N. 18 SENTENZA 7 dicembre 2016- 24 gennaio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Giudice  dell'udienza  preliminare   che   abbia
  ravvisato un fatto diverso da quello contestato e abbia invitato il
  pubblico ministero alla modifica dell'imputazione  e  questi  abbia
  aderito - Mancata previsione di incompatibilita' alla funzione. 
- Codice di procedura penale, art. 34, comma 2. 
-   
(GU n.5 del 1-2-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Marta  CARTABIA,  Aldo  CAROSI,  Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma
2, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli,  nel  procedimento
penale a carico di C.F., con ordinanza del 10 luglio  2015,  iscritta
al n. 277 del registro ordinanze 2015  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 49,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 7 dicembre  2016  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 luglio  2015,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 34,  comma  2,  del  codice  di
procedura penale, nella parte in cui non  prevede  l'incompatibilita'
alla funzione di giudice dell'udienza preliminare  del  giudice  che,
avendo ravvisato, nel corso  della  stessa  udienza  preliminare,  un
fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia  invitato  il  pubblico
ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e  per  il
medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione, invito cui il
pubblico ministero abbia aderito. 
    Il rimettente riferisce che, nel processo principale, il pubblico
ministero aveva chiesto il rinvio  a  giudizio  dell'imputato  per  i
reati  di  divulgazione  di  materiale  pornografico  minorile  (art.
600-ter, terzo comma,  del  codice  penale)  e  di  tentata  violenza
privata (artt. 56 e 610 cod. pen.). 
    Con ordinanza emessa nell'udienza preliminare del 3 giugno  2015,
il giudice a quo, ritenuto che i fatti accertati fossero  diversi  da
come contestati,  aveva  fatto  ricorso  al  «meccanismo  correttivo»
delineato  dalle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  nella
sentenza 20 dicembre 2007-1° febbraio 2008,  n.  5307,  invitando  il
pubblico  ministero   a   modificare   l'imputazione.   In   adesione
all'invito, il pubblico ministero aveva quindi contestato i reati  di
produzione di materiale pornografico minorile  (art.  600-ter,  primo
comma, cod. pen.) e di atti persecutori (art. 612-bis, primo, secondo
e terzo comma, cod. pen.). 
    Nella  successiva  udienza,  il  difensore  dell'imputato   aveva
eccepito la sopravvenuta incompatibilita' del giudice  rimettente  ai
sensi dell'art. 34 cod. proc. pen., in conseguenza del  provvedimento
adottato. 
    A tale riguardo, il giudice a quo osserva che  -  secondo  quanto
affermato dalla giurisprudenza di legittimita' e dalla  stessa  Corte
costituzionale (sentenza n. 88 del 1994) -  il  giudice  dell'udienza
preliminare,  ove  ritenga  che  il  fatto  sia  diverso  da   quello
contestato, puo' disporre, in applicazione analogica  dell'art.  521,
comma 2, cod. proc. pen., la  trasmissione  degli  atti  al  pubblico
ministero,  perche'  «la  corrispondenza  dell'imputazione  a  quanto
emerge dagli atti e' un'esigenza presente in ogni fase processuale e,
quindi,  anche  nell'udienza  preliminare».   Il   provvedimento   di
trasmissione degli atti non potrebbe  essere,  tuttavia,  adottato  -
pena la sua abnormita' - senza la previa attivazione del  «meccanismo
correttivo» individuato dalle sezioni unite con la  decisione  dianzi
citata. 
    Tanto premesso, il rimettente rileva che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 455 del  1994,  ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte  in  cui
non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del  giudice
che abbia,  all'esito  di  precedente  dibattimento,  riguardante  il
medesimo fatto storico a carico del medesimo  imputato,  ordinato  la
trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art.  521,
comma 2, cod.  proc.  pen.  Nell'occasione,  la  Corte  ha  posto  in
evidenza che il giudice, quando accerta che il fatto  e'  diverso  da
come descritto nel  decreto  che  dispone  il  giudizio,  compie  una
penetrante delibazione del merito della regiudicanda. Di conseguenza,
un secondo dibattimento riguardante lo  stesso  fatto  storico  e  il
medesimo imputato non puo' non essere attribuito alla  cognizione  di
altro  giudice,  alla  luce   della   stessa   esigenza   di   tutela
dell'imparzialita' e della  serenita'  di  giudizio  che  informa  la
regola  posta  dall'art.  34   cod.   proc.   pen.,   in   punto   di
incompatibilita' del giudice che abbia  pronunciato  sentenza  in  un
precedente grado di giudizio nel medesimo procedimento. 
    Con la sentenza n. 224  del  2001,  la  Corte  costituzionale  ha
d'altro canto riconosciuto che, a seguito delle  modifiche  apportate
alla sua originaria disciplina, l'udienza  preliminare  ricade  ormai
nel novero delle  sedi  suscettibili  di  essere  pregiudicate  dalla
precedente  valutazione  in  ordine   alla   medesima   regiudicanda:
orientamento confermato da successive pronunce,  nelle  quali  si  e'
ribadito che la nozione di  «giudizio»,  utilizzata  dal  legislatore
nell'art. 34 cod. proc. pen., comprende anche  l'udienza  preliminare
(sono citate la sentenza n. 335 del 2002 e le  ordinanze  n.  20  del
2004 e n. 269 del 2003). 
    In  questa  prospettiva,  con  l'ordinanza  n.  269  del  2003  -
pronunciando specificamente  sull'ipotesi  della  reiterazione  della
trattazione dell'udienza preliminare da parte dello stesso magistrato
che, all'esito di una precedente udienza preliminare  riguardante  lo
stesso imputato e  il  medesimo  fatto  storico,  abbia  disposto  la
restituzione degli atti al pubblico ministero per ritenuta diversita'
del fatto -  la  Corte  ha  dichiarato  la  questione  manifestamente
infondata, ritenendo detta ipotesi gia' inclusa nel  raggio  d'azione
dell'istituto dell'incompatibilita', alla  luce  di  quanto  chiarito
dalla sentenza n. 224 del 2001. 
    Infine, con la sentenza n. 400 del 2008, la Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34,  comma  2,  cod.  proc.
pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'   alla
trattazione dell'udienza preliminare del giudice che abbia  ordinato,
all'esito di precedente dibattimento, riguardante il  medesimo  fatto
storico a carico del medesimo imputato, la trasmissione degli atti al
pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. 
    Ad avviso del giudice partenopeo, nel caso oggetto del giudizio a
quo  ricorrerebbe,  in  sostanza,  la  stessa  situazione  presa   in
considerazione dall'ordinanza n. 269 del 2003. Tuttavia, non  potendo
il giudice dell'udienza preliminare disporre l'immediata trasmissione
degli  atti  al  pubblico  ministero,  ma   dovendo   utilizzare   il
«meccanismo correttivo» delineato dalle sezioni  unite,  non  sarebbe
applicabile l'istituto  dell'incompatibilita'  nei  termini  indicati
dalla sentenza n. 224 del 2001,  il  quale  presupporrebbe  un  nuovo
svolgimento della funzione di  giudice  dell'udienza  preliminare  da
parte dello stesso giudice-persona fisica a seguito di  una  «vicenda
regressiva», nella specie non avutasi. Anche nell'ipotesi  in  esame,
peraltro, sarebbe intervenuta una «piena delibazione del merito della
regiudicanda»,  avendo  l'ordinanza   interlocutoria   adottata   dal
rimettente un contenuto e una finalita' del tutto analoghi  a  quelli
dell'ordinanza prevista dall'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. 
    Il conseguente vizio di legittimita' costituzionale  non  sarebbe
superabile in via interpretativa, perche' cio'  equivarrebbe  ad  una
estensione analogica  delle  cause  di  incompatibilita':  operazione
preclusa dal loro carattere tassativo. 
    Neppure  potrebbe  farsi  fronte  alla   situazione   considerata
mediante l'istituto dell'astensione, il quale -  al  pari  di  quello
della ricusazione - mira a porre rimedio a comportamenti del giudice,
anche estranei all'esercizio della funzione, che possono  determinare
un pregiudizio per l'imparzialita' da apprezzare in concreto:  mentre
nel caso in discussione la configurabilita' di un simile  pregiudizio
sarebbe riscontrabile gia' sul piano astratto, in  conseguenza  della
decisione precedentemente adottata. 
    Alla luce di tali considerazioni, il rimettente ritiene quindi di
dover sollevare questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
34, comma 2, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111
Cost.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla
trattazione  dell'udienza  preliminare  del   giudice   che,   avendo
ravvisato, nel corso  della  stessa  udienza  preliminare,  un  fatto
diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero  a
modificare l'imputazione nei confronti dello stesso imputato e per lo
stesso fatto storico, conseguendo il risultato richiesto. 
    La questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, giacche', allo
stato,  il   rimettente   dovrebbe   «procedere   alla   celebrazione
dell'udienza  preliminare  sull'imputazione   "suggerita",   se   non
"imposta", al pubblico ministero,  nonostante  la  sussistenza  della
situazione pregiudicante». 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Secondo l'interveniente, la questione sarebbe  inammissibile,  in
quanto l'ordinanza di rimessione non indica i fatti  storici  oggetto
di imputazione, ne' riporta  le  stesse  imputazioni,  prima  e  dopo
l'invito del giudice a  quo  raccolto  dal  pubblico  ministero,  non
consentendo  cosi'  alla  Corte  di  valutare  la  fondatezza   della
questione stessa e la sua rilevanza nella fattispecie concreta. 
    La difesa dello Stato osserva, altresi', come  analoga  questione
sia gia' stata esaminata e decisa nel senso della non fondatezza  con
la sentenza n. 177 del 2010. Nel frangente, la  Corte  costituzionale
ha ritenuto che la diversa e piu' grave qualificazione giuridica  del
fatto, basata soltanto sulla valutazione degli  atti  del  fascicolo,
effettuata  in  sede  di  udienza  di  convalida  dell'arresto  e  di
applicazione  di  una  misura   cautelare,   non   determina   alcuna
menomazione  dell'imparzialita'  del  giudice,  risolvendosi  in  una
valutazione astratta  delle  risultanze  processuali  e  non  in  una
valutazione    contenutistica    della    consistenza    dell'ipotesi
accusatoria. 
    La questione risulterebbe infondata anche perche', nella  specie,
l'intervento sull'imputazione, assunto come  atto  pregiudicante,  e'
avvenuto nell'ambito  della  medesima  fase  processuale.  Troverebbe
quindi applicazione  il  principio,  affermato  dalla  giurisprudenza
costituzionale, secondo il quale non e' configurabile una menomazione
dell'imparzialita'  del   giudice   che   adotti   decisioni,   anche
incidentali,  preordinate  al  giudizio  di  cui  e'   legittimamente
investito: il processo, costituito per sua natura da una sequenza  di
atti, non puo' essere infatti frammentato,  isolando  ogni  atto  che
comporti una  decisione  preordinata,  accessoria  o  incidentale  al
giudizio di merito e attribuendo  ciascuna  decisione  a  un  giudice
diverso. 
    L'intervento sull'imputazione in questione non avrebbe,  inoltre,
assunto  carattere  decisorio  della  regiudicanda,  ma  si   sarebbe
limitato ad ampliare  la  prospettazione  accusatoria  per  una  piu'
compiuta analisi dei fatti oggetto di verifica  processuale,  sicche'
esso potrebbe rilevare, al piu', quale causa di astensione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Napoli dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,
comma 2, del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non
prevede l'incompatibilita'  alla  funzione  di  giudice  dell'udienza
preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa
udienza preliminare, un fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia
invitato il pubblico  ministero  a  procedere,  nei  confronti  dello
stesso imputato e  per  il  medesimo  fatto  storico,  alla  modifica
dell'imputazione,  invito  al  quale  il  pubblico  ministero   abbia
aderito. 
    Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe gli artt.
3,  24  e  111  della  Costituzione,  giacche'  -  allo  stesso  modo
dell'ordinanza, del tutto analoga  per  contenuti  e  finalita',  che
dispone la trasmissione degli atti al  pubblico  ministero  ai  sensi
dell'art. 521, comma  2,  cod.  proc.  pen.  -  l'atto  in  questione
implicherebbe una piena delibazione del  merito  della  regiudicanda,
idonea a compromettere l'imparzialita' e la serenita' di giudizio del
giudice  che   l'ha   adottato.   Secondo   quanto   chiarito   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  d'altro   canto,   anche   l'udienza
preliminare rientra attualmente nel  novero  delle  sedi  processuali
suscettibili di rimanere pregiudicate dalla precedente valutazione in
eadem rem. 
    2.- L'eccezione di inammissibilita' della questione  per  carente
descrizione della fattispecie concreta,  formulata  dalla  Presidenza
del Consiglio dei ministri, non e' fondata. 
    Il  giudice  a  quo  riferisce  che  all'imputato   erano   stati
contestati, con la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  i  reati  di
divulgazione di materiale pornografico minorile e di tentata violenza
privata.  Riferisce,  altresi',  che  esso  giudice  rimettente,  con
ordinanza emessa nel corso dell'udienza preliminare, ritenendo che  i
fatti accertati fossero diversi da come contestati, aveva invitato il
pubblico ministero a modificare l'imputazione e che il rappresentante
dell'accusa, in adesione all'invito,  aveva  contestato  i  reati  di
produzione di materiale pornografico minorile e di atti persecutori. 
    Tale esposizione della vicenda concreta,  se  pur  sintetica,  e'
comunque  sufficiente  a  soddisfare  l'onere  di  motivazione  sulla
rilevanza,  essendo  stata   rappresentata   la   sussistenza   della
situazione  che,  ove  la  questione  fosse  accolta,  determinerebbe
l'insorgenza dell'incompatibilita' nel giudizio principale. 
    3.- Quanto al merito,  l'art.  521,  comma  2,  cod.  proc.  pen.
stabilisce che il giudice  disponga  con  ordinanza  la  trasmissione
degli atti al pubblico ministero ove, a conclusione del dibattimento,
accerti che il fatto e' diverso da come  descritto  nel  decreto  che
dispone il giudizio o nella nuova contestazione  effettuata  a  norma
degli artt. 516, 517 e 518, comma 2. 
    Una previsione corrispondente  non  si  rinviene,  per  converso,
nell'ambito della disciplina dell'udienza preliminare. Escluso che il
giudice di  quest'ultima  possa  intervenire  direttamente  sul  tema
d'accusa (trattandosi di potere spettante solo al pubblico ministero,
in quanto inerente  all'esercizio  dell'azione  penale),  sono  state
prospettate due possibili soluzioni, al fine  di  evitare  che  detto
giudice si trovi costretto  a  pronunciare  su  una  imputazione  non
coerente con le acquisizioni processuali. 
    La prima e' la trasmissione degli atti al pubblico  ministero  in
applicazione analogica del citato art. 521, comma 2, cod. proc. pen.:
soluzione "esterna" alla fase  in  corso,  in  quanto  implicante  la
regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari. 
    L'altra soluzione e' che il giudice inviti il pubblico  ministero
ad esercitare il potere-dovere di modificare l'imputazione,  previsto
in capo all'attore pubblico dall'art. 423 cod. proc.  pen.  allorche'
nel corso dell'udienza preliminare emerga la  diversita'  del  fatto:
soluzione che - ove il pubblico ministero aderisca all'invito - evita
invece il fenomeno regressivo, rimanendo percio' "interna" alla fase. 
    Con la sentenza n. 88 del 1994, questa  Corte  -  senza  prendere
posizione a favore dell'una o dell'altra soluzione - ha rilevato  che
entrambe erano idonee ad assicurare la compatibilita'  costituzionale
del sistema, impedendo che si producesse l'incongruo risultato dianzi
indicato, ossia che il giudice si pronunci  su  una  imputazione  non
coerente con le acquisizioni processuali. 
    Sul tema sono successivamente intervenute le sezioni unite  della
Corte di cassazione, chiarendo che i due rimedi non sono alternativi,
ma sequenziali. Facendo leva sul postulato teorico della  "fluidita'"
dell'imputazione  nell'udienza   preliminare   e   su   esigenze   di
concentrazione e ragionevole durata del processo,  il  giudice  della
nomofilachia  ha  ritenuto,  cioe',  che  il   giudice   dell'udienza
preliminare debba, in prima battuta, invitare il pubblico ministero a
modificare l'imputazione: solo ove il rappresentante  della  pubblica
accusa non si adegui all'invito,  il  giudice  puo'  ricorrere,  come
«extrema ratio», al rimedio  "regressivo"  della  trasmissione  degli
atti  ai  sensi  dell'art.  521,  comma  2,  cod.  proc.   pen.   (la
trasmissione non preceduta dall'invito e' stata qualificata, in  tale
prospettiva, atto «abnorme»:  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,
sentenza 20 dicembre 2007-1° febbraio 2008, n. 5307). 
    La pronuncia delle sezioni unite attiene, in verita', all'ipotesi
in cui  l'imputazione  appaia  al  giudice  dell'udienza  preliminare
generica o indeterminata. Risulta evidente, tuttavia, dalle  relative
cadenze argomentative  (le  quali  prendono  le  mosse  dalla  citata
sentenza n. 88 del 1994) come il  principio  in  essa  affermato  sia
riferibile anche  al  caso  dell'accertamento  della  diversita'  del
fatto, basandosi su un'applicazione estensiva o  analogica  di  norme
(gli artt. 423 e 521, comma 2, cod. proc. pen.)  che  fanno  testuale
riferimento proprio alla fattispecie che  qui  interessa.  Di  questo
avviso  e'  stata,  del  resto,  la  giurisprudenza  di  legittimita'
successiva. 
    4.- Cio' posto, la tesi dell'odierno rimettente e' la seguente. 
    Il giudice a quo rileva come questa Corte abbia riconosciuto  che
l'ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi
dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen.  e'  provvedimento  idoneo  a
pregiudicare, o a far apparire  pregiudicata,  l'imparzialita'  e  la
serenita' di giudizio del giudice che l'ha emesso, in  ragione  della
cosiddetta "forza della prevenzione" (ossia della naturale tendenza a
confermare una decisione gia' presa o a  mantenere  un  atteggiamento
gia' assunto). Nel momento in cui accerta che il fatto e' diverso  da
come descritto nell'imputazione,  il  giudice  compie,  infatti,  una
penetrante delibazione del merito della regiudicanda,  non  dissimile
da quella che, in mancanza di una valutazione  della  diversita'  del
fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di  merito.
Di qui, dunque, l'esigenza costituzionale - ricavabile dai  parametri
evocati dal rimettente - che il nuovo dibattimento (sentenza  n.  455
del 1994) o la nuova udienza preliminare (sentenza n. 400  del  2008,
ordinanza  n.  269  del  2003),  tenuti  all'esito   della   predetta
trasmissione per lo stesso fatto storico e nei confronti del medesimo
imputato, siano attribuiti alla cognizione di altro giudice. 
    Il giudice a quo evidenzia, altresi', come l'ordinanza che invita
il pubblico ministero a  modificare  l'imputazione  costituisca  atto
omologo, per contenuto e funzioni, alla trasmissione  degli  atti  di
cui all'art. 521, comma 2, cod. proc. pen.  Il  giudice  dell'udienza
preliminare non procede direttamente in tal modo solo per seguire  il
«percorso virtuoso» tracciato dalle sezioni unite: ma il  presupposto
(accertamento della discrepanza tra  il  fatto  contestato  e  quello
risultante  dagli  atti  processuali)  e   l'obiettivo   (adeguamento
dell'imputazione a tali risultanze) sono i medesimi. 
    Anche il suddetto invito  andrebbe  considerato,  pertanto,  atto
"pregiudicante": donde la  denunciata  illegittimita'  costituzionale
della mancata previsione dell'incompatibilita' a svolgere la funzione
di giudice dell'udienza preliminare del giudice-persona fisica che lo
ha formulato. 
    5.- La questione pero' non e' fondata. 
    Il ragionamento del giudice a quo non tiene  conto,  infatti,  di
una circostanza decisiva. Egli vorrebbe che il  giudice  dell'udienza
preliminare, che ha sollecitato il pubblico  ministero  a  modificare
l'imputazione per ritenuta diversita' del fatto, divenga - una  volta
accolto l'invito - incompatibile a continuare a  trattare  la  stessa
udienza preliminare. 
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte  e',   tuttavia,   costante
nell'affermare che, affinche' possa configurarsi  una  situazione  di
incompatibilita'  -  nel  senso  dell'esigenza  costituzionale  della
relativa previsione, in funzione di tutela dei valori della terzieta'
e dell'imparzialita' del giudice -, e' necessario che la  valutazione
"contenutistica" sulla  medesima  regiudicanda  si  collochi  in  una
precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella  della
quale il giudice e' attualmente investito. E' del tutto  ragionevole,
infatti, che, all'interno  di  ciascuna  delle  fasi  -  intese  come
sequenze  ordinate  di  atti  che  possono  implicare   apprezzamenti
incidentali, anche di merito, su quanto in esse  risulti,  prodromici
alla  decisione  conclusiva  -  resti,  in  ogni   caso,   preservata
l'esigenza di continuita' e di  globalita',  venendosi  altrimenti  a
determinare  una  assurda  frammentazione   del   procedimento,   che
implicherebbe la necessita' di disporre, per  la  medesima  fase  del
giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti  da  compiere
(ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e  n.  131  del  1996;
ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370  del  2000,
n. 232 del 1999). In questi casi, «il provvedimento  non  costituisce
anticipazione di un giudizio  che  deve  essere  instaurato,  ma,  al
contrario, si inserisce nel giudizio del quale  il  giudice  e'  gia'
correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi  e'
la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe  far
derivare l'incompatibilita'  che  presuppone  la  competenza  per  il
giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa»  (sentenza  n.
177 del 1996). 
    In tale prospettiva,  l'invito  a  modificare  l'imputazione  non
risulta affatto assimilabile all'ordinanza di trasmissione degli atti
al pubblico ministero. Come gia' ricordato, quest'ultima determina la
regressione del procedimento: la fase in corso davanti al giudice che
l'ha emessa si chiude, e la  fase  che  si  aprira'  all'esito  delle
iniziative del  pubblico  ministero  -  il  quale  dovra'  esercitare
novamente l'azione penale, sempre che  ne  ravvisi  i  presupposti  -
sara', in ogni modo, anche se omologa, una fase distinta e ulteriore,
rispetto alla quale la valutazione di merito  insita  nel  precedente
provvedimento   potra'   assumere   una   valenza    "pregiudicante".
All'opposto,  l'invito  a  modificare  l'imputazione  rappresenta  un
rimedio "endofasico": dalla  sua  formulazione  non  deriva,  dunque,
alcuna incompatibilita' del giudice all'ulteriore  trattazione  della
medesima fase. 
    L'invito con cui il  giudice  si  fa  promotore  di  una  mutatio
libelli - la quale  non  prelude  necessariamente  ad  una  pronuncia
sfavorevole per l'imputato - viene, tra l'altro, impartito, in via di
principio,  a  conclusione  dell'udienza  preliminare,  dopo  che  il
confronto  dialettico  fra  le  parti  e  l'eventuale  attivita'   di
integrazione probatoria si sono gia'  svolti.  E'  vero  bensi'  che,
sollecitando il pubblico ministero  a  modificare  l'imputazione  per
diversita' del fatto, il giudice esterna un convincimento sul  merito
della regiudicanda: ma lo fa come momento  immediatamente  prodromico
alla decisione che e' - legittimamente  -  chiamato  ad  assumere  in
quello  stesso  contesto;  segnatamente,  per  evitare   di   doversi
pronunciare su una imputazione che reputa non aderente  alla  realta'
storica emersa  dagli  atti  processuali.  Resta  dunque  esclusa  la
configurabilita' di una menomazione dell'imparzialita'  del  giudice,
atta   a   rendere   costituzionalmente   necessaria   l'applicazione
dell'istituto dell'incompatibilita'. 
    6.- Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione va
dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della  Costituzione,  dal  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA