N. 148 SENTENZA 4 aprile - 23 giugno 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento
  di quiescenza - Errore commesso in sede di attribuzione, erogazione
  o riliquidazione della prestazione - Rettifica da parte degli  enti
  o fondi erogatori. 
- Legge 3 maggio  1967,  n.  315  (Miglioramenti  al  trattamento  di
  quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari e modifiche agli
  ordinamenti degli Istituti di previdenza presso  il  Ministero  del
  tesoro), art.  26;  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
  dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo  unico  delle  norme
  sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e  militari
  dello Stato), artt. 204 e 205. 
-   
(GU n.26 del 28-6-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  26  della
legge  3  maggio  1967,  n.  315  (Miglioramenti  al  trattamento  di
quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari e  modifiche  agli
ordinamenti degli Istituti di  previdenza  presso  il  Ministero  del
tesoro), e degli artt. 204 e 205 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo  unico
delle norme sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e
militari dello Stato), promossi  dalla  Corte  dei  conti  -  sezione
giurisdizionale per la Regione Calabria, con ordinanze del 6 novembre
2014 e del 16 marzo 2015, iscritte ai  nn.  37  e  146  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 12 e 33, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale, nonche' gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  aprile  2016  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi l'avvocato Filippo Mangiapane per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nuovamente  nell'udienza  pubblica  del  4  aprile   2017,
rifissata in ragione della intervenuta  modifica  della  composizione
del collegio, il Giudice relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi nuovamente  l'avvocato  Filippo  Mangiapane  per  l'INPS  e
l'avvocato dello  Stato  Giustina  Noviello  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze, iscritte, rispettivamente, al n. 37  e  al
n. 146 del registro ordinanze 2015, la  Corte  dei  conti  -  sezione
giurisdizionale per la Regione Calabria,  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97  della
Costituzione,  dell'art.  26  della  legge  3  maggio  1967,  n.  315
(Miglioramenti al  trattamento  di  quiescenza  della  Cassa  per  le
pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli  Istituti  di
previdenza presso il Ministero del tesoro), e degli artt. 204  e  205
del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte
in cui non prevedono che i provvedimenti di  liquidazione  definitiva
del trattamento di quiescenza possano  essere  «rettificati  in  ogni
momento da enti o fondi erogatori, in caso  di  errore  di  qualsiasi
natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o  riliquidazione
della prestazione». 
    Il rimettente espone che i giudizi di merito sono stati  promossi
su  ricorso  di  pensionati,  gia'  dipendenti   di   amministrazione
provinciale, avverso provvedimenti con cui l'Istituto nazionale della
previdenza  sociale  (INPS),  gestione  ex  Istituto   nazionale   di
previdenza per i dipendenti dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP),
ha rideterminato in peius  i  rispettivi  trattamenti  pensionistici,
disponendo, altresi', il recupero nei loro confronti  delle  maggiori
somme erogate. 
    In particolare, nella prima ordinanza, iscritta al reg.  ord.  n.
37 del 2015, si espone che l'INPS, con provvedimento  del  18  aprile
2014, aveva rideterminato in euro 43.205,63 il trattamento  annuo  di
pensione di euro 58.523,82, gia' liquidato  all'interessato,  in  via
definitiva, a decorrere dal 1° settembre 2004, con determinazione  in
data 2 dicembre 2004, disponendo il  recupero  delle  maggiori  somme
erogate, pari a euro 278.771,62. 
    Nella seconda ordinanza, iscritta al reg. ord. n. 146  del  2015,
si espone che l'INPS, con provvedimento del 12 dicembre  2012,  aveva
rideterminato in euro 39.811,03 il trattamento gia' liquidato in  via
definitiva all'interessato in euro  69.366,82,  a  decorrere  dal  1°
luglio 2006, con determinazione del 23 gennaio  2007,  disponendo  il
recupero delle maggiori somme erogate, pari ad euro 230.510,25. 
    1.1.- Nelle ordinanze il rimettente rappresenta che nei giudizi a
quibus  i  ricorrenti  avevano  dedotto:  a)  la  illegittimita'  del
provvedimento di riliquidazione; b) l'insussistenza  dei  presupposti
di fatto e di diritto legittimanti l'esercizio di potere di  modifica
dell'ente previdenziale ai sensi dell'art. 205 del d.P.R. n. 1092 del
1973, essendo decorso il termine triennale previsto per la modifica o
revoca  del   provvedimento   definitivo;   c)   la   irripetibilita'
dell'indebito, in base al principio di affidamento nel  provvedimento
di liquidazione del trattamento e  del  principio  di  percezione  in
buona fede delle maggiori somme corrisposte. 
    Rappresenta, altresi', il rimettente che in entrambi i giudizi si
e' costituito l'ente convenuto che, nel  ribadire  le  ragioni  della
correttezza dei procedimenti di rideterminazione dei trattamenti e la
legittimita' dei provvedimenti di revoca, ha chiesto il  rigetto  dei
relativi  ricorsi,  sollevando  altresi'  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 204 e 205 del d.P.R. n. 1092  del  1973  e
dell'art. 26 della legge n. 315 del 1967, in riferimento  agli  artt.
3, 81 e 97 Cost., «nella parte in cui  limitano  la  possibilita'  di
modifica o revoca della pensione definitiva a una serie tassativa  di
ipotesi, fissando dei termini temporali  ritenuti  decadenziali,  con
l'effetto  di  consolidamento  per  il  futuro  di   un   trattamento
pensionistico errato, in contrasto con quanto  sancito  dall'art.  52
della legge n. 88/1989 per le pensioni  a  carico  dell'AGO  e  delle
gestioni obbligatorie sostitutive». 
    Nelle ordinanze di rimessione si espone, poi, che in  entrambi  i
giudizi: a) erano state accolte le  istanze  cautelari  proposte  dai
ricorrenti sospendendo il recupero dei ratei pensionistici  indebiti;
b) con sentenze  non  definitive  erano  stati  rigettati  i  ricorsi
proposti in ordine alla domanda  di  declaratoria  della  correttezza
dell'applicazione  del  criterio  della  media  ponderata   e   della
conseguente quantificazione dei trattamenti pensionistici  effettuata
con i provvedimenti modificati; c) era stata riservata all'esito  del
giudizio di legittimita' costituzionale sulle richiamate disposizioni
in materia di modifica dei trattamenti pensionistici  dei  dipendenti
pubblici, la decisione  definitiva  sul  ripristino  del  trattamento
precedentemente goduto dai ricorrenti, nonche' sulla  irripetibilita'
delle maggiori somme indebitamente percepite. 
    1.2.- Cio' premesso, il rimettente espone  che  l'art.  26  della
legge n. 315 del 1967, riguardante  i  trattamenti  erogati  agli  ex
iscritti alle casse pensionistiche gestite dal Ministero del  Tesoro,
stabilisce che: «I provvedimenti concernenti le domande  di  riscatto
di servizi o periodi ai fini del trattamento di quiescenza  e  quelle
di liquidazione  del  trattamento  stesso,  adottati  dai  competenti
organi deliberanti dagli Istituti di Previdenza e resi esecutivi  con
decreto del Direttore  Generale  degli  Istituti  medesimi,  possono,
d'ufficio o a domanda degli interessati, essere revocati o modificati
dagli organi deliberanti predetti entro il termine di novanta  giorni
decorrente dalla data di comunicazione del decreto agli  interessati.
La revoca o modifica e' ammessa, entro il termine di tre  anni  dalla
data predetta, quando: a) vi sia stato errore di fatto  o  sia  stato
omesso di tener conto di  elementi  risultanti  dalla  documentazione
acquisita; b) vi sia stato errore materiale nel computo del  servizio
ovvero nella determinazione del contributo di riscatto o dell'importo
del trattamento di quiescenza: oppure, entro il termine di dieci anni
dalla data stessa, quando: c) siano acquisiti,  ad  iniziativa  delle
parti o d'ufficio, documenti che non abbiano formato oggetto di esame
in sede di adozione  del  provvedimento  e  abbiano  rilevanza  sulla
determinazione del riscatto o del trattamento di  quiescenza;  d)  il
provvedimento sia stato adottato sopra documenti falsi». 
    Prosegue il rimettente rilevando che  tale  disciplina  e'  stata
sostanzialmente replicata dalle disposizioni degli artt.  204  e  205
del d.P.R. n. 1092 del 1973 in materia di trattamento  di  quiescenza
dei  dipendenti  civili  e  militari  dello  stato,  disponendo,   in
particolare,  l'art.  204  che  «La  revoca  o  la  modifica  di  cui
all'articolo precedente puo' aver  luogo  quando:  a)  vi  sia  stato
errore di fatto o  sia  stato  omesso  di  tener  conto  di  elementi
risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi
o nel calcolo del contributo di riscatto, nel calcolo della pensione,
assegno  o  indennita'  o   nell'applicazione   delle   tabelle   che
costituiscono le aliquote o l'ammontare  della  pensione,  assegno  o
indennita'; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione
del provvedimento; d) il provvedimento sia stato  emesso  in  base  a
documenti riconosciuti o dichiarati falsi», e a sua volta, l'articolo
205  stabilendo  che:  «La  revoca  o  la  modifica  sono  effettuati
d'ufficio o a  domanda  dell'interessato.  Nei  casi  previsti  nelle
lettere a) e b) dell'articolo 204  il  provvedimento  e'  revocato  o
modificato d'ufficio non oltre i termine di tre anni  dalla  data  di
registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle  lettere
c) e d) di detto articolo  il  termine  e'  di  sessanta  giorni  dal
rinvenimento di documenti nuovi o dalla notizia della riconosciuta  o
dichiarata falsita' dei documenti. La domanda  dell'interessato  deve
essere ripresentata, a pena di decadenza entro  i  termini  stabiliti
dal comma precedente;  nei  casi  previsti  nelle  lettere  a)  e  b)
dell'art. 204 il termine decorre dalla data in cui  il  provvedimento
e' stato comunicato all'interessato». 
    Precisa il rimettente che l'art. 8  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 8 agosto 1986, n. 538 (Modalita' di liquidazione dei
trattamenti di quiescenza a favore degli iscritti alle casse pensioni
degli istituti di previdenza. Semplificazione di procedure in materia
di  pagamento  degli  stipendi  ai  dipendenti   dello   Stato),   ha
espressamente  dichiarato  applicabile  la  ricordata  normativa  nei
confronti degli ex iscritti alle casse previdenziali amministrate dal
Ministero del Tesoro, stabilendo, al comma 1, che: «Il  provvedimento
definitivo relativo al trattamento di quiescenza puo' essere revocato
o  modificato  dall'ufficio  che  lo  ha  emesso.  Si  applicano   le
disposizioni contenuti negli artt. 204,  205,  206,  207  e  208  del
D.P.R. 29.12.1973 n. 1092 e nell'art. 3 della legge 7.8.1985 n.  428.
Per i casi previsti dai punti c) e d)  dell'art.  204  sopra  citato,
resta fermo il termine di dieci anni di cui all'art. 26  della  legge
3.5.1967 n. 315». 
    Cosi' illustrata la disciplina in materia di modificabilita'  dei
trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, il  rimettente  ne
evidenzia la diversita' dalle disposizioni dettate dall'art. 52 della
legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione  dell'Istituto  nazionale
della   previdenza   sociale   e    dell'Istituto    nazionale    per
l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), per le pensioni del
settore privato a carico dell'INPS, prevedendo, al comma 1, che:  «Le
pensioni  a  carico  dell'assicurazione  generale  obbligatoria   per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti,
delle gestioni  obbligatorie  sostitutive  o,  comunque,  integrativa
della medesima, della gestione speciale dei minatori, delle  gestioni
speciali dei commercianti, artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri
o coloni nonche' la pensione sociale di cui all'art. 26  della  legge
30 aprile 1969, n. 163, possono essere in  ogni  momento  rettificate
dagli enti erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura  commesso
in  sede  di  attribuzione,   erogazione   o   riliquidazione   della
prestazione». 
    1.3.-  Il  rimettente,  ponendo  a  raffronto  le   due   diverse
discipline che regolano la modifica da parte dell'ente  previdenziale
dei trattamenti  pensionistici  erogati,  e  assumendo  come  tertium
comparationis la normativa cosi' recata dall'art. 52 della  legge  n.
88 del 1989, ritiene che l'art. 26 della legge n. 315 del 1967 e  gli
artt. 204 e 205 del d.P.R. n. 1092 del 1973 violino gli artt. 3 e  97
Cost., nella parte in  cui  non  prevedono  che  i  provvedimenti  di
liquidazione definitiva del trattamento di quiescenza possano  essere
«rettificati in ogni momento dagli enti o fondi erogatori, in caso di
errore  di  qualsiasi  natura  commesso  in  sede  di   attribuzione,
erogazione o riliquidazione della prestazione». 
    In particolare, in riferimento alla violazione dell'art. 3 Cost.,
il  rimettente  asserisce  la  irragionevolezza  delle   disposizioni
censurate, in quanto prevedono una disciplina in materia di  modifica
dei trattamenti pensionistici per i pensionati del  settore  pubblico
piu' favorevole rispetto a quella prevista dall'art. 52  della  legge
n. 88 del 1989 per  i  pensionati  del  settore  privato,  senza  che
ricorrano oggettive differenziazioni  tra  le  situazioni  giuridiche
tutelate, sia sotto il profilo  della  procedura  seguita  che  sotto
quello dei valori costituzionali tutelati. 
    Con riguardo all'art. 97 Cost., il  rimettente,  in  una  lettura
coordinata con l'art.  3  Cost.,  deduce  la  irragionevolezza  della
normativa scrutinata, in quanto sottrae all'erario, in un momento  di
gravi  difficolta'  economico-finanziarie  e  di  sostenibilita'  del
sistema previdenziale, la possibilita' di impedire il protrarsi di un
nocumento   patrimoniale   corrispondente   all'erogazione   di    un
trattamento pensionistico erroneamente calcolato. 
    1.4.- In ordine alla rilevanza della questione per la definizione
dei rispettivi giudizi a quibus, il  rimettente  assume  che,  avendo
l'amministrazione  previdenziale  provveduto   a   rideterminare   la
pensione definitiva a seguito di riscontrato errore di fatto dopo  il
termine di tre anni stabilito dalla normativa ricordata,  l'INPS  non
avrebbe  potuto  esercitare  il  potere  di  revoca  o  modifica  del
trattamento pensionistico. Cio' condurrebbe, secondo  il  rimettente,
all'accoglimento integrale dei ricorsi proposti, con declaratoria  di
illegittimita'  dei  provvedimenti   cosi'   emanati   dall'ente   di
previdenza e ripristino dei trattamenti  pensionistici  percepiti  ex
ante, nonche' pronuncia di irripetibilita' di quanto  percepito,  per
effetto   della   sopravvenuta   immodificabilita'   della    erronea
determinazione del trattamento stesso,  e  non  gia'  per  avere  gli
interessati percepito le maggiori somme in buona fede. 
    Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione,  il
rimettente, innanzitutto, afferma di essere consapevole che, data  la
possibilita'  della  coesistenza  di   una   pluralita'   di   regimi
previdenziali aventi la medesima finalita' posta dall'art. 38  Cost.,
occorre  valutare,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,   la
diversita' fra le discipline in materia in termini di  compatibilita'
con il  principio  di  uguaglianza,  alla  luce  di  una  adeguata  e
razionale giustificazione (a tal fine richiamano la  sentenza  n.  91
del 1984). 
    Il rimettente, pertanto, si interroga proprio  sulla  persistenza
di  intrinseche  differenze   tra   le   due   discipline   esaminate
(rispettivamente relative al settore privato e  a  quello  pubblico),
alla luce dell'evoluzione legislativa piu' recente, pervenendo a  una
risposta negativa. 
    In  proposito  le  ordinanze  richiamano,  in  via  generale,  il
processo di armonizzazione dei  regimi  pensionistici  avviato  dalla
legge 8 agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare), e, sotto  il  profilo  gestionale,  la
soppressione dell'INPDAP quale polo della  previdenza  pubblica,  con
trasferimento delle sue funzioni all'INPS, ai sensi dell'art. 24  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2011, n. 214. 
    Sempre ai fini in esame, con riferimento specifico alla peculiare
disciplina del procedimento di liquidazione delle pensioni pubbliche,
il rimettente si mostra avvertito delle  possibili  implicazioni  sul
punto di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 208  del
2014, con la quale e' stata dichiarata non fondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 204  del  d.P.R.  n.  1092  del
1973. Cio'  in  quanto  la  Corte,  nel  confermare  la  legittimita'
dell'esclusione dell'errore di diritto tra i casi che giustificano la
revoca o la riforma del provvedimento di pensione  oltre  il  termine
triennale,  ha  richiamato   la   struttura   del   procedimento   di
liquidazione delle pensioni pubbliche, distinto nelle due fasi  della
liquidazione provvisoria  e  di  quella  definitiva,  consentendo  la
modificabilita'   piena   fino   all'emanazione   del   provvedimento
definitivo. 
    Tuttavia, il giudice rimettente rileva che tale distinzione,  pur
perdurante, e' di fatto  «compressa»  dalla  circostanza  che  oramai
l'INPS provvede  generalmente  alla  liquidazione  immediata  in  via
definitiva dei trattamenti, e solo  occasionalmente,  e  per  periodi
limitati, alla liquidazione in via provvisoria. 
    Inoltre, il rimettente evidenzia  le  conseguenze  derivanti  dal
venir meno dell'assoggettabilita' a  controllo  preventivo  da  parte
della Corte dei conti del provvedimento definitivo  per  le  pensioni
pubbliche.  In  proposito,  nell'ordinanaza  n.  146  del  2015,   si
evidenzia che cio' ha comportato  una  minore  «affidabilita'»  delle
medesime, ponendole quindi sullo stesso piano di quelle private, «con
possibili  ricadute  sul  piano  della  certezza  e  correttezza  del
contenuto dei provvedimenti» pensionistici, e dunque sul regime della
loro modificabilita'. 
    Prosegue   il   rimettente   ritenendo,    altresi',    che    la
modificabilita' per qualsiasi ragione e senza limiti di  tempo  delle
pensioni pubbliche,  al  pari  di  quelle  private,  non  andrebbe  a
confliggere con la tutela dell'affidamento. 
    Con  riguardo  a  tale  aspetto,  il   rimettente   ricorda   che
l'illegittimita' degli artt. 203, 204 e 205 del d.P.R.  n.  1092  del
1973 e' stata esclusa dalla Corte costituzionale (sentenza n. 91  del
1984), quale espressione del favor del legislatore  per  il  soggetto
pensionato; cosi' come ricorda che la  citata  sentenza  n.  208  del
2014, nel confermare la legittimita' costituzionale del medesimo art.
204 del d.P.R. n. 1092 del 1973, ha richiamato l'esigenza di tutelare
il legittimo affidamento del pensionato nel trattamento pensionistico
riconosciutogli. 
    Senonche' il rimettente, nell'ordinanza n.  146  del  2015,  alla
luce  della  piu'  recente  dottrina  «sensibile  alle  problematiche
giuridico-economiche», dubita della  legittimita'  costituzionale  di
tali disposizioni, in quanto escludono il potere di  annullamento  in
sede di autotutela «senza tener conto delle conseguenze  patrimoniali
che derivano da tale scelta», sia perche' contestualmente  violano  i
principi   costituzionali   sul    funzionamento    della    pubblica
amministrazione e sull'obbligo di legalita' della sua azione. 
    Inoltre, ritiene il rimettente che non sia evocabile il principio
della tutela  dell'affidamento  del  pensionato  per  consentire  una
continuita' nell'erogazione del trattamento risultato non dovuto,  in
quanto tale  principio  non  puo'  essere  utilizzato  come  criterio
autonomo, ma ricondotto ai  principi  di  uguaglianza,  certezza  del
diritto e legalita'. 
    In proposito, il rimettente, evidenziata la natura  del  rapporto
pensionistico come rapporto di  durata,  richiama  la  giurisprudenza
della Corte di giustizia delle Comunita' europee che «ha circoscritto
la  tutela  dell'affidamento,  nella  declinazione  di  certezza  del
diritto, nei limiti degli effetti giuridici gia'  prodotti,  che  non
debbono essere incisi dall'atto sopravvenuto, ma lo  ha  escluso  per
quelli futuri non ancora prodotti (CGCE n. 373/1993)». Il  rimettente
espone che nella stessa direzione si  e'  espressa  la  stessa  Corte
costituzionale, relativamente alla possibilita' per il legislatore di
modificare  in  peius  le  disposizioni  in  materia  di  prestazioni
pensionistiche, pur precisando i limiti di un  tale  intervento,  per
non «trasmodare  in  un  regolamento  irrazionale  e  arbitrariamente
incidere sulle  situazioni  sostanziali  poste  in  essere  da  leggi
precedenti». 
    Inoltre, nelle  ordinanze  si  evidenzia  che  la  necessita'  di
contemperare   la   tutela   dell'affidamento   con   altri    valori
costituzionali e' implicitamente espressa  anche  dalla  norma  (art.
21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme  in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti amministrativi»), che subordina l'esercizio del  potere  di
annullamento   del   provvedimento   illegittimo   alla   sussistenza
dell'interesse pubblico. 
    Pertanto,  il  rimettente  esprime   l'avviso   che   la   tutela
dell'affidamento sarebbe gia' assicurata dalla specifica  regolazione
della ripetizione dell'indebito pensionistico, comune  alle  pensioni
del settore pubblico e del settore privato, secondo cui, in deroga al
principio generale posto dall'art. 2033 del codice civile, non si da'
luogo  a  ripetizione  dell'indebito  nel  caso  in  cui  i  maggiori
trattamenti siano stati percepiti in buona fede. 
    Conclusivamente,  sulla  scorta  di  quanto  cosi'  dedotto,   il
rimettente ritiene che le disposizioni pensionistiche in esame per il
settore pubblico e quello privato sono  accomunate:  dalla  identita'
della funzione  retributiva;  dalla  irripetibilita'  delle  maggiori
somme  percepite  dal   pensionato   in   buona   fede;   dalla   non
ravvisabilita' di una violazione dell'art. 38 Cost., in  presenza  di
erogazioni non dovute che, in quanto tali, non possono concorrere  ad
integrare, ai fini dell'adeguatezza,  la  prestazione  previdenziale,
sicche' la loro rideterminazione non puo' di per se'  arrecare  alcun
vulnus al precetto costituzionale. 
    Conseguentemente,  il   rimettente   ritiene   irragionevoli   ed
arbitrarie le disposizioni censurate,  in  materia  di  modifica  dei
trattamenti pensionistici risultati illegittimi, in quanto  riservano
ai pensionati del settore pubblico una  disciplina  irragionevolmente
ed  arbitrariamente  piu'  favorevole  di  quella  prevista   per   i
pensionati del settore  privato;  disciplina  che  «sottrae  all'ente
previdenziale pubblico la possibilita' di impedire il  protrarsi  per
un periodo di  tempo  indeterminato,  di  un  nocumento  patrimoniale
corrispondente  all'erogazione  di   un   trattamento   pensionistico
erroneamente calcolato». 
    Cio', evidenzia inoltre il rimettente, «in un  momento  di  gravi
difficolta'  economiche-finanziarie,  di  ricorrenti  timori  per  la
sostenibilita'  del  sistema  previdenziale   e,   infine,   in   una
prospettiva  futura  di  crescente  compressione  dell'entita'  delle
prestazioni previdenziali a parita' di contributi versati»  e  «senza
che, nell'ambito di una previsione  generale,  non  discriminante  in
relazione all'entita' dell'indebito e/o del trattamento pensionistico
correttamente determinato, la lesione dell'interesse  pubblico  trovi
un'adeguata giustificazione in situazioni economiche  e  sociali  del
pensionato specificamente individuate e non apoditticamente assunte a
denominatore  comune  dell'intera   categoria,   comprendente   anche
soggetti titolari di laute ed eventualmente plurime pensioni». 
    1.5.- Nei  due  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  si  e'
costituito l'INPS (in quello di cui all'ordinanza n. 37 del 2015, con
atto del 9-13 aprile 2015, e nel giudizio di cui all'ordinanza n. 146
del 2015, con atto del 3-10 luglio 2015), chiedendo: a) di dichiarare
l'inammissibilita'  per  difetto  di  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge n. 315 del  1967
e dell'art. 204 del d.P.R. n. 1092 del 1973; b)  previa  declaratoria
di ammissibilita'  della  questione,  di  ritenere  e  dichiarare  la
illegittimita' costituzionale dell'art. 26 della  legge  n.  315  del
1967 e dell'art. 205 del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte in  cui
non prevedono che i  provvedimenti  di  liquidazione  definitiva  del
trattamento di quiescenza possano essere rettificati in ogni tempo. 
    Con riguardo alla  richiesta  declaratoria  di  inammissibilita',
l'INPS deduce che non  avrebbe  alcun  rilievo  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 26 della  legge  n.  315  del
1967 e dell'art. 204 del d.P.R. n.  1092  del  1973  nel  sottostante
giudizio di merito. Cio' in quanto il rimettente  ha  qualificato  il
vizio  del  provvedimento   di   rideterminazione   del   trattamento
pensionistico  in  termini  di  errore  di  fatto  (sotto  la  specie
dell'errata presupposizione di una  circostanza,  la  cessazione  dal
servizio  nella  perdurante  qualifica   dirigenziale,   radicalmente
esclusa  dagli  atti),  ipotesi  che  le  citate  disposizioni   gia'
contemplano tra quelle per le quali si puo' procedere  alla  modifica
del trattamento pensionistico. Ad avviso dell'INPS, assumono, invece,
rilievo le disposizioni del citato art. 26 della  legge  n.  315  del
1967 e dell'art. 205 del citato d.P.R. n. 1092 del 1973, nella  parte
in cui stabiliscono i termini entro i quali l'ente previdenziale puo'
rideterminare  il  trattamento  pensionistico  in  presenza  di  tale
errore, in quanto nei giudizi  a  quibus  i  provvedimenti  risultano
emanati decorsi tali termini; pertanto, in riferimento alla richiesta
di dichiarare l'illegittimita' costituzionale di tali  norme,  l'INPS
ha svolto argomentazioni adesive e integrative di  quelle  illustrate
nelle ordinanze di rimessione. 
    1.6.- Con atti depositati il 14 aprile e l'8 settembre  2015,  il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto, rispettivamente, nei giudizi di
cui al reg. ord. n. 37 del 2015 e  n.  146  del  2015,  chiedendo  di
dichiarare manifestamente infondata la questione sollevata. 
    In particolare,  con  riferimento  alla  violazione  dell'art.  3
Cost., l'Avvocatura generale dello  Stato  ha  escluso  il  contrasto
delle disposizioni scrutinate con i  principi  di  uguaglianza  e  il
canone di ragionevolezza, non ritenendo omogenee le situazioni  poste
a raffronto, attesa la  differenziazione  tra  pensioni  pubbliche  e
private, restando le  pensioni  del  settore  pubblico  connotate  da
persistenti differenze anche con riferimento alla fase liquidatoria. 
    Quanto al parametro di cui all'art. 97 Cost., la difesa  erariale
ha escluso  la  fondatezza  dell'eccezione,  assumendo  che  il  mero
ripristino dell'azione amministrativa non puo' prevalere sulla tutela
della situazione del pensionato con modalita'  temporali  illimitate,
secondo  l'insegnamento  della  Corte   costituzionale,   da   ultimo
confermato nella citata sentenza n. 208 del 2014. 
    Tali   considerazioni   sono   state   ribadite    e    precisate
dall'Avvocatura generale dello Stato, con  memorie  del  16-24  marzo
2015. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze, iscritte al n. 37 e al  n.  146  del  reg.
ord. 2015, la Corte  dei  conti  -  sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Calabria, ha promosso, in termini analoghi, la  questione  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 97  della
Costituzione,  dell'art.  26  della  legge  3  maggio  1967,  n.  315
(Miglioramenti al  trattamento  di  quiescenza  della  Cassa  per  le
pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli  Istituti  di
previdenza presso il Ministero del tesoro), e degli artt. 204  e  205
del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte
in cui non prevedono che i provvedimenti di  liquidazione  definitiva
del trattamento di quiescenza possano  essere  «rettificati  in  ogni
momento da enti o fondi erogatori, in caso  di  errore  di  qualsiasi
natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o  riliquidazione
della prestazione». 
    Il rimettente, nel  rilevare  che  i  ricorrenti  nei  giudizi  a
quibus,  gia'  lavoratori  del  settore  pubblico,  hanno  presentato
ricorso  avverso  provvedimenti  con  cui  l'ente  previdenziale   ha
rideterminato in peius i rispettivi trattamenti pensionistici, deduce
che tale rideterminazione sarebbe avvenuta oltre il termine  previsto
dalle  censurate  disposizioni  per  la  rilevabilita'   dell'errore.
Osserva il rimettente  che  tale  disciplina,  nel  circoscrivere  il
potere di modifica a casi tassativi, e nello  stabilire  per  il  suo
esercizio termini  decadenziali,  differisce  in  modo  significativo
dalle disposizioni che  regolano  la  materia  per  le  pensioni  dei
lavoratori del settore privato, iscritti all'Istituto nazionale della
previdenza e assistenza (INPS), in quanto l'art. 52, comma  1,  della
legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione  dell'Istituto  nazionale
della   previdenza   sociale   e    dell'Istituto    nazionale    per
l'assicurazione contro gli infortuni  sul  lavoro),  dispone  che  le
pensioni «possono essere rettificate dagli enti erogatori, in caso di
errore  di  qualsiasi  natura  commesso  in  sede  di   attribuzione,
erogazione o riliquidazione della prestazione». 
    Il rimettente, assumendo come  tertium  comparationis  la  citata
disposizione dell'art. 52, comma 1,  della  legge  n.  88  del  1989,
deduce, pertanto, la violazione, da  parte  delle  norme  scrutinate,
dell'art. 3 Cost., in quanto  prevedono  in  modo  irragionevole  una
disciplina piu' favorevole in materia  di  modifica  dei  trattamenti
pensionistici per i pensionati del settore pubblico, e  dell'art.  97
Cost., in quanto non consentono all'ente previdenziale di impedire il
protrarsi  dell'indebita  erogazione   di   parte   del   trattamento
pensionistico erroneamente determinato. 
    1.1.- I due giudizi possono essere riuniti e decisi con  un'unica
sentenza, per  evidenti  ragioni  di  connessione,  prospettando  una
identica questione. 
    1.2.- Preliminarmente, questa Corte osserva che la motivazione in
punto di rilevanza offerta dal rimettente appare non implausibile. Le
circostanze,  in  fatto  e  in  diritto,  come  rappresentate   nelle
ordinanze di rimessione, poste alla base delle determinazioni in  via
definitiva dei trattamenti pensionistici dei ricorrenti,  oggetto  di
modifica da parte dell'ente previdenziale, condurrebbero il giudice a
ritenere decorso il termine triennale per la revoca  o  modifica  del
provvedimento  definitivo,  previsto   dalla   normativa   censurata.
Diversamente,  l'accoglimento   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  porterebbe  a  ritenere  legittimi  i   provvedimenti
rideterminativi contestati nei giudizi di  merito  e  a  valutare  la
questione relativa alla restituzione delle maggiori somme corrisposte
medio tempore alla stregua delle specifiche disposizioni  in  materia
di ripetizione di indebito pensionistico. 
    1.3.-  Sempre  in  via  preliminare,  non  puo'  essere   accolta
l'eccezione di inammissibilita' sollevata dall'INPS, in  ordine  alla
rilevanza nei  giudizi  a  quibus  della  questione  di  legittimita'
costituzionale proposta nei confronti dell'art. 26 della legge n. 315
del 1967 e dell'art. 204 del d.P.R.  n.  1092  del  1973.  L'Istituto
assume che il citato art. 204  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973  gia'
prevede che la pensione possa essere rideterminata ove si  riscontri,
come si e' verificato nei  casi  in  oggetto,  un  errore  di  fatto,
sicche' per la definizione dei giudizi rileverebbe  solo  l'art.  205
del medesimo d.P.R., in quanto stabilisce un termine di tre anni  per
procedere  alla  rideterminazione  del   trattamento   pensionistico,
termine che risulta decorso nelle vicende a quibus. 
    Rileva questa Corte che la questione prospettata  dal  rimettente
e' diretta a censurare l'intera disciplina recata dall'art. 26  della
legge n. 315 del 1967 e dagli artt. 204 e 205 del d.P.R. n. 1092  del
1973, sotto il profilo della sua diversita' rispetto alla  disciplina
della modifica del trattamento di  quiescenza  del  settore  privato,
dettata  dall'art.  52,  comma  1,  della  legge  n.  88  del   1989.
Quest'ultimo e' invocato quale tertium comparationis, in quanto,  nel
riferirsi testualmente a «errore di qualsiasi natura commesso in sede
di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione»,  non
distingue, come  invece  la  disciplina  del  settore  pubblico,  tra
tipologie  tassative  di  errori  riscontrabili  che  danno  luogo  a
possibilita' di modifica, ne' prevede termini  per  la  modifica  dei
trattamenti. La questione investe dunque  tutte  le  norme  censurate
proprio nella parte in cui non prevedono, per le pensioni del settore
pubblico, una disciplina analoga a quella disposta  per  le  pensioni
del settore privato. 
    2.- Nel  merito,  va  innanzitutto  verificato  se  sussista  una
giustificata diversita' dei sistemi pensionistici del settore privato
e del settore pubblico, tale da escludere la  configurabilita'  della
violazione dell'art. 3 Cost., alla luce del costante insegnamento  di
questa Corte, secondo  cui  la  diversita'  delle  situazioni  e  dei
sistemi posti a confronto giustifica, in termini  di  ragionevolezza,
la  diversita'  delle  discipline  e,  conseguentemente,  esclude  la
violazione del principio di uguaglianza (ex plurimis, sentenza n. 146
del 2016). 
    Sul punto, il rimettente non ravvisa «intrinseche differenze» tra
i due  ordinamenti  pensionistici,  assumendo,  in  sintesi:  che  in
entrambi  i  settori   i   trattamenti   di   quiescenza   rispondono
all'identica esigenza tutelata  dagli  artt.  36  e  38  Cost.;  che,
analogamente,  la  modifica  o   rideterminazione   dei   trattamenti
pensionistici risponde,  sia  nel  settore  pubblico  che  in  quello
privato, alla stessa esigenza posta dall'art. 97 Cost., ma  anche  ai
principi degli artt. 36 e 38 Cost., in quanto  la  difformita'  dalle
previsioni normative altera la natura di retribuzione  differita  del
trattamento  pensionistico,  modificando  il  rapporto  tra  le   due
prestazioni  e,  nello  stesso  tempo,  incide   sul   principio   di
adeguatezza posto dall'art.  38  Cost.;  che,  con  riferimento  alle
differenze fra le gestioni pensionistiche, il  sistema  previdenziale
e' stato oggetto di un processo di riforma  volto  ad  armonizzare  i
diversi regimi, confluiti presso l'INPS  quale  unico  ente  gestore;
che,  infine,  anche  regole  particolari,  dettate  in   ordine   ai
procedimenti  di  determinazione  e  liquidazione   dei   trattamenti
pensionistici   del   settore   pubblico,   sono    state    superate
dall'evoluzione normativa. 
    Sebbene  dunque  i  due  regimi  pensionistici,  pur  oggetto  di
interventi  di  convergenza  operati  negli  anni  dal   legislatore,
continuano a presentare elementi  di  motivata  diversita',  vi  sono
aspetti della disciplina pensionistica che,  come  quello  in  esame,
concernendo  profili   analoghi,   richiederebbero   da   parte   del
legislatore un percorso  di  armonizzazione  nell'ambito  dell'oramai
unitario ente pubblico di previdenza obbligatoria  nel  rapporto  con
l'utente pensionato,  laddove  sono  venute  meno  talune  differenze
settoriali che potevano motivare una diversita' di regolazione. 
    3.- Tuttavia, la impossibilita' di ritenere,  nella  disposizione
dell'art. 52, comma 1, della legge n. 88  del  1989,  invocata  nelle
ordinanze di rimessione come tertium comparationis, l'unica soluzione
regolatoria della materia compatibile ed anzi  imposta  dai  principi
costituzionali, conduce questa Corte a ritenere inammissibile,  sotto
tale profilo, la questione di legittimita' in esame. 
    La disciplina prevista dalla citata disposizione,  nel  prevedere
la possibilita' di rettifica delle pensioni del  settore  del  lavoro
privato «in ogni momento» e «in caso di errore  di  qualsiasi  natura
commesso in sede di attribuzione, erogazione o  riliquidazione  della
prestazione», non costituisce, infatti, quella soluzione  "obbligata"
della regolazione della specifica materia  in  esame  che,  ai  sensi
della giurisprudenza costituzionale,  deve  invece  ravvisarsi  nella
normativa invocata in termini di tertium comparationis. 
    Cio' anche in considerazione di quanto affermato da questa Corte,
pur se con  specifico  riferimento  al  sistema  delle  pensioni  del
settore  pubblico,  in  ordine  alle  esigenze  di  salvaguardare  il
legittimo affidamento del  pensionato  sull'entita'  del  trattamento
pensionistico erogato (sentenza n. 208 del 2014). 
    Il  necessario  intervento  per  ricomporre   il   quadro   della
regolazione della materia, secondo linee coerenti ed omogenee per  il
settore pensionistico gestito ormai  da  un  unico  ente,  non  puo',
dunque, che essere rimesso al legislatore, che operera' tenendo conto
del mutato contesto normativo, ma anche in funzione di valorizzazione
dei profili di equita' e solidarieta' che caratterizzano  il  sistema
previdenziale.  Del  resto,  questa  Corte  rileva  che  i   continui
interventi  normativi  sul  sistema  pensionistico,  se  hanno  posto
attenzione ai profili sostanziali di determinazione dei  trattamenti,
hanno trascurato i pur rilevanti profili di armonizzazione di aspetti
quali quelli in esame, costituenti il portato residuale di un assetto
superato dall'evoluzione del sistema. 
    Al legislatore compete, dunque, nell'equilibrato esercizio  della
sua discrezionalita', valutati tutti i diversi e spesso  contrapposti
valori ed esigenze in campo, bilanciare i fattori  costituzionalmente
rilevanti, fissati, in particolare, dagli artt.  3  e  97  Cost.,  ma
anche - per le ragioni correttamente  evidenziate  dal  rimettente  -
dagli artt. 36 e 38 Cost. A tal fine, l'intervento normativo  dovra',
in  particolare,  armonizzare  le   esigenze   di   ripristinare   la
legittimita' del trattamento pensionistico con l'opposta esigenza  di
tutelare,  in  presenza  di  situazioni  e  condizioni  di  rilevanza
sociale,  l'affidamento  del  pensionato  nella  stabilita'  del  suo
trattamento, decorso un lasso temporale adeguato e  coerente  con  il
complessivo ordinamento giuridico. 
    Conclusivamente, sulla  scorta  di  quanto  innanzi  considerato,
questa Corte non puo' che formulare  l'auspicio  che  il  legislatore
proceda, con adeguata tempestivita', ad adottare un intervento inteso
a superare le riscontrate  divergenze  tra  le  discipline  previste,
rispettivamente, per il settore pubblico, dall'art. 26 della legge n.
315 del 1967 e dagli artt. 204 e 205 del d.P.R. n. 1092 del 1973,  e,
per il settore privato, dall'art. 52, comma 1, della legge n. 88  del
1989. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara  l'inammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art.  26  della  legge  3  maggio  1967,  n.  315
(Miglioramenti al  trattamento  di  quiescenza  della  Cassa  per  le
pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli  Istituti  di
previdenza presso il Ministero del tesoro), e degli artt. 204  e  205
del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato),  sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte  dei
conti - sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Calabria,  con  le
ordinanze in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA