N. 219 SENTENZA 21 settembre - 12 ottobre 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  -   Oneri   finanziari
  sostenuti  in  esecuzione  di  sentenze  di  condanna  dello  Stato
  italiano - Diritto di  rivalsa  dello  Stato  nei  confronti  delle
  amministrazioni locali responsabili delle violazioni. 
- Legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali  sulla  partecipazione
  dell'Italia al  processo  normativo  dell'Unione  europea  e  sulle
  procedure di esecuzione degli obblighi  comunitari),  art.  16-bis,
  comma 5. 
-   
(GU n.42 del 19-10-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Mario
  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Augusto  BARBERA,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  16-bis,
comma 5, della legge 4 febbraio 2005, n.  11  (Norme  generali  sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione  europea
e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari),  promosso
dal Tribunale ordinario di Bari, nel  procedimento  vertente  tra  il
Comune di San Ferdinando di Puglia e il Presidente del Consiglio  dei
ministri piu' altro, con ordinanza del 30 dicembre 2015, iscritta  al
n. 74  del  registro  ordinanze  2016  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 15,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016. 
    Visti l'atto di costituzione, fuori termine, del  Comune  di  San
Ferdinando di Puglia, nonche' l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza  emessa  il  30  dicembre  2015,  il  Tribunale
ordinario di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  97,
117, primo comma, 114, 118 e 119, quarto comma,  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16-bis,  comma  5,
della  legge  4  febbraio  2005,  n.   11   (Norme   generali   sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione  europea
e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), il  quale
prevede il  diritto  di  rivalsa  dello  Stato  nei  confronti  delle
amministrazioni locali responsabili di violazioni  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848,  per  gli  oneri
finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze  di  condanna  rese
dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato. 
    2.- Il giudice rimettente e' chiamato a decidere in  ordine  alla
domanda proposta dal Comune di San Ferdinando di Puglia nei confronti
della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e   del   Ministero
dell'economia e delle finanze, al  fine  di  ottenere  l'accertamento
negativo del diritto di rivalsa esercitato dallo stesso Ministero per
il  pagamento  della  somma  di  euro  903.100,  versata   a   titolo
risarcitorio alla parte privata  ricorrente,  in  esecuzione  di  una
condanna  della  Corte  di  Strasburgo  nei  confronti  dello   Stato
italiano. 
    Sulla  base  degli  argomenti  svolti  dalla  parte   attrice   e
puntualmente richiamati dall'ordinanza,  il  giudice  a  quo  ritiene
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 16-bis, comma 5, della legge n. 11 del 2005,
introdotto dall'art. 6, comma 1, della legge 25 febbraio 2008, n. 34,
recante  «Disposizioni  per  l'adempimento  di   obblighi   derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee   (Legge
comunitaria 2007)», ora confluito nell'art. 43, comma 10, della legge
24  dicembre  2012,  n.  234  (Norme  generali  sulla  partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e  delle
politiche dell'Unione europea). Esso prevede il  diritto  di  rivalsa
dello Stato nei confronti delle amministrazioni  locali  responsabili
di violazioni della CEDU,  per  gli  oneri  finanziari  sostenuti  in
esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di  Strasburgo
nei confronti dello Stato. 
    Il rimettente  ritiene,  in  particolare,  che  l'univoco  tenore
letterale della norma impugnata non consenta interpretazioni conformi
a Costituzione. Si  tratterebbe  in  particolare  di  una  disciplina
sanzionatoria,  con  efficacia   retroattiva,   che   configura   una
responsabilita' degli enti non gia' per attivita' proprie  (e  dunque
addebitabili agli stessi), quanto, piuttosto, per attivita'  che  gli
stessi enti pongono in essere al solo fine di  assicurare  la  fedele
attuazione di quanto disposto dalla legge. 
    In cio' viene ravvisata la  violazione  di  molteplici  parametri
costituzionali. 
    In primo luogo, viene denunciato il contrasto con il principio di
ragionevolezza, di cui agli artt. 3 e 97 Cost. in quanto  il  diritto
di rivalsa verrebbe, nella specie, esercitato in applicazione di  una
normativa entrata in vigore successivamente alla condanna dell'Italia
da parte della Corte di Strasburgo. L'ente locale sarebbe  sanzionato
per comportamenti pregressi, adottati allorche' gli stessi non  erano
previsti come fonte  di  responsabilita'.  La  portata  "retroattiva"
della  disposizione  censurata  sarebbe  incoerente   rispetto   alla
finalita'  di  prevenzione  che  la  ispira  e  che  e'  volta   alla
promozione, negli enti pubblici, di comportamenti  virtuosi  che  non
espongano lo Stato a sanzioni derivanti dalla violazione del  diritto
europeo. 
    Difetterebbero,   inoltre,   gli   elementi   costitutivi   della
responsabilita' dell'ente territoriale.  Ad  avviso  del  rimettente,
infatti, il Comune di San Ferdinando di Puglia avrebbe fatto fedele e
doverosa applicazione delle leggi dello  Stato,  delle  sentenze  dei
giudici nazionali  e  della  Corte  costituzionale,  e  avrebbe  gia'
provveduto a risarcire la parte privata ricorrente per  l'illegittima
espropriazione  subita.  Di  converso,  lo  Stato  italiano   avrebbe
colpevolmente omesso di svolgere le proprie difese  e  di  presentare
osservazioni  nel  giudizio  dinanzi  alla   Corte   di   Strasburgo.
Nell'impossibilita',  per  il  Comune,  di  partecipare  al  giudizio
innanzi  alla  CEDU,  la  condanna   sarebbe   la   conseguenza   del
comportamento processuale di inerzia e negligenza dello Stato. 
    La disposizione censurata violerebbe, inoltre, gli artt.  3,  97,
117, primo comma, Cost., nella parte in cui essa disciplina, in  modo
eguale, attraverso l'uniforme previsione del diritto  di  rivalsa  in
capo allo Stato, situazioni che, invece, sono differenti. Ed  invero,
mentre il contrasto tra il diritto interno ed il diritto  comunitario
obbliga tanto i giudici quanto le amministrazioni a  disapplicare  il
primo, tale meccanismo non opera nel contrasto tra diritto interno  e
diritto convenzionale. In  quest'ultima  ipotesi,  infatti,  solo  la
Corte costituzionale puo' annullare la norma  interna  per  contrasto
con la CEDU e con l'art. 117, primo comma,  Cost.  Nessun  giudice  e
nessuna pubblica  amministrazione  puo'  disapplicare  una  normativa
interna ritenuta in contrasto con la CEDU. 
    Tale   principio   cogente   vale   a   fortiori,   per    quelle
amministrazioni, come i Comuni, che non  esercitano  alcuna  potesta'
legislativa e sono tenuti ad informare la loro attivita' al principio
di legalita'. L'operato di un Comune  verrebbe  infatti,  sanzionato,
non solo laddove esso sia discrezionale e volontario, ma anche quando
esso sia ossequioso del principio di legalita'. 
    Ad avviso del giudice a quo, sarebbe  altresi'  irragionevole  la
previsione, con modalita' indifferenziate, di uno stesso  diritto  di
rivalsa  statale,  nei  confronti  di  enti  titolari   di   funzioni
costituzionali di diversa intensita'. 
    La violazione degli artt. 3 e 97 Cost. viene, inoltre,  ravvisata
nella  deresponsabilizzazione  dello  Stato  che,  in   forza   della
disposizione censurata, esercita il proprio diritto  di  rivalsa  nei
confronti di altro ente, ma non per un comportamento  addebitabile  a
quest'ultimo, bensi' per un atto, quale e' la legge, di cui lo  Stato
stesso e' l'unico soggetto giuridicamente responsabile, mentre l'ente
medesimo ha l'obbligo, e non gia' la mera facolta',  di  attenersi  a
tale atto normativo primario. 
    In ogni caso, l'entita'  dell'importo  del  risarcimento  sarebbe
tale da mettere in difficolta' il bilancio del Comune, di  dimensioni
oggettivamente modeste, e si porrebbe in  contrasto  con  l'art.  118
Cost., che attribuisce agli enti locali competenze costituzionalmente
rilevanti.  Inoltre,   la   disciplina   sul   diritto   di   rivalsa
determinerebbe  una  sostanziale  subordinazione  degli  enti  locali
rispetto allo Stato, in  contrasto  con  l'art.  114  Cost.  Sarebbe,
infine, ostacolata la concreta operativita' dell'art. 119,  comma  4,
Cost., in base al quale gli enti locali devono finanziare le funzioni
pubbliche loro attribuite. 
    La  previsione  della  rivalsa  statale  sul  bilancio   comunale
violerebbe, inoltre, l'art. 24 Cost.,  sul  duplice  rilievo,  da  un
lato, dell'impossibilita', per il Comune, di partecipare al  giudizio
dinanzi alla Corte europea,  e,  dall'altro,  dell'inerzia  difensiva
dello Stato italiano nell'ambito di tale giudizio. 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile,
ovvero infondata. 
    3.1.-  In  via   preliminare,   la   difesa   statale   eccepisce
l'inammissibilita' della questione per la  mancanza  di  una  congrua
motivazione  sulla  rilevanza.  Le  ragioni  esposte   nell'ordinanza
sarebbero apodittiche e generiche, cosi' come assolutamente  generica
sarebbe la descrizione dei fatti che hanno portato alla  formulazione
dei  dubbi  di  costituzionalita',  in  quanto  non  si  terrebbe  in
considerazione   l'illegittimita'   della   procedura   espropriativa
condotta dal Comune, per l'omessa  adozione  del  decreto  finale  di
esproprio e per l'acquisizione di fatto del bene occupato. 
    Viene, inoltre, eccepito l'omesso  tentativo  di  interpretazione
costituzionalmente conforme della disposizione censurata.  Ad  avviso
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,   non   vi   sarebbe   alcun
automatismo nella condanna dell'amministrazione  locale  in  sede  di
rivalsa. Infatti, sia alla Presidenza del Consiglio dei ministri, sia
al giudice adito, sarebbe consentita  la  valutazione  dell'incidenza
dell'azione  causale   delle   amministrazioni   territoriali   nella
produzione del danno  e  la  comparazione  delle  responsabilita'  di
queste ultime rispetto a quelle dello Stato.  Tale  decisivo  aspetto
sarebbe stato trascurato dal giudice a quo. 
    3.2.-  Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  deduce
l'infondatezza della questione di costituzionalita'. 
    Quanto  alla  denunciata  "retroattivita'"   della   disposizione
censurata, si osserva che la disciplina  in  contestazione  e'  stata
introdotta dall'art. 6, primo comma, lettera e), della  legge  n.  34
del 2008, il quale, a sua volta, riprendeva quanto sancito dai  commi
da 1213 a 1223 dell'art. 1 della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007). Nel caso in esame, la sentenza
di condanna della Corte di Strasburgo e' divenuta  definitiva  il  16
giugno 2008 ed e' a questa data che  occorrerebbe  fare  riferimento,
trattandosi di azione di  rivalsa  strettamente  dipendente  da  tale
condanna. 
    La  difesa  statale  evidenzia,  inoltre,  che  la   disposizione
censurata, anziche'  introdurre  una  disciplina  sanzionatoria,  non
farebbe altro che estendere alla fase esecutiva  delle  sentenze  dei
giudici europei (Corte di Giustizia e Corte EDU) un istituto generale
del diritto civile, qual e' la rivalsa, in base al quale  avviene  il
recupero delle somme  versate  da  un  soggetto  a  causa  di  azioni
ascrivibili  alla  responsabilita'  di  un  terzo.  Si   tratterebbe,
infatti,  di  una  disposizione  finalizzata  a  porre  rimedio  allo
squilibrio economico conseguente alla violazione di legge (imputabile
all'ente territoriale), da un lato, e  all'onere  del  pagamento  del
conseguente risarcimento (posto a  carico  dello  Stato),  dall'altro
lato. Pertanto, non vi sarebbe alcuna irrazionalita' nella previsione
del diritto di rivalsa dello Stato per le somme pagate in conseguenza
dell'azione illegittima dell'amministrazione locale. 
    Quanto  alla  disciplina  dell'azione  di  rivalsa,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  evidenzia  la   prioritaria   finalita'   del
raggiungimento  di  un'intesa  fra   Stato   ed   ente   territoriale
responsabile e, in mancanza di questa, l'acquisizione  di  un  parere
non vincolante della Conferenza unificata (art.  43,  commi  7  e  8,
della legge n. 234 del 2012). L'adozione del provvedimento  esecutivo
da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sarebbe prevista
come extrema ratio, in caso di esito negativo delle fasi  preliminari
di consultazione ed intesa. Tali fasi sarebbero volte alla ricerca di
modalita' di adempimento compatibili con le  attivita'  istituzionali
dell'ente territoriale e le sue  risorse  di  bilancio  (ad  esempio,
mediante  la  definizione  delle  rispettive  responsabilita'  e   la
rateizzazione della somma da pagare, ovvero attraverso  compensazioni
con  altre  partite).  In  questo  modo,  la  disciplina   in   esame
soddisferebbe i precetti sanciti dagli  artt.  3,  97  e  117,  primo
comma, Cost., invocati dal giudice remittente. 
    Con riferimento ai parametri di cui agli artt. 24, 114, 118 e 119
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato ripercorre i fatti che hanno
portato la Corte europea alla condanna dello Stato italiano. Essi  si
ricollegano ad una procedura espropriativa interamente  riconducibile
all'iniziativa e alla responsabilita' del Comune di San Ferdinando di
Puglia, senza alcuna interferenza da parte di uffici statali.  Questa
si sarebbe conclusa in modo illegittimo, con l'acquisizione di  fatto
del terreno di proprieta' privata, omettendo il  completamento  della
procedura  di  esproprio  e  l'adozione  del   provvedimento   finale
prescritto dalla legge. 
    Il  Comune  sarebbe,  dunque,   chiamato   a   rispondere   delle
conseguenze dannose di azioni ed omissioni allo stesso riconducibili.
D'altra parte, il beneficio  di  tale  espropriazione  rimarrebbe  ad
esclusivo vantaggio dell'amministrazione comunale che ha acquisito al
suo patrimonio il bene e l'opera pubblica che vi e' stata realizzata. 
    Si evidenzia, inoltre, che, secondo la CEDU,  l'ente  locale  non
potrebbe  sottrarsi  agli  obblighi   derivanti   da   una   sentenza
definitiva, neppure  in  caso  di  carenza  di  risorse  finanziarie.
Vengono  richiamate,  al  riguardo,  le  sentenze  della   Corte   di
Strasburgo nei casi De Luca contro Italia e Pennino contro Italia. 
    Viene, infine, contestato che vi sia stata  un'inerzia  difensiva
dello  Stato  nel   giudizio   dinanzi   alla   Corte   europea.   La
Rappresentanza italiana a Strasburgo avrebbe, infatti,  compiutamente
svolto le proprie funzioni processuali, contestando la  tempestivita'
e la fondatezza delle  avverse  pretese,  sia  pure  senza  successo.
Inoltre, il Comune sarebbe stato puntualmente informato del ricorso e
dei suoi sviluppi ed invitato a formulare  le  proprie  osservazioni.
L'Avvocatura generale  dello  Stato  evidenzia,  d'altra  parte,  che
dinanzi  all'autorita'  giudiziaria  italiana  lo  stesso  Comune  e'
risultato soccombente in tutti i gradi  del  giudizio  relativo  alla
procedura espropriativa in questione. 
    Con riferimento alla denunciata retroattivita' della disposizione
censurata, viene, inoltre, evidenziato  che  -  secondo  la  costante
giurisprudenza  costituzionale  -  il   legislatore   puo'   adottare
disposizioni con effetto retroattivo al fine di salvaguardare  alcuni
interessi   fondamentali,   quali   quelli   protetti   da   principi
costituzionali, nel rispetto del criterio di ragionevolezza. 
    Pertanto, considerata la  rilevanza  che  assumono  gli  obblighi
discendenti dalla CEDU nel nostro ordinamento, ai sensi dell'art. 117
Cost., nonche' la preminenza degli interessi  tutelati  dalla  stessa
Convenzione,  ad  avviso   dell'Avvocatura   generale   dello   Stato
costituisce «un motivo di interesse generale» il dovere  dello  Stato
di attivarsi per eliminare le conseguenze  dannose  prodotte  da  una
violazione accertata dalla Corte di Strasburgo. Oltre alle misure  di
carattere individuale, vi rientrerebbero anche quelle che lo Stato ha
il  dovere  di  adottare  allorche'  la  violazione   accertata   sia
espressione di una prassi - amministrativa o giurisdizionale -  o  di
una  disposizione  normativa  destinata  a  disciplinare  in  maniera
uniforme le fattispecie dalla  stessa  regolate,  come  nel  caso  in
esame. 
    Quanto al denunciato contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.,  viene
evidenziato che la condotta consistita  nell'occupazione  acquisitiva
integra un fatto  illecito,  avvenuto  in  violazione  dell'ordinario
procedimento di  espropriazione  per  pubblica  utilita',  dal  quale
discende, ai sensi dell'art. 2043 del codice civile,  il  diritto  al
risarcimento del danno in capo al proprietario del terreno  occupato.
In questi  casi,  viene  in  rilievo  un  illecito  ascrivibile  alla
pubblica amministrazione e consistente nell'occupazione  sine  titulo
di un suolo privato seguita dalla  sua  irreversibile  trasformazione
per effetto della realizzazione su di esso di  un'opera  pubblica.  A
cagione di cio', si  inverano  i  presupposti  della  responsabilita'
della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art.  2043  cod.  civ.,
produttiva, come tale, di danno risarcibile. 
    Pertanto, anche  gli  enti  territoriali  -  qualora  si  rendano
responsabili di violazioni del diritto  interno  costituenti  lesioni
del diritto sovranazionale -  debbono  rispondere  delle  conseguenze
negative derivanti dall'inosservanza di tali vincoli. 
    4.- Il Comune di San Ferdinando di Puglia  si  e'  costituito  in
giudizio con memoria depositata il 21 luglio  2016,  nella  quale  ha
sostenuto  le  ragioni   dell'illegittimita'   costituzionale   della
disposizione censurata. 
    A suo avviso, l'azione  di  rivalsa  dello  Stato  sarebbe  stata
esercitata nonostante il Comune non abbia mai partecipato al giudizio
dinanzi alla Corte di Strasburgo e  non  sia  stato  mai  invitato  a
chiarire le ragioni che giustificano  il  suo  esonero  da  qualsiasi
responsabilita'. Ad avviso della difesa del Comune, in  tal  modo  lo
Stato tenterebbe di recuperare dagli enti locali  somme  relative  al
risarcimento  di  danni,  la  responsabilita'   dei   quali   sarebbe
ascrivibile esclusivamente ad esso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza  emessa  il  30  dicembre  2015,  il  Tribunale
ordinario di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  97,
117, primo comma, 114, 118 e 119, quarto comma,  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16-bis,  comma  5,
della  legge  4  febbraio  2005,  n.   11   (Norme   generali   sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione  europea
e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), il  quale
prevede il  diritto  di  rivalsa  dello  Stato  nei  confronti  delle
amministrazioni locali responsabili di violazioni  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848,  per  gli  oneri
finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze  di  condanna  rese
dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato. 
    2.- In via preliminare, va rilevata l'inammissibilita'  dell'atto
di costituzione del Comune di San Ferdinando di Puglia. 
    Tale costituzione risulta avvenuta il 21  luglio  2016  e  quindi
oltre il termine di venti giorni dalla  pubblicazione  dell'ordinanza
di rimessione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima  serie
speciale, n. 15 del 13 aprile 2016, fissato dall'art. 3  delle  norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    Il  Comune  deduce,  peraltro,  la  tempestivita'  della  propria
costituzione in giudizio, ritenendo, in primo luogo,  la  natura  non
perentoria del termine per la costituzione delle parti del giudizio a
quo. 
    Tale assunto non e' fondato. Secondo la  costante  giurisprudenza
costituzionale,  il  termine  fissato   dall'art.   3   delle   norme
integrative con riguardo alla costituzione delle parti del giudizio a
quo ha natura perentoria e dalla  sua  violazione  consegue,  in  via
preliminare  e   assorbente,   l'inammissibilita'   degli   atti   di
costituzione depositati oltre la sua scadenza (ex plurimis,  sentenze
n. 236 e 27 del 2015, n. 364 e n. 303 del 2010, n. 263 e n.  215  del
2009; ordinanze n. 11 del 2010, n. 100 del 2009 e n. 124 del 2008). 
    In secondo luogo,  a  sostegno  della  ritualita'  della  propria
costituzione in giudizio, il Comune ha eccepito  l'invalidita'  della
notifica dell'ordinanza  di  rimessione,  poiche'  avvenuta  mediante
posta elettronica certificata. 
    Anche tale assunto non  e'  fondato.  La  notifica  in  esame  e'
regolarmente avvenuta nelle  forme  previste  dall'art.  149-bis  del
codice di procedura  civile.  Tale  disposizione  e'  applicabile  al
giudizio dinanzi  a  questa  Corte  in  forza  del  rinvio  contenuto
nell'art.  39  del  decreto  legislativo  2  luglio  2010,   n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo), a sua volta richiamato dall'art. 22 della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale). 
    3.- La questione sollevata in riferimento  agli  artt.  97,  114,
117, primo comma, 118 e 119, quarto comma, Cost., e' inammissibile. 
    3.1.-   Nell'ordinanza   di   rimessione   difetta    un'adeguata
motivazione in ordine alle ragioni di contrasto tra  le  disposizioni
censurate e i parametri costituzionali sopra indicati. 
    L'ordinanza di rimessione si limita,  infatti,  a  denunciare  il
contrasto  in  termini  assertivi  ed  apodittici,  in   assenza   di
un'autonoma ed adeguata illustrazione  dei  motivi  per  i  quali  la
normativa censurata integrerebbe la violazione dei parametri evocati. 
    In particolare, non vengono  illustrate  le  ragioni  a  sostegno
della paventata subordinazione degli enti locali rispetto allo Stato,
nonche' dell'impossibilita' di svolgere competenze costituzionalmente
rilevanti ne', infine,  del  pregiudizio  che  verrebbe  arrecato  al
finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite agli enti locali. 
    Per  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,   «e'   infatti
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale posta senza
un'adeguata  ed  autonoma  illustrazione,  da   parte   del   giudice
rimettente,  delle  ragioni  per  le  quali  la  normativa  censurata
integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato. Non
basta, in altre parole, l'indicazione delle norme da raffrontare, per
valutare la compatibilita' dell'una rispetto al contenuto  precettivo
dell'altra, ma e' necessario motivare il  giudizio  negativo  in  tal
senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al
fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione» (sentenze  n.
120 del 2015 e n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321  del
2010, n. 181 del 2009). 
    4.- In riferimento agli artt. 3 e 24  Cost.,  sono  infondate  le
eccezioni  di  inammissibilita'  della  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16-bis, comma 5, della legge n. 11 del 2005. 
    4.1.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce la  genericita'
della  descrizione  della  fattispecie,  in  quanto   non   sarebbero
specificati i riferimenti temporali della vicenda e  non  si  darebbe
risalto al carattere illegittimo della procedura condotta dal Comune,
attesa  la  mancata  adozione  del  decreto  finale  di  esproprio  e
l'acquisizione di fatto del bene occupato. 
    Va, viceversa, rilevato che l'ordinanza di rimessione  chiarisce,
in termini sintetici ma adeguati, la necessita' di fare  applicazione
della  disposizione  censurata  ai   fini   della   decisione   della
controversia, in quanto il fondamento del diritto vantato dallo Stato
e oggetto di contestazione nel giudizio a quo risiede  proprio  nella
disposizione censurata. 
    Il giudice rimettente ha riferito, infatti, di  essere  investito
del giudizio di accertamento  negativo  del  credito  azionato  dallo
Stato in via di rivalsa ai sensi dell'art. 16-bis della legge  n.  11
del 2005, per il pagamento di quanto versato  a  titolo  risarcitorio
alla parte privata ricorrente, in  esecuzione  della  condanna  della
Corte  di  Strasburgo,  per  violazione  del  diritto  di  proprieta'
derivante da una procedura espropriativa illegittima. 
    4.2.- Quanto ai riferimenti temporali, tenuto conto dei  ripetuti
interventi modificativi dell'istituto della rivalsa,  l'ordinanza  di
rimessione appare adeguatamente motivata in punto di rilevanza  della
questione, avendo evidenziato che il Ministero dell'economia e  delle
finanze ha agito sulla base della sentenza della Corte di  Strasburgo
del 4  dicembre  2007,  nella  causa  Pasculli  contro  Italia.  Tale
pronuncia  e'  divenuta  definitiva  il  2  giugno  2008,  in   epoca
antecedente all'entrata in  vigore  della  nuova  disciplina  di  cui
all'art. 43, comma 10, della legge 24 dicembre 2012,  n.  234  (Norme
generali  sulla  partecipazione   dell'Italia   alla   formazione   e
all'attuazione  della  normativa  e   delle   politiche   dell'Unione
europea),  ma  successiva  alla  legge  27  dicembre  2006,  n.   296
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2007), la quale all'art. 1, commi  da
1213 a 1223, stabiliva  la  precedente  disciplina  dell'istituto  in
esame. 
    4.3.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  ha,  infine,  eccepito
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale per
l'omesso tentativo di un'interpretazione conforme. 
    Tuttavia, tale possibilita'  viene  consapevolmente  esclusa  dal
rimettente, il quale - dopo avere illustrato le  ragioni  a  sostegno
della denunciata illegittimita' - ravvisa nel tenore letterale  della
disposizione un impedimento ad un'interpretazione compatibile  con  i
principi costituzionali evocati. 
    La giurisprudenza costituzionale ha affermato, a questo riguardo,
che la  compiuta  valutazione  da  parte  del  giudice  a  quo  degli
argomenti  svolti  dalle  parti,  ancorche'  inidonea  ad   escludere
possibili  soluzioni  difformi,  sia  indicativa  del  tentativo,  in
concreto effettuato  dal  rimettente,  di  utilizzare  gli  strumenti
interpretativi a sua disposizione per verificare la  possibilita'  di
una lettura alternativa della disposizione  censurata,  eventualmente
conforme a Costituzione. 
    In definitiva, «La possibilita' di  un'ulteriore  interpretazione
alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto  di  fare  propria,
non riveste alcun significativo rilievo ai fini  del  rispetto  delle
regole  del  processo   costituzionale,   in   quanto   la   verifica
dell'esistenza e della legittimita' di tale ulteriore interpretazione
e' questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua
ammissibilita'» (sentenza n. 221 del 2015). 
    In  questo  ordine  di  idee,  con   riferimento   alla   dedotta
illegittimita'  della  condotta  posta  in  essere  dal  Comune,   va
osservato che tale  circostanza  -  in  quanto  riferibile  ai  fatti
costitutivi della pretesa creditoria  statale  -  attiene  al  merito
della controversia, e non alla necessita' di fare applicazione  della
disposizione censurata. 
    5.- In riferimento all'art. 3 Cost., la questione non e' fondata. 
    Il giudice a quo denuncia,  in  primo  luogo,  l'irragionevolezza
insita nella previsione di una disciplina di carattere sanzionatorio,
la quale configura una responsabilita'  degli  enti  sub-statali  non
gia' per  attivita'  proprie  (e  dunque  addebitabili  agli  stessi)
quanto, piuttosto, per attivita' che essi pongono in essere  al  solo
fine di assicurare la fedele  attuazione  di  quanto  disposto  dalla
legge. A suo avviso, il  diritto  di  rivalsa  dello  Stato  verrebbe
esercitato per un atto, quale e' la legge, di cui lo Stato stesso  e'
l'unico soggetto giuridicamente responsabile. 
    Tuttavia, secondo l'espresso dettato dell'art. 16-bis,  comma  5,
l'esercizio del diritto statale di rivalsa presuppone  che  gli  enti
locali «si siano resi responsabili di violazioni  delle  disposizioni
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali».  Il  fondamento  della  rivalsa  statale  nei
confronti degli enti locali viene, quindi, esplicitamente individuato
nella responsabilita' per  condotte,  imputabili  agli  stessi  enti,
poste in essere in violazione della CEDU. 
    L'esame del dato letterale porta, percio', ad  escludere,  tra  i
possibili contenuti precettivi della disposizione, l'esistenza di  un
automatismo nella condanna dell'amministrazione  locale  in  sede  di
rivalsa   e,   conseguentemente,   di   una   deroga   al   principio
dell'imputabilita'. Come evidenziato dalla stessa Avvocatura generale
dello Stato, compete, sia alla Presidenza del Consiglio dei ministri,
in sede di adozione del decreto costituente titolo esecutivo, sia  al
giudice adito, in sede di contestazione giudiziale dello  stesso,  la
valutazione dell'incidenza causale dell'azione delle  amministrazioni
territoriali nella produzione  del  danno  e  la  comparazione  delle
responsabilita' di queste ultime rispetto a quelle dello Stato. 
    E' proprio nell'ambito di tale valutazione che  assumono  rilievo
pregnante, tra  l'altro,  le  circostanze  evidenziate  dallo  stesso
rimettente ai fini dell'attribuzione di responsabilita':  le  ragioni
della violazione della  CEDU  ricavabili  dall'accertamento  compiuto
nella sentenza di condanna del  giudice  europeo;  se  sia  possibile
disapplicare la  normativa  interna  ritenuta  in  contrasto  con  il
diritto europeo; se sia illegittimo l'operato dell'ente  territoriale
con riferimento alla disciplina dell'ordinamento interno;  se  l'ente
stesso sia titolare di potesta' normativa primaria. 
    Il requisito dell'imputabilita' risulta,  infatti,  immanente  al
concetto stesso di  responsabilita'  ed  e'  coerente  con  la  ratio
dell'intera normativa sull'esercizio della rivalsa per violazioni del
diritto europeo, con riferimento sia alle  condanne  della  Corte  di
giustizia, sia a  quelle  della  Corte  EDU,  in  quanto  volta  alla
prevenzione di tali violazioni attraverso la responsabilizzazione dei
diversi livelli di  governo  coinvolti  nell'attuazione  del  diritto
europeo. 
    Il contrasto con il principio di ragionevolezza viene,  altresi',
ravvisato  dal  rimettente  nella  portata  "retroattiva"   dell'art.
16-bis, comma 5, il  quale  sottoporrebbe  a  sanzione  comportamenti
precedenti l'introduzione di tale disciplina, in  contrasto  rispetto
alla finalita' di prevenzione che la ispira. 
    A  questo  riguardo,  va  rilevato  che  l'art.  16-bis  e'   una
disposizione di carattere processuale, finalizzata all'esercizio  del
diritto  di  rivalsa  -  di  per  se'  riconducibile  all'area  della
responsabilita' aquiliana ai sensi dell'art. 2043 del codice civile -
attraverso l'emissione del relativo titolo esecutivo. Pertanto,  cio'
che  rileva  ai  fini  della   sua   applicabilita'   e'   l'avvenuto
accertamento del rilievo convenzionale della violazione, accertamento
che e' rimesso alla Corte di Strasburgo. Infatti, la disposizione  in
esame  fa  testuale  riferimento  alle  ipotesi  di   responsabilita'
accertate con «sentenze di condanna  rese  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo nei confronti dello Stato». L'avvenuto accertamento
della violazione, espresso nella forma della sentenza di condanna  da
parte della Corte europea, e'  quindi  l'elemento  costitutivo  della
fattispecie  delineata  dall'art.  16-bis  ed  e'  anche  il  momento
discriminante ai fini della applicazione  della  disciplina  da  esso
dettata. Cio' vale ad escludere la  denunciata  retroattivita'  della
disposizione  censurata,  la  quale  risulta  applicabile  alle  sole
ipotesi di responsabilita' accertate con sentenza  di  condanna  resa
successivamente all'entrata in vigore della legge n. 11 del 2005. 
    Secondo la piu' recente  giurisprudenza  costituzionale,  la  non
adeguata  utilizzazione  dei  poteri  interpretativi  che  la   legge
riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di diverse,
pur praticabili, soluzioni ermeneutiche e' motivo di  non  fondatezza
della questione di legittimita' costituzionale (sentenze n. 95  e  n.
45 del 2016; n. 262 e n. 221 del 2015). 
    6.-Anche in  riferimento  all'art.  24  Cost.,  la  questione  di
legittimita' costituzionale non e' fondata. 
    La lesione del diritto di difesa viene ravvisata  dal  giudice  a
quo sotto un duplice profilo: da un lato, per  l'impossibilita',  per
il Comune, di partecipare al giudizio dinanzi alla Corte europea,  e,
dall'altro, per l'inerzia difensiva dello Stato italiano  nell'ambito
di tale giudizio. 
    Tuttavia, mentre quest'ultimo aspetto si limita ad evidenziare un
inconveniente di mero fatto,  come  tale  non  attinente  al  profilo
(astratto) della legittimita' costituzionale della  norma,  il  primo
aspetto denota l'inconferenza del parametro  costituzionale  evocato.
Infatti, la disposizione censurata, stante il suo  inequivoco  tenore
letterale, e' volta a regolare il procedimento  attraverso  il  quale
viene esercitato  il  diritto  statale  di  rivalsa  nell'ordinamento
interno, non gia' il diverso procedimento dinanzi alla Corte europea,
nell'ambito  del  quale,  ad  avviso  del  rimettente,   si   sarebbe
determinata la compressione del diritto di difesa dell'ente locale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara inammissibile, in riferimento  agli  artt.  97,  114,
117, primo comma, 118 e 119, quarto  comma,  della  Costituzione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16-bis,  comma  5,
della  legge  4  febbraio  2005,  n.   11   (Norme   generali   sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione  europea
e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), sollevata
dal Tribunale ordinario di Bari con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  in
riferimento  all'art.  3  Cost.,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16-bis, comma 5, della legge n. 11 del 2005,
sollevata dal Tribunale ordinario di Bari con l'ordinanza indicata in
epigrafe; 
    3) dichiara non fondata, in riferimento  all'art.  24  Cost.,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16-bis,  comma  5,
della legge n. 11 del 2005, sollevata dal Tribunale ordinario di Bari
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA