N. 54 ORDINANZA 11 gennaio - 10 marzo 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova -
  Termine massimo di durata della prestazione di lavoro  di  pubblica
  utilita' e parametri per la sua determinazione. 
- Codice penale, art. 168-bis;  codice  di  procedura  penale,  artt.
  464-bis e seguenti. 
-   
(GU n.11 del 15-3-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 168-bis del
codice penale  e  degli  artt.  464-bis  e  seguenti  del  codice  di
procedura penale, promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Prato  nel
procedimento penale a carico di S.P., con  ordinanza  del  21  aprile
2015, iscritta al n. 289 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  50,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 21 aprile 2015 (r.o. n.  289  del
2015), il Tribunale ordinario di Prato ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, questioni  di  legittimita'
costituzionale «degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss. c.p.p.»; 
    che  il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito  di  un
procedimento penale a carico di una persona imputata del reato di cui
all'art. 256, comma 1, lettera a), del decreto legislativo  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), per avere effettuato  uno
smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi; 
    che la difesa dell'imputato ha chiesto che  venissero  sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 Cost., questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 168-bis del  codice  penale  e  464-bis  e
seguenti del codice di procedura penale,  relativi  alla  sospensione
del procedimento con messa alla prova; 
    che le questioni sarebbero rilevanti,  in  quanto  «dal  capo  di
imputazione, dagli atti contenuti nel fascicolo  del  dibattimento  e
dalla documentazione prodotta dalla difesa a sostegno della richiesta
di sospensione con messa alla prova emerge la ricorrenza, nel caso di
specie,  di  tutti  i  presupposti   oggettivi   e   soggettivi   che
consentirebbero l'ammissione alla messa alla prova»; 
    che l'art. 168-bis cod. pen. violerebbe l'art. 3  Cost.,  perche'
«il legislatore, con l'articolo 168  bis  c.p.,  ha  riconosciuto  la
possibilita' della sospensione con messa alla  prova  per  un  numero
cospicuo di reati  tra  loro  molto  diversi»,  e  «[c]io',  a  norma
dell'art. 3 Cost. imporrebbe una  diversificazione  della  disciplina
idonea ad impedire che casi tra loro  diversi  ricevano  un  identico
trattamento»; 
    che l'omessa indicazione nell'art. 168-bis cod. pen. della durata
massima  del  lavoro  di  pubblica  utilita',   dei   parametri   per
determinarla e del soggetto competente alla determinazione violerebbe
l'art. 24 Cost., perche' impedirebbe  all'imputato  di  conoscere  le
sanzioni in cui puo' incorrere; 
    che la  durata  massima  del  lavoro  di  pubblica  utilita'  non
potrebbe essere desunta, ne'  dall'art.  464-quater,  comma  5,  cod.
proc. pen., che si riferisce alla durata  massima  della  sospensione
del procedimento, ne' dall'art. 54 del decreto legislativo 28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),
il quale «trova applicazione solo ove espressamente richiamato»; 
    che, infine, le questioni di legittimita' costituzionale relative
al nuovo istituto sarebbero non manifestamente  infondate  anche  con
riferimento all'art. 27 Cost., in quanto la messa  alla  prova,  «pur
non potendosi  considerare  formalmente  una  pena,  ne  possiede  le
caratteristiche sostanziali»; pertanto, «la mancata previsione di  un
limite massimo di durata e l'omessa predeterminazione dei criteri  da
seguire  per  la  sua  predisposizione  viol[erebbero]  il  finalismo
rieducativo che la sanzione penale deve indefettibilmente possedere»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e
comunque non fondate; 
    che la difesa dello Stato ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni sollevate per omesso esperimento del  previo  tentativo  di
interpretare le norme censurate in senso conforme alla Costituzione; 
    che,  nel  merito,  le  questioni  sarebbero  infondate,  perche'
un'interpretazione  sistematica  degli  artt.  168-bis  cod.  pen.  e
464-quater cod. proc. pen. indurrebbe  a  ritenere  che  l'ammissione
dell'imputato alla prova non e' automatica,  ma  e'  «frutto  di  una
valutazione discrezionale dell'autorita'  giudiziaria  fondata  sulla
considerazione  della  gravita'  e  della  natura  del  reato,  della
capacita' a delinquere dell'imputato e della sua personalita'»; 
    che,  di  conseguenza,  l'eterogeneita'  dei  reati  a   cui   e'
applicabile il nuovo istituto non  lo  renderebbe  incompatibile  con
l'art. 3 Cost.; 
    che le norme censurate non violerebbero neanche gli artt. 24 e 27
Cost., in quanto «la durata della  messa  alla  prova  e  dunque  del
termine entro il quale l'imputato deve conformarsi alle  prescrizioni
riparatorie e risarcitorie, nonche'  la  prestazione  del  lavoro  di
pubblica  utilita'»  sono  stabilite  sulla  base  del  programma  di
trattamento elaborato d'intesa con  l'ufficio  di  esecuzione  penale
esterna e sottoposto al giudizio di idoneita' da parte del giudice; 
    che peraltro l'art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen.  prevede
che la durata della sospensione, e conseguentemente quella del lavoro
di pubblica utilita', non puo' essere superiore a un anno per i reati
puniti con la sola pena pecuniaria e a due anni per  i  reati  puniti
con la pena detentiva; 
    che inoltre i «criteri cui il giudice deve attenersi  nel  vaglio
di congruita' della durata e dell'intensita' del lavoro  di  pubblica
utilita'» potrebbero essere desunti, in via analogica, dall'art.  133
cod. pen., tenendo conto, sia della gravita' concreta del reato,  sia
del grado di colpevolezza  dell'imputato  e  delle  sue  esigenze  di
risocializzazione. 
    Considerato che, con ordinanza del 21 aprile 2015  (r.o.  n.  289
del  2015),  il  Tribunale  ordinario  di  Prato  ha  sollevato,   in
riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale «degli artt. 168 bis c.p. e 464 bis e ss.
c.p.p.»; 
    che   l'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni sollevate per l'omesso esperimento
del tentativo di interpretare le norme censurate  in  senso  conforme
alla Costituzione; 
    che l'eccezione e' priva di  fondamento  perche'  e'  argomentata
facendo riferimento alle ragioni che  secondo  l'Avvocatura  generale
dovrebbero determinare il rigetto  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale; 
    che queste ragioni non possono  riverberarsi  sull'ammissibilita'
delle  questioni,  sotto  il  profilo  del   mancato   tentativo   di
un'interpretazione  costituzionalmente  conforme,  ma  attengono   al
merito e come tali vanno considerate; 
    che le questioni  di  legittimita'  costituzionale,  pur  essendo
state, nelle premesse e nel dispositivo dell'ordinanza, genericamente
riferite agli «artt. 168 bis c.p. e  464  bis  e  ss.  c.p.p.»,  sono
specificate e motivate solo in rapporto all'art. 168-bis  del  codice
penale; 
    che le questioni relative  agli  artt.  464-bis  e  seguenti  del
codice di procedura penale  sono  manifestamente  inammissibili,  sia
perche' le norme censurate, indicate con l'espressione "e  seguenti",
sono indeterminate, sia perche' non sono espresse  le  ragioni  della
loro denunciata illegittimita' costituzionale; 
    che il giudice rimettente ritiene che l'art.  168-bis  cod.  pen.
contrasti con l'art. 3 Cost., perche'  la  possibilita'  di  accedere
all'istituto della messa alla prova e' prevista per  numerosi  reati,
molto diversi tra loro «per tipo e  per  trattamento  sanzionatorio»,
sicche' solo una diversificazione della disciplina, che nella  specie
manca, sarebbe stata «idonea ad impedire che casi  tra  loro  diversi
ricevano un identico trattamento»; 
    che  la  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla   prova
costituisce un istituto che  ha  «effetti  sostanziali,  perche'  da'
luogo all'estinzione del reato,  ma  e'  connotato  da  un'intrinseca
dimensione processuale, in quanto consiste in un  nuovo  procedimento
speciale, alternativo al giudizio» (sentenza n. 240 del 2015); 
    che normalmente un procedimento speciale e' destinato  a  trovare
applicazione rispetto, se non a tutti i  reati  (come  nel  caso  del
giudizio  abbreviato),  almeno  a  molti  di  essi,  nell'ambito   di
determinati limiti di categoria o di pena, e la differenziazione  nel
trattamento dei singoli  casi  avviene  ad  opera  del  giudice,  con
riferimento  a  parametri  di   carattere   generale   indicati   dal
legislatore; 
    che, come ha precisato la Corte di cassazione, la normativa sulla
sospensione del  procedimento  con  messa  alla  prova  comporta  una
diversificazione dei  contenuti,  prescrittivi  e  di  sostegno,  del
programma  di  trattamento,  con  l'affidamento  al  giudice  di  «un
giudizio sull'idoneita' del programma,  quindi  sui  contenuti  dello
stesso, comprensivi  sia  della  parte  "afflittiva"  sia  di  quella
"rieducativa", in una valutazione complessiva  circa  la  rispondenza
del trattamento alle esigenze del caso concreto, che presuppone anche
una prognosi di non recidiva»  (Sezioni  unite,  31  marzo  2016,  n.
33216); 
    che questo giudizio deve svolgersi «in base ai parametri  di  cui
all'articolo 133 del codice penale», richiamati dall'art. 464-quater,
comma 3, cod. proc. pen.; 
    che il trattamento dell'imputato nei  diversi  casi  oggetto  del
procedimento speciale in questione  risulta  percio'  necessariamente
diverso; 
    che quindi e' manifestamente priva di ogni fondamento la tesi del
giudice  rimettente,  secondo  cui  la  norma  impugnata  sarebbe  in
contrasto con l'art. 3 Cost. perche' non sarebbe «idonea ad  impedire
che casi tra loro diversi ricevano un identico trattamento»; 
    che, secondo il giudice a quo, l'art. 168-bis cod.  pen.  sarebbe
in contrasto anche con l'art. 24 Cost., perche' l'omessa  indicazione
della durata massima del lavoro di pubblica utilita',  dei  parametri
per determinarla e del soggetto competente  a  questa  determinazione
impedirebbe  all'imputato  di  conoscere  le  sanzioni  in  cui  puo'
incorrere; 
    che,  benche'  non  espressamente  indicata,  la  durata  massima
risulta indirettamente dall'art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen.
perche', in mancanza di una sua diversa  determinazione,  corrisponde
necessariamente alla durata della sospensione  del  procedimento,  la
quale non puo' essere: «a) superiore a due anni quando si procede per
reati per i quali e' prevista una pena detentiva, sola,  congiunta  o
alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un  anno  quando  si
procede per reati per i quali e' prevista la sola pena pecuniaria»; 
    che infatti, al termine del periodo di sospensione, il giudice, a
norma dell'art. 464-septies cod. proc. pen.,  deve  valutare  l'esito
della messa alla prova, «tenuto conto del comportamento dell'imputato
e del rispetto delle prescrizioni stabilite», tra le  quali  vi  sono
anche quelle relative  al  lavoro  di  pubblica  utilita',  che  alla
cessazione della sospensione deve essere terminato; 
    che per determinare in  concreto  tale  durata  il  giudice  deve
tenere conto dei criteri previsti dall'art. 133  cod.  pen.  e  delle
caratteristiche  che  dovra'   avere   la   prestazione   lavorativa,
considerato  che  questa  potra'  svolgersi  in  giorni   anche   non
continuativi, con una durata giornaliera  da  stabilire,  nel  limite
massimo di otto ore, e che dovra' avvenire  «con  modalita'  che  non
pregiudichino le esigenze di lavoro, di  studio,  di  famiglia  e  di
salute dell'imputato» (art. 168-bis, terzo comma, cod. pen.); 
    che quindi e' priva di ogni fondamento l'affermazione del giudice
rimettente che le  norme  impugnate  omettono  «di  indicare  termine
massimo di durata  del  lavoro  di  pubblica  utilita',  parametri  e
soggetto competente a determinarne l'entita'»; 
    che, peraltro, la censura di violazione dell'art. 24 Cost., oltre
che  manifestamente  infondata,  e'  anche  non  pertinente,  perche'
l'eventuale  indeterminatezza  normativa  del  trattamento,  in   cui
consiste il  programma  di  messa  alla  prova,  attiene  al  profilo
sostanziale e non a quello processuale dell'istituto in questione,  e
in particolare al diritto  di  difesa,  che  non  e'  in  alcun  modo
pregiudicato dalla norma censurata; 
    che infine sarebbe violato  pure  l'art.  27  Cost.,  in  quanto,
secondo il Tribunale  rimettente,  la  messa  alla  prova,  «pur  non
potendosi  considerare  formalmente  una   pena,   ne   possiede   le
caratteristiche sostanziali»; pertanto, «la mancata previsione di  un
limite massimo di durata e l'omessa predeterminazione dei criteri  da
seguire  per  la  sua  predisposizione  viol[erebbero]  il  finalismo
rieducativo che la sanzione penale deve indefettibilmente possedere»; 
    che anche questa censura  e'  manifestamente  infondata  perche',
come si e' visto, sono ben determinati, sia la durata  massima  della
sospensione del procedimento, e correlativamente del  trattamento  di
messa alla prova, sia i criteri da seguire per stabilirla. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara  manifestamente  inammissibili   le   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 464-bis e seguenti del codice
di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e  27
della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato, con l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    2) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 168-bis del  codice  penale,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione,  dal  Tribunale
ordinario di Prato, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA