N. 192 SENTENZA 20 giugno - 14 luglio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Piani di  rientro  dal  disavanzo  di  singole  aziende  sanitarie  -
  Individuazione degli enti inefficienti, adozione e  attuazione  dei
  relativi  piani  di  rientro  con  provvedimento  della  Giunta   -
  Aggiornamento dei livelli  essenziali  di  assistenza  sanitaria  -
  Rideterminazione del concorso dello Stato al  fabbisogno  sanitario
  nazionale standard. 
- Legge 28 dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
  stabilita' 2016)», art. 1, commi da 524 a 529, da 531 a  536,  553,
  555 e 568. 
-   
(GU n.29 del 19-7-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da
524 a 529, da 531 a 536, 553, 555 e  568,  della  legge  28  dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'  2016)»,
promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 29  febbraio
2016, depositato in cancelleria l'8 marzo 2016 ed iscritto al  n.  17
del registro ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  20  giugno  2017  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016 e  depositato  l'8
marzo 2016 (r.r. n. 17 del 2016),  la  Regione  Veneto  ha  impugnato
diversi commi dell'art. 1 della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    Sono oggetto di censura, tra gli altri, i commi da 524 a 529 e da
531 a 536, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e  quarto
comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonche'  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi  553  e
555, per violazione degli artt. 3, 32,  97,  117,  secondo,  terzo  e
quarto comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale  collaborazione
di cui agli artt. 5 e  120  Cost.,  nonche'  dell'art.  5,  comma  1,
lettera  g),  della  legge  costituzionale  20  aprile  2012,  n.   1
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale), e dell'art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n.  243
(Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio
ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione); il comma
568, per violazione degli artt. 3, 32  e  97,  117,  terzo  e  quarto
comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale collaborazione di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1,  lettera  g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e dell'art. 11 della legge n. 243 del
2012. 
    1.1.-  I  commi  da  524  a  529  e  da  531  a  536   riguardano
l'individuazione degli enti  sanitari  inefficienti  e  l'adozione  e
attuazione dei relativi piani di rientro. 
    1.1.1.- Nella sintesi  esposta  dalla  ricorrente,  a  norma  del
censurato comma 524, entro il 30 giugno di ciascun anno  le  Regioni,
con  provvedimento  della  Giunta,  devono  individuare  le   aziende
ospedaliere, le aziende universitarie, gli  istituti  di  ricovero  e
cura  a  carattere  scientifico  pubblici,  nonche'  gli  altri  enti
pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura (ad eccezione  di
quelli di cui ai commi 535 e 536), per i  quali  ricorra  almeno  una
delle seguenti condizioni (di cui alle lettere a e b del citato comma
524): uno scostamento tra costi e ricavi  non  inferiore  al  10  per
cento dei ricavi o, in valore assoluto, a  10  milioni  di  euro;  il
mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualita'  ed  esiti
delle cure. Per il solo anno 2016, in sede di prima applicazione,  e'
previsto il termine del 31 marzo  al  fine  di  provvedere  a  quanto
sopra, con specificazione dei dati da utilizzare (comma 525). 
    La metodologia di  valutazione  dello  scostamento  tra  costi  e
ricavi, gli ambiti assistenziali e i  parametri  di  riferimento  per
volumi, qualita' ed esiti delle cure, nonche' le linee guida  per  la
predisposizione dei piani di rientro sono definiti  (comma  526)  con
decreto del Ministro della salute, da  emanare  di  concerto  con  il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sentita  la   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome  di  Trento   e   di   Bolzano   (di   seguito,   Conferenza
Stato-Regioni). A un distinto  decreto  del  Ministro  della  salute,
emanato di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze,
d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, e' demandato (comma 527) il
compito di apportare i necessari aggiornamenti, ai sensi dell'art. 34
del decreto legislativo 23  giugno  2011,  n.  118  (Disposizioni  in
materia di armonizzazione dei sistemi contabili  e  degli  schemi  di
bilancio delle Regioni, degli enti locali e  dei  loro  organismi,  a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009,  n.  42),  agli
schemi di contabilita' allegati allo stesso decreto legislativo. 
    Gli enti che le Regioni hanno individuato, entro  90  giorni  dal
relativo provvedimento, devono presentare un  piano  di  rientro,  di
durata non superiore al triennio, che definisca «le  misure  atte  al
raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e patrimoniale e
al  miglioramento  della  qualita'  delle  cure   o   all'adeguamento
dell'offerta» (comma 528). Nelle Regioni non in piano di rientro,  la
Giunta valuta l'adeguatezza delle misure proposte e la loro  coerenza
con la programmazione regionale e approva i piani  entro  30  giorni,
rendendoli cosi' efficaci ed esecutivi (comma 529). Se la Regione non
si e' gia' avvalsa della facolta' di istituire una gestione sanitaria
accentrata (ai sensi dell'art. 19, comma 2, lettera b, del d.lgs.  n.
118 del 2011), deve farlo in seguito all'approvazione  dei  piani  di
rientro; la stessa Regione deve comunicare l'approvazione  dei  piani
di rientro ai «tavoli tecnici di cui agli articoli 9 e 12 dell'Intesa
sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in  data  23
marzo 2005»; la gestione iscrive nel proprio bilancio una  quota  del
Fondo sanitario regionale corrispondente alla somma  degli  eventuali
scostamenti negativi di cui ai piani di rientro (comma 531). 
    Gli interventi previsti nei piani sono vincolanti  per  gli  enti
interessati e possono comportare variazioni  dei  provvedimenti  gia'
adottati,  anche  in  materia  di  programmazione  e   pianificazione
aziendale (comma 532). La Regione verifica trimestralmente l'adozione
e la realizzazione delle misure previste: in caso di esito  positivo,
puo' erogare a titolo di anticipazione all'ente una quota parte delle
risorse iscritte nel bilancio della gestione accentrata; in  caso  di
esito negativo, adotta misure per la riconduzione in equilibrio della
gestione; comunque, al termine di ogni esercizio, la Regione pubblica
nel proprio sito internet i risultati  economici  dei  singoli  enti,
raffrontati agli obiettivi del piano di rientro (comma 533). 
    «[T]utti i contratti dei direttori generali, ivi  inclusi  quelli
in essere, prevedono la decadenza automatica del direttore  generale»
degli  enti  interessati,  se  i  direttori  generali  non  adempiono
all'obbligo di trasmettere il piano di rientro, oppure  se  ha  esito
negativo la verifica annuale dell'attuazione (comma 534). 
    Dal 2017, la disciplina illustrata dovrebbe trovare  applicazione
anche «alle aziende sanitarie locali e ai relativi presidi a gestione
diretta, ovvero ad altri enti pubblici  che  erogano  prestazioni  di
ricovero e cura, individuati da leggi regionali,  che  presentano  un
significativo scostamento  tra  costi  e  ricavi  ovvero  il  mancato
rispetto dei parametri relativi a volumi,  qualita'  ed  esiti  delle
cure» (comma  535).  La  definizione  dei  parametri  e  degli  altri
elementi necessari  allo  scopo  sono  demandate  a  un  decreto  del
Ministro  della  salute,  emanato  di  concerto   con   il   Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita la  Conferenza  Stato-Regioni,
da adottare entro il 30 giugno 2016 (comma 536, primo periodo). A  un
successivo decreto del Ministro della  salute,  di  concerto  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con  la  Conferenza
Stato-Regioni, da adottare entro il 31 dicembre 2016, e' affidato  il
compito  di  apportare  i  necessari  aggiornamenti  ai  modelli   di
rilevazione dei costi dei presidi  ospedalieri  gestiti  direttamente
dalle aziende sanitarie (comma 536, secondo periodo). 
    1.1.2.- Ad avviso della ricorrente, la normativa cosi' riassunta,
«mentre  non  presenta  profili  di  criticita'   costituzionale   in
relazione alle Regioni assoggettate a piani di  rientro»,  e'  lesiva
dell'autonomia regionale «nella misura in cui pretende di  applicarsi
anche alle Regioni in equilibrio finanziario». 
    Nella legislazione statale precedente,  a  partire  dall'art.  1,
comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato.  Legge
finanziaria 2005), il  presupposto  dell'applicazione  dei  piani  di
rientro e' sempre stato una situazione di grave disavanzo dell'intero
comparto della spesa  sanitaria  di  una  Regione,  tale  da  rendere
necessario un accordo per vincolare la stessa Regione sia al  rientro
del  disavanzo,  sia  alla  garanzia  dei   livelli   essenziali   di
assistenza. Solo in presenza di questo presupposto la  giurisprudenza
costituzionale  ha   legittimato   la   compressione   dell'autonomia
regionale che deriva dai  piani  di  rientro,  «le  cui  disposizioni
spesso risultano molto piu' dettagliate  di  quanto  dovrebbe  essere
proprio delle norme di principio». 
    In assenza di una siffatta situazione di disavanzo, o addirittura
in presenza di una situazione di equilibrio certificato (come sarebbe
per il Veneto, selezionato tra  le  Regioni  di  riferimento  per  il
calcolo dei costi standard  nella  sanita'),  non  sussisterebbero  i
presupposti per la denunciata ingerenza  dello  Stato,  che  comporta
l'imposizione   di   piani   di   rientro,    nonche'    l'arbitraria
specificazione dei parametri vincolanti per  gli  enti  del  Servizio
sanitario regionale. Sarebbe altrimenti  destabilizzato  l'equilibrio
complessivamente assicurato dalla Regione, nell'ambito del  quale  il
disavanzo  di  un  ente  puo'  risultare  non  inefficiente  ma,   al
contrario,  giustificato  da  specifiche  decisioni   politiche.   La
ricorrente  fa  l'esempio   dell'Azienda   ospedaliera   di   Padova,
strutturalmente in  disavanzo  perche'  rappresenta,  in  determinati
settori (come quello dei trapianti), un'eccellenza a livello europeo,
«cui fa fronte con  D.r.g.  [Diagnosis  related  group]  fissati  dal
Ministero in misura notoriamente sottostimata». Imporre a questo ente
un piano di rientro produrrebbe un grave danno al  sistema  sanitario
regionale e alla sua capacita' di cura; sinora,  invece,  la  Regione
«ha potuto identificare un punto di equilibrio nella programmazione e
gestione della spesa  sanitaria,  che  consente  di  fare  fronte  al
deficit non inefficiente» dell'azienda citata. 
    Pertanto, il meccanismo  delineato  dalle  norme  impugnate,  «in
quanto applicabili anche alle  Regioni  non  sottoposte  a  piano  di
rientro», sarebbe in contrasto con il principio di  proporzionalita':
non e' legittimo lo scopo perseguito, in assenza del presupposto  che
in passato ha legittimato l'imposizione dei  piani  di  rientro;  ne'
sussistono la  connessione  razionale  e  la  necessita'  rispetto  a
obiettivi di  efficienza  qualitativa  e  quantitativa  della  spesa,
essendo al contrario probabili (o, in alcuni casi,  certi)  risultati
opposti. 
    Mancherebbero poi, ad  avviso  della  ricorrente,  gli  «standard
minimi» per la legittimita' costituzionale  delle  norme  statali  in
materia di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»:  segnatamente,
l'attitudine di tali norme a porre un limite complessivo  alla  spesa
delle  Regioni,  lasciando  a  queste  ultime   ampia   liberta'   di
allocazione fra i diversi ambiti e obiettivi  di  spesa;  nonche'  il
rispetto di canoni di ragionevolezza e proporzionalita' rispetto agli
obiettivi  prefissati.  Nel  caso,  non  residua  uno  spazio  aperto
all'esercizio dell'autonomia regionale, indispensabile  affinche'  il
coordinamento della finanza pubblica non si  traduca  in  menomazione
irragionevole e sproporzionata dell'autonomia e  della  capacita'  di
programmazione della Regione. 
    1.1.3.-  Sarebbe  altresi'  violato   il   principio   di   leale
collaborazione.  Infatti,  e'  previsto  che  sia  solo  sentita   la
Conferenza Stato-Regioni, e non che sia raggiunta  in  seno  ad  essa
un'intesa, per l'emanazione del decreto che definisce la  valutazione
dello scostamento tra costi e ricavi, i parametri relativi a  volumi,
qualita'  ed  esiti  delle  cure,  nonche'  le  linee  guida  per  la
predisposizione dei piani  di  rientro  (comma  526).  Lo  stesso  e'
previsto per i decreti relativi alle aziende sanitarie  locali  e  ai
presidi da esse direttamente gestiti,  per  cui,  inoltre,  la  legge
menziona con formula generica un «significativo scostamento tra costi
e ricavi» (comma 535). 
    1.1.4.- E' infine denunciata la  violazione  di  quanto  statuito
dalla  Corte  costituzionale  in   merito   agli   ambiti   riservati
all'organizzazione interna della Regione, in riferimento  all'obbligo
che sia un provvedimento della Giunta  regionale  a  individuare  gli
enti inefficienti (commi 524 e  525)  e  ad  approvarne  i  piani  di
rientro (comma 529). L'individuazione  dell'organo  titolare  di  una
determinata funzione amministrativa rientrerebbe nella  normativa  di
dettaglio attinente all'organizzazione interna della Regione. 
    1.1.5.- Per  i  motivi  anzidetti,  conclude  la  ricorrente,  le
disposizioni censurate violano gli  artt.  3,  32  e  97  Cost.,  con
ridondanza sull'autonomia amministrativa, legislativa, finanziaria  e
programmatoria della Regione, e violano pure gli artt. 117,  terzo  e
quarto comma, 118, 119 e 123 Cost., nonche'  il  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    1.2.- La ricorrente censura altresi' i commi 553 e 555  dell'art.
1  della  legge  n.  208  del  2015,   che   dispongono   in   merito
all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria e al
relativo finanziamento. 
    1.2.1.- Il comma 553 prevede, entro  60  giorni  dall'entrata  in
vigore della legge n. 208 del 2015, l'aggiornamento  degli  anzidetti
livelli essenziali, di cui al decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri 29 novembre 2001, «in misura non superiore a 800 milioni
di euro annui». Ai sensi del successivo comma 555,  per  l'anno  2016
«e' finalizzato»  all'attuazione  del  comma  553  l'importo  di  800
milioni di euro, a  valere  sulla  quota  indistinta  del  fabbisogno
sanitario standard nazionale. 
    1.2.2.- La Regione  Veneto  lamenta  che  questa  quantificazione
finanziaria e' avvenuta in  difetto  di  una  preventiva  intesa,  in
contrasto con quanto previsto dall'art. 10, comma 7, del Patto per la
salute 2014-2016 («Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma  6,  della
legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano concernente il  nuovo  Patto  per  la
salute per gli anni 2014-2016», sancita dalla  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e Bolzano nella seduta del 10 luglio 2014) e che  la  relativa
istruttoria e' stata contraddittoria e inadeguata. 
    In data 2 ottobre 2015, in un'audizione presso la XII Commissione
permanente del Senato della  Repubblica,  il  Ministro  della  salute
aveva stimato adeguato un  importo  di  900  milioni  di  euro.  Alle
Regioni e' stato sottoposto uno schema di decreto del Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  in  data  2  febbraio  2015,  integralmente
sostitutivo del precedente decreto  29  novembre  2011,  ma  non  era
sopraggiunta  un'intesa  sulla  quantificazione  finanziaria  e,   in
seguito, non  e'  stata  sottoposta  alcuna  ulteriore  versione  del
decreto. 
    Pertanto,  la  determinazione  dell'importo  di  800  milioni  e'
arbitraria  e  contraddittoria,  a  maggior  ragione  perche'  questo
finanziamento  non  e'  aggiuntivo,  ma  consiste  in  risorse   gia'
ricomprese nel finanziamento predeterminato.  Benche'  un'intesa  sia
richiesta dall'art. 1, comma 554, della legge n.  208  del  2015  (ai
fini della definizione e dell'aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza sanitaria), l'intesa  stessa  e'  assoggettata  al  limite
massimo stabilito dal censurato comma 553,  sottostimato,  ad  avviso
della ricorrente. 
    Cio' sarebbe conforme all'art. 1,  comma  3,  del  Patto  per  la
salute 2014-2016, il  quale  prevede  che  i  livelli  essenziali  di
assistenza   siano   aggiornati   nell'ambito    delle    complessive
disponibilita'.  Tuttavia,  considerata  la  riduzione  di   cui   al
successivo comma 568 dell'art. 1 della legge n. 208  del  2015,  alla
ricorrente pare evidente la sostanziale violazione  del  Patto:  esso
prevedeva per il 2016 un finanziamento  pari  a  115.444  milioni  di
euro; invece, a questo valore e' stata  applicata  una  significativa
riduzione, senza seguire le procedure di concertazione stabilite  nel
Patto  stesso  in  caso  di   variazione   degli   importi.   Dunque,
paradossalmente,  l'aggiornamento  dei  livelli  essenziali   sarebbe
divenuto l'occasione  per  un  ulteriore  contenimento  della  spesa,
capace di compromettere quegli stessi livelli. A titolo  di  esempio,
la ricorrente riferisce che il gia'  citato  schema  di  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri  «stimava  in  1  mln  di  euro
l'importo per la  fecondazione  eterologa,  quando  la  sola  regione
Sicilia aveva stanziato 3,8 mln al  riguardo»  (come  risulta  da  un
decreto del competente Assessore). 
    1.2.3.- Cio' sarebbe in contraddizione con quanto affermato dalla
Corte  costituzionale  nella   sentenza   n.   10   del   2016   («la
quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla
realizzazione degli obiettivi  previsti  dalla  legislazione  vigente
diventa  fondamentale  canone  e  presupposto  del   buon   andamento
dell'amministrazione, cui lo  stesso  legislatore  si  deve  attenere
puntualmente») e determinerebbe, per irragionevolezza  e  difetto  di
istruttoria e proporzionalita', violazione degli artt.  3,  32  e  97
Cost., con ridondanza sulle competenze legislative, amministrative  e
finanziaria regionali, nonche' degli  artt.  117,  secondo,  terzo  e
quarto comma, 118 e 119  Cost.,  e  infine  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    1.2.4.- Sarebbero altresi' violati l'art. 5, comma 1, lettera g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e l'art. 11 della legge  n.  243  del
2012. Sia pure in linea di principio e nella dinamica dell'equilibrio
di  bilancio,  queste   disposizioni   rafforzano   l'impegno   della
Repubblica nella garanzia  dei  livelli  essenziali,  imprescindibili
nella  prospettiva  dei  principi  fondamentali  di   eguaglianza   e
solidarieta'. Invece, le disposizioni  censurate  contrastano  con  i
presupposti  che  la  dinamica  dell'equilibrio  di   bilancio   deve
rispettare, definanziando l'autonomia regionale senza che, in nessuna
sede, siano state minimamente considerate le ipotesi  previste  nelle
disposizioni di cui e' denunciata la violazione. 
    1.3.- E' pure oggetto di censura il comma 568, il quale fissa  il
livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard
cui concorre lo Stato. 
    1.3.1.- La disposizione censurata ridetermina in 111.000  milioni
di euro, per l'anno 2016, la misura dell'anzidetto finanziamento,  in
precedenza determinata dall'art. 1, commi 167 e 556, della  legge  23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», e dall'art. 9-septies, comma 1, del decreto-legge  19  giugno
2015, n.  78,  recante  «Disposizioni  urgenti  in  materia  di  enti
territoriali.  Disposizioni  per   garantire   la   continuita'   dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di  rifiuti  e  di  emissioni  industriali»,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125. 
    1.3.2.-  La  ricorrente  precisa  che  il  fabbisogno   sanitario
nazionale standard, in passato, era sempre stato definito con accordi
tra Regioni e Stato, da quest'ultimo annualmente recepiti con  legge.
Il gia' citato Patto per la salute ha  definito  il  relativo  quadro
finanziario per il triennio 2014-2016  e  ha  specificato  (art.  30,
comma 2) che, in caso di modifiche agli importi, la stessa intesa sul
Patto per la salute avrebbe dovuto essere oggetto  di  revisione.  In
particolare, erano previsti i seguenti importi: per il 2014,  109.928
milioni di euro; per il 2015, 112.062 milioni di euro; per  il  2016,
115.444 milioni di euro. 
    Gli importi per gli anni 2015 e 2016 erano stati, poi, confermati
dall'art. 1 della legge n. 190 del 2014  (comma  556),  la  quale  ne
aveva pero'  contestualmente  prefigurato  una  rideterminazione,  in
ragione del contributo aggiuntivo  alla  finanza  pubblica  richiesto
alle Regioni per gli anni 2015-2018, prevedendo altresi' (comma  398)
l'individuazione, con intesa in  sede  di  Conferenza  Stato-Regioni,
degli  ambiti  di  spesa  cui   attingere   le   risorse   necessarie
all'anzidetto maggiore contributo. In data 26 febbraio 2015, e' stata
raggiunta  un'intesa,  intitolata  «Intesa  tra  Governo,  Regioni  e
Province autonome di Trento e di  Bolzano  in  merito  all'attuazione
della legge 23 dicembre 2014, n. 190[,] recante: "Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2015)["] (articolo 1, commi 398, 465 e 484)», che riduceva
le risorse destinate  al  servizio  sanitario  nazionale,  mentre  la
successiva  intesa  in  data  2  luglio  2015   («Intesa   ai   sensi
dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131,  tra  il
Governo, le Regioni e le Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
concernente la manovra sul settore  sanitario»)  ha  individuato  gli
ambiti su cui operare un «efficientamento» della spesa sanitaria:  ma
cio' solo con riguardo all'anno 2015. Per il 2016,  il  finanziamento
avrebbe dovuto assestarsi nell'importo di 113.097 milioni di euro. 
    1.3.3.- Richiamando decisioni della Corte costituzionale, e anche
deduzioni svolte in altri ricorsi, la Regione Veneto lamenta  che  il
censurato art. 1, comma 568, della  legge  n.  208  del  2015  riduce
l'importo predetto in via permanente  e  non  transitoria;  opera  in
difetto del raggiungimento di un'intesa ai sensi dell'art. 30,  comma
2, del Patto per la salute; realizza  un  taglio  di  tipo  puramente
lineare, senza alcun riguardo ai costi standard (di  cui  agli  artt.
25-32  del  decreto  legislativo  6  maggio  2011,  n.  68,   recante
«Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario») o  ai  volumi
di  spesa  delle  Regioni  che  abbiano  gia'  raggiunto   un'elevata
efficienza nella gestione sanitaria. 
    Pertanto, la disposizione  censurata  non  sarebbe  assistita  da
un'adeguata istruttoria  sulla  sostenibilita'  del  definanziamento.
Anzi, prosegue  la  ricorrente,  contraddittoriamente,  nello  stesso
momento in cui  aumentano  le  esigenze  di  servizio  (in  relazione
all'aggiornamento  dei  livelli   essenziali   di   assistenza),   la
disposizione determina una riduzione (sia in termini assoluti, sia in
termini di previsioni tendenziali) del finanziamento della principale
spesa regionale,  cosi'  compromettendo  l'inviolabile  diritto  alla
salute, che quella spesa e' diretta a tutelare. Inoltre, la riduzione
inciderebbe allo stesso modo sia sulle realta' inefficienti,  sia  su
quelle efficienti, in cui nessuna ulteriore  razionalizzazione  delle
spese e' possibile, senza  mettere  a  repentaglio  la  garanzia  del
diritto alla salute. 
    In proposito, la Regione Veneto cita nuovamente la sentenza della
Corte costituzionale n.  10  del  2016,  laddove  osserva  che  «[i]n
assenza di adeguate  fonti  di  finanziamento  a  cui  attingere  per
soddisfare i bisogni della collettivita' di riferimento in un  quadro
organico  e  complessivo,  e'  arduo  rispondere  alla   primaria   e
fondamentale esigenza di preordinare, organizzare  e  qualificare  la
gestione dei servizi a rilevanza sociale da rendere alle  popolazioni
interessate»;  che  «la  quantificazione  delle   risorse   in   modo
funzionale  e  proporzionato  alla  realizzazione   degli   obiettivi
previsti  dalla  legislazione  vigente»  e'  «fondamentale  canone  e
presupposto del buon andamento dell'amministrazione,  cui  lo  stesso
legislatore si deve attenere puntualmente»; e che, altrimenti, l'art.
3 Cost. risulta violato anche «sotto  il  principio  dell'eguaglianza
sostanziale  a  causa  dell'evidente  pregiudizio  al  godimento  dei
diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi» e,
dunque, in relazione a  un  profilo  di  garanzia  che  «presenta  un
carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali». 
    1.3.4.- Sarebbero dunque violati, per irragionevolezza e  difetto
di proporzionalita', gli artt. 3, 32 e 97 Cost., con ridondanza sulle
competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118
e 119 Cost., i quali risultano anche autonomamente violati, come pure
il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    1.3.5.- La ricorrente denuncia, inoltre, la violazione  dell'art.
5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012  e  dell'art.
11 della legge n. 243 del 2012, i quali affermano la necessita' dello
Stato di concorrere al finanziamento  dei  livelli  essenziali  nelle
fasi avverse del ciclo  economico,  mentre  il  censurato  comma  568
determina uno scollamento tra il  finanziamento  statale,  che  viene
ridotto, e la necessita' di garantire i livelli essenziali,  peraltro
anch'essi quantificati inadeguatamente, come gia' dedotto. Osserva la
Regione Veneto che, se sussistono fasi avverse  del  ciclo  economico
(le quali comunque non giustificherebbero  tagli  non  proporzionati,
ne' preceduti da  intesa),  sarebbe  almeno  necessario  attivare  il
meccanismo di cui ai parametri ora in esame. 
    1.3.6.- La violazione del principio di leale collaborazione e  il
difetto di istruttoria  sarebbero  altresi'  comprovati  dal  mancato
coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica, di cui all'art. 5 della legge 5 maggio 2009, n.  42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in  attuazione
dell'articolo  119   della   Costituzione):   coinvolgimento   invece
necessario in virtu' delle competenze di tale organo di cui al  comma
1, lettera a), dell'art. 5 appena citato,  nonche'  all'art.  33  del
d.lgs. n. 68 del 2011. 
    2.- Con atto depositato il 7 aprile 2016,  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano  dichiarate
inammissibili o infondate le censure addotte dalla Regione Veneto nei
confronti dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. 
    2.1.- La difesa statale si sofferma, tra l'altro,  sul  contenuto
dei commi da 524 a 536 e sulle relative censure. 
    2.1.1.- Secondo la difesa,  tali  disposizioni  rappresentano  la
trasposizione in legge di misure condivise nell'intesa del  2  luglio
2015. Ivi, nel punto «J» e in particolare alla lettera  a),  Stato  e
Regioni concordano sull'opportunita' di «misure  di  governance»,  da
sviluppare nell'ambito dei  «lavori  per  la  spending  review»,  che
concorrano all'«efficientamento del sistema», tra l'altro,  sotto  il
seguente  profilo:  «riorganizzazione  e  ripensamento  del   sistema
aziendale pubblico in una logica di valutazione e miglioramento della
produttivita', intesa quale  rapporto  tra  il  valore  prodotto  (in
termini quantitativi e economici) ed i fattori produttivi  utilizzati
(in termini quantitativi e economici)». 
    A propria volta, questo indirizzo sarebbe volto  a  garantire  la
piena applicazione di quanto  previsto  nel  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421), all'art. 4, comma 8, in  merito  all'obbligo  del  pareggio  di
bilancio per le aziende ospedaliere, nel rispetto del principio della
remunerazione a prestazione, di cui all'art. 8-sexies. I principi  di
efficacia,  efficienza  ed  economicita',  nonche'  di  rispetto  dei
vincoli di bilancio  attraverso  l'equilibrio  tra  costi  e  ricavi,
sarebbero altresi' ripresi dal decreto legislativo 16  ottobre  2003,
n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico, a norma dell'articolo 42, comma 1, della L. 16
gennaio 2003, n. 3). 
    La disposizione  censurata  avrebbe  dunque  l'obiettivo  di  far
rispettare un principio  sancito  sin  dal  1992  nella  legislazione
sanitaria nazionale, ma disatteso da  alcune  aziende  sanitarie,  le
quali   avrebbero   ricevuto   quote   di   finanziamento   regionale
«"svincolate" dalla remunerazione in senso lato (tariffe e  funzioni,
come definite e quantificate ai sensi dell'art. 8-sexies del  decreto
legislativo 502/92 e successive modificazioni)»,  al  solo  scopo  di
dare copertura agli squilibri gestionali, ex  ante  oppure  ex  post,
«per portare il bilancio in  pareggio,  in  misura  contabile».  Puo'
accadere, esemplifica la difesa statale, che  una  Regione  abbia  un
bilancio sanitario consolidato in equilibrio, ma che non in tutte  le
sue aziende sanitarie la produzione resa e i finanziamenti a funzione
equivalgano ai costi. Sovente, l'equilibrio e' garantito non  tramite
un efficace ed efficiente governo delle risorse da parte dei  singoli
enti, ma attraverso  gli  utili  generati  dalla  Gestione  sanitaria
accentrata della Regione: proprio questo sarebbe accaduto in  Veneto,
nel periodo 2013-2015. Lo scopo della normativa in questione, dunque,
sarebbe quello di fornire alle Regioni gli strumenti per ricondurre i
propri enti a una corretta gestione  dei  fattori  produttivi,  nella
prospettiva  del  riequilibrio  costi-ricavi  e  nel  rispetto  della
programmazione regionale. 
    Inoltre, le norme censurate hanno riguardo alle cure  prestate  e
ai loro volumi, qualita'  ed  esiti,  e  dunque  mirano  a  garantire
l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza  in  condizioni  di
efficacia, efficienza, appropriatezza e qualita',  sicche'  risultano
«anche, e  soprattutto»,  espressione  della  competenza  legislativa
statale esclusiva di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),
Cost. 
    2.1.2.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  svolge  poi
alcune deduzioni sulla specifica situazione dell'Azienda  ospedaliera
di  Padova,  richiamata  dalla  difesa  regionale.  Tale  situazione,
diversamente da quanto sostenuto da  parte  ricorrente,  non  sarebbe
imputabile «alle tariffe nazionali che remunerano i DRG dei trapianti
trattati in  misura  non  adeguata».  L'azienda  sarebbe  attualmente
remunerata in base a tariffe regionali, piu' alte di  quelle  massime
nazionali,  e  ciononostante  registrerebbe  comunque  un  «disavanzo
strutturale» di 25 milioni di euro all'anno. Qualora,  come  previsto
nella metodologia ministeriale (di cui oltre), fossero  applicate  le
tariffe massime nazionali e, inoltre, il  valore  massimo  consentito
per la remunerazione delle  funzioni  (a  norma  dell'art.  8-sexies,
comma 1-bis, del d.lgs. n.  502  del  1992),  in  luogo  dell'attuale
contributo della Regione in conto di esercizio  (iscritto  nel  conto
economico tra i ricavi), il disavanzo da ripianare (da intendere come
«disavanzo gestionale» e non civilistico) sarebbe pari a  15  milioni
di euro all'anno. 
    2.1.3.- La difesa statale prosegue con alcuni  rilievi  circa  lo
schema di decreto ministeriale, attuativo del censurato art. 1, comma
526, della legge n. 208 del 2015, che riferisce essere  in  corso  di
esame. 
    Lo schema prevede la possibilita' di piani di rientro con  durata
piu'  che  triennale  (salva  in  tal   caso   l'evidenziazione   dei
finanziamenti regionali aggiuntivi per la copertura della perdita non
ripianata),  nonche'  obiettivi  «consigliati»   e   articolati   per
scaglioni, in base all'incidenza percentuale  dello  scostamento  dei
costi rispetto ai ricavi. I conseguenti risparmi, a  norma  dell'art.
30 del d.lgs. n. 118 del 2011, resteranno  nell'ambito  del  Servizio
sanitario regionale. Ben lungi dall'essere arbitraria, la metodologia
di  valutazione  dei  costi  e  dei  ricavi  si  basa   su   evidenze
quantitative  derivanti  dai   flussi   nazionali   di   informazioni
gestionali ed economico-finanziarie e  provvede  ad  omogeneizzare  i
sistemi  di  remunerazione  adottati,  sterilizzando  le   differenze
dipendenti dalle politiche regionali e  prendendo  a  riferimento  le
tariffe nazionali (di cui al decreto ministeriale  18  ottobre  2012,
«Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti,
assistenza ospedaliera  di  riabilitazione  e  di  lungodegenza  post
acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale»), nonche' la gia'
citata percentuale massima di finanziamento a funzione. 
    Intanto, la  «Commissione  permanente  tariffe»  (costituita  con
decreto del Ministero della salute 18 gennaio 2016) prosegue, a norma
dell'art. 9 del Patto per la salute 2014-2016,  i  propri  lavori  in
merito ai criteri  per  l'individuazione  della  remunerazione  delle
funzioni assistenziali e delle classi tariffarie. Inoltre, attraverso
la futura revisione dei modelli economici vigenti, si dara'  evidenza
alle diversita' delle  forme  di  finanziamento  (da  produzione,  da
finanziamento  a  funzione,  da  entrate  proprie,  da  finanziamento
aggiuntivi regionali per la  copertura  programmata  del  disavanzo),
aggiornando gli  schemi  di  bilancio  civilistico  e  i  modelli  di
rilevazione dei costi. 
    L'emanando decreto prevede la  possibilita'  per  le  Regioni  di
sottoporre al Ministero della salute documentazione, ed eventualmente
provvedimenti,  che  consentano  di  tenere  conto  di   specificita'
regionali nella remunerazione di alcune  prestazioni,  nonche'  delle
eventuali modifiche ai sistemi di remunerazione  avvenute  nel  2015.
Solo dopo la  chiusura  del  confronto  tecnico  e  dell'istruttoria,
potranno considerarsi definiti i criteri per  l'individuazione  delle
singole aziende da sottoporre a piani di rientro. 
    2.1.4.- Con  riguardo  alla  doglianza  (che  la  difesa  statale
ritiene  riferita  in  particolare  al  comma  536)   relativa   alla
previsione del solo parere da parte della  Conferenza  Stato-Regioni,
in luogo  dell'intesa,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
osserva che, benche'  sia  quasi  sistematica  la  previsione,  nella
legislazione statale, di «intese "deboli"», anche  i  riferimenti  ai
pareri sono numerosi, e ne fa alcuni esempi. 
    La giurisprudenza  costituzionale,  dal  canto  proprio,  avrebbe
affermato che  l'esercizio  dell'attivita'  legislativa  sfugge  alle
procedure  di  leale  collaborazione,  quando  non   e'   la   stessa
Costituzione a imporne, direttamente o indirettamente,  l'osservanza;
e, dunque, avrebbe ricollegato alla volonta' della legge  statale  la
previsione di eventuali forme di cooperazione, per l'approvazione  di
atti  amministrativi.  Il  principio  di  leale  collaborazione   non
richiederebbe specifici strumenti, costituzionalmente  vincolati,  di
concretizzazione,  per  cui  e'  rimessa  alla  discrezionalita'  del
legislatore la scelta delle regole di coinvolgimento  delle  Regioni.
Nella materia sanitaria, con precipuo riguardo alla remunerazione per
l'erogazione  di  farmaci,  rientrante  nei  livelli  essenziali   di
assistenza, la Corte ha altresi' rilevato  intrecci  con  le  materie
dell'«ordinamento  civile»  (art.  117,  secondo  comma,  lettera  l,
Cost.), della  «tutela  della  salute»  e  del  «coordinamento  della
finanza pubblica» (art. 117, terzo  comma,  Cost.)  e,  pertanto,  ha
ritenuto necessario il coinvolgimento delle Regioni. 
    A questi fini, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri,
spesso sono state ritenute adeguate «forme "deboli" di  negoziazione,
in  specie  di  pareri  o  intese  da   raggiungere   in   Conferenza
Stato-regioni, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997»: sono
citate, al riguardo, la sentenza n. 31 del 2005, nonche' la  sentenza
n. 278 del 2010, nella quale il parere e' stato giudicato sufficiente
per l'elevato coefficiente tecnico  che  caratterizzava  la  funzione
amministrativa allora in questione. 
    Nel caso odierno, la metodologia  di  cui  all'adottando  decreto
ministeriale si fonda sull'art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 e
sul decreto ministeriale 2 aprile 2015, n.  70  (Regolamento  recante
definizione degli standard qualitativi,  strutturali,  tecnologici  e
quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera), concordato con  le
Regioni; mentre i parametri di riferimento per  volumi,  qualita'  ed
esiti sono gia' indicati nell'ambito del «Programma Nazionale Esiti»,
elaborato dall'Agenzia Nazionale per  i  Servizi  Sanitari  Regionali
(organo tecnico che opera sulla base degli indirizzi della Conferenza
unificata, ai sensi dell'art. 9, comma  2,  lettera  g,  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, «Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento   e   Bolzano   ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse  comune  delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'
ed autonomie locali», e al quale  sono  stati  conferiti  compiti  di
supporto tecnico-operativo delle politiche  sanitarie  condivise  tra
Stato e Regioni). 
    Ne' sarebbe generico il concetto  di  «significativo  scostamento
tra costi e ricavi», enunciato nel censurato comma 535  con  riguardo
alle aziende sanitarie locali  e  ai  presidi  da  esse  direttamente
gestiti: l'emanando decreto ministeriale avra' la funzione di rendere
applicabili anche a questi enti le previsioni dei commi  524  e  525,
sicche' vi e' un'evidente correlazione con i parametri previsti nelle
disposizioni teste' citate. 
    2.2.- In merito ai commi 553 e 555, la cifra di  800  milioni  di
euro, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno  sanitario,  non
sarebbe affatto arbitraria o frutto di un'istruttoria difettosa. 
    2.2.1.-   Al   contrario,   con   riguardo    alle    prestazioni
specialistiche ambulatoriali, sarebbe stata compiuta una  valutazione
dell'impatto sulla base dei dati relativi  alle  prestazioni  incluse
nei nomenclatori  regionali,  «come  risultano  dal  sistema  Tessera
Sanitaria  anno  2014»,  previa  richiesta  alle   Regioni   per   la
«transcodifica» delle prestazioni stesse rispetto agli elenchi di cui
al nomenclatore nazionale vigente e allo schema di quello  nuovo  (da
allegare all'adottando  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri di aggiornamento  dei  livelli  essenziali  di  assistenza).
Quasi tutte le Regioni hanno fornito i dati  necessari.  Per  contro,
dopo  l'emanazione  del  decreto   ministeriale   9   dicembre   2015
(Condizioni  di  erogabilita'   e   indicazioni   di   appropriatezza
prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale  erogabili
nell'ambito  del  Servizio  sanitario  nazionale)  e  il  susseguente
dibattito,  non   e'   stato   quantificato   il   risparmio   atteso
dall'applicazione  delle   condizioni   di   erogabilita'   e   delle
prescrizioni di adeguatezza  delle  nuove  prestazioni  inserite  nel
nuovo nomenclatore. Questa attivita' istruttoria e decisoria ha avuto
luogo dopo l'audizione parlamentare menzionata dalla Regione Veneto. 
    Pure con  riguardo  all'assistenza  ospedaliera,  la  valutazione
fatta nel febbraio 2015, sui dati  del  2013,  e'  stata  in  seguito
rideterminata  in  base  ai  nuovi  dati  disponibili  per  il  2014,
frattanto consolidati. 
    2.2.2.- In ogni caso, a norma dell'art. 1, comma 554, della legge
n. 208 del 2015, lo schema di decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e'
adottato previa intesa con la Conferenza  Stato-Regioni,  assicurando
dunque il pieno coinvolgimento delle autonomie territoriali. 
    Inoltre, gia' il Patto per la salute 2014-2016 prevedeva  che  la
revisione dei livelli essenziali avvenisse nell'ambito della  cornice
finanziaria programmata. L'importo di  800  milioni  di  euro  e'  il
limite massimo di  spesa  derivante  dall'aggiornamento  dei  livelli
essenziali. Il previsto decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri dovra' essere adottato previa puntuale verifica  dei  costi,
nonche'  degli   ulteriori   risparmi   attesi   da   interventi   di
razionalizzazione. 
    2.3.- Infine, a proposito della quantificazione del finanziamento
del servizio sanitario nazionale per l'anno 2016, fissato in  111.000
milioni di euro, tale valore rappresenterebbe un incremento di  circa
l'1,2 per cento rispetto a quello fissato  per  l'anno  precedente  e
invertirebbe  la  tendenza  alla  riduzione  operata  nell'anno  2015
rispetto al 2014. 
    La rideterminazione per  il  2016  e'  avvenuta  in  applicazione
dell'art. 46, comma 6,  del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66
(Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89,  e
dell'art. 1, comma 398, della legge n. 190 del 2014,  disposizioni  a
loro volta poste a fondamento  del  Patto  per  la  salute  2014-2016
(artt. 1 e 30) e dell'intesa del 2 luglio 2015 (punto «G»). 
    Inoltre, soggiunge la difesa statale, sebbene per la prima  volta
la legge di stabilita' 2016 non quantifichi  gli  effetti  finanziari
delle «misure  di  governance»  introdotte,  comunque  queste  misure
concorrono   a   rendere   sostenibile   la   rideterminazione    del
finanziamento (in riduzione rispetto al Patto per  la  salute  ma  in
aumento rispetto all'anno precedente), con l'espressa indicazione che
le Regioni possono sostituire le misure stesse con altre, di  impatto
finanziario equivalente. 
    3.- In data 31 maggio 2017, la Regione Veneto ha  depositato  una
memoria, con allegati, con cui  insiste  nelle  proprie  conclusioni.
Insieme alla memoria sono stati depositati, tra l'altro,  i  messaggi
di  posta  elettronica  con  cui  la  ricorrente  ha   chiesto   alla
controparte l'assenso al deposito tardivo  e  la  difesa  statale  ha
comunicato il proprio assenso. 
    4.- Alla pubblica udienza del 20 giugno 2017, anche in risposta a
domande  del  relatore,  le   parti   hanno   ribadito   le   proprie
argomentazioni e fornito informazioni aggiuntive, in  particolare  in
merito ai piani aziendali di rientro. 
    4.1.- Questi istituti, secondo  la  parte  ricorrente,  sarebbero
frutto di scelte di revisione della spesa orientate principalmente  a
conseguire risultati in termini di performance delle singole aziende,
ma insensibili alle particolari esigenze  della  politica  sanitaria,
che risponde anche ad ulteriori interessi pubblici. 
    Diversamente da quanto dedotto dalla difesa statale, gli istituti
in esame non costituirebbero attuazione del punto  «J»,  lettera  a),
dell'intesa del 2 luglio 2015, che si limita a riportare che Stato  e
Regioni condividono la necessita' di introdurre misure  per  favorire
l'«efficientamento  del  sistema»,  tra   cui   «riorganizzazione   e
ripensamento  del  sistema  aziendale  pubblico  in  una  logica   di
valutazione  e  miglioramento  della  produttivita',   intesa   quale
rapporto tra il valore prodotto (in termini quantitativi e economici)
ed  i  fattori  produttivi  utilizzati  (in  termini  quantitativi  e
economici)». Nulla e'  previsto  specificamente  in  merito  a  piani
aziendali di rientro o all'estesa normativa poi approvata dallo Stato
e oggetto di censura. 
    La ricorrente non contesta il principio (di cui all'art. 4, comma
8, del d.lgs. n. 502 del 1992) secondo  cui  le  aziende  ospedaliere
devono evitare «ingiustificati disavanzi di gestione», ne'  mette  in
dubbio la legittima applicabilita'  delle  norme  in  questione  alle
Regioni sottoposte a piano di rientro; ma contesta le norme stesse in
quanto pretendono di applicarsi anche a una Regione, come il  Veneto,
il cui  sistema  sanitario  assicura  sia  il  rispetto  dei  livelli
essenziali di assistenza, sia il complessivo equilibrio  economico  e
finanziario. 
    In merito all'Azienda ospedaliera di Padova, la Regione riferisce
che, dopo l'emanazione  del  decreto  ministeriale  21  giugno  2016,
recante «Piani di cui all'articolo  1,  comma  528,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, per le aziende ospedaliere  (AO),  le  aziende
ospedaliere universitarie (AOU), gli istituti di ricovero  e  cura  a
carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici», e'
stata avviata un'interlocuzione con il  Ministero  della  salute,  in
esito alla quale si e' acclarato che l'Azienda  non  e'  obbligata  a
presentare  un  piano  di  rientro  per  l'anno  2016.  La  verifica,
tuttavia, dovrebbe essere rinnovata in  futuro,  con  esiti  incerti.
Parimenti   incerti   sarebbero   gli   scenari   che   deriverebbero
dall'applicazione  delle  norme  in  questione   (segnatamente,   dei
censurati commi 535 e 536) alle aziende sanitarie locali e ai presidi
da esse direttamente gestiti. La  Regione  Veneto  teme  di  trovarsi
costretta ad assoggettare a piano di rientro anche quei  presidi  che
essendo ubicati in zone montuose,  a  bassa  densita'  demografica  o
insulari, difficilmente rispondono a criteri di efficienza economica,
ma sono necessari per assicurare un servizio capillare sul territorio
e  che,  peraltro,  sono  gia'   stati   sottoposti   a   misure   di
riorganizzazione coerenti con il d.m. n.  70  del  2015.  La  Regione
sottolinea inoltre che, come  riconosciuto  dalla  stessa  Avvocatura
generale   dello   Stato,   gli   ipotetici   risparmi    conseguenti
all'applicazione   dei   piani   di   rientro   resterebbero    nella
disponibilita' della Regione, ma  quest'ultima  si  troverebbe  nella
condizione paradossale di liberare risorse dagli ambiti  territoriali
di cui si e' detto, senza poterle reinvestire negli stessi presidi. 
    Da ultimo, la Regione osserva che l'applicazione delle norme  sui
piani aziendali di  rientro  comporta  a  sua  volta  dei  costi  per
l'amministrazione sanitaria: essendo insufficiente la  collaborazione
dell'Agenzia nazionale per i  servizi  sanitari  regionali  (AGENAS),
potrebbe infatti essere necessario rivolgersi a societa' di revisione
private. 
    In  merito  all'aggiornamento  dei   livelli   essenziali   delle
prestazioni, la Regione ribadisce  che  la  dialettica  tra  Stato  e
Regioni non puo' derogare il censurato limite di 800 milioni di euro,
di cui all'art. 1, comma 553, della legge n.  208  del  2015  e  che,
comunque, queste  non  sono  risorse  aggiuntive  rispetto  a  quelle
stanziate a titolo di concorso dello Stato  al  fabbisogno  sanitario
nazionale standard. A quest'ultimo proposito, la ricorrente ribadisce
che il valore di tale concorso e' stato ridotto unilateralmente dallo
Stato, in violazione dell'art. 30 del Patto per la salute 2014-2016. 
    4.2.- La difesa statale, convenendo con la controparte sul  fatto
che la normativa sui piani aziendali  di  rientro  ha  origine  negli
sforzi di revisione della spesa,  riferisce  alcuni  dati  sulla  sua
attuazione. 
    Per quanto riguarda le fattispecie di cui all'art. 1, comma  524,
della legge n. 208 del 2015, nove Regioni hanno individuato  enti  da
assoggettare a piani di rientro, in un numero totale di 33. Tre piani
aziendali  sono  stati   effettivamente   approvati   dalle   Regioni
Emilia-Romagna, Basilicata e  Sardegna,  benche'  queste  ultime  non
siano a propria volta soggette a piani di rientro o commissariamenti.
Lo stesso Veneto ha provveduto a un'istruttoria, in esito alla  quale
ha  escluso  di  dover  sottoporre  alcuna  delle   proprie   aziende
ospedaliere a piano di rientro. 
    Per quanto riguarda le fattispecie di cui all'art. 1, comma  535,
della legge n. 208 del 2015, l'adozione dei decreti  ministeriali  di
cui al comma 536 procede piu' a rilento del previsto: in particolare,
e' atteso l'assenso degli uffici del Ministero dell'economia e  delle
finanze sugli aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei  costi  dei
presidi  ospedalieri  a  gestione  diretta  delle  aziende  sanitarie
locali. 
    L'art. 1, comma 579, della legge n.  208  del  2015  prevede  che
«[i]l  Ministero  della  salute,  di  concerto   con   il   Ministero
dell'economia e delle finanze, avvalendosi dell'Agenzia nazionale per
i servizi sanitari regionali (AGENAS), assicura, su  richiesta  della
regione interessata, senza nuovi o  maggiori  oneri  a  carico  della
finanza pubblica, il necessario supporto agli  enti  interessati  dai
piani di rientro di cui ai commi da 528 a 536 e mette a disposizione,
ove necessario, strumenti operativi per la presentazione del piano ed
il perseguimento dei suoi obiettivi, nonche' per l'affiancamento,  da
parte dell'AGENAS con oneri a  carico  del  bilancio  della  medesima
Agenzia, degli enti del Servizio sanitario  nazionale  per  tutta  la
durata dei piani di rientro [...]». Per azioni finalizzate  all'avvio
delle attivita' di affiancamento,  l'AGENAS  avrebbe  gia'  sostenuto
spese complessivamente superiori a 1 milione e 800  mila  euro:  cio'
comprova quanto lo Stato,  lungi  dal  limitarsi  a  imposizioni  nei
confronti delle Regioni, si impegni ad  assisterle  nei  processi  di
riorganizzazione. 
    In merito ai censurati commi 553 e 555, la difesa statale  si  e'
riportata agli argomenti gia' svolti, mentre in merito al  comma  568
ha rilevato, oltre all'infondatezza, l'inammissibilita' dei motivi di
parte ricorrente, per le modalita' della loro formulazione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Veneto ha  impugnato  diverse  parti  dell'art.  1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)», tra cui i commi da 524 a 529 e da 531 a  536,  per
violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119
e  123  della  Costituzione,   nonche'   del   principio   di   leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi  553  e  555,
per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo,  terzo  e  quarto
comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione  di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1,  lettera  g),
della legge costituzionale 20 aprile 2012,  n.  1  (Introduzione  del
principio del pareggio di bilancio  nella  Carta  costituzionale),  e
dell'art. 11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243  (Disposizioni  per
l'attuazione  del  principio  del  pareggio  di  bilancio  ai   sensi
dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione); il comma 568, per
violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119
Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli  artt.  5  e
120 Cost., nonche' dell'art. 5, comma  1,  lettera  g),  della  legge
cost. n. 1 del 2012 e dell'art. 11 della legge n. 243 del 2012. 
    1.1.-  Preliminarmente,  riservate  a  separate  trattazioni   le
questioni promosse in riferimento ad altri commi della legge  n.  208
del 2015, occorre rilevare la  tardivita'  della  memoria  depositata
dalla ricorrente il 31 maggio 2017. Il termine previsto nell'art.  10
delle  norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale  (sia  nella  versione  originaria,  sia   in   quella
attualmente in vigore, approvata  il  7  ottobre  2008)  e'  posto  a
presidio non solo del contraddittorio, ma anche dell'ordinato  lavoro
della Corte. Pertanto, esso ha carattere perentorio e  non  e'  nella
disponibilita' delle parti, come e' comprovato dal controllo che  sul
suo rispetto viene svolto, d'ufficio,  dalla  Cancelleria  (art.  10,
comma 2, delle norme integrative vigenti). 
    2.- I commi da 524 a 529 e da 531 a 536 della legge  n.  208  del
2015 introducono nell'ordinamento l'istituto dei piani di rientro per
le  singole  aziende  sanitarie  che  si   trovino   in   determinate
condizioni. 
    Nella versione originaria, vigente al  momento  del  ricorso,  le
disposizioni in  esame  riguardano,  in  prima  battuta,  le  aziende
ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie,  gli  istituti  di
ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e  tutti  gli  altri
enti pubblici che eseguono prestazioni di ricovero e cura (tranne  le
aziende sanitarie locali e i presidi da esse gestiti): ogni  anno  le
Regioni (attraverso le Giunte) individuano, tra questi  enti,  quelli
per i quali ricorre uno scostamento tra costi e ricavi  superiore  al
10 per cento o a 10 milioni di euro, oppure il mancato  rispetto  dei
parametri relativi a volumi, qualita'  ed  esiti  delle  cure  (comma
524). Un decreto del  Ministro  della  salute,  di  concerto  con  il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sentita  la   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome  (di  seguito,  Conferenza  Stato-Regioni),   definisce   la
metodologia per la  determinazione  dello  scostamento  tra  costi  e
ricavi, i parametri relativi a volumi, qualita' ed esiti delle  cure,
nonche' le linee guida per la redazione dei piani di  rientro  (comma
526). 
    Gli enti sanitari cosi' individuati propongono entro 90 giorni, e
le Regioni  approvano  (con  provvedimento  della  Giunta)  entro  30
giorni, un piano di rientro di durata non superiore a tre  anni,  che
definisca  le  misure  per  il  raggiungimento  dell'equilibrio,   il
miglioramento della qualita' delle cure o l'adeguamento  dell'offerta
(commi 528 e 529). I piani sono vincolanti per gli enti interessati e
possono comportare variazioni di  atti  gia'  adottati  dagli  stessi
enti, compresi gli atti di programmazione e pianificazione  aziendale
(comma 532). 
    Ai sensi del  comma  533,  la  Regione  verifica  trimestralmente
l'adozione e la realizzazione delle misure previste nel piano  e,  in
caso di esito positivo, puo'  anticipare  all'ente  una  quota  parte
delle risorse appositamente  iscritte  nel  bilancio  della  Gestione
sanitaria accentrata (che la Regione, se non  aveva  gia'  scelto  di
farlo, e' obbligata a istituire, ai sensi del comma 531), mentre,  in
caso di esito negativo, deve adottare misure per la  riconduzione  in
equilibrio della gestione. La Regione verifica altresi' alla fine  di
ciascun esercizio, e rende pubblici, i  risultati  dei  singoli  enti
raffrontati agli obiettivi del piano di rientro (ancora comma 533). 
    I contratti dei direttori generali, anche in essere, prevedono la
decadenza  automatica  se  i   direttori   generali   non   adempiono
all'obbligo di presentare il piano di rientro,  oppure  se  ha  esito
negativo la verifica annuale (comma 534). 
    Il comma 525 detta norme transitorie, in  materia  di  termini  e
dati  utilizzabili,  volte  a  consentire  l'applicazione  di  questa
disciplina gia' nell'anno 2016. 
    Il comma 535 prevede che,  dal  2017,  la  stessa  disciplina  si
applichi alle aziende sanitarie locali e ai presidi da  esse  gestiti
(nonche' ad altri enti pubblici che eroghino prestazioni di  ricovero
e cura,  individuati  da  leggi  regionali)  i  quali  presentino  un
significativo scostamento tra costi e ricoveri o il mancato  rispetto
dei parametri relativi a volumi, qualita'  ed  esiti:  criteri,  dati
rilevanti, modalita' di calcolo e parametri di riferimento a tal fine
sono definiti con un ulteriore decreto  emanato  dal  Ministro  della
salute, di concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze,
sentita la Conferenza Stato-Regioni (comma 536, primo periodo). 
    E' altresi' previsto (comma 527) un aggiornamento degli schemi di
bilancio (di cui all'art. 34 del decreto legislativo 23 giugno  2011,
n. 118,  recante  «Disposizioni  in  materia  di  armonizzazione  dei
sistemi contabili e degli schemi di  bilancio  delle  Regioni,  degli
enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2  della
legge 5 maggio 2009, n. 42») e dei modelli di rilevazione  dei  costi
dei presidi  gestiti  direttamente  dalle  Aziende  sanitarie  locali
(comma 536, secondo  periodo)  per  dare  evidenza  ai  risultati  di
gestione rilevanti ai fini della normativa in questione.  A  cio'  si
provvede con ulteriori decreti emanati dal Ministro della salute,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con
la Conferenza Stato-Regioni. 
    3.- Avverso queste disposizioni, la Regione  Veneto  solleva  tre
ordini  di  questioni,  differenti  sia  per  l'oggetto,  sia  per  i
parametri evocati. 
    3.1.- Prima di esaminare le singole questioni, tuttavia,  occorre
rilevare  come,   nel   formularle,   la   ricorrente   -   terminata
l'esposizione dei motivi di censura - evochi in modo  cumulativo  una
pluralita' di norme costituzionali, senza motivare esplicitamente  le
ragioni  di  asserito  contrasto  tra  le  disposizioni  impugnate  e
ciascuno dei singoli parametri (sentenze n. 244 del 2016 e n. 251 del
2015), alcuni dei quali dotati  di  particolare  ampiezza  espressiva
(sentenza n. 239 del 2016). Uno stile siffatto, al contempo pletorico
e contratto nell'evocazione dei parametri, richiede a questa Corte di
ricostruire  analiticamente  gli  esatti  lineamenti   giuridici   di
ciascuna delle questioni promosse. Nondimeno, poiche' in questo  caso
tali lineamenti sono comunque  evincibili,  nei  termini  esposti  di
seguito,  questa  modalita'  espositiva,  seppure   non   del   tutto
perspicua, non causa di per se' l'inammissibilita' delle questioni. 
    3.2.- Venendo ora alle singole censure, i commi da 524 a 529 e da
531 a 536, nell'insieme, in quanto si applicano  anche  alle  Regioni
non soggette a piano di rientro, violerebbero gli artt. 3,  32  e  97
della Costituzione per difetto di proporzionalita' -  con  ridondanza
sulle attribuzioni regionali in materia sanitaria - e gli artt.  117,
terzo e quarto  comma,  118  e  119  Cost.,  in  quanto  non  sarebbe
legittimo lo scopo perseguito, per l'assenza dei presupposti  che  in
passato hanno giustificato l'imposizione dei piani  di  rientro  alle
Regioni;  non   sussisterebbe   alcuna   connessione   razionale,   o
necessita',  rispetto  a  obiettivi  di   efficienza   della   spesa;
difetterebbero i requisiti costituzionalmente necessari per le  norme
statali di coordinamento della finanza pubblica  e,  in  particolare,
l'attitudine di esse a porre un limite complessivo alla  spesa  delle
Regioni, lasciando a queste ultime  liberta'  di  allocazione  fra  i
diversi ambiti e obiettivi di spesa. 
    3.3.- I commi 526  e  536  violerebbero  il  principio  di  leale
collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nella parte  in  cui
prevedono che i decreti  ministeriali  di  attuazione  sono  adottati
sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziche' previa intesa  in  seno
alla stessa. 
    3.4.- I commi 524, 525 e 529 violerebbero gli artt.  117,  quarto
comma, e 123 Cost., nella parte in cui prevedono che un provvedimento
della Giunta regionale individui gli enti da sottoporre  a  piani  di
rientro  e  approvi  i  piani  stessi,  in  quanto   l'individuazione
dell'organo  titolare  di  una  determinata  funzione  amministrativa
rientrerebbe    nella    normativa     di     dettaglio     attinente
all'organizzazione interna della Regione. 
    4.- Le questioni sollevate in relazione agli artt.  3,  32  e  97
Cost., sull'art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536, della legge n.
208 del 2015 sono inammissibili per insufficienza e genericita' della
motivazione. 
    La Regione non adduce argomenti sufficienti a illustrare  perche'
gli eventuali processi di riorganizzazione (oltre  che  imposti  alla
Regione,  e  non  da  questa  autonomamente  determinati)   sarebbero
altresi' irrazionali o tali da compromettere il  buon  andamento  dei
servizi sanitari e la loro  capacita'  di  tutelare  la  salute.  Non
bastano, allo scopo, ne' il riferimento ai risultati  gia'  raggiunti
dal Servizio sanitario regionale nel complesso, che non escludono  di
per  se'  la  persistenza  di  margini  di  ulteriore   miglioramento
dell'efficienza; ne' deduzioni del tutto aneddotiche  ed  esplorative
su singole strutture, che la  stessa  ricorrente  ignora  se  e  come
potrebbero essere interessate, in futuro, da riorganizzazioni.  Sotto
questo profilo, il ricorso si presenta lacunoso e  generico:  dunque,
carente di quelle argomentazioni sul merito delle censure,  le  quali
sono necessarie, nei giudizi di legittimita'  costituzionale  in  via
principale, in termini ancora piu' stringenti che nei giudizi in  via
incidentale (fra le tante, vedi sentenze n. 273 del 2016, n. 233,  n.
218, n. 153 e n. 142 del 2015), a maggior ragione quando  si  denunci
la violazione di parametri costituzionali estranei al Titolo V  della
Parte seconda della Costituzione, della quale occorre  che  la  parte
ricorrente dimostri, e questa Corte verifichi,  la  ridondanza  sulle
attribuzioni regionali. 
    5.- Prima di esaminare  nel  merito  le  altre  censure,  occorre
illustrare  alcune  vicende  normative,  riguardanti  le   norme   in
questione, intervenute dopo il ricorso. 
    5.1.- Le norme sono state modificate dall'art.  1,  commi  390  e
391, della legge 11 dicembre 2016, n.  232  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019). 
    Il comma 390, «[a]l  fine  di  migliorare  le  performance  e  di
perseguire l'efficienza dei  fattori  produttivi  e  dell'allocazione
delle risorse delle aziende ospedaliere,  delle  aziende  ospedaliere
universitarie,  degli  Istituti  di  ricovero  e  cura  a   carattere
scientifico  pubblici  o  degli  altri  enti  pubblici  che   erogano
prestazioni di ricovero e cura», ha sostituito,  nell'art.  1,  comma
524, lettera a), della legge n. 208 del 2015,  alle  parole  «pari  o
superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto,
pari ad almeno 10 milioni di euro», le parole «pari o superiore al  7
per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad  almeno
7 milioni di euro». 
    Il comma 391 ha previsto che «[l]e disposizioni di cui  ai  commi
da 524 a 536 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si
applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di
Trento e di Bolzano, che provvedono  al  finanziamento  del  servizio
sanitario   esclusivamente   con   risorse   dei   propri    bilanci,
compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi  statuti  e  delle
conseguenti norme di attuazione». 
    Nessuna di queste modifiche incide sull'oggetto del giudizio.  In
particolare, e' da escludere,  in  conformita'  a  principi  pacifici
(sentenze n. 141, n. 65 e n. 40 del 2016, nonche' n. 239  del  2015),
che l'esame di questa Corte possa essere esteso al comma 524, lettera
a), della legge n. 208 del 2015 nel  testo  modificato  dall'art.  1,
comma 390, della legge n. 232 del 2006, in quanto il citato  art.  1,
comma 390, e' stato oggetto di specifica impugnazione da parte  della
stessa Regione Veneto con distinto ricorso (r.r. n. 19 del 2017). 
    5.2.- Inoltre, e' stato emanato dal  Ministro  della  salute,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il decreto in
data 21 giugno 2016, recante «Piani di cui all'articolo 1, comma 528,
della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  per  le  aziende  ospedaliere
(AO), le aziende ospedaliere universitarie  (AOU),  gli  istituti  di
ricovero e cura a carattere scientifico pubblici (IRCCS) o gli  altri
enti   pubblici»,   previo   parere   favorevole   della   Conferenza
Stato-Regioni in data 21 aprile 2016. Come risulta dalle premesse del
parere, in precedenza  erano  state  diramate  altre  versioni  dello
schema di decreto ministeriale, oggetto di richieste di  modifica  da
parte delle Regioni. 
    Il decreto, articolato in tre parti,  stabilisce  le  metodologie
per individuare i costi e i ricavi di  ciascuna  azienda  ospedaliera
(anche universitaria) o IRCCS, al fine di verificare  l'esistenza  di
uno scostamento rilevante, ai sensi dell'art. 1, comma  524,  lettera
a), della legge n. 208 del 2015; determina gli ambiti e  i  parametri
per la valutazione di volumi, esiti e qualita' delle cure,  ai  sensi
della lettera b) dello stesso comma 524; definisce le linee guida per
l'elaborazione  dei  piani  di  rientro  per   ciascuna   delle   due
situazioni. 
    6.- Nel merito, occorre  considerare  congiuntamente  le  censure
aventi ad oggetto l'art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536. 
    Sono fondate le questioni aventi ad oggetto l'art. 1, commi 526 e
536, nella parte in cui prevedono  che  i  decreti  ministeriali  ivi
contemplati siano emanati «sentita la  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano», anziche' d'intesa con la stessa Conferenza. 
    Viceversa, non sono fondate le questioni sollevate  in  relazione
alle ulteriori parti dei commi da 524 a 529 e da 531 a 536. 
    La normativa in questione si pone al crocevia di  una  pluralita'
di competenze, ciascuna, a sua volta, connotata da  autonomi  profili
di complessita'. 
    6.1.- Viene in  rilievo,  anzitutto,  l'organizzazione  sanitaria
come componente fondamentale della «tutela della salute» (sentenza n.
54 del 2015), in quanto la  relativa  normativa  traccia  la  cornice
funzionale ed operativa che garantisce la  qualita'  e  l'adeguatezza
delle prestazioni erogate (sentenza n. 207 del 2010). In particolare,
questa Corte (sentenza  n.  124  del  2015)  ha  gia'  ricondotto  ai
principi fondamentali  in  materia  di  «tutela  della  salute»,  tra
l'altro, l'art. 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502  (Riordino  della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a   norma
dell'articolo 1 della legge  23  ottobre  1992,  n.  421),  il  quale
dispone in  merito  al  finanziamento  delle  strutture  che  erogano
assistenza  ospedaliera  e  ambulatoriale  a  carico   del   Servizio
sanitario nazionale, secondo un ammontare determinato  in  base  alle
funzioni assistenziali  e  alle  attivita'  svolte.  Al  citato  art.
8-sexies la normativa in questione fa riferimento sia  letteralmente,
in piu' punti, sia teleologicamente, come e' comprovato,  del  resto,
dal d.m. 21 giugno 2016. 
    In questa materia, la legislazione dello  Stato  deve  esprimersi
attraverso norme di principio,  sicche'  sono  censurabili  le  norme
statali che non lasciano «alcuno spazio di  intervento  alla  Regione
non solo per un'ipotetica legiferazione ulteriore, ma persino per una
normazione secondaria di mera esecuzione» (sentenza n. 207 del 2010).
Tuttavia, in questa stessa materia ha anche trovato  applicazione  il
canone generale, secondo  cui  e'  vincolante  per  le  Regioni  ogni
previsione che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato,  per  la
finalita'  perseguita  si  pone  in  rapporto  di  coessenzialita'  e
necessaria integrazione  con  le  norme-principio  che  connotano  il
settore (sentenze n. 301 del 2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010). 
    6.2.- In secondo luogo, con precipuo  riferimento  all'equilibrio
tra costi e ricavi dell'attivita'  sanitaria,  viene  in  rilievo  la
competenza  legislativa  dello   Stato   in   materia   di   principi
fondamentali per il «coordinamento della finanza pubblica».  In  piu'
occasioni,  misure  riguardanti  la  spesa   sanitaria   e   la   sua
razionalizzazione sono state ricondotte all'ambito del «coordinamento
della finanza pubblica» (ad  esempio,  sentenza  n.  183  del  2016),
singolarmente individuata o unitamente  alla  materia  della  «tutela
della salute» (ad esempio, sentenze n. 125 del  2015  e  n.  289  del
2010). Cio' e' stato riassuntivamente  ricordato  ancora  di  recente
(nella sentenza n. 203 del 2016)  ed  e'  confermato  dalla  costante
giurisprudenza in materia di piani  di  rientro  per  le  Regioni  in
disavanzo (ad esempio, sentenze n. 266 del 2016 e n. 278  del  2014),
benche',  come  correttamente  rilevato   dalla   parte   ricorrente,
sussistano differenze significative  tra  quei  piani  di  rientro  e
quelli oggi in esame. 
    La pertinenza del «coordinamento della finanza pubblica»  non  e'
esclusa dal rilievo  che  il  meccanismo  complessivamente  delineato
dalle norme in questione ha come obiettivo principale  non  tanto  il
contenimento della spesa di per se', ma piuttosto l'incremento  della
sua efficienza, definita e valutata secondo parametri  uniformi,  con
riguardo  alle   singole   strutture.   Infatti,   la   materia   del
«coordinamento della finanza pubblica» non  e'  limitata  alle  norme
aventi lo scopo di limitare la spesa  pubblica,  ma  comprende  anche
quelle  aventi  la  funzione  di  orientarla  verso  una  complessiva
maggiore efficienza (sentenza n. 272 del 2015):  obiettivo  che  puo'
legittimamente  essere  perseguito  anche  stabilendo  indirizzi   di
razionalizzazione rivolti ai singoli enti sanitari, non  soltanto  ai
sistemi regionali nel complesso. 
    I  vincoli  di  coordinamento  finanziario  imposti  dallo  Stato
possono  considerarsi  rispettosi  dell'autonomia  regionale   quando
stabiliscono un limite complessivo che lasci  agli  enti  stessi  una
sufficiente liberta' di  allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi
ambiti e obiettivi di spesa, sempre  purche'  conforme  a  canoni  di
ragionevolezza e proporzionalita' (fra le molte, sentenze n.  64  del
2016, n. 250 del 2015, n. 22  del  2014).  Nondimeno,  la  competenza
statale  puo'  comprendere  anche  l'esercizio  di  poteri  puntuali,
necessari perche' la finalita' che essa persegue venga  concretamente
realizzata,  anche  con  misure  di  ordine  amministrativo,   specie
nell'ambito della regolazione tecnica (sentenze n. 229 e n.  112  del
2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008, n. 376 del 2003). 
    Conviene aggiungere che  proprio  alle  due  competenze  sin  qui
considerate («tutela della salute»  e  «coordinamento  della  finanza
pubblica») sono state ricondotte norme dello Stato che prevedevano la
decadenza  degli  organi  amministrativi  di  vertice  di  aziende  e
amministrazioni sanitarie (sentenze n. 124 del  2015  e  n.  219  del
2013),  in  particolare  come  conseguenza  di   gravi   inadempienze
regionali. 
    6.3.- Inoltre, laddove considerano  «volumi,  qualita'  ed  esiti
delle cure», le norme in  questione  sono  riconducibili  ai  livelli
essenziali  delle  prestazioni,  di  competenza  statale  (art.  117,
secondo comma, lettera m). Le norme impugnate, infatti, contengono un
riferimento implicito, ma  trasparente,  a  quanto  previsto  a  tale
riguardo dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n.  70  (Regolamento
recante  definizione   degli   standard   qualitativi,   strutturali,
tecnologici  e  quantitativi  relativi  all'assistenza  ospedaliera),
adottato a norma dell'art. 1, comma  169,  della  legge  30  dicembre
2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005), che  questa  Corte,
con la sentenza n. 134 del 2006, ha gia' ricollegato alla  competenza
esclusiva statale di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),
Cost. Il collegamento con gli standard dell'assistenza ospedaliera e'
ancor piu' evidente  dalla  lettura  del  d.m.  21  giugno  2016:  in
particolare dell'allegato tecnico b), che  definisce  la  metodologia
per l'individuazione degli ambiti assistenziali e la definizione  dei
parametri di riferimento relativi a volumi, qualita' ed  esiti  delle
cure. 
    Anche dopo la sentenza n. 134 del 2006, si e' ribadito che questa
competenza  si   riferisce   alla   determinazione   degli   standard
strutturali  e  qualitativi  di  prestazioni  che,   concernendo   il
soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti,
con carattere di generalita', a tutti gli aventi diritto; e che essa,
avendo  carattere  trasversale,  e'  idonea  ad  investire  tutte  le
materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve poter  porre
le norme necessarie per assicurare a  tutti,  sull'intero  territorio
nazionale, il godimento di  determinate  prestazioni,  senza  che  la
legislazione regionale possa limitarle o condizionarle  (sentenze  n.
125 del 2015, n. 111 del 2014, n. 207, n. 203 e n. 164 del 2012). 
    La competenza statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost., in linea di massima, concerne la  fissazione  del  livello
strutturale e qualitativo  delle  prestazioni;  solo  in  circostanze
eccezionali,  segnatamente  quando  ricorrano  imperiose   necessita'
sociali, puo' spingersi oltre, ad esempio  legittimando  l'erogazione
di provvidenze ai cittadini o la gestione di sovvenzioni direttamente
da parte dello Stato (sentenze n. 273 e n. 62 del 2013,  n.  203  del
2012, n. 121 e n. 10 del 2010). Dunque,  la  deroga  alla  competenza
legislativa delle Regioni,  in  favore  di  quella  dello  Stato,  e'
ammessa nei limiti necessari ad evitare che, in parti del  territorio
nazionale,  gli  utenti  debbano  assoggettarsi  ad  un   regime   di
assistenza sanitaria inferiore, per quantita' e  qualita',  a  quello
ritenuto intangibile dallo Stato  (sentenza  n.  125  del  2015).  In
questa prospettiva, le norme oggi in esame prevedono la fissazione di
parametri relativi a  volumi,  esiti  e  qualita'  delle  cure  e  ne
prescrivono  il  monitoraggio,   intervenendo   poi   a   imporre   e
disciplinare  gli  interventi  necessari  qualora,   in   determinate
strutture, si registrassero scostamenti significativi. 
    6.4.- Infine, le censure  investono  anche  i  commi  527  e  536
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, i quali (il  comma  536,  in
particolare, al secondo periodo), saldandosi al resto della normativa
qui  in  esame,  prevedono   che   siano   apportati   i   «necessari
aggiornamenti»  ai  modelli  per  la  contabilita'  delle   strutture
sanitarie, al fine di dare evidenza a determinati dati,  in  coerenza
con quanto previsto dall'art. 4, commi 8 e 9,  e  dall'art.  8-sexies
del d.lgs. n. 502 del 1992. Viene dunque  in  rilievo  la  competenza
esclusiva statale in materia di «armonizzazione contabile» (art. 117,
secondo comma, lettera e, Cost.): essa e' connotata da  un  peculiare
carattere polifunzionale, che  risulta  del  tutto  coerente  con  la
rilevata pluralita' degli interessi e delle competenze coinvolte,  ed
esprime particolari esigenze di omogeneita' nei confronti di tutte le
Regioni (sentenze n. 80 e n. 6 del 2017, n. 184 del 2016). 
    6.5.- In conclusione, la normativa  in  questione  tesse  in  una
trama unitaria competenze statali e regionali  eterogenee;  norme  di
principio,  da  un  lato,  e,   dall'altro,   previsioni   e   poteri
strumentali;  la  determinazione  di  standard  di  assistenza  e  la
disciplina degli interventi per i casi  in  cui  gli  standard  siano
sensibilmente disattesi; valutazioni politiche e profili tecnici. 
    In presenza di un  intreccio  cosi'  fitto  e  complesso,  devono
ritenersi  fondate  le  sole  censure  rivolte   specificamente   nei
confronti dei commi 526 e 536, nella parte in cui stabiliscono che  i
decreti  ministeriali  ivi  previsti  siano  adottati   «sentita   la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano», anziche' previa intesa con
la stessa Conferenza. 
    Infatti, in questi casi, il legislatore statale deve  predisporre
adeguati strumenti di coinvolgimento e garanzia delle Regioni, tra  i
quali - tenuto conto anche della tipologia delle funzioni in esame  -
puo' ritenersi sicuramente congruo quello dell'intesa  in  seno  alla
Conferenza Stato-Regioni (da ultimo, sentenze n. 251, n. 21, n.  7  e
n. 1 del 2016). 
    7.- Sono altresi' fondate le censure, per violazione degli  artt.
117, quarto comma  (in  relazione  alla  materia  dell'organizzazione
amministrativa regionale) e 123  Cost.,  rivolte  nei  confronti  dei
commi 524, 525  e  529,  in  quanto  fanno  riferimento  alla  Giunta
regionale come organo competente a individuare gli enti da sottoporre
a piani di rientro e ad approvare i piani stessi. 
    Questa   Corte    ha    ripetutamente    affermato    che    sono
costituzionalmente  illegittime  le  norme  statali   che   indichino
specificamente  l'organo   regionale   titolare   di   una   funzione
amministrativa, trattandosi di normativa attinente all'organizzazione
interna della Regione (sentenze n. 293 e n. 22 del 2012,  n.  95  del
2008 e n. 387 del 2007). Ne' si ravvisano (per  la  verita',  nemmeno
sono  allegate  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato)   ragioni
specifiche che giustifichino la decisione del legislatore statale  di
selezionare l'organo regionale deputato a provvedere  all'adempimento
degli obblighi che lo Stato pone a carico della Regione. 
    I censurati commi devono pertanto dichiararsi  costituzionalmente
illegittimi, nella parte in cui stabiliscono che i provvedimenti  ivi
previsti   siano   adottati   dalla   Giunta   regionale;    trovera'
applicazione, di conseguenza, la ripartizione di competenze stabilita
autonomamente da ciascuna Regione tra i propri organi, in  base  alle
proprie norme statutarie e legislative. 
    8.- Non sono fondate le questioni aventi  ad  oggetto  l'art.  1,
commi 553 e 555, della legge n. 208 del 2015. 
    8.1.- Le disposizioni censurate rientrano  nelle  previsioni  che
l'art. 1 della legge n. 208 del  2015  dedica  all'aggiornamento  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  29  novembre  2001
(Definizione dei livelli essenziali di assistenza). 
    8.2.- In attuazione dell'art. 1, comma 3, del Patto per la salute
2010-2014 («Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge  5
giugno 2003, n. 131,  tra  il  Governo,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano concernente il  nuovo  Patto  per  la
salute  per   gli   anni   2014-2016»,   sancita   dalla   Conferenza
Stato-Regioni nella seduta del 10 luglio 2014)  e  nel  rispetto  dei
vincoli finanziari posti nella precedente manovra finanziaria e nelle
relative  intese  attuative,   il   censurato   comma   553   prevede
l'aggiornamento dei livelli essenziali dell'assistenza sanitaria  «in
misura non superiore a 800 milioni di euro annui». Ai sensi del comma
555, pure censurato, per l'anno 2016 un importo  di  800  milioni  di
euro e' «finalizzato» all'attuazione del comma 553, «a  valere  sulla
quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale, di  cui
all'articolo 26 del  decreto  legislativo  6  maggio  2011,  n.  68»;
l'erogazione  di  questa  quota  e'  condizionata  all'adozione   del
provvedimento di aggiornamento dei livelli essenziali.  La  relazione
tecnica all'originario disegno di legge (XVII  Legislatura,  A.S.  n.
2111) esplicita (pag. 161) che la funzione di questo meccanismo e' di
«rendere stringente» l'esigenza di aggiornamento. 
    Nello stesso art. 1 della legge n. 208 del  2015,  il  comma  554
disciplina la procedura per l'aggiornamento  dei  livelli  essenziali
dell'assistenza  sanitaria,  richiedendo,  tra  l'altro,  una  previa
intesa con la Conferenza Stato-Regioni; mentre i commi 556 e seguenti
dettano norme ulteriori sui futuri aggiornamenti. 
    In applicazione dei predetti  commi  553  e  554,  e'  stato,  in
effetti,  adottato  il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 12 gennaio 2017 (Definizione  e  aggiornamento  dei  livelli
essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), previa intesa  «sancita  dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 7 settembre
2016». 
    8.3.- Avverso i censurati commi 553 e 555, la  ricorrente  deduce
due ordini di censure. 
    8.3.1.- In primo luogo, sarebbero violati gli artt. 3,  32  e  97
Cost.   per   irragionevolezza   e   difetto   di    istruttoria    e
proporzionalita'  -  con  ridondanza  sulle  competenze  legislative,
amministrative e finanziaria  regionali  -  nonche'  gli  artt.  117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.,  e  il  principio  di
leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Tali  violazioni  sono  denunciate  sotto  i  seguenti   profili:
innanzitutto, sarebbe mancata una preventiva intesa, in contrasto con
quanto previsto all'art. 10,  comma  7,  dell'intesa  sul  richiamato
Patto per la salute 2014-2016; in secondo luogo,  il  valore  di  800
milioni di euro sarebbe inferiore a quello, pari  a  900  milioni  di
euro, dichiarato congruo dal Ministro della  salute  in  un'audizione
parlamentare in  data  2  ottobre  2015;  infine,  l'importo  sarebbe
sottostimato, dovendo valere sulla quota indistinta del finanziamento
sanitario statale, anch'essa contestualmente ridotta senza seguire le
procedure di concertazione previste nel Patto per la salute 2014-2016
in caso di variazione degli importi finanziari programmati. 
    In estrema sintesi, si contesta la mancanza di una previa  intesa
tra Stato e Regioni sul predetto  limite  di  800  milioni  di  euro,
nonche' la congruita' di esso: l'imposizione di un limite finanziario
al  confronto  sull'aggiornamento  dei  livelli  essenziali,  e  alle
determinazioni conseguenti, influirebbe non solo  sulle  attribuzioni
regionali, ma anche sulla sostenibilita' dei servizi sanitari. 
    8.3.1.1.- In merito alla denunciata violazione del  principio  di
leale collaborazione, occorre anzitutto osservare che tale  principio
non si impone nel  procedimento  mediante  il  quale  il  Parlamento,
attraverso le due Camere, approva le leggi (fra le molte, sentenze n.
280, n. 251 e n. 65 del 2016, n. 63 del 2013, n. 79 del 2011). 
    Inoltre, la fissazione, da parte del censurato art. 1, comma 553,
della legge n. 208 del 2015, del detto limite, nel momento in cui  si
da' impulso con apposite  previsioni  all'aggiornamento  dei  livelli
essenziali,  non  e'   incompatibile   con   la   logica   di   leale
collaborazione tra Stato e Regioni, che, a norma della  stessa  legge
n.  208  del  2015,  presiede  alla   procedura   di   aggiornamento,
conformemente a un indirizzo gia' presente nella legislazione e  piu'
volte riscontrato dalla giurisprudenza di questa Corte  (sentenze  n.
98 del 2007 e n. 134 del 2006, nonche', mutatis mutandis, sentenza n.
297 del 2012). Infatti, il principio di leale collaborazione, per  la
sua elasticita', consente di aver riguardo  alle  peculiarita'  delle
singole situazioni, sicche' il  confronto  tra  Stato  e  Regioni  e'
suscettibile di essere organizzato  in  modi  diversi,  per  forme  e
intensita' (sentenze n. 83 del 2016, n.  50  del  2005,  n.  308  del
2003). Il limite finanziario massimo  globale  all'aggiornamento  dei
livelli essenziali pone senz'altro un parametro di riferimento per le
scelte entro cui puo' svilupparsi la dialettica tra Stato e  Regioni;
ma e' ben lungi dall'esaurire tale dialettica, per la  quale  restano
spazi estremamente ampi, pure sui profili economici e finanziari. 
    Per quanto riguarda specificamente gli obblighi  di  cooperazione
che si assumono derivare  dal  Patto  per  la  salute  2014-2016,  e'
inconferente  il  riferimento  all'art.  10,  comma  7,  del   Patto,
riguardante   l'aggiornamento   del   monitoraggio    sull'assistenza
sanitaria, non dei livelli essenziali.  Qualora  poi  il  riferimento
fosse da intendere al piu' pertinente  art.  1,  comma  3  (anch'esso
menzionato nelle argomentazioni di  parte  ricorrente),  si  dovrebbe
rilevare che il requisito dell'intesa ai fini dell'aggiornamento  dei
livelli  essenziali  di  assistenza,  ivi  previsto,   ha   riscontro
nell'art. 1, comma 554, della  legge  n.  208  del  2015,  come  gia'
rilevato; per di piu', anche il citato art. 1, comma 3, fa  salvo  il
«rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica». 
    8.3.1.2.- Destituite di fondamento  sono  altresi'  le  ulteriori
questioni, con le quali la parte  ricorrente  afferma  l'incongruita'
del valore di 800 milioni di  euro,  anche  in  collegamento  con  il
complessivo concorso dello Stato al  fabbisogno  sanitario  nazionale
standard. 
    La ricorrente ritiene  che  sarebbe  stato  adeguato  il  diverso
valore di 900  milioni  di  euro,  cui  aveva  fatto  riferimento  il
Ministro della salute in un'audizione parlamentare, non molti  giorni
prima della presentazione del disegno di legge  poi  promulgato  come
legge n. 208 del 2015. Tuttavia questo riferimento non e' sufficiente
ad attestare la  fondatezza  della  doglianza:  mettere  in  luce  la
richiamata contraddizione tra le  dichiarazioni  del  Ministro  e  le
successive determinazioni del Governo non equivale  affatto,  di  per
se', a provare l'incongruita' del minore dei due importi.  Del  tutto
frammentario e inconcludente, invece, e' il  riferimento  alle  stime
che la sola Regione autonoma siciliana ha  effettuato  in  merito  al
costo di una delle prestazioni incluse nell'aggiornamento. Dunque, la
ricorrente  non  ha  assolto   all'onere   di   provare   l'oggettiva
impossibilita'  di  esercitare  le  proprie  funzioni   in   materia,
segnatamente attraverso dati quantitativi concreti, riguardanti,  tra
l'altro, i diversi importi in ipotesi necessari (da  ultimo,  tra  le
molte, sentenze n. 205, n. 151, n. 127, n. 65, n. 29 del 2016). 
    La conclusione di infondatezza si impone  a  maggior  ragione  in
quanto la stessa legge n. 208 del 2015 ha predisposto  un  articolato
meccanismo  (art.  1,  commi  556  e  seguenti)  per  la  valutazione
sistematica e  continuativa  degli  stessi  livelli  essenziali,  che
dovrebbe altresi' facilitarne, qualora  occorresse,  l'aggiornamento,
finalizzato  anche  alla  corretta  determinazione   dei   fabbisogni
regionali. 
    8.3.2.- In secondo luogo, i medesimi commi 553 e 555 violerebbero
altresi' l'art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost.  n.  1  del
2012 e l'art. 11 della legge n. 243 del  2012,  in  quanto  non  sono
stati attivati i meccanismi, ivi previsti, che rafforzano il concorso
finanziario dello Stato per la garanzia dei livelli  essenziali,  con
riguardo alle fasi avverse del ciclo economico. 
    8.3.2.1.- La questione e' inammissibile. 
    Anche dopo le modifiche apportate al citato art. 11  dall'art.  3
della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24  dicembre
2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci  delle  regioni  e
degli enti locali), peraltro  anch'esse  gia'  contestate  dinanzi  a
questa Corte, incombe sullo Stato, ai sensi  dell'art.  5,  comma  1,
lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, il dovere  di  stabilire
le modalita' del proprio  concorso,  nelle  fasi  avverse  del  ciclo
economico o al verificarsi di eventi  eccezionali,  al  finanziamento
dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti civili e
sociali, anche con modalita' diverse e aggiuntive rispetto  a  quelle
di cui all'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Tuttavia, la ricorrente non spiega ne' per  quale  motivo,  e  in
base a quali presupposti fattuali, lo Stato avrebbe dovuto  attivare,
in suo favore, il meccanismo descritto (sentenza n.  154  del  2017);
ne' perche', in attesa dell'attuazione di tale  meccanismo,  dovrebbe
rimanere  addirittura   paralizzato   l'aggiornamento   dei   livelli
essenziali dell'assistenza sanitaria  (piu'  volte  tentato  dopo  il
2001, senza successo), il quale oltretutto serve anche per  orientare
le scelte di bilancio delle stesse Regioni, in presenza di interventi
statali di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 141  del
2016). 
    9.- Anche l'art. 1, comma 568, della legge n. 208  del  2015,  il
quale fissa in 111 miliardi di euro per l'anno 2016 il concorso dello
Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard, e' oggetto  di  due
ordini di censure. 
    9.1.- Secondo la ricorrente, pure il comma 568 violerebbe  l'art.
5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e  l'art.  11
della legge n. 243 del 2012, in quanto, come gia' dedotto a proposito
dei commi 553 e 555, non sono stati  ancora  attivati  i  meccanismi,
previsti  nei  parametri  evocati,   che   rafforzano   il   concorso
finanziario dello Stato alla garanzia dei livelli essenziali  durante
le fasi avverse del ciclo economico. 
    9.1.1.- La questione e'  inammissibile  per  ragioni  analoghe  a
quelle esposte, appena sopra,  a  proposito  delle  censure  similari
rivolte ai commi 553 e 555. Infatti, la ricorrente non spiega perche'
lo Stato avrebbe dovuto attivare in suo favore il meccanismo previsto
nelle  disposizioni  evocate   come   parametro;   ne'   perche'   la
determinazione periodica  del  concorso  dello  Stato  al  fabbisogno
sanitario nazionale standard dovrebbe risultare interdetta, in attesa
della realizzazione di alcuni elementi dell'architettura dei rapporti
finanziari  con  le  Regioni,   anch'essi   orientati   a   garantire
l'effettivita' dei livelli essenziali delle prestazioni  stabiliti  a
norma dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. 
    9.2.- Sarebbero violati anche gli artt. 3, 32  e  97  Cost.,  per
difetto di ragionevolezza e proporzionalita',  con  ridondanza  sulle
competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118
e 119 Cost., nonche' direttamente  i  citati  parametri  relativi  al
riparto delle competenze fra Stato e Regioni, e altresi' il principio
di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., sotto  piu'
profili: l'anzidetta riduzione sarebbe  permanente  e  lineare;  essa
sarebbe avvenuta in assenza di una previa intesa,  in  contrasto  con
quanto previsto all'art. 30, comma 2, dell'intesa sul  Patto  per  la
salute  2014-2016,  e  senza  il  coinvolgimento   della   Conferenza
permanente per  il  coordinamento  della  finanza  pubblica,  di  cui
all'art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42  (Delega  al  Governo  in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione); sarebbe, infine, sganciata da qualsiasi considerazione
dei costi standard o dei livelli di efficienza delle singole Regioni,
carente   di   adeguata    istruttoria    e,    contraddittoriamente,
contemporanea a un incremento delle  esigenze  di  servizio,  causato
dell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. 
    9.2.1.- Nemmeno tali questioni sono fondate. 
    9.2.2.- La determinazione del concorso dello Stato al  fabbisogno
sanitario nazionale standard  deve  necessariamente  avere  carattere
globale e, dato il dinamico evolversi delle  molteplici  esigenze  da
contemperare, non puo' fare a meno di  collegarsi  a  un  determinato
orizzonte  temporale  di  programmazione  finanziaria:  a   cio'   fa
riferimento lo stesso art. 26, comma 1,  del  decreto  legislativo  6
maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata
delle regioni a  statuto  ordinario  e  delle  province,  nonche'  di
determinazione dei  costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel  settore
sanitario), quando stabilisce che il fabbisogno  sanitario  nazionale
standard e' determinato «in coerenza  con  il  quadro  macroeconomico
complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza  pubblica  e  degli
obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria». 
    9.2.3.- Per quanto riguarda l'anno 2016, correttamente la Regione
Veneto deduce che la misura del concorso era stata fissata  dall'art.
1, comma 1, del Patto per la salute 2014-2016 in 115.444  milioni  di
euro, «salvo eventuali modifiche  che  si  rendessero  necessarie  in
relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica  e  a
variazioni del quadro macroeconomico, nel  qual  caso  si  rimanda  a
quanto previsto nell'articolo 30 comma 2». 
    Quest'ultima disposizione, a propria volta, prevedeva: «[i]n caso
di  modifiche  normative  sostanziali  e/o  degli  importi   di   cui
all'articolo 1, ove necessarie in relazione  al  conseguimento  degli
obiettivi  di  finanza   pubblica   e   a   variazioni   del   quadro
macroeconomico, la presente Intesa dovra' essere altresi' oggetto  di
revisione». In effetti, all'importo di 115.444  milioni  di  euro  fa
riferimento anche l'art. 1, comma 556, della legge 23 dicembre  2014,
n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)», il quale pero'
fa salve eventuali rideterminazioni in conseguenza di quanto previsto
al precedente comma 398, in virtu'  del  quale  il  contributo  delle
Regioni agli obiettivi di finanza pubblica e' stato  incrementato  di
3.452 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al  2018,  con
rinvio a decisioni in sede  di  auto-coordinamento  da  recepire  con
intesa. L'intesa richiesta da questa disposizione e' stata sancita il
26 febbraio 2015 e, tra l'altro, ha previsto che le risorse destinate
al finanziamento del fabbisogno sanitario fossero  ridotte  di  2.000
milioni di euro, con  riferimento  alla  quota  di  pertinenza  delle
Regioni ordinarie, e di 2.352 milioni di euro,  includendo  anche  le
autonomie speciali. Con successiva intesa  del  2  luglio  2015  sono
state  individuate  le   specifiche   misure   di   razionalizzazione
necessarie allo scopo. Tenuto conto altresi' che l'art. 1, comma 167,
della legge n. 190  del  2014  aveva  incrementato  il  finanziamento
statale del fabbisogno sanitario di 5 milioni annui (per lo screening
neonatale di patologie ereditarie), l'intesa del 2  luglio  2015,  al
punto «G», numero 1), prefigurava i seguenti livelli di finanziamento
statale: 109.715 milioni di euro per il 2015; 113.097 milioni di euro
per il 2016. Alle misure previste nelle due  intese  del  2015  hanno
dato attuazione gli articoli da  9-bis  a  9-octies,  introdotti  nel
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in  materia
di enti territoriali. Disposizioni per garantire la  continuita'  dei
dispositivi   di   sicurezza   e   di   controllo   del   territorio.
Razionalizzazione  delle  spese  del  Servizio  sanitario   nazionale
nonche' norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali) dalla
legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125.  In  particolare,  l'art.
9-septies  riduceva  «il  livello  del  finanziamento  del   Servizio
sanitario  nazionale  a  cui  concorre  lo  Stato,   come   stabilito
dall'articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre  2014,  n.  190»,
dell'importo di 2.352 milioni di euro, con disposizione  destinata  a
valere (anche) per il 2016 (si veda, al riguardo, la sentenza n.  169
del 2017). 
    Riassumendo, in punto di fatto e' vero che la misura del concorso
statale autorizzato  dalla  norma  censurata,  per  l'anno  2016,  e'
inferiore a quella prevista in precedenza, in una  sequenza  di  atti
normativi e convenzionali tra loro concatenati, gli ultimi dei  quali
non sono di molto anteriori alla presentazione del disegno  di  legge
poi approvato come legge n. 208 del 2015. 
    In punto di diritto, tuttavia, cio' non comporta di  per  se'  un
vizio   di   legittimita'   costituzionale.   Nessun   accordo   puo'
condizionare l'esercizio della funzione legislativa  (fra  le  molte,
sentenze n. 205 del 2016, n. 79 del 2011 e n.  437  del  2001),  ne',
come gia' osservato, il principio di leale collaborazione  si  impone
nel procedimento legislativo parlamentare. E' ben vero che,  in  base
al gia' citato art. 26, comma 1,  del  d.lgs.  n.  68  del  2011,  il
fabbisogno  sanitario  nazionale  standard  e'  determinato  «tramite
intesa», ma questo principio legislativo non vincola in modo assoluto
e inderogabile le leggi successivamente approvate dalle due Camere. 
    D'altra  parte,  la  determinazione  del  concorso   statale   al
fabbisogno sanitario nazionale standard lascia ampio spazio, a valle,
alle singole Regioni per disciplinare, programmare  e  organizzare  i
servizi sanitari. Percio', non ha rilievo il  mancato  coinvolgimento
della  Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica (sentenza n. 141 del 2016): a fronte di  misure  statali  di
coordinamento finanziario che incidono sull'autonomia delle  Regioni,
e'  necessario,  ma  anche  sufficiente,  contemperare   le   ragioni
dell'esercizio unitario delle competenze statali e la garanzia  delle
funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie, assicurando il
pieno coinvolgimento di queste ultime (vedi anche sentenza n. 65  del
2016); e  cio'  puo'  avvenire  anche  riconoscendo  loro  poteri  di
determinazione in ordine alla modulazione delle necessarie  riduzioni
nei diversi ambiti di spesa. 
    9.2.4.- Pure  le  censure  regionali  che  riguardano  l'asserita
inadeguatezza del concorso statale  alla  spesa  sanitaria  non  sono
fondate: anche a questo  proposito,  la  ricorrente  non  ha  provato
adeguatamente l'oggettiva impossibilita'  di  esercitare  le  proprie
funzioni in materia,  ne'  ha  argomentato  quale  sarebbe  stato  il
diverso importo allo scopo  necessario,  limitandosi  a  rinviare  ai
precedenti atti normativi e  convenzionali,  dei  quali  si  e'  gia'
detto. 
    Nondimeno,  occorre  confermare  che  la  garanzia   di   servizi
effettivi,  che  corrispondono  a  diritti  costituzionali,  richiede
certezza delle disponibilita' finanziarie, nel quadro  dei  compositi
rapporti tra gli enti coinvolti (sentenza n. 275 del 2016). Anche  la
tutela del diritto alla salute non puo' non subire i  condizionamenti
che  lo  stesso  legislatore  incontra  nel  distribuire  le  risorse
finanziarie disponibili (da ultimo, sentenza n. 203 del 2016),  senza
pero' che  possa  essere  compromessa  la  garanzia  del  suo  nucleo
essenziale. A maggior ragione,  tuttavia,  la  quantificazione  delle
risorse  in  modo  funzionale  alla  realizzazione  degli   obiettivi
previsti dalla  legislazione  vigente  si  impone,  anche  in  questo
ambito, come canone fondamentale e  presupposto  del  buon  andamento
dell'amministrazione, che deve sempre essere rispettato da parte  del
legislatore (sentenza n. 10 del 2016). 
    Pertanto, le determinazioni sul fabbisogno sanitario  complessivo
non dovrebbero discostarsi in modo rilevante e repentino dai punti di
equilibrio trovati in  esito  al  ponderato  confronto  tra  Stato  e
Regioni in ordine ai rispettivi rapporti finanziari, senza  che  tale
scostamento appaia giustificabile alla luce di condizioni  e  ragioni
sopraggiunte. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a separate pronunce la decisione delle altre  questioni
di legittimita' costituzionale promosse con il ricorso in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
526  e  536,  della  legge  28  dicembre  2015,   n.   208,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)», nella parte in cui prevedono
che i decreti ministeriali ivi contemplati siano emanati «sentita  la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano», anziche' d'intesa  con  la
stessa Conferenza; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
524, 525 e 529, della legge n. 208  del  2015,  nella  parte  in  cui
prevedono che i provvedimenti ivi contemplati  siano  adottati  dalla
Giunta regionale; 
    3)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536,  della
legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32 e 97
della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536,  della
legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo
e quarto comma, 118 e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso
in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 553 e 555, della legge n.  208  del
2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32,  97,  117,  secondo,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonche' al principio di  leale
collaborazione, di cui agli  artt.  5  e  120  Cost.,  dalla  Regione
Veneto, con il ricorso in epigrafe; 
    6)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 553 e 555, della legge n.  208  del
2015, promossa, in riferimento all'art. 5, comma 1, lettera g), della
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e  all'art.  11
della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni  per  l'attuazione
del principio del pareggio di bilancio  ai  sensi  dell'articolo  81,
sesto comma,  della  Costituzione),  dalla  Regione  Veneto,  con  il
ricorso in epigrafe; 
    7)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 568, della legge n. 208  del  2015,
promossa, in riferimento all'art. 5, comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012 e all'art. 11 della legge n. 243 del 2012,  dalla
Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe; 
    8)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 568, della legge n. 208  del  2015,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo  e
quarto comma,  118  e  119  Cost.,  nonche'  al  principio  di  leale
collaborazione, di cui agli  artt.  5  e  120  Cost.,  dalla  Regione
Veneto, con il ricorso in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA