N. 212 ORDINANZA 6 luglio - 16 settembre 2016

Giudizio sull'ammissibilita' di ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato. 
 
Reati ministeriali  -  Procedimento  penale  a  carico  del  Ministro
  dell'economia e delle finanze pro-tempore - Conflitto sollevato dal
  Giudice per le indagini preliminari presso il  Tribunale  ordinario
  di Milano. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 2 luglio  2015  (doc.
  IV-bis, n. 2-A). 
-   
(GU n.38 del 21-9-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 2
luglio 2015 (doc. IV-bis,  n.  2-A),  promosso  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari presso il Tribunale  ordinario  di  Milano,  con
ricorso depositato in cancelleria il 18 marzo 2016 ed iscritto al  n.
6 del registro  conflitti  tra  poteri  dello  Stato  2016,  fase  di
ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del  6  luglio  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ricorso depositato il 18 marzo 2016, il Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario  di  Milano
ha promosso conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  con
riferimento alla deliberazione del  Senato  della  Repubblica  del  2
luglio 2015 (doc. IV-bis, n.  2-A),  con  la  quale  quest'ultimo  ha
dichiarato la propria incompetenza, «data la non ministerialita'  dei
reati»  contestati,  riguardo  alla  «domanda  di  autorizzazione   a
procedere in giudizio  ai  sensi  dell'art.  96  della  Costituzione,
presentata nei confronti del  senatore  Giulio  Tremonti,  nella  sua
qualita' di Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, [...]
per i reati di cui agli artt.  110,  319  e  321  del  codice  penale
(corruzione per atti contrari ai doveri dell'ufficio)»; 
    che il Giudice per le  indagini  preliminari  chiede  alla  Corte
costituzionale di: a) dichiarare che «non spettava  al  Senato  della
Repubblica attribuire una qualificazione giuridica dei fatti ascritti
a Tremonti Giulio diversa da quella  prospettata  dal  Tribunale  dei
Ministri al quale andava rimessa in via esclusiva»; b) affermare, «in
subordine», che «non spettava al Senato della  Repubblica  attribuire
una qualificazione giuridica dei fatti  ascritti  a  Tremonti  Giulio
diversa da quella  prospettata  dal  Tribunale  dei  Ministri,  senza
sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi
alla Corte costituzionale»; c) «per  l'effetto,  previo  annullamento
dell'atto in contestazione, [...] ritrasmettere gli  atti  al  Senato
della Repubblica per l'esercizio delle prerogative ai sensi dell'art.
96 della Costituzione»; d) o, «in  alternativa,  [...]  stabilire  la
natura ministeriale o meno del reato  in  questione  ed  assumere  le
decisioni conseguenti»; 
    che il ricorrente premette di essere investito,  nell'ambito  del
predetto  procedimento  penale,  della  richiesta  di   archiviazione
depositata dall'Ufficio del pubblico ministero in data 3 marzo  2016,
conseguente alla delibera adottata dal  Senato  della  Repubblica  in
data 2 luglio 2015, con la quale e' stata approvata la proposta della
Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari  di  «dichiarare
l'incompetenza del Senato, ai sensi del comma 4 dell'art. 135-bis del
Regolamento,  data  la  non  ministerialita'  dei  reati  di  cui  al
documento in titolo,  con  la  conseguente  restituzione  degli  atti
all'autorita' giudiziaria» (doc. IV-bis, n. 2-A); 
    che il ricorrente riferisce, altresi', che nella relazione  della
Giunta si riteneva che il reato oggetto di contestazione  «non  fosse
di natura ministeriale, in quanto, sostanzialmente, per  buona  parte
commesso prima che il Tremonti divenisse Ministro  della  Repubblica»
o, comunque sia, «senza certezze sufficienti sulla circostanza che il
patto corruttivo si realizzasse, per cosi' dire, anche solo un attimo
dopo che costui avesse formalmente  assunto  la  carica  di  ministro
della Repubblica»; 
    che,  a  giudizio  del  Giudice  per  le  indagini   preliminari,
«soggetto  legittimato  allo   scopo   di   preservare   le   proprie
attribuzioni   costituzionali»,   la   scrutinanda    richiesta    di
archiviazione  sollecitata  dall'Ufficio   del   pubblico   ministero
comporta «la necessita' della proposizione del conflitto», avendo  la
stessa per oggetto - «come evidente dalla  formulazione  dell'ipotesi
accusatoria» - un reato qualificato e configurato come «ministeriale»
sul quale il giudice adito, «pur  non  possedendo  alcuna  competenza
funzionale, viene comunque chiamato a  dichiarare,  nel  procedimento
sottoposto al suo giudizio, la volonta' del potere cui appartiene»; 
    che, in particolare, il Senato della Repubblica avrebbe invaso le
attribuzioni  del  potere  giudiziario,  quanto  alla  qualificazione
giuridica e alla natura ministeriale o no del reato  contestato,  non
spettando  sul  punto  all'organo  parlamentare  alcuna   valutazione
vincolante rispetto all'Autorita' giudiziaria; 
    che, ove il Senato  della  Repubblica  non  avesse  condiviso  la
valutazione operata dal Collegio per i reati ministeriali, costituito
ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge costituzionale 16  gennaio
1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione
e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in  materia
di procedimenti per i reati di cui all'art. 96  della  Costituzione),
avrebbe dovuto sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte
costituzionale, secondo quanto specificato nelle sentenze n. 88 e  87
del 2012, nonche' n. 29 del 2014; 
    che, sempre a giudizio del ricorrente, la Giunta delle elezioni e
delle  immunita'  parlamentari  avrebbe  ritenuto  appartenere   alle
proprie prerogative il disconoscimento della natura ministeriale  del
reato ascritto al senatore Tremonti  e  la  conseguente  restituzione
degli  atti  all'Autorita'  giudiziaria  procedente   «affinche'   il
procedimento proseguisse nelle forme ordinarie»; 
    che, in conseguenza, il Senato  della  Repubblica  sarebbe  cosi'
andato oltre l'ambito del suo legittimo intervento, tale da limitarsi
all'apprezzamento delle esimenti ministeriali  previste  dall'art.  9
della legge costituzionale n. 1 del 1989; 
    che, come affermato dalla Corte e  in  linea  con  l'orientamento
della dottrina che si assume prevalente, non spetterebbe alle  Camere
la facolta' di scrutinare (quantomeno in  via  esclusiva)  la  natura
ministeriale dei reati, in quanto competenza (quantomeno concorrente)
del  Tribunale  dei  Ministri,  dovendo  esse   limitarsi   al   solo
apprezzamento «in termini insindacabili, se  congruamente  motivati»,
della sussistenza  di  condotte  significative  della  tutela  di  un
interesse   dello   Stato   costituzionalmente   rilevante   o    del
perseguimento di un interesse pubblico preminente; 
    che, secondo il ricorrente, il Senato della  Repubblica  avrebbe,
nella specie, «censurato e rimodulato  il  merito  del  provvedimento
adottato dal Tribunale dei Ministri, con una valutazione connotata da
un  effetto  di  usurpazione  o  di  menomazione  sostanziale   delle
attribuzioni del potere giudiziario e con una decisione che  comporta
un effetto di menomazione  procedurale  che  vanno  entrambe  rimosse
attraverso la proposizione di un conflitto di attribuzioni fra poteri
dello Stato». 
    Considerato che in questa fase del giudizio,  a  norma  dell'art.
37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
questa Corte e' chiamata a delibare senza contraddittorio  in  ordine
all'ammissibilita' del conflitto di attribuzione; 
    che, preliminarmente, occorre esaminare se sussista il  requisito
di ordine soggettivo prescritto  dall'art.  37,  primo  comma,  della
legge n. 87 del 1953; 
    che il conflitto appare carente sotto il  predetto  profilo,  non
possedendo il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
ordinario di Milano, come egli stesso  dichiara,  «alcuna  competenza
funzionale» in ordine alla valutazione circa la  natura  ministeriale
del reato; 
    che, infatti, questa Corte ha gia' riconosciuto «che il ramo  del
Parlamento competente ai sensi dell'art. 96 Cost. possa esprimere una
propria valutazione sulla natura del fatto  contestato  al  ministro,
purche' essa  si  collochi  all'interno  della  procedura  per  reato
ministeriale attivata dall'autorita' giudiziaria» (sentenze n.  88  e
87 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 29 del 2014); 
    che, a fronte di una deliberazione parlamentare  la  quale,  come
nel caso di specie,  attribuisca  una  qualificazione  giuridica  dei
fatti ascritti al Ministro diversa da quella prospettata dal Collegio
per i reati ministeriali, quest'ultimo puo' ben  sollevare  conflitto
di attribuzione dinanzi a questa Corte; 
    che, nondimeno, della diversa valutazione in ordine  alla  natura
del fatto contestato al  ministro  la  Camera  competente  deve  dare
comunicazione al Collegio per i reati ministeriali,  in  ossequio  al
principio costituzionale di leale collaborazione nonche' in  analogia
con  quanto  previsto  dall'art.  9,  quarto   comma,   della   legge
costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche  degli  articoli  96,
134 e 135 della Costituzione e della legge  costituzionale  11  marzo
1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per  i  reati  di  cui
all'articolo 96 della Costituzione) e dall'art.  4,  comma  1,  della
legge  5  giugno  1989,  n.  219  (Nuove  norme  in  tema  di   reati
ministeriali e di reati previsti dall'art. 90 della Costituzione); 
    che, ad ogni  modo,  l'assenza  di  formale  comunicazione  della
deliberazione parlamentare non osta alla proposizione  del  conflitto
da parte del Tribunale dei Ministri competente; 
    che, infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
il conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato  «si  estende  a
comprendere ogni ipotesi in  cui  dall'illegittimo  esercizio  di  un
potere altrui consegua la menomazione di una  sfera  di  attribuzioni
costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sentenza n. 110 del
1970); 
    che, se un conflitto fra poteri puo' sorgere anche  a  fronte  di
un'omissione lesiva di attribuzioni altrui (ex plurimis, sentenza  n.
241 del 2009 e sentenza n. 406 del  1989),  a  maggior  ragione  puo'
essere sollevato quando un atto esista ancorche', come nella  specie,
non ne sia stata data formale comunicazione all'«organo competente  a
dichiarare definitivamente la volonta'  del  potere»  che  si  assume
menomato; 
    che, alla luce di quanto rappresentato,  il  ricorrente,  proprio
perche' e' e si e' riconosciuto privo di «competenza funzionale», non
puo' che disporre, quindi, la trasmissione degli atti al Collegio per
i reati ministeriali, costituito ex art. 7 della legge costituzionale
n. 1 del 1989, da ritenersi necessaria, ai sensi del precedente  art.
6, ogni qual volta «venga ravvisata, quantomeno sotto il profilo  del
dubbio, l'ipotizzabilita' di un reato ministeriale [...] dal p.m.  o,
successivamente, dal g.i.p»  (Cassazione  penale,  sezione  terza,  6
agosto 1992, n. 2865); 
    che, pertanto, il ricorso deve ritenersi inammissibile,  restando
assorbito l'esame di ogni altro profilo e requisito. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile il conflitto di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato promosso dal Giudice per le indagini  preliminari  presso
il Tribunale ordinario di  Milano  nei  confronti  del  Senato  della
Repubblica, con il ricorso in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA