N. 9 SENTENZA 14 dicembre 2016- 13 gennaio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento e procedure concorsuali - Dichiarazione di  fallimento  di
  imprenditore  cancellato  dal  registro  delle  imprese  -   Limite
  temporale. 
- Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
  concordato preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
  liquidazione coatta amministrativa), art. 10. 
-   
(GU n.3 del 18-1-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10  del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
liquidazione coatta amministrativa), promosso dal Tribunale ordinario
di Verona, sezione fallimentare, sul  ricorso  proposto  da  V.R.  ed
altri nella qualita' di soci della Termosanitaria Righetti  sas,  con
ordinanza del 5  novembre  2015,  iscritta  al  n.  83  del  registro
ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9 novembre  2016  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Nel  corso  di  due  riunite   procedure,   rispettivamente,
prefallimentare  e  concordataria,  relative  ad  una   societa'   in
accomandita semplice, i soci della quale avevano  presentato  istanza
di  ammissione  a  concordato  preventivo,  successiva  a  quella  di
fallimento  proposta  da  due  suoi  creditori,   l'adito   Tribunale
ordinario  di  Verona,  sezione  fallimentare,  ha  dichiarato,   con
decreto,   l'inammissibilita'   dell'istanza   di   concordato   (per
inosservanza dei correlativi prescritti obblighi informativi)  e  con
la contestuale ordinanza indicata in epigrafe - premesso  che,  nella
specie,  ancorche'  risultassero  acclarati   i   presupposti   della
insolvenza,  «la  dichiarazione  di  fallimento  e[ra]  preclusa  dal
decorso  del  termine  annuale  previsto  dall'art.  10  L.F.»  -  ha
ritenuto,  di  conseguenza,  rilevante,  ed  ha  per  cio'  sollevato
questione di legittimita' costituzionale del  predetto  art.  10  del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
liquidazione coatta amministrativa), per contrasto con gli artt. 3  e
24  della  Costituzione,  «nella  parte  in  cui  non   consente   la
dichiarazione di fallimento anche oltre il termine di un  anno  dalla
cancellazione del registro delle imprese, qualora il rispetto di tale
termine sia impedito dalla proposizione di una domanda di  concordato
preventivo ed il conseguente procedimento si  sia  concluso  dopo  la
scadenza   del   termine   annuale,   con   la    dichiarazione    di
inammissibilita' della domanda (come nel caso di specie)  o  comunque
con  la  dichiarazione  di  revoca  dell'ammissione  o   la   mancata
approvazione della proposta o la reiezione all'esito del giudizio  di
omologa». 
    Secondo il rimettente, sarebbe, in particolare, infatti,  violato
l'art. 3 Cost., per essere «intrinsecamente irragionevole  la  scelta
normativa di riconoscere al debitore, durante la pendenza del termine
previsto dall'art. 10, la possibilita' di  presentare  un'istanza  di
concordato preventivo, e di frapporre quindi  un  ostacolo  giuridico
alla dichiarazione di fallimento,  senza  prevedere  la  possibilita'
della dichiarazione di fallimento nell'ipotesi in  cui  quell'istanza
si riveli inammissibile o  comunque  infruttuosa,  ma  solo  dopo  la
scadenza del suddetto termine». 
    Sarebbe  altresi'  violato  l'art.  24  Cost.,   in   quanto   la
disposizione denunciata  finirebbe  per  «frustrare,  senza  adeguata
giustificazione, il diritto di azione del creditore istante,  che  si
vede  preclusa  la  possibilita'  di  ottenere  la  dichiarazione  di
fallimento, pur in  presenza  di  un'iniziativa  tempestiva,  per  un
ostacolo giuridico rimesso all'iniziativa della controparte». 
    2.-  E'  intervenuto,  in  questo  giudizio,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello
Stato, che ha eccepito l'inammissibilita' o,  in  subordine,  la  non
fondatezza della questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Nel contesto di una vicenda processuale caratterizzata  dalla
intervenuta riunione di una  procedura  di  ammissione  a  concordato
preventivo  ed  altra  gia'  instaurata   procedura   prefallimentare
relativa alla medesima societa', il Tribunale  ordinario  di  Verona,
sezione fallimentare -  rilevata,  e  dichiarata,  l'inammissibilita'
della istanza previamente esaminata di ammissione al  concordato,  in
data, peraltro, di oltre un anno successiva a quella di cancellazione
della societa' dal registro delle imprese - ha ritenuto  preclusa  la
dichiarazione  di  fallimento  della  debitrice,  nonostante  la  pur
accertata sua insolvenza, per l'ostacolo a cio' frapposto dalla norma
di  cui  all'art.  10  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), come sostituito dall'art. 9, comma  1,  del  decreto
legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica  della  disciplina
delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma  5,  della
legge 14 maggio 2005,  n.  80).  E  di  detta  norma  ha  denunciato,
pertanto, con l'ordinanza in epigrafe, il contrasto con gli  articoli
3 e 24 della Costituzione, nella parte, appunto, in cui «non consente
la dichiarazione di fallimento anche oltre  il  termine  di  un  anno
dalla cancellazione del registro delle imprese, qualora  il  rispetto
di tale termine sia impedito dalla proposizione  di  una  domanda  di
concordato preventivo ed il conseguente procedimento si sia  concluso
dopo la  scadenza  del  termine  annuale,  con  la  dichiarazione  di
inammissibilita' della domanda (come nel caso di specie)  o  comunque
con  la  dichiarazione  di  revoca  dell'ammissione  o   la   mancata
approvazione della proposta o la reiezione all'esito del giudizio  di
omologa». 
    2.- L'art. 10  del  r.d.  n.  267  del  1942  -  che,  nella  sua
formulazione  originaria,  stabiliva  che  «l'imprenditore  che   per
qualunque causa, ha cessato  l'esercizio  dell'impresa,  puo'  essere
dichiarato fallito entro un anno dalla  cessazione  dell'impresa,  se
l'insolvenza si e' manifestata anteriormente alla  medesima  o  entro
l'anno  successivo»   -   e'   stato,   a   suo   tempo,   dichiarato
costituzionalmente illegittimo «nella parte in  cui  non  prevede[va]
che  il  termine  di  un   anno   dalla   cessazione   dell'esercizio
dell'impresa collettiva per  la  dichiarazione  di  fallimento  della
societa'  decorra  dalla  cancellazione  della  societa'  stessa  dal
registro delle imprese» (sentenza n. 319 del 2000). 
    Cio' sul rilievo che  il  «principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost. [...] postula  che  la  norma  con  la  quale  viene
fissato un termine non sia congegnata  in  modo  tale  da  vanificare
completamente la ratio che presiede alla fissazione di quel  termine,
rendendolo cosi' del tutto inutile». 
    L'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2006,  come  emerge  dalla
relazione governativa, ha inteso quindi novellare il predetto art. 10
della legge fallimentare al dichiarato fine di adeguarlo ai «principi
contenuti nella pronuncia della Consulta»  e  -  nell'accomunare  gli
imprenditori collettivi a quelli individuali nel termine annuale  per
la dichiarazione di fallimento - ha fatto,  appunto,  in  entrambi  i
casi, decorrere detto termine «dalla cancellazione dal registro delle
imprese». 
    3.- La norma portata al vaglio di questa Corte - sotto la rubrica
«Fallimento   dell'imprenditore   che    ha    cessato    l'esercizio
dell'impresa» - al suo primo comma, testualmente dunque ora  dispone:
«Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere  dichiarati
falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese,
se l'insolvenza si e' manifestata anteriormente alla medesima o entro
l'anno successivo». 
    Il  legislatore  del  2006  ha  cosi'  legato  al  sistema  della
pubblicita' i delicati rapporti tra creditori insoddisfatti, debitore
insolvente e terzi venuti in contatto con  il  cessato  imprenditore,
nel quadro della crisi dell'impresa, individuando  nella  "condizione
di fallibilita'" entro l'anno dalla cancellazione dal registro  delle
imprese, il punto di mediazione tra gli opposti interessi in gioco. 
    Questa soluzione  normativa  non  e',  in  alcun  modo  messa  in
discussione dal tribunale a quo per quanto  attiene  alla  tempistica
della procedura prefallimentare. 
    Il dubbio di violazione degli evocati  parametri  costituzionali,
per il profilo del vulnus che si  sospetta  arrecato  al  diritto  di
difesa del creditore, e' infatti  prospettato  da  quel  giudice  con
specifico ed esclusivo riguardo alla ipotesi, in particolare, in  cui
al procedimento  relativo  all'istanza  di  fallimento,  il  debitore
affianchi  una  parallela  istanza   di   ammissione   a   concordato
preventivo. 
    E  cio'  in  ragione  del  principio   regolatore   di   siffatta
concorrenza di procedure -  enunciato  dal  giudice  di  legittimita'
(Corte di cassazione, sezioni unite,  sentenza  15  maggio  2015,  n.
9936) ed assunto dal rimettente come diritto vivente - a  tenore  del
quale, in presenza  di  una  istanza  di  concordato  preventivo,  le
procedure prefallimentari, anche precedentemente  instaurate,  devono
essere  riunite  alla  prima   e   la   correlativa   decisione   (di
accoglimento) non puo' essere pronunciata fino a che non si verifichi
uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 della legge
fallimentare    (dichiarazione    di     inammissibilita',     revoca
dell'ammissione,  mancata  approvazione,  negata   omologazione   del
concordato). 
    4.-  E'  appunto  (e  soltanto)  con  riferimento   all'evenienza
dell'"aggravio" della  procedura  prefallimentare  -  che  si  assume
conseguente alla concomitanza di una istanza di concordato preventivo
e dalla necessita' di una decisione negativa sulla  stessa  prima  di
poter dichiarare il  fallimento  -  che  il  giudice  a  quo  ritiene
irragionevole  che  continui  ad  operare  il  termine  di  cui  alla
disposizione scrutinata, in quanto  suscettibile  di  ostacolare,  in
questo caso, la conclusione della procedura fallimentare entro l'anno
dalla cancellazione dal registro delle imprese. 
    5.- La questione  cosi'  prospettata  assume,  dunque,  come  sua
premessa quella per cui, all'interno del periodo  annuale  decorrente
dalla cancellazione dal registro delle imprese, l'impresa  cancellata
possa ancora proporre  una  istanza  di  concordato  preventivo,  che
andrebbe in tal modo ad affiancarsi ad eventuali contrapposte istanze
creditorie volte alla declaratoria del suo fallimento. 
    La  legittimazione  dell'impresa  cancellata  ad   attivare   una
procedura di concordato e' pero' controversa in dottrina, che inclina
anzi ad escluderla. E, da ultimo, anche la Corte di  legittimita'  ha
affermato che «Alla societa' che ha cessato la propria  attivita'  di
impresa, tanto da essere  cancellata  dal  Registro,  l'accesso  alla
procedura concorsuale minore e' [...] precluso ipso facto, atteso  il
venir meno del bene al cui risanamento il concordato tende» (Corte di
cassazione, sezione sesta  civile,  ordinanza  20  ottobre  2015,  n.
21286). 
    Su tale decisivo aspetto  problematico  il  Tribunale  rimettente
nulla, pero', argomenta ed omette addirittura di prenderlo in esame. 
    Pertanto la questione sollevata va, conseguentemente,  dichiarata
inammissibile   per   difetto   di   motivazione   sul    presupposto
logico-giuridico della sua non manifesta infondatezza. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'inammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10 del regio decreto 16 marzo 1942  n.  267,
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  24  della
Costituzione,   dal   Tribunale   ordinario   di   Verona,    sezione
fallimentare, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                  Mario Rosario MORELLI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA