loro
provenienza. Ne' la fonte delle tabelle  e'  ricavabile  dal  ricorso
(che si limita a citare i documenti) o dalla memoria  (che  parla  di
«prospetto aggiornato»). Dunque, poiche' la Regione  non  ha  fornito
documenti  ufficiali,  ma  mere  rappresentazioni  grafiche  di  dati
contabili la cui provenienza non e'  nota,  quanto  prodotto  non  e'
idoneo a provare le affermazioni della ricorrente. Si rileva peraltro
che il contenuto delle tabelle risulterebbe comunque,  sotto  diversi
profili, inadeguato a fornire la prova richiesta. 
    Si deve osservare ancora che, nel descrivere la situazione  delle
province venete, la Regione  non  considera  l'impatto  delle  misure
adottate dallo Stato a favore delle province  nel  2015,  tramite  il
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in  materia
di enti territoriali. Disposizioni per garantire la  continuita'  dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di  rifiuti  e  di  emissioni  industriali),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2015, n. 125, e tramite la legge  28  dicembre  2015,  n.  208
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita' 2016). Questa Corte ha  piu'  volte
precisato che le norme incidenti sull'assetto finanziario degli  enti
territoriali non possono essere valutate  in  modo  "atomistico",  ma
solo nel contesto della manovra  complessiva,  che  puo'  comprendere
norme aventi effetti di segno opposto sulla finanza delle  regioni  e
degli enti locali (ex multis, sentenze n. 82  del  2015,  n.  26  del
2014, n. 27 del 2010, n. 155 del 2006, n. 431 del 2004). 
    6.2.- Anche la seconda censura e' avanzata dalla  stessa  Regione
Veneto  in  entrambi  i  ricorsi  e,  dunque,  viene  qui   esaminata
considerando congiuntamente gli argomenti in essi  svolti.  Con  tale
censura e' contestato il disposto passaggio di risorse  dal  bilancio
degli enti di area vasta a quello statale  senza  prescrizioni  sulla
destinazione di tali risorse. 
    La questione non e' fondata nei termini di seguito esposti. 
    La riduzione della spesa  corrente  disposta  dal  comma  418  si
inserisce, come gia' sottolineato, nel complesso disegno  di  riforma
delle province e delle citta' metropolitane, avviato  con  la  citata
legge n. 56 del 2014, «in attesa della riforma  del  titolo  V  della
parte  seconda  della  Costituzione  e  delle   relative   norme   di
attuazione» (comma 51). Al contempo essa e' diretta a  perseguire  il
piu' generale obiettivo di miglioramento dell'efficienza della  spesa
pubblica, come risulta confermato dall'ultimo periodo del comma  418,
ove e' previsto che l'ammontare della riduzione per ciascun  ente  e'
determinato «tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e
fabbisogni standard». 
    La legge n. 56 del 2014 ha inciso sull'assetto delle  province  e
delle citta' metropolitane sotto il  profilo  organizzativo  e  sotto
quello  funzionale:  con  riferimento  in  particolare  alle   prime,
riformandone gli  organi  politici  e  prevedendo  la  gratuita'  dei
relativi  incarichi  (comma  84);  individuando  le   loro   funzioni
fondamentali (comma 85) e stabilendo che le  altre  funzioni  debbano
essere riallocate dallo Stato e dalle regioni in  base  all'art.  118
Cost. (comma 89), con conseguente passaggio delle risorse finanziarie
e umane connesse alle funzioni trasferite (commi 92, 96, lettera a, e
97, lettera b). Entrambe le innovazioni sono destinate, fra  l'altro,
a produrre una rilevante diminuzione della spesa provinciale. 
    La legge n. 56 del 2014 ha previsto una "regia" unitaria di  tale
complessa operazione di riallocazione delle funzioni, sia  dettandone
direttamente un'analitica disciplina (si veda, ad esempio,  il  comma
96), sia prevedendo successivi atti statali  diretti  a  stabilire  i
criteri di individuazione delle risorse da trasferire (comma 92) e ad
adeguare la legislazione sulla finanza degli enti  territoriali,  nel
rispetto del criterio secondo il quale «le risorse finanziarie,  gia'
spettanti  alle   province   ai   sensi   dell'articolo   119   della
Costituzione, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali  e
fatto salvo quanto previsto dai commi da 5 a 11, sono  attribuite  ai
soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite,  in  relazione  ai
rapporti attivi e  passivi  oggetto  della  successione,  compresi  i
rapporti di lavoro e le altre spese di gestione» (comma  97,  lettera
b). 
    Procedendo a rilento l'attuazione di tale disegno riformatore, il
legislatore ha impresso ad essa una «spinta acceleratoria»  (sentenza
n. 159 del 2016), tramite l'art. 1, comma 421, della legge n. 190 del
2014,  in  base  al  quale  «[l]a  dotazione  organica  delle  citta'
metropolitane e delle province delle regioni a statuto  ordinario  e'
stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente
legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data  di
entrata  in  vigore  della  legge  7  aprile  2014,  n.  56,  ridotta
rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite  ai  predetti
enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al  30
e al 50 per cento [...]». Con la citata  sentenza  n.  159  del  2016
questa Corte ha dichiarato non fondate le questioni  di  legittimita'
costituzionale proposte da diverse regioni su questa disposizione. 
    La riduzione della  spesa  e  la  previsione  del  corrispondente
versamento di risorse «ad apposito capitolo di entrata  del  bilancio
dello Stato», disposti dal comma 418 e dall'art.  47,  comma  1,  del
d.l. n. 66 del 2014 (oggetto della  proroga  disposta  dall'impugnato
comma  451),  si  collocano  in   questo   contesto.   Cio'   risulta
espressamente nello stesso art. 47, comma 1 (il quale fa  riferimento
alle misure recate dalla legge n. 56 del  2014  e  a  quelle  di  cui
all'art. 19 dello stesso d.l. n. 66 del 2014, che ha aggiunto i commi
150-bis e 150-ter nella legge n. 56 del  2014),  ma,  per  logica  di
sistema, deve essere ritenuto anche con  riferimento  al  comma  418,
come e' confermato dalla circolare n. 1 del 2015 del Ministro per  la
semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministro per  gli
affari regionali e le autonomie  (nella  quale  si  legge  che  «[l]a
riduzione incrementale della spesa corrente si coordina anche con  la
graduale attuazione dei processi di mobilita' del personale  definiti
dalla legge 56  del  2014  e  dai  commi  da  420  a  428»)  e  dalla
deliberazione della Corte dei  conti,  sezione  delle  autonomie,  30
aprile  2015,  n.  17,  Il  riordino   delle   Province   -   Aspetti
ordinamentali e riflessi finanziari. 
    Piu' precisamente, dunque, disponendo il comma 418 che le risorse
affluiscano «ad apposito  capitolo  di  entrata  del  bilancio  dello
Stato», si deve ritenere - e in questi  termini  la  disposizione  va
correttamente interpretata - che tale allocazione sia destinata,  per
quel che riguarda le risorse degli enti di  area  vasta  connesse  al
riordino  delle  funzioni  non   fondamentali,   a   una   successiva
riassegnazione agli  enti  subentranti  nell'esercizio  delle  stesse
funzioni non fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b,  della  legge
n. 56 del 2014). 
    La previsione del  versamento  al  bilancio  statale  di  risorse
frutto della riduzione della spesa da parte degli enti di area  vasta
va dunque  inquadrata  nel  percorso  della  complessiva  riforma  in
itinere. E, cosi' intesa, essa si risolve in uno specifico  passaggio
della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse  da  detti
enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate,
vicenda la cui gestione deve  necessariamente  essere  affidata  allo
Stato (sentenze n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015). 
    I commi 418, 419 e 451, dunque, non violano  l'art.  119,  primo,
secondo e terzo comma, Cost. nei termini lamentati dalla  ricorrente,
perche' le disposizioni in essi contenute vanno intese nel senso  che
il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale
(cosi' come l'eventuale recupero delle somme a valere sui tributi  di
cui al comma 419) e' specificamente destinato al finanziamento  delle
funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si  inserisce
sistematicamente nel  contesto  del  processo  di  riordino  di  tali
funzioni  e  del  passaggio  delle   relative   risorse   agli   enti
subentranti. 
    Questa Corte ha  gia'  precisato  sul  punto  che  nel  «processo
riorganizzativo generale delle Province che  potrebbe  condurre  alla
soppressione   di   queste   ultime   per   effetto   della   riforma
costituzionale  attualmente  in  itinere  [...]   l'esercizio   delle
funzioni  a  suo  tempo  conferite  -   cosi'   come   obiettivamente
configurato dalla legislazione vigente -  deve  essere  correttamente
attuato, indipendentemente  dal  soggetto  che  ne  e'  temporalmente
titolare  e  comporta,  soprattutto  in  un  momento  di  transizione
caratterizzato da plurime criticita', che il suo svolgimento non  sia
negativamente influenzato dalla  complessita'  di  tale  processo  di
passaggio tra diversi modelli di gestione» (sentenza n. 10 del 2016). 
    6.3.- Sotto un diverso ma concorrente profilo viene  in  evidenza
anche il secondo obiettivo al quale e'  diretta  la  riduzione  della
spesa delle province e delle citta' metropolitane disposta dal  comma
418, ossia quello, piu' generale,  di  miglioramento  dell'efficienza
della spesa stessa, desumibile dal riferimento  contenuto  all'ultimo
periodo  dello  stesso  comma   («[c]on   decreto   di   natura   non
regolamentare [...] e' stabilito l'ammontare  della  riduzione  della
spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del  corrispondente
versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa  storica  e
fabbisogni  standard»).  Anche  per  quel  che  riguarda  i  risparmi
derivanti da tali riduzioni (oltre che dalla gratuita' delle  cariche
politiche prevista all'art. 1, commi 24 e 84, della legge n.  56  del
2014), la previsione del versamento delle corrispondenti  risorse  al
bilancio statale non risulta in contrasto con l'art. 119 Cost. 
    Il comma 418, invero, va letto in collegamento con il comma  419,
in base al quale, in caso di mancato versamento del contributo di cui
al comma 418, lo Stato  recupera  le  risorse  a  valere  su  imposte
erariali il cui gettito e' destinato  alle  province  e  alle  citta'
metropolitane. 
    Sotto  tale  profilo  non  si  configura  una   riduzione   delle
attribuzioni   fiscali   delle   Province,   bensi'   una    semplice
compensazione conseguente al mancato versamento dei risparmi da parte
delle stesse, necessaria per rendere effettiva la complessa  fase  di
trasferimento delle funzioni. 
    6.4.- In conclusione la questione non e' fondata. 
    7.- Nemmeno  e'  fondata  la  quarta  questione,  riguardante  la
violazione dell'art. 3 Cost., in  relazione  agli  artt.  117  e  119
Cost., in quanto l'esclusione delle province «in dissesto  alla  data
del 15 ottobre 2014» si tradurrebbe in una «discriminazione» tra enti
territoriali. 
    Il terzo periodo del comma 418  e'  estraneo  alla  logica  della
perequazione,  che  presuppone  un'azione  di  redistribuzione  della
ricchezza e di riduzione degli squilibri fra gli  enti  territoriali,
attraverso o un'erogazione di  risorse  specificamente  rivolta  agli
enti piu' deboli (in base all'art. 119, terzo e quinto comma,  Cost.)
o una minor erogazione rivolta agli enti piu' "ricchi"  (sentenza  n.
79 del 2014).  La  norma  impugnata,  invece,  non  ha  una  funzione
riequilibratrice delle risorse destinate alle province, ma incide  su
flussi che scorrono in senso contrario,  cioe'  dagli  enti  di  area
vasta al bilancio statale, in corrispondenza a  una  riduzione  delle
spese provinciali. L'esclusione delle province in dissesto  si  fonda
sulla oggettiva impossibilita', per queste, di versare  risorse  allo
Stato e sul presumibile pregiudizio che la  loro  mancata  esclusione
arrecherebbe alla comunita' provinciale. 
    La necessita' di uniformita' delle norme di  coordinamento  della
finanza  pubblica,  risultante  dalla  giurisprudenza  costituzionale
(sentenze n. 176 del 2012 e n. 284 del 2009), va vagliata  alla  luce
del  criterio  di  ragionevolezza,  nel  senso  che   le   norme   di
coordinamento   possono   ragionevolmente   limitare    la    propria
applicazione agli enti in bonis. La  Regione  ricorrente  lamenta  la
discriminazione fra province,  ma  non  argomenta  l'irragionevolezza
della esclusione delle province in  dissesto,  le  quali  si  trovano
invece, obiettivamente, in una situazione differenziata rispetto alle
altre. 
    8.- La quinta questione, riguardante la violazione dell'art. 117,
terzo e quarto comma, e dell'art. 119,  primo  comma,  Cost.,  «sotto
l'aspetto  della  non  transitorieta'  della  misura  adottata»,   e'
infondata nei termini di seguito esposti. 
    Come visto, la riduzione della spesa corrente degli enti di  area
vasta, oltre a perseguire il generale obiettivo di  efficienza  della
spesa pubblica, e' principalmente connessa alla  riforma  degli  enti
stessi. Nello stesso oggetto del primo periodo del comma 418, dunque,
si puo' individuare un limite implicito all'efficacia temporale della
previsione, nel senso che la riduzione  della  spesa  corrente  e  il
vincolo del versamento del corrispondente importo al  bilancio  dello
Stato sono legati al processo di attuazione  della  riforma  e,  piu'
precisamente, alla fase di passaggio delle funzioni non  fondamentali
ad altri enti, con conseguente  riduzione  dell'organico.  Si  tratta
percio'  di  misure  per  loro  natura  e  funzione   intrinsecamente
transitorie e per cio' stesso evidentemente destinate a  venire  meno
una volta attuata la riforma, con il trasferimento delle funzioni non
fondamentali ad altri enti e l'«adeguamento della legislazione  [...]
sulla finanza e sul  patrimonio  dei  medesimi  enti  [territoriali]»
(art. 1, comma 97, primo periodo, della legge n. 56 del 2014). 
    9.- Si puo' ora passare all'esame delle questioni promosse  dalla
Regione Veneto con il secondo ricorso (r.r. n. 42 del 2015). 
    La prima questione (violazione dell'art. 119,  primo,  secondo  e
quarto comma, Cost.), come detto,  corrisponde  sostanzialmente  alla
terza questione proposta nel ricorso r.r. n. 36 del 2015: su di  essa
si puo' dunque rinviare al precedente  punto  6.  Quanto  al  profilo
della mancanza di  transitorieta'  (censurata  dalla  Regione  Veneto
sempre nel primo motivo del ricorso r.r. n. 42  del  2015),  si  puo'
rinviare al precedente punto 8. 
    10.- La seconda questione (violazione degli artt.  3,  97  e  118
Cost. per irragionevolezza e contraddittorieta' «rispetto al percorso
di riforma degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale  con
la l. n. 56 del 2014») e' infondata. 
    Tale questione  e'  ricompresa  in  realta'  in  quella  relativa
all'art. 119, quarto comma, Cost.,  dichiarata  infondata  nel  punto
6.1. Infatti, la lamentata violazione degli artt. 3, 97 e  118  Cost.
deriverebbe dall'impossibilita', per le province,  di  esercitare  le
funzioni fondamentali, pur ad esse mantenute dalla legge  n.  56  del
2014, impossibilita' di cui, pero', come detto,  la  Regione  non  ha
fornito prova. 
    Si puo' comunque notare che i commi 418, 419 e 451 non si pongono
in contraddizione ma in  coerenza  con  la  legge  n.  56  del  2014,
contemplando una  riduzione  di  spesa  a  fronte  delle  innovazioni
introdotte da quest'ultima legge. 
    11.- La terza questione («compromissione della dignita'  autonoma
delle  Province  e  delle  Citta'  metropolitane,  quali   componenti
essenziali della Repubblica ex art 114 Cost.») non e' fondata. 
    Per essa valgono considerazioni simili a quelle svolte nel  punto
5., nel senso che si tratta di una questione non dotata di una  reale
autonomia. La lamentata violazione dell'art.  114  Cost.  deriverebbe
dalla  gravita'  della  lesione   dell'autonomia   amministrativa   e
finanziaria, sicche' tale questione  e'  da  ritenere  ricompresa  in
quelle riguardanti gli artt. 118 e 119 Cost. 
    12.- La quarta questione, riguardante la violazione  degli  artt.
117, commi terzo e quarto, e 118  Cost.,  nonche'  del  principio  di
leale collaborazione, non e' fondata. 
    Secondo la Regione, le norme impugnate impedirebbero il passaggio
delle risorse dalle province agli enti subentranti (Regione e comuni)
nell'esercizio delle funzioni non fondamentali, cosicche' da un  lato
gli  enti  stessi  «difficilmente  potranno  disporre  delle  risorse
necessarie  a  finanziare   le   funzioni   non   fondamentali   loro
attribuite»,  dall'altro  la  Regione  «vedra'   inevitabilmente   ed
illegittimamente  compressa  la  propria  potesta'  legislativa   [di
riordino  delle  funzioni],  de  facto  vincolata  e  limitata  dalla
scarsita' di risorse finanziarie  provinciali  imposta  dallo  Stato,
tramite il contributo forzoso de quo». 
    Sul primo profilo si puo' osservare che, come visto,  le  risorse
versate allo Stato in parte si devono ritenere destinate a una futura
riassegnazione agli enti subentranti. Inoltre, mentre per le funzioni
fondamentali la Regione ha cercato di fornire una prova (peraltro non
utilizzabile,  come  visto  al  punto  6.1.),  per  le  funzioni  non
fondamentali  manca  qualsiasi   allegazione   volta   a   suffragare
l'insufficienza di risorse. Infine, i  parametri  invocati  non  sono
conferenti: se la lesione deriva dall'insufficienza delle risorse  ai
fini dell'esercizio delle funzioni non fondamentali "riallocate",  si
ricade nell'ambito dell'art. 119, quarto comma,  Cost.,  che  non  e'
stato evocato. 
    Quanto  al  secondo  profilo,   va   osservato   che   l'asserita
compressione del  potere  legislativo  regionale  di  riordino  delle
funzioni rappresenterebbe, ad ammetterla,  una  semplice  conseguenza
"di fatto" delle norme impugnate (come riconosce la stessa  Regione).
E' inoltre una conseguenza meramente eventuale,  come  risulta  anche
dal fatto che la Regione Veneto ha dato attuazione alla legge  n.  56
del 2014 con la legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19  (Disposizioni
per il riordino delle funzioni amministrative provinciali), la  quale
ha confermato in capo alle province le funzioni non  fondamentali  ad
essa attribuite (artt. 2 e 8). 
    Infine, non sussiste nemmeno la violazione del principio di leale
collaborazione. Se anche le norme impugnate impedissero, come lamenta
la ricorrente, una «libera attribuzione di funzioni  provinciali  non
fondamentali» da parte delle regioni, «concordata tra Stato e Regioni
anche in sede di Accordo raggiunto nella Conferenza Unificata dell'11
settembre 2014»,  il  principio  in  questione  non  ne  risulterebbe
violato, dato che, come affermato da questa  Corte,  un  accordo  non
puo' condizionare l'esercizio della funzione legislativa (sentenze n.
160 del 2009 e n. 437 del 2001). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 418, della legge 23 dicembre  2014,
n. 190  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge di  stabilita'  2015),  promosse,  in
riferimento agli artt. 2,  3,  5  e  117  della  Costituzione,  dalla
Regione Veneto con il ricorso di cui al r.r. n. 36 del 2015; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 418, della legge n. 190  del  2014,
promossa, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 Cost., dalla Regione
Veneto con il ricorso di cui al r.r. n. 36 del 2015; 
    3) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 418,  419
e 451, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento all'art.
119, primo, secondo e terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto con  i
ricorsi indicati in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge n.  190
del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 119, quarto  comma,
Cost., dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; 
    5) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  418,
della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 117,
terzo e quarto comma, e 119 Cost., dalla Regione Veneto con i ricorsi
indicati in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge n.  190
del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117,  commi
terzo  e  quarto,  e  118  Cost.,  nonche'  al  principio  di   leale
collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso di cui al r.r. n.
42 del 2015. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA