N. 207 ORDINANZA 15 giugno - 8 settembre 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Procedimento con messa alla prova  -  Richiesta  di
  sospensione - Termine. 
- Codice di procedura penale, art. 464-bis, comma 2. 
-   
(GU n.37 del 14-9-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  464-bis,
comma 2, del codice di procedura penale, aggiunto dall'art. 4,  comma
1, lettera a), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al  Governo
in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Brindisi  nel
procedimento penale a carico di M.L.O., con ordinanza del 17 dicembre
2014, iscritta al n. 94 del  registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  21,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 15  giugno  2016  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 17 dicembre 2014 (r.o. n. 94  del
2015),  il  Tribunale  ordinario  di  Brindisi   ha   sollevato,   in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in  avanti
«CEDU»), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4  agosto  1955,  n.  848,  una  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, del codice di
procedura penale, «nella parte in cui prevede  che  la  richiesta  di
sospensione del  procedimento  con  messa  alla  prova  "puo'  essere
proposta fino alla dichiarazione di  apertura  del  dibattimento  nel
giudizio direttissimo"»; 
    che il giudice a quo premette che l'imputato e' stato  tratto  in
arresto il 7 maggio 2012, nella flagranza dei reati di cui agli artt.
336, primo comma, 337 e 81, secondo comma,  del  codice  penale,  per
aver usato violenza nei confronti dell'assistente  della  Polizia  di
Stato impegnato nella ricezione delle prime dichiarazioni orali  rese
da C.A.M., che era stata appena vittima di una rapina a mano  armata,
al fine di costringerlo ad omettere quell'atto dell'ufficio  (capo  A
dell'imputazione), nonche' dei reati di cui agli artt. 582,  primo  e
secondo comma, 585, primo  comma,  576,  primo  comma,  numeri  1)  e
5-bis), e 61, numero 2), cod. pen., per aver cagionato, all'agente di
polizia nell'atto dell'adempimento  delle  sue  funzioni,  contusioni
multiple dalle quali derivava una malattia  nel  corpo  guaribile  in
giorni cinque (capo B dell'imputazione); 
    che l'arresto e' stato  convalidato  nell'udienza  del  9  maggio
2012, all'esito della quale l'imputato ha chiesto un termine a difesa
ai sensi dell'art. 558, comma 7, cod. proc. pen.; 
    che, nella successiva  udienza  del  3  ottobre  2012,  e'  stato
dichiarato aperto il dibattimento  e  sono  state  ammesse  le  prove
richieste dalle parti,  e  che  l'istruzione  dibattimentale  e'  poi
proseguita nelle udienze successive; 
    che,  nell'udienza  dell'11  giugno  2014,  la  prima  successiva
all'entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67  (Deleghe  al
Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma  del
sistema sanzionatorio. Disposizioni in  materia  di  sospensione  del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), l'imputato ha chiesto la «sospensione del procedimento
con messa alla prova», allegando la richiesta di elaborazione  di  un
programma di trattamento ex art. 168-bis cod.  pen.  e  art.  464-bis
cod. proc. pen., indirizzata all'Ufficio di esecuzione penale esterna
di Brindisi; 
    che  il  Tribunale  rimettente,  avendo  ritenuto  di  non  poter
accogliere la richiesta  dell'imputato,  ha  sollevato  d'ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis, comma  2,
cod. proc. pen., «nella parte in cui  prevede  che  la  richiesta  di
sospensione del  procedimento  con  messa  alla  prova  "puo'  essere
proposta fino alla dichiarazione di  apertura  del  dibattimento  nel
giudizio direttissimo"»; 
    che, in  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo  osserva  che
ricorrono  nel  caso  di  specie  tutti  i  presupposti  oggettivi  e
soggettivi per l'ammissione dell'imputato alla messa alla prova; 
    che, infatti, i reati indicati al capo A) dell'imputazione (artt.
336 e 337 cod. pen.) rientrano tra  quelli  elencati  nell'art.  550,
comma 2, cod. proc. pen., per i quali il pubblico ministero  esercita
l'azione  penale  con  citazione  diretta  a  giudizio,  e  il  reato
contestato sub B) dell'imputazione (art. 582 cod. pen.) e' punito con
pena massima inferiore ai  limiti  di  cui  all'art.  168-bis,  primo
comma, cod. pen.; 
    che  il  programma  di  trattamento  elaborato  dall'Ufficio   di
esecuzione penale esterna di Brindisi sarebbe  «conforme  al  modello
legale del "contenuto della prova" indicato negli artt. 168 bis  cod.
pen. e 464 bis,  464  ter  e  464  quater  c.p.p.  e  ne  soddisfa  i
requisiti»; 
    che l'imputato si  e'  altresi'  concretamente  attivato  per  il
risarcimento dei danni cagionati alla persona  offesa,  come  sarebbe
dimostrato dal verbale di remissione  della  querela  dell'11  giugno
2014; 
    che non sussisterebbero,  ne'  le  condizioni  ostative  previste
dall'art. 168-bis, quarto e  quinto  comma,  cod.  pen.,  non  avendo
l'imputato  mai  fruito   in   precedenza   della   sospensione   del
procedimento con messa alla  prova  e  non  ricorrendo  alcuna  delle
ipotesi previste dagli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 cod. pen.,  ne'
le condizioni per la pronuncia di una sentenza ex art. 129 cod. proc.
pen.; 
    che, infine, sulla base dei parametri indicati dall'art. 133 cod.
pen., sarebbe possibile  formulare  «un  giudizio  di  idoneita'  del
programma di trattamento presentato, nonche' una prognosi  favorevole
circa il pericolo di recidiva nel reato da parte dell'imputato; tanto
anche in considerazione del proprio stato di incensuratezza  e  delle
stesse modalita' dei fatti contestati, connotati da dolo d'impeto  e,
percio', da ritenersi del tutto occasionali (C.A.M., ossia la vittima
della rapina che gli agenti della Polizia di Stato erano  intenti  ad
ascoltare  per  assumere  le  prime  informazioni  sull'accaduto,  e'
coniuge del M.)»; 
    che l'imputato, in conclusione, avrebbe potuto ottenere la  messa
alla prova per tutti i delitti oggetto di imputazione, se  alla  data
dell'entrata in vigore della legge n. 67 del 2014  (17  maggio  2014)
non fosse gia' stato  superato  il  termine  di  decadenza  stabilito
dall'art. 464-bis, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  con  riferimento  al
giudizio direttissimo; 
    che l'art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. «introduce,  quindi,
un  limite  all'applicabilita'  retroattiva  della   nuova   e   piu'
favorevole disciplina della  "messa  alla  prova"  per  gli  imputati
adulti,  allorche',  al   momento   dell'introduzione   dell'istituto
premiale, sia stata superata la fase processuale entro  la  quale  la
sospensione del procedimento con la  messa  alla  prova  puo'  essere
richiesta dall'imputato»; 
    che, in punto di non manifesta infondatezza della  questione,  il
Tribunale rimettente  richiama  la  giurisprudenza  costituzionale  e
quella  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  in  tema   di
retroattivita' della legge penale piu' favorevole, ricordando come il
principio di  retroattivita'  in  mitius  -  riconosciuto  anche  dal
diritto internazionale (art. 15, comma 1,  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici, adottato  a  New  York  il  16
dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la  legge  25  ottobre
1977, n. 881) ed europeo (art. 49, comma 1, della Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo) -
abbia «assunto una propria autonomia e, attraverso l'art. 117,  comma
1° Cost., [abbia] acquistato un nuovo fondamento con l'interposizione
dell'art. 7 CEDU come interpretato  dalla  Corte  di  Strasburgo  (C.
Cost. n. 393/2006)»; 
    che le  «sentenze  "Scoppola"  e  "Del  Rio  Prada"  [...]  hanno
considerato irrilevante la qualifica  come  "processuale"  attribuita
dal diritto interno  a  norme  in  realta'  idonee  ad  incidere  sul
trattamento sanzionatorio»; 
    che il nuovo istituto della  sospensione  con  messa  alla  prova
cumulerebbe connotazioni  di  carattere  processuale  e  sostanziale,
perche' sarebbe al contempo una causa di estinzione del  reato  e  un
modulo di definizione alternativa al giudizio; 
    che, dal «rango  convenzionale  e  costituzionale  assegnato  [al
principio della retroattivita' della lex mitior] non puo'  non  farsi
discendere  la  conseguenza  [...]  che  eventuali  deroghe  a  detto
principio potrebbero giustificarsi solo in ragione  della  tutela  di
"controinteressi di rango omogeneo al  diritto  fondamentale  cui  si
intende eccettuare"», tra cui non possono  farsi  rientrare  «istanze
quali "l'efficienza del processo", "la tutela dei  destinatari  della
giurisdizione", "la  dispersione  delle  attivita'  processuali  gia'
compiute", "la ragionevole durata del processo"»; 
    che  peraltro   le   richiamate   istanze   «non   risulterebbero
significativamente   frustrate    per    effetto    dell'applicazione
retroattiva [ossia ai procedimenti che, al  momento  dell'entrata  in
vigore  della  legge  n.  67  del  2014,  abbiano  superato  la  fase
processuale della dichiarazione di apertura del  dibattimento]  della
nuova disciplina della "sospensione del procedimento con  messa  alla
prova per imputati maggiorenni"»; 
    che la  scelta  legislativa  di  individuare  «il  momento  della
dichiarazione di apertura del dibattimento come discrimine  temporale
per l'accesso alla "messa alla prova" nel giudizio  direttissimo  non
risulterebbe   conforme   a   ragionevolezza,   poiche'   l'attivita'
processuale in ipotesi compiuta non sarebbe del tutto  vanificata  da
un eventuale accesso all'istituto premiale»; 
    che il contrasto tra la norma censurata e l'art. 7 della CEDU non
sarebbe superabile in  via  interpretativa,  in  quanto  «[l]'effetto
sostanziale che  l'istituto  premiale  e'  suscettibile  di  produrre
risulta  rigidamente  vincolato  a  termini  processuali  espressi  e
tassativi»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque non fondate; 
    che la difesa dello Stato sottolinea come, in base  al  principio
di   diritto   processuale   "tempus   regit   actum",   l'esclusione
dell'applicazione del nuovo istituto  ai  procedimenti  pendenti  nei
quali sia gia' avvenuta l'apertura del dibattimento costituirebbe  il
frutto di  una  scelta  riservata  al  legislatore,  nel  ragionevole
esercizio della sua discrezionalita' in materia processuale. 
    Considerato che, con ordinanza del 17 dicembre 2014 (r.o.  n.  94
del 2015), il  Tribunale  ordinario  di  Brindisi  ha  sollevato,  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in  avanti
«CEDU»), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4  agosto  1955,  n.  848,  una  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, del codice di
procedura penale, «nella parte in cui prevede  che  la  richiesta  di
sospensione del  procedimento  con  messa  alla  prova  "puo'  essere
proposta fino alla dichiarazione di  apertura  del  dibattimento  nel
giudizio direttissimo"»; 
    che la questione e' manifestamente infondata; 
    che, con la sentenza n.  240  del  2015,  questa  Corte  ha  gia'
dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  464-bis,  comma  2,  cod.  proc.   pen.,   sollevata,   in
riferimento, tra gli altri, all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 7 della CEDU, dal Tribunale ordinario  di  Torino,
con ordinanza del 28 ottobre 2014 (r.o. n. 260 del 2014); 
    che la citata sentenza ha osservato che «[i]l  termine  entro  il
quale l'imputato puo' richiedere  la  sospensione  del  processo  con
messa alla prova e' collegato alle caratteristiche  e  alla  funzione
dell'istituto, che e' alternativo al  giudizio  ed  e'  destinato  ad
avere un rilevante effetto deflattivo. Consentire, sia  pure  in  via
transitoria, la richiesta nel corso del dibattimento, anche dopo  che
il  giudizio  si  e'  protratto  nel  tempo,  eventualmente  con   la
partecipazione della parte civile (che avrebbe maturato una legittima
aspettativa  alla  decisione),  significherebbe  alterare   in   modo
rilevante il procedimento»; 
    che l'inapplicabilita' dell'istituto  in  esame  ai  processi  in
corso, in cui sia stata gia' dichiarata l'apertura del  dibattimento,
prosegue  la  sentenza,  «e'  conseguenza  non  della   mancanza   di
retroattivita' della norma penale ma  del  normale  regime  temporale
della norma processuale, rispetto alla quale il riferimento  all'art.
7 della CEDU risulta fuori luogo»; 
    che, infatti, «[i]l principio di retroattivita' si  riferisce  al
rapporto tra un fatto e una  norma  sopravvenuta,  di  cui  viene  in
questione l'applicabilita', e nel caso  in  oggetto,  a  ben  vedere,
l'applicabilita' e dunque la  retroattivita'  della  sospensione  del
procedimento con messa alla prova non e' esclusa, dato che  la  nuova
normativa si applica anche ai reati commessi prima della sua  entrata
in vigore»; 
    che l'art.  464-bis  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  impugnata,
riguarda esclusivamente il processo ed e' espressione  del  principio
"tempus regit actum"; 
    che tale principio ben potrebbe essere derogato  da  una  diversa
disciplina transitoria, ma la sua mancanza non e'  certo  censurabile
in forza dell'art. 7 della CEDU; 
    che  pertanto  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata dal  Tribunale  ordinario  di  Brindisi  e'  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, del codice di
procedura penale,  sollevata,  in  riferimento  all'art.  117,  primo
comma, della Costituzione, in relazione all'art. 7 della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario
di Brindisi, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 settembre 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA