N. 29 SENTENZA 10 - 27 gennaio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Strutture dedicate
  alla nautica da  diporto  -  Rideterminazione  del  canone  per  la
  realizzazione e  la  gestione  -  Applicazione  anche  ai  rapporti
  concessori in corso. 
- Legge 27 dicembre  2006,  n.  296,  recante  «Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  (legge
  finanziaria 2007)», art. 1, comma 252. 
-   
(GU n.5 del 1-2-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 2007)», promosso dal Consiglio di Stato con ordinanza del
30 gennaio 2015 e  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
Toscana con ordinanze dell'8  maggio  2015  e  del  30  giugno  2015,
rispettivamente iscritte ai nn. 173, 205 e 234 del registro ordinanze
del 2015, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  nn.
37, 41 e 45, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti  di  costituzione  della  Pro.Mo.Mar.  spa,  della
Marina Cala de' Medici spa, della Cala de Medici Cantiere srl,  della
Marina  di  Punta  Ala  spa,  nonche'  gli  atti  di  intervento   di
Federturismo Confindustria ed altro e di UCINA - Unione nazionale dei
cantieri e delle industrie nautiche-Confindustria nautica; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  2017  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati  Giovanni  Calugi  per  Pro.Mo.Mar.  spa,  per
Marina Cala de' Medici spa, e per Cala de Medici Cantiere srl, Flavia
Pozzolini per Marina Cala de Medici spa, Filippo Donati per Marina di
Punta Ala spa,  Rodolfo  Barsi  per  UCINA  -  Unione  Nazionale  dei
Cantieri e delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica,  Stefano
Zunarelli     per     Federturismo      Confindustria      e      per
Assomarinas-Associazione italiana porti  turistici,  e  gli  avvocati
dello Stato Pietro Garofoli e Sergio Fiorentino per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 gennaio 2015, il Consiglio di  Stato  ha
sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  41  della  Costituzione,
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  252,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria  2007)»,  nella  parte  in  cui  determina  -  anche  con
riferimento ai rapporti concessori in corso - la  misura  dei  canoni
per le concessioni di beni del demanio marittimo per la realizzazione
e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto. 
    1.1.- Il giudizio a quo ha ad oggetto  l'appello  proposto  dalla
Pro.Mo.Mar. spa,  per  la  riforma  di  due  sentenze  del  Tribunale
amministrativo regionale  per  la  Toscana,  che  hanno  rigettato  i
ricorsi, proposti dalla stessa societa', avverso i provvedimenti  con
i quali il Ministero dei trasporti e  l'Agenzia  del  demanio,  sulla
base della disposizione censurata, hanno disciplinato l'applicazione,
per gli anni 2007, 2008  e  2009,  dei  nuovi  canoni  relativi  alla
concessione demaniale marittima rilasciata nel 2001 alla  Pro.Mo.Mar.
spa, per la durata di cinquant'anni. 
    1.2.- Il Consiglio di Stato osserva, in primo luogo,  che  l'art.
1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, ha innovato,  a  decorrere
dal 1° gennaio 2007, i criteri per la determinazione dei canoni annui
per le concessioni dei beni del demanio marittimo aventi  ad  oggetto
la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica  da
diporto. La disposizione in esame non distingue tra nuove concessioni
e rapporti concessori in corso e sarebbe quindi applicabile, come  il
precedente comma 251, anche a questi ultimi. 
    Il rimettente, premesso di avere gia' accolto l'istanza  avanzata
in sede cautelare dalla parte appellante,  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, nella  parte  in
cui ridetermina il canone per le concessioni per la  realizzazione  e
la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, anche  con
riferimento ai rapporti concessori in corso. 
    1.2.1.-  Al  fine  di  fornire  una  compiuta  descrizione  della
fattispecie  concreta,  secondo  quanto  rilevato  nella   precedente
sentenza n. 128 del 2014 di  questa  Corte,  il  Consiglio  di  Stato
evidenzia  alcune  circostanze,  a  sostegno  della  rilevanza  della
questione. 
    Il rimettente espone che la concessione in esame, rilasciata  nel
2001, ha la durata di cinquanta anni dal 29  giugno  1998.  Essa  non
contiene clausole volte a disciplinare le sopravvenienze verificabili
per  l'aumento  dell'importo  del   canone,   salva   la   previsione
dell'aggiornamento annuale «in base alle disposizioni di Legge». 
    In particolare, la spesa prevista nel piano  economicofinanziario
per le opere a mare e' pari ad euro 10.705.633 e, per quelle a terra,
ad euro 23.498.291,90, con la previsione di investimenti  complessivi
pari a euro 48.707.068. 
    La concessione prevede che, al momento della cessazione, le opere
erette, complete di tutti gli accessori e le  pertinenze,  resteranno
«in assoluta proprieta'  dello  Stato  senza  che  al  concessionario
spetti alcun indennizzo, compenso  o  rimborso  di  sorta,  ferma  la
facolta' da parte dell'Amministrazione di richiedere, ove lo  ritenga
opportuno, la demolizione  delle  opere  erette  e  la  riduzione  in
pristino stato, da farsi a cura e spese del concessionario, senza che
ad esso competa compenso, indennizzo o rimborso di sorta». 
    Il Consiglio di Stato rileva che, per effetto della  disposizione
censurata, nei cinquanta anni di durata della concessione,  l'importo
totale dei canoni aumenterebbe da euro 4.551.869 a  euro  19.066.289.
In definitiva, tale aumento, applicato dal  2007  alla  scadenza  nel
2048, renderebbe il margine negativo, ossia pari a euro -8.124.134. 
    1.2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a  quo
sottolinea che le concessioni di cui  al  comma  251,  relative  alle
attivita' turistico-ricreative, sono molto piu' numerose,  comportano
di regola investimenti contenuti a carico del concessionario  e  sono
connotate da canoni di importo modesto. Nel 2006, con la normativa in
esame, il legislatore e' intervenuto sulla misura di tali canoni,  al
fine di operare un riallineamento ai valori di mercato. 
    Del tutto diverse sarebbero, invece, le concessioni - di  cui  al
successivo comma 252 -  aventi  ad  oggetto  la  realizzazione  e  la
gestione di strutture dedicate alla  nautica  da  diporto.  Oltre  ad
essere numericamente limitate, essendo ristretto il numero dei  porti
turistici, esse comporterebbero  ingenti  investimenti,  sia  per  la
realizzazione  delle  opere  strutturali,  destinate  ad  essere  poi
acquisite gratuitamente dal demanio, sia  per  l'impegno  gestionale.
Cio'  richiede  un  piano  economico-finanziario  di  lungo  periodo,
nell'ambito del quale l'importo del canone e' elemento determinante. 
    Ad avviso del Consiglio di Stato, la previsione dell'aumento  dei
canoni anche per i rapporti concessori in corso,  senza  tener  conto
del fatto che i canoni sono stati determinati avendo  riguardo  anche
agli investimenti effettuati, sarebbe in contrasto con  il  principio
di cui all'art. 3 Cost., sotto il  duplice  profilo  del  trattamento
uguale di situazioni disuguali, nonche' della lesione  del  principio
della sicurezza giuridica, costitutivo del legittimo affidamento. 
    Quanto alla disparita'  di  trattamento,  il  giudice  rimettente
evidenzia   la   sostanziale   differenza    tra    le    concessioni
rispettivamente  previste  ai  commi  251  e  252,   avuto   riguardo
all'immediata redditivita' dei minori investimenti richiesti  per  le
prime, e al piu' complesso quadro di lungo periodo per il calcolo  di
convenienza finanziaria, proprio delle seconde. Da cio' discenderebbe
la necessita' di considerare questa  differenza  nella  modifica  dei
canoni, in quanto elemento costitutivo di tale calcolo. 
    Inoltre, sarebbe leso il  legittimo  affidamento  ingenerato  nei
concessionari sulla stabilita' dell'equilibrio  economico-finanziario
di lungo periodo, attraverso una modifica sostanziale, che incide  su
concessioni gia' rilasciate, tuttora in corso e di lunga  durata  nel
futuro. Viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 92 del 2013. 
    La disposizione censurata determinerebbe, inoltre, la  violazione
dell'art. 41  Cost.,  in  riferimento  alla  liberta'  di  iniziativa
economica, poiche' scelte imprenditoriali  anteriori  alla  legge  in
esame sarebbero irragionevolmente frustrate dalla legge sopravvenuta,
modificativa dei rapporti contrattuali in corso. 
    1.3.- Nel giudizio e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
ministri,  rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    1.3.1. - La  difesa  statale  deduce,  in  primo  luogo,  che  le
competenze gestionali in materia  di  demanio  marittimo  sono  state
conferite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento
di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.
59) agli enti territoriali, salvo gli introiti, che rimangono in capo
allo Stato. 
    Fino al 2006, i canoni per concessioni  relative  alle  strutture
dedicate alla nautica da diporto sarebbero  stati  caratterizzati  da
norme di favore rispetto a  quelli  dovuti  per  le  concessioni  per
finalita' turistico-ricreative. Infatti il  decreto-legge  5  ottobre
1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni  relativi
a concessioni  demaniali  marittime)  prevedeva  per  questa  seconda
categoria di atti una quantificazione in misura  fissa  e  tabellare,
sulla base  di  una  classificazione  delle  aree,  delle  pertinenze
demaniali marittime e degli specchi acquei. Tuttavia, non  avendo  le
Regioni provveduto alla preliminare  classificazione  del  territorio
costiero,  il  Ministero  dei  trasporti  e  della  navigazione,  con
circolare del 17 dicembre 1998, ha stabilito che, nella more di  tale
classificazione, i canoni per le concessioni demaniali  marittime  di
carattere turistico-ricreativo venissero  ricalcolati  applicando  le
misure unitarie piu' basse. 
    Tale situazione e'  rimasta  invariata  sino  all'adozione  della
legge n. 296 del 2006, che ha sostituito alcune disposizioni del d.l.
n. 400 del 1993. La disposizione denunciata si collocherebbe, quindi,
in  un  processo  gia'  in  atto,  finalizzato  alla  tutela  e  alla
valorizzazione di tutti i beni di proprieta' statale. Verrebbe estesa
anche ai canoni demaniali  marittimi  un'evoluzione  che  gia'  aveva
caratterizzato  altri  beni  pubblici.  In  ogni  caso,  la   novella
introdotta dalla legge n.  296  del  2006  sarebbe  ben  lontana  dal
determinare  dei  canoni  analoghi  a  quelli  praticati  nel  libero
mercato. 
    Per  quanto  riguarda  le  concessioni  per  la  realizzazione  e
gestione di strutture dedicate alla nautica  da  diporto,  la  difesa
statale sottolinea che esse hanno una durata di gran lunga  superiore
(di norma, oltre cinquant'anni) rispetto a quella  per  le  attivita'
turistico-ricreative (di regola,  sei  anni).  Tale  maggiore  durata
sarebbe volta a riconoscere  ai  concessionari  un  piu'  ampio  arco
temporale in cui ammortizzare i  maggiori  investimenti  sostenuti  e
conseguire congrui guadagni dalla gestione delle strutture. 
    L'Avvocatura generale dello Stato evidenzia, inoltre, che,  nella
vigenza della concessione,  i  canoni  dovuti  dai  concessionari  in
questione verrebbero  calcolati  applicando  non  gia'  i  valori  di
mercato abbattuti (previsti  per  le  concessioni  per  le  attivita'
turistico-ricreative), bensi' i  piu'  favorevoli  criteri  tabellari
previsti per gli specchi acquei, per le aree scoperte e per  le  aree
occupate, i quali non hanno subito mutamenti rispetto alla precedente
disciplina. Infatti, sino al termine della concessione, la proprieta'
delle opere realizzate sulle aree demaniali concesse resta  ferma  in
capo ai concessionari. Pertanto, il  pagamento  del  canone  potrebbe
essere esteso solo  rispetto  all'utilizzo  del  suolo  e  non  anche
rispetto ai manufatti, sui quali medio tempore  lo  Stato  non  vanta
alcun diritto di proprieta'. 
    Infatti, osserva l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ai  sensi
dell'art. 49 del codice della  navigazione,  solo  al  termine  della
concessione le  strutture  inamovibili  costruite  dai  concessionari
vengono  incamerate  allo  Stato.   Esse   costituiscono   pertinenze
demaniali  marittime,  alle  quali  sono  applicabili  i  criteri  di
quantificazione dei canoni commisurati ai valori di mercato, peraltro
mitigati da alcuni accorgimenti. D'altra  parte,  tali  criteri  sono
riferibili alle sole pertinenze destinate ad  attivita'  commerciali,
terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi. 
    La  difesa  erariale  rileva,  inoltre,   che   la   disposizione
contestata e' inserita all'interno  di  un  quadro  omogeneo,  quello
della legge finanziaria 2007, nella quale il legislatore ha  compiuto
una scelta discrezionale che «valorizza i beni pubblici e mira ad una
maggiore  redditivita'  per  l'ente  proprietario  e  quindi  per  la
generalita' dei cittadini, diminuendo  proporzionalmente  i  vantaggi
dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari».  E'
parso, infatti, preminente al legislatore  lo  scopo  di  «assicurare
maggiori entrate all'erario e di perequare le situazioni dei soggetti
che svolgono attivita' commerciali, avvalendosi di beni  pubblici,  e
quelle di altri soggetti che  svolgono  le  identiche  attivita',  ma
assoggettati ai prezzi di mercato relativi all'utilizzazione di  beni
di proprieta' privata» (TAR Toscana,  Firenze,  13  maggio  2011,  n.
852). 
    Tale  interesse,  ad  avviso  della   difesa   statale,   sarebbe
prevalente  rispetto  alla  tutela  del  singolo  concessionario,   a
fortiori con riferimento ad opere  che  consentono  di  svolgere  una
tipica attivita' imprenditoriale, come nel caso della gestione di  un
porto. Infatti, le concessioni relative a strutture per la nautica da
diporto comprendono pertinenze destinate  ad  attivita'  commerciali,
volte alla produzione di beni e servizi, dunque  capaci  di  produrre
reddito. 
    L'introduzione dei nuovi criteri di  determinazione  dei  canoni,
applicabili anche  alle  concessioni  in  corso,  sarebbe  del  tutto
ragionevole,  cosi'  come  e'  gia'  stato  ritenuto  ragionevole  il
precedente comma 251 nella sentenza n. 302 del  2010.  Infatti,  essi
sarebbero  finalizzati  alla  valorizzazione  di  un  bene  pubblico,
produttivo di entrate per l'erario. 
    D'altra  parte,  non  sarebbe   ravvisabile   alcuna   violazione
dell'art. 3 Cost., dovendo escludersi che la  disposizione  in  esame
contrasti con il canone della ragionevolezza. Al  contrario,  sarebbe
proprio la differenza di trattamento per  le  concessioni  in  corso,
auspicata dal Consiglio di Stato,  a  determinare  un  ingiustificato
regime  preferenziale  per  le  concessioni  relative   a   strutture
destinate alla nautica da diporto, rispetto alle altre concessioni di
cui al precedente comma 251. Sarebbe infatti rimasto indimostrato  il
«valore maggiore dell'investimento», richiesto per la prima tipologia
di concessioni, e non si terrebbe conto del fatto che  anche  per  le
concessioni con finalita' turistico-ricreative sono sovente richiesti
investimenti molto significativi. 
    L'opzione ermeneutica suggerita dal Consiglio di  Stato  sarebbe,
inoltre, censurabile proprio per il criterio su cui si fonda  (valore
dell'investimento).  Essa  determinerebbe,  infatti,   un   ulteriore
discrimen tra vecchie e nuove  concessioni,  nell'ambito  di  quelle,
appartenenti alla medesima categoria,  che  comportano  il  «medesimo
valore d'investimento». 
    Da ultimo, la difesa dello Stato  contesta  la  censura  relativa
alla  lesione  del  principio  di  cui  all'art.  41  Cost.,  poiche'
formulata in termini generici e apodittici,  non  essendo  dimostrata
l'irragionevolezza   della   legge   sopravvenuta.   Viceversa,    la
disposizione censurata  sarebbe  ispirata  proprio  alla  tutela  del
libero esercizio della concorrenza, il quale verrebbe  violato  se  i
canoni concessori fossero effettivamente esigui rispetto ai valori di
mercato. 
    Viene,  infine,  evidenziato  che  il  legislatore  puo'  e  deve
mantenere forme  di  regolazione  dell'attivita'  economica  volte  a
garantire, tra l'altro, il principio costituzionale di  tutela  delle
finanze pubbliche. In tal senso, la liberta' d'iniziativa puo' essere
«anche 'ragionevolmente limitata' (art. 41, secondo  e  terzo  comma,
Cost.)». 
    1.4.- Nel giudizio si e' costituita la Pro.Mo.Mar. spa, chiedendo
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale. 
    La parte privata,  titolare  di  concessione  demaniale  e  parte
appellante nel giudizio a quo, ha condiviso le argomentazioni  svolte
dal Consiglio di Stato a sostegno dell'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006. 
    In particolare, la Pro.Mo.Mar. spa  evidenzia  che,  per  effetto
della disciplina censurata, i canoni relativi  alla  realizzazione  e
alla gestione dei porti turistici sono equiparati a  quelli  previsti
per le concessioni con  finalita'  turistico-ricreative  e,  nel  suo
caso, hanno subito un aumento pari a circa il 500 per cento  rispetto
a quello originariamente fissato nella concessione. 
    Nel  caso  in  esame,  tale  aumento  avrebbe   determinato   una
variazione del tutto insostenibile al  piano  finanziario  concordato
nel 2001 tra concedente e concessionario. Infatti, l'applicazione del
canone  aumentato  (durante  il  periodo  di  durata  residua   della
concessione,   dal   2007   al   2048)   inciderebbe   sul    margine
dell'iniziativa, inizialmente  previsto  in  euro  11.000.000  circa,
tanto da renderlo negativo e pari a euro -8.124.134. 
    La parte privata sottolinea, inoltre, che da tale aumento deriva,
a carico del concessionario, anche  l'incremento  dell'imposta  sulle
concessioni statali per l'occupazione e l'uso di beni demaniali,  che
le Regioni possono determinare in misura non superiore al triplo  del
canone di concessione. 
    D'altra parte, osserva la Pro.Mo.Mar. spa, al concessionario  non
sarebbe consentita l'interruzione anticipata  del  rapporto,  se  non
subendo  gravissime  conseguenze  economiche.  Infatti,  in  caso  di
rinuncia  alla   concessione,   la   societa'   perderebbe   l'intero
investimento e le opere realizzate diverrebbero di  proprieta'  dello
Stato, senza che al concessionario spetti alcun indennizzo.  Inoltre,
la rinuncia  alla  concessione  comporterebbe  anche  la  perdita  di
efficacia nei confronti dell'amministrazione dei contratti con cui il
concessionario ha trasferito a terzi il diritto di godimento  su  una
parte dei beni costruiti in area demaniale. La parte privata sarebbe,
quindi,  inadempiente  nei  confronti  dei  suoi  aventi  causa,  che
dovrebbero  essere  risarciti.  Il  recesso  dalla  concessione   non
sarebbe, quindi, un'ipotesi percorribile. 
    A  sostegno  dell'illegittimita'  costituzionale,   la   societa'
appellante deduce che l'applicazione  della  nuova  disciplina  anche
alle concessioni rilasciate prima della sua entrata in vigore sarebbe
del  tutto  inaspettata:  infatti,  alle  concessioni  dedicate  alla
nautica da diporto non era  applicabile  il  precedente  aumento  dei
canoni, previsto dall'art. 32, commi 21, 22 e 23, del  decreto  legge
30 settembre 2003, n.  269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo
sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici). 
    Con  la  disposizione  censurata  non  solo   sarebbe   aumentato
l'importo unitario dei canoni,  ma  sarebbe  altresi'  introdotto  un
criterio di determinazione (importi maggiori  per  aree  occupate  da
opere di difficile rimozione,  minore  per  le  altre  aree)  opposto
rispetto al precedente (canone minore per aree destinate ad opere  di
difficile rimozione, nonche' per le  aree  rimaste  inedificate).  Il
nuovo canone sarebbe, quindi, piu' alto per i concessionari che hanno
investito di piu' (per realizzare  un  porto  che  al  termine  della
concessione diventa, gratuitamente, di proprieta'  pubblica)  e  piu'
basso per i concessionari  che  hanno  investito  di  meno.  I  primi
sarebbero oggi "sanzionati" per  avere  realizzato  quelle  opere  di
difficile rimozione alla costruzione delle quali  il  legislatore  li
aveva incentivati. 
    La   disposizione   in    esame    sconvolgerebbe    l'equilibrio
economico-finanziario del rapporto, in violazione degli artt. 3, 41 e
97 Cost. Si osserva che la congruita' del canone non e'  connessa  al
valore del bene concesso, che all'inizio del rapporto  e'  pressoche'
nullo, in quanto la struttura portuale deve ancora essere realizzata,
ne' sarebbe  apprezzabile  in  relazione  a  imprecisati  "prezzi  di
mercato". 
    Ad  avviso  della  parte  privata,  si  determinerebbe,   quindi,
un'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  vecchi  e   nuovi
concessionari, in violazione degli artt. 3 e 41 Cost. Per le  imprese
che hanno ottenuto la concessione prima  del  2007,  i  nuovi  canoni
costituirebbero un  costo  sopravvenuto  ed  imprevedibile,  che  non
potrebbe essere in alcun  modo  riequilibrato.  Per  le  imprese  che
ottengono, invece, la concessione dopo la legge n. 296 del  2006,  il
nuovo importo dei canoni non comporterebbe conseguenze  negative,  in
quanto esso  costituisce  uno  degli  elementi  che  possono  formare
oggetto di valutazione da parte  degli  aspiranti  concessionari.  In
ogni  caso,  essi   possono   rifiutare   la   sottoscrizione   della
concessione,  mentre  i  concessionari  precedenti   non   hanno   la
possibilita' di recedere dal rapporto, perche' cio' comporterebbe  la
perdita dell'investimento effettuato. 
    Viene,   inoltre,   ravvisata   un'irragionevole   disparita   di
trattamento tra i concessionari di porti turistici ed i  titolari  di
altre concessioni  che,  per  loro  natura,  consentono  un'immediata
redditivita' con investimenti pressoche' nulli  e  non  prevedono  la
realizzazione di opere di rilevante interesse pubblico. 
    La disposizione censurata contrasterebbe, inoltre, con i principi
e le norme (richiamate quali tertia comparationis) di cui agli  artt.
11 e 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove  norme  in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti amministrativi) e con l'art. 42 cod. nav. Tali disposizioni
non  attribuiscono  all'amministrazione  concedente  il   potere   di
modifica unilaterale del contenuto del rapporto e, laddove consentono
l'esercizio di poteri autoritativi, prevedono un onere di motivazione
in ordine all'interesse pubblico perseguito e la corresponsione di un
indennizzo al concessionario. 
    Sarebbe,   inoltre,   violato    l'affidamento    maturato    dai
concessionari in relazione all'art. 10 della legge 27 dicembre  1997,
n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza  pubblica)  e  al
decreto del Ministro dei trasporti  e  della  navigazione  30  luglio
1998, n. 343 (Regolamento recante  norme  per  la  determinazione  di
canoni per concessioni di beni del demanio marittimo e  di  zone  del
mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di
strutture  dedicate  alla  nautica  da  diporto).  Tali  disposizioni
contenevano la disciplina speciale dei canoni per le  concessioni  di
costruzione e gestione di porti turistici, «al fine di incentivare la
realizzazione delle strutture medesime», con la «previsione di canoni
di minori entita' per  le  iniziative  che  comportino  investimenti»
economicamente piu' rilevanti. 
    Dopo avere sottolineato le differenze tra la disciplina in  esame
e quella del precedente comma 251, valutata nella sentenza n. 302 del
2010, la  difesa  della  Pro.Mo.Mar.  spa  deduce,  inoltre,  che  la
disposizione   censurata   avrebbe   attribuito   all'amministrazione
concedente  il  potere  di  modificare  unilateralmente  un  elemento
essenziale  della  concessione,  senza  tuttavia   prevedere   alcuna
comparazione tra interessi pubblici  e  privati  e  senza  attribuire
alcun rilievo al pregiudizio subito dal concessionario. Il  pagamento
di un canone pari a quattro  volte  e  mezzo  quello  originariamente
stabilito comporterebbe,  infatti,  una  modifica  insostenibile  dei
presupposti finanziari dell'iniziativa. 
    Tale stravolgimento dell'equilibrio  economico-finanziario  della
concessione  si  porrebbe,  inoltre,  in  contrasto  con  l'interesse
pubblico alla migliore gestione  del  porto  turistico.  Infatti,  le
condizioni di sofferenza economico-finanziaria,  in  cui  le  imprese
concessionarie dei porti turistici di recente realizzazione sarebbero
costrette ad operare, ne comprometterebbe l'efficienza gestionale. 
    Da cio' deriverebbe il pregiudizio dell'interesse  pubblico  alla
tutela  della  sicurezza   della   navigazione,   cui   risponde   la
realizzazione di un sistema di approdi  turistici  diffusi  lungo  le
coste. Inoltre, l'attivita' cantieristica  e'  un  settore  trainante
dell'industria manifatturiera e la nautica  da  diporto  e'  decisiva
nello  sviluppo  dell'economia  turistica  del  territorio  costiero.
Sarebbero altresi' violati i principi costituzionali di imparzialita'
e buon andamento dell'amministrazione. 
    1.5.- Il 1° ottobre 2015 l'UCINA - Unione Nazionale dei  Cantieri
e delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica ha depositato atto
di intervento, nel quale ha chiesto l'accoglimento della questione di
legittimita' costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato. 
    1.5.1.- In via preliminare, la parte interveniente ha  illustrato
le ragioni dell'ammissibilita' del  proprio  intervento,  sebbene  la
stessa non rivesta la qualita' di parte nel giudizio a quo. 
    A sostegno della propria  legittimazione,  l'UCINA  evidenzia  di
proporsi, quale finalita' statutaria, oltre a quella di  favorire  il
progresso e la competitivita' del settore nautico  nazionale,  quella
di rappresentare nelle sedi competenti gli interessi dei  soci  e  di
svolgere tutte le attivita' opportune per tutelare  e  difendere  gli
interessi del settore e  per  promuovere  il  settore  della  nautica
italiana. 
    1.5.2.- Nel merito, la difesa dell'UCINA propone, in primo luogo,
un'interpretazione della disposizione censurata, tale da  evitare  il
contrasto con i principi costituzionali. 
    Essa  ritiene,  in  particolare,  che  siano  tuttora  vigenti  e
compatibili  entrambi  i  sistemi  di   determinazione   dei   canoni
concessori delineati rispettivamente dal d.m. n. 343 del 1998 e dalla
legge n. 296 del 2006. Il primo sarebbe applicabile ai  concessionari
che realizzino le strutture dedicate alla nautica da diporto,  mentre
il secondo sarebbe riferibile ai titolari di concessioni relative  ad
aree "occupate" da impianti gia' realizzati da terzi, e gia' divenuti
di proprieta' statale. Sarebbe, dunque, coerente con  i  principi  di
logica e imparzialita' che la pretesa statuale di canoni piu' onerosi
sia riferita ad opere gia' realizzate da precedenti  concessionari  e
acquisite al patrimonio erariale, e non gia' ad opere realizzate  dal
concessionario, ma non ancora acquisite al patrimonio statuale. 
    Osserva la difesa della  parte  interveniente  che  -  mentre  la
precedente disciplina dei  canoni  delle  concessioni  per  finalita'
turistico-ricreative e' stata interamente abrogata dall'art. 1, comma
251 della legge n. 296 del 2006 - un'analoga abrogazione non e' stata
prevista per il d.m. n. 343 del 1998. Ne consegue  che,  pur  essendo
stata innovata la misura dei canoni delle concessioni  relative  alle
strutture portuali, sarebbero rimaste in vigore  le  disposizioni  di
cui al d.m. n. 343 del 1998. 
    In questa prospettiva, la nuova disciplina  dei  canoni  dovrebbe
intendersi cosi' ripartita: 1) canoni delle concessioni per finalita'
turistico-ricreative, totalmente innovate con abrogazione espressa di
tutta  la  disciplina  precedente;  2)  canoni  per  concessione   di
strutture portuali interamente di proprieta' statale,  per  le  quali
trova applicazione il comma 252 (in sostituzione del precedente  art.
1, comma 1, del d.m. n. 343 del 1998); 3) canoni per  concessione  di
strutture  realizzate  dal  concessionario  e  non  ancora  venute  a
scadenza, per le quali troverebbe tuttora applicazione il d.m. n. 343
del 1998. 
    1.5.3.- In via  subordinata,  qualora  tale  interpretazione  non
fosse condivisa, l'UCINA chiede che  la  disposizione  censurata,  in
quanto applicabile a tutte le concessioni (a  quelle  in  corso  e  a
quelle nuove,  a  quelle  caratterizzate  dalla  realizzazione  delle
strutture da parte del concessionario  e  a  quelle  nelle  quali  le
strutture siano di proprieta' statale) sia dichiarata illegittima  in
riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  disparita'  di
trattamento, dell'irragionevolezza  e  della  lesione  del  legittimo
affidamento. 
    Non sarebbero applicabili i principi affermati dalla Corte  nella
sentenza n. 302 del 2010, che ha ritenuto  legittimi  gli  incrementi
dei canoni concessori, rilevando che i relativi importi  erano  fermi
da decenni e che si rendeva necessaria una  valorizzazione  dei  beni
pubblici. Infatti, tali presupposti difetterebbero nel caso in esame,
in cui i beni non appartengono allo Stato, ma al privato  che  li  ha
realizzati. Infatti, ai sensi dell'art. 49 cod. nav., essi diverranno
pubblici solo alla scadenza della concessione originaria  e  solo  da
allora lo Stato, divenuto proprietario dei beni, potra' richiedere il
canone che riterra' piu' adeguato. 
    1.5.4.- Quanto alla denunciata  violazione  dell'art.  41  Cost.,
l'UCINA evidenzia che, per effetto  del  repentino  e  rilevantissimo
aumento  del  canone  (sino  al  500  per  cento   del   precedente),
l'attivita'  imprenditoriale,  nelle  concessioni  di  lunga  durata,
verrebbe  illegittimamente  penalizzata  dallo   stravolgimento   del
sinallagma   contrattuale   e   sarebbero   cosi'   scoraggiati   gli
investimenti finalizzati alla valorizzazione dei beni demaniali. 
    1.6.-  Il   6   ottobre   2015   le   associazioni   Federturismo
Confindustria e Assomarinas - Associazione italiana porti  turistici,
hanno  depositato  atto  di  intervento,  nel  quale  hanno   chiesto
l'accoglimento della questione sollevata dal Consiglio di Stato. 
    1.6.1.-  In  via  preliminare,  le  parti   intervenienti   hanno
illustrato le ragioni  dell'ammissibilita'  del  proprio  intervento,
sebbene esse non rivestano la qualita' di parte nel giudizio a quo. 
    A sostegno della propria legittimazione,  viene  evidenziato  che
l'associazione   Federturismo    Confindustria    riunisce    imprese
dell'industria del turismo, proponendosi  come  scopo  statutario  la
tutela  delle  loro  attivita'  sul  piano  legislativo,   economico,
produttivo  e  sindacale,  con  particolare  riguardo   ai   soggetti
istituzionali ai quali sono affidate  le  scelte  fondamentali  della
politica turistica italiana. 
    D'altra parte, Assomarinas-Associazione italiana porti  turistici
riunisce le imprese che gestiscono porti turistici e si  prefigge  la
promozione dell'interesse collettivo di cui e' portatrice, imperniato
sulla tutela degli interessi dei consociati  e  sulla  rappresentanza
sindacale nei rapporti con enti ed istituzioni, al fine  di  favorire
lo sviluppo e la crescita delle imprese turistiche e della nautica da
diporto. Entrambe le parti intervenienti deducono, quindi, di  essere
titolari di un interesse diretto ed immediato all'esito del giudizio,
tale da giustificare la loro legittimazione all'intervento. 
    1.6.2.- Nel merito, la difesa delle due associazioni  illustra  e
sviluppa gli argomenti a sostegno dell'illegittimita'  costituzionale
della disposizione censurata, sia sotto il profilo dell'irragionevole
equiparazione delle concessioni  in  esame  a  quelle  per  finalita'
turistico-ricreative, sia per la lesione  del  legittimo  affidamento
dei concessionari nella stabilita' del rapporto di concessione,  sia,
infine, per violazione dell'art.  41  Cost.,  anche  con  riferimento
all'art. 43 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di
concessione. 
    L'irragionevolezza  e  la   disparita'   di   trattamento   della
disposizione censurata troverebbero conferma nella previsione di  cui
all'art. 143, comma 8,  del  decreto  legislativo  n.  163  del  2006
(Codice dei contratti pubblici), applicabile anche alla costruzione e
gestione  di  strutture  dedicate  alla  nautica   da   diporto.   In
particolare, tale disposizione tutela  l'affidamento  del  privato  e
prevede  l'avvio  di  un'istruttoria  al  fine  di  contemperare  gli
interessi del soggetto inciso dalla  sopravvenienza,  insistente  sul
rapporto di durata, garantendone la partecipazione al procedimento. 
    Ad avviso delle parti intervenienti, sarebbe, invero, paradossale
che il privato che realizza  un'opera  pubblica,  nell'ambito  di  un
rapporto regolato dalla legge sui contratti  pubblici,  sia  tutelato
sotto il profilo della stabilita' degli obblighi  economici  regolati
dalla concessione, mentre chi realizza  un'opera  nell'ambito  di  un
rapporto regolato da una concessione di  cui  al  d.P.R.  2  dicembre
1997, n. 509 (Regolamento  recante  disciplina  del  procedimento  di
concessione di beni del demanio marittimo  per  la  realizzazione  di
strutture dedicate alla nautica da diporto, a norma dell'articolo 20,
comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59), sia soggetto all'unilaterale
ed arbitraria alterazione del proprio piano economico-finanziario. 
    Quanto alla violazione dell'art. 41 Cost., la difesa delle  parti
intervenienti rileva che l'art. 43  della  direttiva  n.  2014/23/UE,
sull'aggiudicazione   dei   contratti    di    concessione,    indica
tassativamente le ipotesi, ed i limiti, nei  quali  l'amministrazione
concedente   puo'   modificare   il   regolamento   concessorio.   Il
concessionario deve, pertanto, essere tenuto indenne,  per  tutta  la
durata  della  concessione,  dal  cosiddetto  "rischio  regolatorio",
essendo illegittima ogni modifica dei termini della  concessione  che
non sia determinata da circostanze eccezionali  ed  imprevedibili  da
parte di un'amministrazione diligente (art. 43, lettera c), punto i),
della direttiva). E', inoltre, prevista la necessita'  di  una  nuova
procedura di scelta del contraente quando siano  apportate  modifiche
sostanziali ai principali elementi del contratto, tali da  dimostrare
l'intenzione delle parti di rinegoziarlo. 
    L'unilaterale  modificazione  di  un  elemento   essenziale   del
rapporto concessorio, quale il canone, violerebbe  quindi  la  regola
della tendenziale  immodificabilita'  del  contratto,  senza  neppure
prevedere  alcun  correttivo   in   relazione   alla   durata   della
concessione, la quale sarebbe concepita proprio per rendere effettivo
il recupero degli investimenti sostenuti dalla parte privata. 
    La determinazione legislativa di significative modificazioni  del
sinallagma contrattuale determinerebbe la lesione  del  principio  di
ragionevolezza,  fino  a  compromettere  la  liberta'  di  iniziativa
economica privata e la sua destinazione a fini sociali e di  pubblica
utilita'. 
    2.-  Con  ordinanza  dell'8  maggio  2015,  il  TAR  Toscana   ha
sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  41  Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  medesima  disposizione  di   cui
all'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006,  nella  parte  in
cui si applica alle concessioni gia' rilasciate alla data  della  sua
entrata in vigore. 
    2.1.- Il giudizio a quo ha  ad  oggetto  i  ricorsi  proposti  da
quattro societa', contitolari di concessione demaniale marittima  per
la  realizzazione  di  un  porto  turistico,  al  fine  di   ottenere
l'annullamento dei provvedimenti con i quali il Comune  di  Rosignano
ha determinato, per gli anni dal 2007 al 2014, la  misura  dei  nuovi
canoni di concessione. 
    Il giudice rimettente ritiene  che  i  principi  affermati  nella
sentenza n. 302 del 2010 non siano riferibili al caso in esame ed  e'
a conoscenza della precedente ordinanza  di  rimessione  n.  173  del
2015, con cui il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 41 Cost., questione di  legittimita'  costituzionale  della
medesima disposizione (art. 1, comma 252,  della  legge  n.  296  del
2006). La stessa questione sarebbe  rilevante  e  non  manifestamente
infondata anche nel giudizio sottoposto al suo esame. 
    In particolare, con riferimento al requisito della rilevanza,  il
TAR riferisce che la concessione demaniale della quale sono  titolari
le parti ricorrenti e' stata rilasciata nel 1999, per  la  durata  di
cinquant'anni. Scopo della concessione e', per il concessionario,  la
costruzione e la gestione  di  un  porto  turistico.  La  convenzione
prevede che alla scadenza del rapporto, ovvero in caso di decadenza o
di rinuncia da parte del concessionario,  le  opere  realizzate,  con
accessori e pertinenze, restino in proprieta' dello Stato. In  questo
caso, al concessionario nulla sara' dovuto e l'amministrazione potra'
decidere di demolire le opere e rimettere in pristino stato i  luoghi
a cura e spese del concessionario, senza per  questo  corrispondergli
alcunche'. 
    Il giudice rimettente evidenzia, inoltre, che le parti ricorrenti
hanno depositato un'analisi economico-finanziaria  delle  conseguenze
dell'aumento dei canoni, dalla quale emerge un incremento dei  costi,
rispetto  alle  previsioni  fatte  all'epoca   del   rilascio   della
concessione, pari a  euro  5.381.003,  commisurato  alla  complessiva
durata dell'investimento. Tali circostanze, dedotte dalle  ricorrenti
e  non  contestate  dalle   amministrazioni   resistenti,   sarebbero
sufficienti  a  dare  conto  della   rilevanza   della   disposizione
censurata, nella parte  in  cui  si  applica  alle  concessioni  gia'
rilasciate alla data della sua entrata in vigore. 
    Dopo avere sottolineato le differenze tra le concessioni di  beni
demaniali con finalita' turistico-ricreative e le concessioni di beni
demaniali finalizzate alla realizzazione e gestione di infrastrutture
per la nautica da diporto, il TAR osserva che la finalita' di evitare
che i titolari di concessioni del secondo tipo operino in  condizioni
di sofferenza economico-finanziaria risponderebbe anche  ad  esigenze
di rilievo pubblicistico, sia per le rilevanti spese di  manutenzione
da affrontare, a salvaguardia della  sicurezza  della  navigazione  e
dell'incolumita' pubblica, sia per l'importanza delle  infrastrutture
destinate alla nautica da diporto per  il  rilancio  del  turismo  e,
quindi, per l'economia. 
    La precedente disciplina dei canoni concessori  teneva  conto  di
tali esigenze e, lungi dal  prevedere  un  ingiustificato  regime  di
favore, consentiva di effettuare investimenti per la realizzazione di
opere di difficile rimozione. Il canone  era  determinato  in  misura
inversamente  proporzionale  alla  rilevanza  delle   opere   stesse.
Viceversa, nella disciplina introdotta dalla legge n. 296 del 2006 il
criterio si e' capovolto, con la  previsione  di  un  incremento  del
canone per le opere di difficile rimozione, che  sono  proprie  delle
concessioni per la nautica da diporto. 
    E' ravvisata la violazione dell'art. 3  Cost.,  in  primo  luogo,
sotto  il  profilo  dell'irragionevole  parita'  di  trattamento   di
situazioni diseguali. L'irragionevolezza sarebbe, inoltre, accentuata
dalla  mancata  previsione  di  meccanismi  graduali,  al   fine   di
salvaguardare, in  rapporto  agli  investimenti  fatti,  l'equilibrio
economico-finanziario dell'impresa. 
    L'art. 3 Cost. sarebbe, inoltre, violato  sotto  il  profilo  del
legittimo affidamento, per l'imprevista e imprevedibile inversione di
tendenza in materia di canoni concessori. Le  finalita'  incentivanti
per  il  settore  della  nautica  da  diporto   sarebbero,   infatti,
vanificate dall'improvviso aumento dei canoni, applicati  anche  alle
concessioni demaniali in corso, e sarebbero sconvolte  le  previsioni
di stabilita' dell'equilibrio economico-finanziario  pianificato  per
il  lungo  periodo,  nell'aspettativa  di   un   congruo   tempo   di
ammortamento degli investimenti effettuati. 
    Infine, e' denunciato  il  contrasto  con  l'art.  41  Cost.,  in
riferimento al principio di libera iniziativa  economica,  in  quanto
l'applicazione  della   disposizione   censurata   alle   concessioni
anteriori al 2007 produrrebbe l'effetto irragionevole di frustrare le
scelte imprenditoriali,  modificando  gli  elementi  costitutivi  dei
rapporti contrattuali in corso. 
    2.2.- Nel giudizio e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
ministri,  rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    2.2.1.- La difesa statale riconosce  che  l'art.  1,  comma  252,
della legge n. 296 del 2006 estende l'applicazione  dell'aumento  dei
canoni anche alle  concessioni  concernenti  l'attivita'  nautica  da
diporto. Tuttavia, nella vigenza della concessione, i  canoni  dovuti
da tali concessionari andrebbero  calcolati  applicando  non  gia'  i
valori di mercato abbattuti  (previsti  per  le  concessioni  per  le
attivita' turistico-ricreative), bensi'  i  piu'  favorevoli  criteri
tabellari previsti per gli specchi acquei, per le aree scoperte e per
le aree occupate. Inoltre, considerato  che  sino  al  termine  della
concessione resta ferma in capo ai concessionari la proprieta'  delle
opere realizzate sulle aree  demaniali  concesse,  il  pagamento  del
canone  riguarderebbe  solo  l'utilizzo  del  suolo  e  non  anche  i
manufatti,  sui   quali   medio   tempore   insiste   la   proprieta'
superficiaria dei  concessionari.  A  questo  riguardo,  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  evidenzia  che  e'  solo  al  termine   della
concessione che le strutture inamovibili costruite dai  concessionari
vengono "incamerate" allo Stato, ai sensi  dell'art.  49  cod.  nav.,
assumendo cosi' la natura di pertinenze demaniali marittime, rispetto
alle quali potranno, in seguito, trovare applicazione  i  criteri  di
quantificazione dei canoni commisurati ai valori di mercato. 
    Con riferimento alla denunciata  violazione  dell'art.  3  Cost.,
sotto il profilo dell'uguale trattamento di  situazioni  diverse,  la
difesa statale osserva che  la  differente  «immediata  redditivita'»
delle due tipologie di concessioni - cio' che secondo  il  rimettente
imporrebbe di riservare  un  trattamento  eterogeneo  alle  stesse  -
varrebbe a giustificare la differente durata  delle  concessioni,  ma
non imporrebbe una  diversita'  dei  criteri  di  determinazione  del
canone. 
    Pertanto, in difetto di indicazioni di segno diverso  -  in  ogni
caso non approfondite dall'ordinanza di rimessione - le due variabili
dei costi iniziali e del periodo di ammortamento  (entrambi  reputati
piu' bassi per le attivita' turistico-ricreative e piu' alti  per  le
altre concessioni, destinate alla  nautica  da  diporto)  finirebbero
reciprocamente per controbilanciarsi. L'asserita disparita' economica
tra le due tipologie di concessioni sarebbe, quindi, ad avviso  della
difesa statale, piu' teorica che  reale  e  non  potrebbe,  comunque,
essere affermata in termini tanto perentori e generali  da  sostenere
una valutazione di irragionevolezza della parificazione dei canoni. 
    Quanto all'illegittimita' dell'estensione dell'aumento dei canoni
anche all'attivita' nautica da diporto,  la  difesa  statale  ritiene
che, al di la'  della  genericita'  degli  argomenti  sulle  ricadute
negative di tale misura, il giudice  rimettente  si  sia  limitato  a
prospettare una propria  declinazione  delle  scelte  che  dovrebbero
guidare  la  regolazione  del  settore,  senza  tuttavia   dimostrare
l'effettiva  irragionevolezza  della  scelta  che  ha   ispirato   il
legislatore  del  2006  e  senza  considerare,  d'altra  parte,   che
l'adozione delle necessarie misure di  sicurezza  -  diversamente  da
quanto sembra ritenere la parte privata - e' obbligatoria in  ragione
di specifiche  disposizioni  normative  e  prescinde  da  calcoli  di
convenienza economica degli operatori. 
    In  riferimento  alla  denunciata  lesione  del   principio   del
legittimo affidamento, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene  che
- lungi dall'essere imprevisto o imprevedibile - l'aumento dei canoni
e' stato solo una delle tappe di un percorso  di  valorizzazione  dei
beni demaniali, avviato gia' da anni. Viene richiamata, al  riguardo,
la giurisprudenza costituzionale secondo la quale «interessi pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico  limite
della proporzionalita' della incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico perseguiti» (sentenza n. 56 del 2015). 
    Infine,  quanto  alla  denunciata  lesione  dell'art.  41  Cost.,
l'Avvocatura generale dello Stato osserva da un lato che, laddove gli
aumenti concessori non fossero applicabili anche alle concessioni  in
corso, si verificherebbe un'ingiustificata disparita' di  trattamento
tra i nuovi ed i vecchi concessionari, in contrasto con il  principio
di parita' concorrenziale. Inoltre, un  ulteriore  ed  ingiustificato
vantaggio competitivo si  produrrebbe  se  i  concessionari  di  beni
demaniali destinati  alla  nautica  da  diporto  dovessero  sostenere
canoni di importo irragionevolmente basso. La valorizzazione dei beni
pubblici risponderebbe anche all'esigenza di perequare le  situazioni
degli imprenditori che si avvalgono di beni demaniali e quelle  degli
imprenditori assoggettati ai prezzi di mercato per l'utilizzazione di
immobili  di  proprieta'   privata.   Verrebbe,   in   questo   modo,
ridimensionato  il  vantaggio  di  chi  usufruisce   di   concessioni
demaniali,  rispetto  a  chi,  invece,  deve  rivolgersi  al  mercato
immobiliare. 
    2.3.- Nel giudizio si sono costituite le societa' Marina Cala de'
Medici spa e Cala de' Medici Cantiere srl,  chiedendo  l'accoglimento
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Le parti private, contitolari di concessione  demaniale  e  parti
ricorrenti nel giudizio a quo,  hanno  richiamato  le  argomentazioni
sviluppate dal TAR Toscana a sostegno della denunciata illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006. 
    In  particolare,  ad  avviso  delle   societa'   ricorrenti,   la
disciplina in esame, applicata alle concessioni per la costruzione  e
gestione di porti turistici, rilasciate prima della  sua  entrata  in
vigore, sarebbe del  tutto  inaspettata  e  violerebbe  l'affidamento
maturato dai concessionari in relazione all'art. 10  della  legge  n.
449 del 1997 e al d.m. n. 343 del 1998, che contenevano la disciplina
speciale dei canoni per questa tipologia di concessioni. 
    Ad avviso delle parti  private,  la  disposizione  censurata  non
soltanto aumenta l'importo  unitario  dei  canoni,  ma  introduce  un
criterio (importi maggiori per aree occupate da  opere  di  difficile
rimozione, minori per le altre aree) inedito ed opposto al precedente
(canone minore per le aree destinate ad opere di difficile rimozione;
maggiore per le aree non edificate). Ne consegue che il nuovo  canone
e' aumentato per i concessionari che hanno investito di piu' (al fine
di realizzare un'opera destinata a divenire di proprieta' pubblica al
termine della concessione), e ridotto per i concessionari  che  hanno
investito di meno. 
    Verrebbe cosi' sconvolto l'equilibrio  economico-finanziario  del
rapporto. Si osserva, in particolare, che la  congruita'  del  canone
non sarebbe connessa al valore del bene concesso (che all'inizio  del
rapporto e' pressoche' nullo, non essendo il porto ancora costruito),
ne'  sarebbe  apprezzabile  in  relazione  a  imprecisati  prezzi  di
mercato. L'elemento centrale del rapporto e' dato dal valore e  dalla
natura delle opere che il concessionario si impegna a  realizzare  (e
che verranno devolute gratuitamente allo Stato), e dalla  durata  del
rapporto (in relazione alla  quale  l'ingente  investimento  compiuto
puo' essere ammortizzato). 
    Si sottolinea  che,  viceversa,  per  le  concessioni  successive
all'entrata in vigore della disposizione censurata,  i  nuovi  canoni
non comporterebbero conseguenze negative. Essi  sarebbero  valutabili
dagli aspiranti concessionari, i quali avrebbero la  possibilita'  di
rifiutare la sottoscrizione della concessione. Viceversa, i  titolari
di concessioni  precedenti  non  potrebbero  recedere  dal  rapporto,
perche' cio' comporterebbe la perdita dell'investimento effettuato. 
    Del  tutto  irragionevole  sarebbe,  inoltre,   la   parita'   di
trattamento tra concessionari di porti turistici  ed  i  titolari  di
altre concessioni  che,  per  loro  natura,  consentono  un'immediata
redditivita' con investimenti pressoche' nulli, e  non  prevedono  la
realizzazione di opere di rilevante interesse pubblico. 
    La  disposizione  censurata  si  porrebbe  in  contrasto  con  le
disposizioni degli artt. 11 e 21-quinquies della  legge  n.  241  del
1990   e   dell'art.   42   cod.   nav.   Esse   non    attribuiscono
all'amministrazione concedente il potere di modifica unilaterale  del
contenuto del rapporto e, nelle ipotesi in cui consentono l'esercizio
di poteri autoritativi, impongono un onere di motivazione  in  ordine
all'interesse  pubblico  perseguito  e  la   corresponsione   di   un
indennizzo al concessionario. 
    Sarebbe, poi, del tutto irrilevante il  richiamo  ai  valori  del
mercato immobiliare, in quanto non esisterebbe un mercato delle  aree
private trasformabili in porti turistici, trattandosi necessariamente
di aree demaniali poste sul mare. 
    3.-  Con  ordinanza  del  30  giugno  2015,  il  TAR  Toscana  ha
sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  41  Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  medesima  disposizione  di   cui
all'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006,  nella  parte  in
cui si applica alle concessioni per la realizzazione e la gestione di
infrastrutture per la nautica da diporto gia'  rilasciate  alla  data
della sua entrata in vigore. 
    3.1.- Il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso  proposto  dalla
Marina di Punta Ala spa,  titolare,  sin  dal  1976,  di  concessione
demaniale marittima per la realizzazione di un  porto  turistico,  al
fine  di  ottenere   l'annullamento   del   provvedimento   con   cui
l'amministrazione concedente ha richiesto il pagamento di  canoni  di
concessione, determinati ai sensi dell'art. 1, comma 252, della legge
n. 296 del 2006. 
    Il TAR ritiene preliminarmente necessaria  la  valutazione  della
legittimita' costituzionale di tale disposizione, evidenziando che la
piena tutela delle situazioni giuridiche  azionate  dalla  ricorrente
potrebbe essere conseguita solo con l'accoglimento di tale questione. 
    Il rimettente e' a conoscenza che  il  Consiglio  di  Stato,  con
ordinanza del 30 gennaio 2015, e lo stesso TAR Toscana, con ordinanza
dell'8 maggio 2015, hanno gia' sollevato, in riferimento agli artt. 3
e 41 Cost., questione di legittimita' costituzionale  della  medesima
disposizione. 
    Con riferimento al requisito della rilevanza,  il  TAR  evidenzia
che, nel caso in esame, la  societa'  ricorrente  ha  realizzato,  in
forza della concessione del 1976, imponenti infrastrutture necessarie
alla gestione del porto turistico. La concessione verra'  a  scadenza
il 15 giugno 2033 e prevede che, alla scadenza del  rapporto,  ovvero
in caso di decadenza o di rinuncia da parte  del  concessionario,  le
opere realizzate, con accessori e pertinenze fisse e in  buono  stato
di  manutenzione,  resteranno  in  proprieta'  dello  Stato   ed   al
concessionario nulla sara'  dovuto.  Nella  relazione  del  Direttore
generale del Ministero delle infrastrutture e dei  trasporti  -  SIIT
Servizio integrato infrastrutture e trasporti della Toscana e Umbria,
il valore complessivo delle opere realizzate dalla concessionaria  e'
stato stimato in euro 47.673.946,05. 
    Il  rimettente  deduce  che  l'applicazione  dei   nuovi   canoni
concessori, previsti dalla disposizione impugnata, ha  comportato  un
aumento di euro 1.783.182,61 delle somme a tale titolo  dovute  dalla
societa' ricorrente. Cio' varrebbe a dimostrare l'alterazione, subita
dalla ricorrente, dell'equilibrio economico-finanziario del  rapporto
concessorio. 
    Con riferimento alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente
richiama i principi affermati dalla sentenza n.  302  del  2010,  con
riferimento ai canoni  per  le  concessioni  demaniali  marittime  di
carattere turistico-ricreativo, ma ritiene che gli stessi  non  siano
riferibili alle concessioni demaniali destinate alla realizzazione  e
gestione  di  infrastrutture  per   la   nautica   da   diporto,   in
considerazione delle differenze  che  distinguono  le  due  tipologie
concessorie:   le   prime,    infatti,    sarebbero    caratterizzate
dall'immediata redditivita' dei minori investimenti richiesti, mentre
le seconde, destinate a durare decenni, si  baserebbero  su  un  piu'
complesso quadro di lungo  periodo  per  il  calcolo  di  convenienza
finanziaria,  tenuto  conto  della  rilevanza  degli  investimenti  e
dell'impegno  gestionale.  In  questo  caso,  infatti,   le   imprese
concessionarie devono approntare un quadro economico-finanziario  nel
cui  ambito,  come  gia'  osservato  dal  Consiglio  di   Stato,   e'
determinante il  criterio  di  fissazione  dell'importo  del  canone,
individuato all'atto della concessione tenendo conto della  rilevanza
degli investimenti. 
    D'altra  parte,  il  rimettente  ravvisa  esigenze   di   rilievo
pubblicistico  che   imporrebbero   di   evitare   che   le   imprese
concessionarie di beni demaniali operino in condizioni di  sofferenza
economico-finanziaria, dovendo  esse  affrontare  notevoli  spese  di
manutenzione  e  innovazione  tecnologica,   a   salvaguardia   della
sicurezza della navigazione e dell'incolumita' pubblica. 
    Sino alla legge finanziaria per il 2007,  lo  stesso  legislatore
avrebbe tenuto conto di tali differenze, prevedendo canoni di  minore
entita'  per  le  iniziative  che  comportassero   investimenti   per
realizzare opere di  difficile  rimozione.  Infatti,  il  canone  era
fissato in misura inversa alla maggiore rilevanza delle opere  stesse
(art. 10, comma 4, della legge n. 449 del 1997 e art. 1, commi 1 e 3,
del d.m. n. 343 del 1998). Viceversa,  tale  criterio  sarebbe  stato
sovvertito dalla disciplina censurata, la quale prevede  canoni  piu'
elevati  per  le  opere  di  difficile   rimozione,   proprie   delle
concessioni per la nautica da diporto. 
    La violazione dell'art. 3  Cost.  viene,  quindi,  ravvisata,  in
primo luogo, sotto il  profilo  dell'irragionevole  equiparazione  di
situazioni diseguali.  Lo  stesso  art.  3  Cost.  sarebbe,  inoltre,
violato sotto il profilo del  principio  della  sicurezza  giuridica,
costitutivo   di    legittimo    affidamento,    in    considerazione
dell'imprevista  e  imprevedibile  inversione   di   tendenza   della
disciplina dei canoni  concessori,  dapprima  ispirata  da  finalita'
incentivanti per le imprese operanti nel  settore  della  nautica  da
diporto, ed in  seguito  contrassegnata  dall'improvviso  e  notevole
aumento dei canoni, i quali vengono applicati anche alle  concessioni
demaniali gia' rilasciate. Cio' avrebbe sconvolto  le  previsioni  di
stabilita'  dell'equilibrio  economico-finanziario   pianificato   in
precedenza e per il lungo periodo, sulla legittima aspettativa di  un
congruo periodo di ammortamento degli investimenti effettuati. 
    L'irragionevole equiparazione dei rapporti concessori in corso ai
nuovi  rapporti  concessori  esporrebbe  i  titolari  di  concessioni
rilasciate prima del 2007 ad una rilevante modifica  dei  calcoli  di
convenienza calibrati  sulla  precedente  disciplina.  Viceversa,  le
imprese titolari di  concessioni  successive  al  2007  avrebbero  la
possibilita' di ponderare adeguatamente tali effetti. 
    E' altresi' denunciato il contrasto della disposizione  censurata
con l'art. 41 Cost., in riferimento al principio di libera iniziativa
economica. In quanto applicato alle concessioni rilasciate prima  del
2007, il comma 252 produrrebbe l'effetto irragionevole  di  frustrare
le scelte imprenditoriali, modificando gli elementi  costitutivi  dei
rapporti contrattuali in essere. 
    3.2.- Nel giudizio e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei
ministri,  rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    La difesa statale  ha  svolto  le  medesime  argomentazioni  gia'
illustrate nel giudizio avente ad oggetto  l'ordinanza  dello  stesso
TAR Toscana dell'8 maggio 2015. 
    3.3.- Nel giudizio si e' costituita la Marina di Punta  Ala  spa,
chiedendo   l'accoglimento   della    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
    Dopo avere illustrato il quadro normativo anteriore al  2007,  la
difesa della Marina di Punta Ala spa ha richiamato  ed  ulteriormente
illustrato  le  argomentazioni  svolte   dal   Consiglio   di   Stato
nell'ordinanza del 30 gennaio 2015, in  relazione  all'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006. 
    In particolare, in punto di  fatto,  la  societa'  ricorrente  ha
evidenziato che, per effetto dei nuovi canoni concessori,  introdotti
dalla disposizione censurata, l'importo dovuto a  questo  titolo  nel
periodo 2007-2015 ha avuto un incremento pari ad euro 1.738.182,61. 
    La ricorrente ritiene che  l'aumento  dei  canoni  relativi  alle
concessioni di strutture per la nautica da  diporto  violi  l'art.  3
Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, in quanto tale
previsione prescinde da qualsiasi considerazione  degli  investimenti
dei concessionari. E', inoltre, denunciata la lesione  del  legittimo
affidamento,   atteso   il   carattere   improvviso,   repentino   ed
imprevedibile  dell'incremento  dei  canoni  in  questione,   nonche'
l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  vecchi   e   nuovi
concessionari. 
    Con riferimento al denunciato contrasto con l'art. 41  Cost.,  la
societa' ricorrente evidenzia che, per effetto dei nuovi canoni,  gli
oneri ai quali sono assoggettati i titolari  di  concessioni  per  la
realizzazione e  gestione  di  porti  turistici,  sarebbero  tali  da
alterare in modo irreversibile il loro  piano  economico-finanziario,
non potendo essere recuperati se  non  attraverso  un  aumento  delle
tariffe portuali, con conseguente perdita di competitivita' dei porti
turistici italiani rispetto alla strutture  ubicate  in  altri  Stati
membri dell'Unione europea (in particolare Francia, Spagna e Grecia).
Pertanto, ad avviso della Marina di Punta Ala  spa,  la  disposizione
censurata, nel penalizzare  gli  operatori  italiani  a  danno  degli
operatori di altri Stati membri, si porrebbe, altresi', in  contrasto
con il principio di non discriminazione stabilito dall'art. 21  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  -  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000, e con i principi stabiliti dal Trattato sul
funzionamento   dell'Unione    europea    agli    artt.    18    (non
discriminazione), 49 (liberta' di stabilimento)  e  56  (liberta'  di
prestazione dei servizi). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Consiglio  di  Stato  ed  il  Tribunale   amministrativo
regionale per la Toscana hanno sollevato - in riferimento agli  artt.
3 e 41 Cost. - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma  252,  della  legge  27  dicembre   2006,   n.   296,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui determina -
anche con riferimento ai rapporti concessori in corso - la misura dei
canoni per le concessioni  di  beni  del  demanio  marittimo  per  la
realizzazione e la gestione di strutture  dedicate  alla  nautica  da
diporto. 
    2.- Le tre ordinanze di rimessione pongono questioni identiche, o
tra  loro  strettamente  connesse,  in   relazione   alla   normativa
censurata. 
    Ed invero, tutti i giudici rimettenti - ravvisando la  violazione
dei medesimi parametri costituzionali  -  censurano  la  disposizione
sopra  indicata,  che  disciplina  la  misura  dei  canoni   per   le
concessioni di beni del demanio marittimo, nella parte in cui essa si
applica anche ai rapporti in corso. 
    I giudizi, pertanto,  vanno  riuniti  per  essere  congiuntamente
esaminati e decisi con unica pronuncia. 
    3.- In via preliminare, va confermata l'ordinanza dibattimentale,
allegata alla presente sentenza, con la  quale  e'  stato  dichiarato
inammissibile l'intervento dell'UCINA - Unione Nazionale dei Cantieri
e  delle  Industrie  Nautiche  -  Confindustria  Nautica,   e   delle
associazioni Federturismo Confindustria e Assomarinas -  Associazione
italiana porti turistici. 
    4.- Va,  inoltre,  rilevata  l'inammissibilita'  delle  deduzioni
svolte dalla  difesa  della  Pro.Mo.Mar.  spa,  in  riferimento  alla
violazione dell'art. 97 Cost., e dalla difesa della Marina  di  Punta
Ala spa,  in  riferimento  al  contrasto  con  il  principio  di  non
discriminazione  stabilito  dall'art.  21  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il  7  dicembre
2000, e con i  principi  stabiliti  dal  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957,  ed
in  particolare  con  l'art.  18  (non  discriminazione),  l'art.  49
(liberta' di stabilimento) e l'art. 56 (liberta' di  prestazione  dei
servizi). 
    Tali censure sono inammissibili, in quanto volte ad estendere  il
thema decidendum, quale definito nelle ordinanze di rimessione. 
    Infatti, per costante giurisprudenza di questa  Corte,  l'oggetto
del giudizio di legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione; non possono, pertanto, essere  presi  in  considerazione,
oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni  o  profili  di
costituzionalita' dedotti dalle parti, sia  eccepiti,  ma  non  fatti
propri dal  giudice  a  quo,  sia  volti  ad  ampliare  o  modificare
successivamente il contenuto delle  stesse  ordinanze  (ex  plurimis,
sentenze n. 96 del 2016; n. 231 e n. 83 del 2015). 
    5.- La questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
non e' fondata. 
    5.1.- La disposizione censurata sostituisce il previgente comma 3
dell'art. 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n.  400  (Disposizioni
per la determinazione dei canoni  relativi  a  concessioni  demaniali
marittime), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  4  dicembre
1993, n. 494. 
    Essa prevede che: «3. Le misure dei canoni di  cui  al  comma  1,
lettera b), si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2007, anche alle
concessioni dei beni  del  demanio  marittimo  e  di  zone  del  mare
territoriale aventi ad oggetto la  realizzazione  e  la  gestione  di
strutture dedicate alla nautica da diporto». Vengono, quindi,  estesi
alle concessioni di strutture per la nautica da  diporto  i  medesimi
criteri di determinazione  dei  canoni  dettati  per  le  concessioni
aventi finalita' turistico-ricreative. 
    5.2.-  I   giudici   a   quibus   dubitano   della   legittimita'
costituzionale di siffatta estensione, ravvisando  il  contrasto  con
l'art. 3 Cost.,  sotto  il  profilo  della  lesione  dell'affidamento
ingenerato rispetto ai rapporti concessori in corso, per l'incremento
rilevante e repentino della misura dei canoni delle  concessioni  per
la realizzazione e la gestione di infrastrutture per la nautica.  E',
inoltre, denunciata l'irragionevole equiparazione  delle  concessioni
gia'  rilasciate  a  quelle  nuove,  nonche'  delle  concessioni   di
strutture  per  la  nautica  da  diporto  a  quelle   per   finalita'
turistico-ricreative. 
    Ad avviso dei giudici rimettenti, la  disposizione  in  esame  si
porrebbe,  altresi',  in  contrasto  con  l'art.  41  Cost.,  poiche'
determinerebbe  «l'effetto  irragionevole  di  frustrare  le   scelte
imprenditoriali modificando gli  elementi  costitutivi  dei  relativi
rapporti contrattuali in essere». 
    5.3.- Va, innanzitutto, rilevato che la nuova disciplina  dettata
dalla  legge  finanziaria  2007  modifica  il   precedente   impianto
normativo, contenuto nell'art. 03 del decreto-legge 5  ottobre  1993,
n. 400 (Disposizioni per la  determinazione  dei  canoni  relativi  a
concessioni demaniali marittime), prevedendo  una  nuova  modulazione
dei  criteri  di  quantificazione  dei  canoni.  Accanto  al   canone
cosiddetto tabellare, che continua ad applicarsi per  le  concessioni
previste dall'art. 03, comma 1, lettera b), n. 1,  e'  introdotto  un
canone commisurato al valore di mercato, sia pure mitigato da  alcuni
accorgimenti e abbattimenti (art. 03, comma 1, lettera b, n. 2.1). 
    La  previsione  del  canone  commisurato  al  valore  di  mercato
costituisce un elemento di  novita',  particolarmente  significativo,
introdotto dai commi 251 e 252 della legge n. 296 del 2006. Come gia'
osservato  nella  sentenza  n.  302  del  2010,  la  ratio  di   tale
innovazione consiste nel perseguimento  di  obiettivi  di  equita'  e
razionalizzazione  dell'uso  dei  beni  demaniali,  senza  trascurare
determinate categorie di utilizzatori, per  le  quali  sono  previste
specifiche misure agevolative (art. 03, comma l, lettera c, del  d.l.
n. 400 del 1993). 
    In  particolare,  sono  soggette  all'applicazione   del   canone
commisurato al  valore  di  mercato  le  concessioni  comprensive  di
strutture costituenti «pertinenze demaniali  marittime  destinate  ad
attivita' commerciali, terziario-direzionali e di produzione di  beni
e servizi» (art. 03, comma 1, lettera b, n. 2.1, del d.l. n. 400  del
1993). Il riferimento testuale e', pertanto, alle  opere  costituenti
pertinenze demaniali marittime, come  qualificate  dall'art.  29  del
codice della navigazione. 
    5.4.-   Nel   sostenere   la    censura    di    irragionevolezza
dell'estensione di tale disciplina alle concessioni per la nautica da
diporto,  le  tre  ordinanze  di  rimessione  si  fondano  su  comuni
presupposti  ermeneutici,  i  quali  debbono  essere   sottoposti   a
verifica. 
    In primo  luogo,  i  rimettenti  ritengono  che  i  nuovi  canoni
commisurati ai valori di mercato debbano essere  applicati  anche  ai
rapporti concessori in corso alla data di  entrata  in  vigore  della
legge n. 296 del 2006. 
    L'impostazione dei giudici rimettenti fa  leva,  inoltre,  su  un
ulteriore assunto, relativo all'applicabilita'  dei  medesimi  canoni
anche alle opere realizzate  dal  concessionario  in  esecuzione  del
rapporto  concessorio,  prima  che  le  stesse  siano  acquisite   in
proprieta' da  parte  dello  Stato  e  abbiano,  quindi,  formalmente
assunto la qualita' di pertinenze del demanio marittimo. 
    Tuttavia, nella  loro  assolutezza,  gli  assunti  sui  quali  si
fondano   l'interpretazione   dei   rimettenti   e   la    denunciata
illegittimita' costituzionale non possono essere condivisi. 
    5.5.- Va preliminarmente evidenziato che - con  riferimento  alle
concessioni  demaniali  per  attivita'  turistico-ricreative   -   la
legittimita' dei nuovi criteri di calcolo dei canoni  e'  gia'  stata
riconosciuta da questa Corte nella sentenza n. 302 del 2010. 
    In questa pronuncia e' stato rilevato, in particolare,  che  «gli
interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di  godimento  dei
beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli artt. 3 e 97  Cost.,  di
consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e di rendere  i
canoni piu'  equilibrati  rispetto  a  quelli  pagati  in  favore  di
locatori privati (sentenza n. 88 del 1997). Del resto, un consistente
aumento dei canoni in questione era gia' stato disposto dall'art. 32,
commi 21, 22 e 23,  del  decreto-legge  30  settembre  2003,  n.  269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e  per  la  correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici),  convertito  in   legge,   con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n.  326.  La
concreta applicazione degli aumenti disposti dalle  norme  citate  e'
stata successivamente rinviata sino a quando la legge finanziaria del
2007 (art. 1, comma 256) ha  disposto  la  loro  abrogazione,  mentre
contestualmente introduceva i nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi
hanno sostituito gli  aumenti  generalizzati  dei  canoni  annui  per
concessioni demaniali marittime, disposti con il citato d.l.  n.  269
del 2003, con un nuovo meccanismo, che incide soprattutto sulle  aree
maggiormente produttive di reddito, cioe'  quelle  su  cui  insistono
pertinenze destinate ad attivita' commerciali,  terziario-direzionali
e di produzione di beni e servizi. Non  si  puo'  dire  pertanto  che
l'aumento  dei  canoni,   disposto   dalla   previsione   legislativa
censurata, sia giunto inaspettato, giacche' esso si e' sostituito  ad
un precedente aumento, di notevole entita', non applicato per effetto
di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad  essere
rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di  censura.
Ne' l'incremento puo'  essere  considerato  frutto  di  irragionevole
arbitrio del legislatore, tale da indurre questa  Corte  a  sindacare
una scelta  di  indirizzo  politico-economico,  che  sfugge,  in  via
generale, ad una valutazione di legittimita' costituzionale». 
    La possibilita' di trasferire tali principi,  la  cui  perdurante
validita' non e' neppure in  discussione,  alle  concessioni  per  la
nautica da diporto e' esclusa dai  rimettenti,  i  quali  evidenziano
l'«ontologica  differenza»  delle  stesse,  rispetto  a  quelle   per
attivita' turistico-ricreative, gia'  esaminate  dalla  sentenza  ora
richiamata. 
    Gli elementi differenziali delle prime sarebbero costituiti dalla
maggiore  durata   di   tali   rapporti,   dalla   loro   consistenza
numericamente limitata e - soprattutto - dalla notevole entita' degli
investimenti sostenuti dal concessionario per la realizzazione  delle
opere che ne costituiscono l'oggetto.  Tali  elementi  varrebbero  ad
escludere  la  ragionevolezza  dell'equiparazione,  introdotta  dalla
disposizione censurata,  delle  due  tipologie  concessorie  ai  fini
dell'applicabilita' dei nuovi criteri di determinazione dei canoni. 
    5.6.-  Al  riguardo,  va  osservato  che  i  primi  due  elementi
(maggiore durata e numero  limitato  di  tali  concessioni)  appaiono
ininfluenti   ai   fini    della    valutazione    della    censurata
irragionevolezza. 
    Da un lato, la  maggiore  durata  del  rapporto  concessorio,  in
quanto  volta  a  consentire  di  ammortizzare   l'investimento   del
concessionario  su  un  orizzonte  temporale  piu'  ampio,   vale   a
bilanciare, diluendoli nel tempo, gli effetti  dell'incremento  degli
oneri a carico dei concessionari. 
    Dall'altro lato, il numero relativamente esiguo delle concessioni
per la nautica da diporto appare circostanza  in  se'  estranea  alla
valutazione in ordine alla ragionevolezza dell'incremento dei canoni,
in  quanto  incidente  sull'equilibrio  economico   finanziario   del
rapporto. 
    Pertanto,  seguendo  la  prospettazione  dei  giudici  a  quibus,
l'unico  tratto  distintivo  rilevante   delle   due   tipologie   di
concessioni interessate dagli aumenti introdotti dalla legge  n.  296
del 2006 e' rappresentato dall'entita' degli  investimenti  richiesti
(soprattutto, ma non in via esclusiva) ai titolari di concessioni per
la nautica da diporto, laddove queste abbiano ad  oggetto  opere  che
debbano essere realizzate a  cura  del  concessionario.  Gli  effetti
discriminatori ed irragionevoli censurati  attengono,  infatti,  alla
modifica   del   calcolo   di   convenienza    economica    derivante
dall'incremento dei canoni, in quanto applicati a quelle opere che il
concessionario si sia impegnato a  realizzare  in  epoca  antecedente
all'entrata in vigore della nuova disciplina. 
    5.7.- Tuttavia, con riferimento a  tale  specifica  categoria  di
rapporti concessori, risulta possibile e doverosa  un'interpretazione
della  disposizione  del   comma   252   che   porta   ad   escludere
l'applicabilita', generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati
ai valori di mercato a tutte le  concessioni  di  strutture  dedicate
alla nautica da diporto, rilasciate prima  della  entrata  in  vigore
della disposizione in esame. 
    Si lamenta,  infatti,  che,  per  effetto  dell'applicazione  dei
canoni indicati anche  ai  rapporti  concessori  in  corso,  verrebbe
onerato  del  medesimo  canone,  sia  chi  abbia  ricevuto  un   bene
demaniale, sul quale realizzi a proprie spese un'infrastruttura o  un
impianto di difficile rimozione, sia chi, invece, abbia  ricevuto  in
concessione un bene su cui insista una struttura gia'  realizzata  da
terzi. 
    Tuttavia, l'irragionevolezza insita  in  tale  prospettazione  e'
esclusa laddove la commisurazione del canone venga  parametrata  alle
concrete caratteristiche dei rapporti concessori,  nonche'  dei  beni
demaniali che ne formano l'oggetto. 
    Invero, l'art. 03 del d.l. n. 400, nel testo sostituito dall'art.
1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, prevede  che  il  criterio
della  media  dei  valori  indicati  dall'Osservatorio  del   mercato
immobiliare  si  applica   alle   concessioni   demaniali   marittime
comprensive di strutture permanenti costituenti «pertinenze demaniali
marittime destinate ad attivita' commerciali, terziario-direzionali e
di produzione di beni e servizi». 
    Nel delimitare l'ambito applicativo dei nuovi canoni  commisurati
ai valori di mercato, il tenore letterale della disposizione in esame
fa espresso riferimento,  dunque,  ad  opere  costituenti  pertinenze
demaniali marittime che, pertanto, gia' appartengono allo Stato. 
    Al fine di stabilire la proprieta' statale dei beni di  difficile
rimozione edificati su suolo demaniale marittimo in  concessione,  e'
determinante la scadenza della concessione, essendo questo il momento
in cui il bene realizzato dal  concessionario  acquista  la  qualita'
demaniale. 
    I criteri di calcolo dei canoni commisurati ai valori di mercato,
in quanto riferiti alle opere realizzate sul bene e non solo alla sua
superficie, risultano applicabili, quindi, soltanto a quelle che gia'
appartengano allo Stato e che gia' possiedano  la  qualita'  di  beni
demaniali. Nelle concessioni  di  opere  da  realizzare  a  cura  del
concessionario, cio' puo' avvenire solo al termine della concessione,
e non gia' nel corso della medesima. 
    La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato  ha  riconosciuto
che «non tutti i manufatti insistenti su aree  demaniali  partecipano
della natura pubblica - e dell'inerente  qualificazione  demaniale  -
della titolarita' del sedime, poiche' solo ad  alcuni,  nella  stessa
dizione della legge, appartiene  la  natura  pertinenziale.  Per  gli
altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile
rimozione: definizione che appare inadatta a stabilire una differenza
di categoria, dato  che  anche  gli  immobili  pertinenziali  sono  o
possono  essere,  di  per  se',  rimovibili  con  facilita'   o   con
difficolta')  si  deve  allora  riconoscere,   per   esclusione,   la
qualificazione di cose immobili di proprieta' privata fino a tutta la
durata della concessione, evidentemente  in  forza  di  un  implicito
diritto di superficie» (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno  2013,
n. 3308; nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. VI,  13  giugno
2013, n. 3307 e Consiglio di Stato,  sez.  VI,  10  giugno  2013,  n.
3196). 
    Come osservato anche dalla difesa statale, nelle concessioni  che
prevedono  la  realizzazione   di   infrastrutture   da   parte   del
concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto  l'utilizzo
del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la
proprieta' superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun
diritto di proprieta'. 
    Un'interpretazione costituzionalmente corretta della disposizione
in esame impone, quindi, la necessita' di considerare la natura e  le
caratteristiche  dei  beni  oggetto  di  concessione,   quali   erano
all'avvio  del  rapporto   concessorio,   nonche'   delle   modifiche
successivamente  intervenute  a  cura  e  spese  dell'amministrazione
concedente. Mentre con riferimento agli aumenti dei canoni  tabellari
(art. 03, comma 1, lettera b, n. 1, del d.l. n. 400 del 1993) valgono
i principi affermati nella sentenza n. 302  del  2010,  viceversa  va
esclusa l'applicabilita' dei nuovi criteri commisurati al  valore  di
mercato  alle  concessioni  non  ancora  scadute  che  prevedano   la
realizzazione  di   impianti   ed   infrastrutture   da   parte   del
concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007. 
    In  definitiva,  la  non  adeguata   utilizzazione   dei   poteri
interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente  porta  a
ritenere la non fondatezza della presente questione  di  legittimita'
costituzionale (sentenze n. 219, n. 95 e n. 45 del 2016; n. 262 e  n.
221 del 2015). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  252,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2007)», promossa dal Consiglio di Stato e  dal  Tribunale
amministrativo regionale per la Toscana con le ordinanze indicate  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2017 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
 
                                                            Allegato: 
                      ordinanza letta all'udienza del 10 gennaio 2017 
 
                              ORDINANZA 
 
    Rilevato che, nel giudizio promosso dal Consiglio  di  Stato  con
ordinanza depositata il 30 gennaio 2015 (reg. ord. n. 173 del  2015),
hanno depositato atto di intervento l'Unione Nazionale dei Cantieri e
delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica, e  le  associazioni
Federturismo - Confindustria e Assomarinas  -  Associazione  italiana
porti turistici, in persona dei rispettivi legali rappresentanti  pro
tempore. 
    Considerato che le associazioni sopra indicate non  rivestono  la
qualita' di parti del giudizio principale; 
    che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante,  le
ordinanze allegate alla sentenza n. 134 del 2013 e  all'ordinanza  n.
318 del 2013) e' nel senso  che  la  partecipazione  al  giudizio  di
legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del
giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,
nel caso di legge regionale, al  Presidente  della  Giunta  regionale
(artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte
costituzionale); 
    che a tale disciplina e' possibile derogare  -  senza  venire  in
contrasto   con   il   carattere   incidentale   del   giudizio    di
costituzionalita' - soltanto a favore di  soggetti  terzi  che  siano
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio  e   non   semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2016 e n.  221  del  2015  e
relativa ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2015; sentenza n.
162 del 2014 e relativa ordinanza  letta  all'udienza  dell'8  aprile
2014; ordinanza n. 240 del 2014; ordinanza n. 156 del 2013; ordinanza
n. 150 del 2012 e relativa ordinanza letta all'udienza del 22  maggio
2012; sentenze n. 293 e n. 118 del 2011; sentenza n. 138 del  2010  e
relativa ordinanza letta all'udienza del 23 marzo 2010); 
    che,   pertanto,   sulla   posizione   soggettiva   della   parte
interveniente l'eventuale declaratoria di illegittimita' della  legge
deve produrre lo stesso effetto che produce sul rapporto oggetto  del
giudizio a quo; 
    che il presente giudizio - che ha ad oggetto l'art. 1, comma 252,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2007), nella  parte  in  cui  determina,  anche  con  riferimento  ai
rapporti concessori in  corso,  la  nuova  misura  dei  canoni  delle
concessioni di beni del demanio marittimo, per la realizzazione e  la
gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto - non  sarebbe
destinato a produrre, nei confronti delle associazioni intervenienti,
effetti immediati, neppure indiretti; 
    che,  pertanto,  esse  non  sono  legittimate  a  partecipare  al
giudizio dinanzi a questa Corte. 
 
                          PER QUESTI MOTIVI 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile  l'intervento  dell'Unione  Nazionale  dei
Cantieri e delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica, e  delle
associazioni   Federturismo   -   Confindustria   e   Assomarinas   -
Associazione italiana porti turistici. 
 
                    F.to: Paolo Grossi Presidente