N. 279 ORDINANZA 10 ottobre - 21 dicembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare  tenuita'
  del fatto -  Requisito  della  non  abitualita'  del  comportamento
  illecito. 
- Legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene
  detentive non carcerarie e di riforma  del  sistema  sanzionatorio.
  Disposizioni in materia di sospensione del procedimento  con  messa
  alla prova e nei confronti degli irreperibili), art.  1,  comma  1,
  lettera m); codice penale,  art.  131-bis,  commi  primo,  terzo  e
  quarto. 
-   
(GU n.52 del 27-12-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,
  Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo  in
materia di pene detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), e dell'art. 131-bis, commi primo, terzo e quarto,  del
codice penale, come introdotto dall'art.  1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 16 marzo 2015, n. 28  (Disposizioni  in  materia  di  non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto, a norma dell'articolo
1, comma 1, lettera m, della legge 28 aprile 2014, n.  67),  promosso
dal Tribunale ordinario di Padova nel procedimento penale a carico di
G. F., con ordinanza del 6  aprile  2016,  iscritta  al  n.  106  del
registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  G.  F.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  10  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato Giovanni Gentilini per G. F. e l'avvocato  dello
Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Padova, con ordinanza  del
6 aprile 2016 (r.o. n. 106 del 2016), ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma  1,  lettera  m),  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili), «nella parte in cui e' scritto  "e  la
non abitualita' del comportamento" e, per effetto derivato, dell'art.
131  bis  c.p.,  comma  1,  con  riferimento  alle   parole   "e   il
comportamento risulta abituale", e comma 3 (nella sua interezza)»; 
    che il Tribunale rimettente ha sollevato inoltre, in  riferimento
all'art. 76  Cost.,  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis, quarto comma, del codice penale,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo  2015,  n.  28
(Disposizioni in materia di non punibilita' per particolare  tenuita'
del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m,  della  legge
28 aprile 2014, n. 67); 
    che il Tribunale rimettente ha sollevato infine,  in  riferimento
agli artt. 3, 25 e 27 Cost., questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., «nella parte in cui, dopo
le parole "non si tiene conto  delle  circostanze",  non  e'  scritto
"fatta eccezione della circostanza attenuante prevista dall'art.  62,
n. 4 del codice penale e delle altre circostanze attenuanti"»; 
    che l'imputata e' stata citata  a  giudizio  per  rispondere  del
reato di cui agli artt. 624 e 625, numeri 5) e 7),  cod.  pen.,  «per
aver  agito  con  altre  due  donne  non  identificate   ed   essersi
impossessata, al fine di trarne profitto per [se'] o  per  altri,  di
uno spolverino del valore di euro 45,00  sottraendolo  d[a]l  negozio
"Incontro Moda" in San Dono di Massanzago, ove era  detenuto,  agendo
con destrezza ed infilando il capo sottratto nella  borsa  mentre  le
altre  due  complici  distraevano  la  titolare  del   negozio,   con
l'aggravante di aver commesso il fatto  in  tre  persone  e  su  cose
esposte per necessita' alla pubblica fede», nonche' con  l'aggravante
della recidiva specifica reiterata e infraquinquennale; 
    che,  ad  avviso  del  Tribunale   rimettente,   dall'istruttoria
effettuata  e  in  forza  di  un  giudizio  prognostico,   il   reato
risulterebbe «integrato nei  suoi  elementi  oggettivo  e  soggettivo
cosi' come le aggravanti contestate» e, in considerazione del  valore
del bene sottratto, potrebbe essere ritenuto di particolare tenuita'; 
    che, tuttavia, nel caso di specie non potrebbe  essere  applicata
la causa di non punibilita' prevista  dall'art.  131-bis  cod.  pen.,
perche' «dovrebbe riconoscersi nei  precedenti  penali  dell'imputata
una  sorta  di  abitualita'  che  esclude  la  concretizzazione   dei
requisiti previsti dalla norma»; 
    che inoltre «l'esclusione del bilanciamento delle aggravanti  con
le attenuanti rilevabili e riconoscibili, quali certamente  nel  caso
di specie  quella  di  cui  all'art.  62,  n.  4  c.p.,  comporta  il
superamento dei limiti edittali stabiliti dall'art. 131 bis c.p.  per
la sua applicazione»; 
    che  il  Tribunale  rimettente  ha  ritenuto  non  manifestamente
infondate le  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  sollevate
dalla difesa dell'imputata, relative all'art. 1, comma 1, lettera m),
della legge n. 67 del 2014, «nella parte in cui e' scritto "e la  non
abitualita' del comportamento" e, per  effetto  derivato,  [a]ll'art.
131  bis  c.p.,  comma  1,  con  riferimento  alle   parole   "e   il
comportamento risulta abituale", e comma 3 (nella sua interezza)»; 
    che innanzi tutto potrebbe delinearsi un contrasto con  l'art.  3
Cost., in quanto le norme censurate -  subordinando  l'applicabilita'
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto  al
requisito della non abitualita'  del  comportamento  dell'autore  del
reato - avrebbero «introdotto un elemento immateriale, da  profilarsi
di volta in volta, di valenza paritetica al  requisito  patrimoniale,
idoneo ad ingenerare disparita' applicative che non trovano  adeguata
copertura nella ragionevolezza»; 
    che la configurabilita' «di una clausola di  non  punibilita'  di
natura valoriale ontologicamente  ancorata  al  mediocre  valore  del
danno  da  reato»  dovrebbe,  infatti,  essere  slegata  da  «profili
soggettivi  premiali,  in  grado  di  aprire  ad  un   sindacato   di
meritevolezza subiettiva, di per se' stesso disparitario» e dovrebbe,
invece, trovare applicazione  in  termini  oggettivi  ed  uguali  nei
confronti  di  tutti  i   consociati,   senza   «subire   limitazioni
applicative di natura squisitamente autoriale»; 
    che,  in  conclusione,  «cio'  che  non   [potrebbe]   ammettersi
costituzionalmente e' la coessenzialita' di un  requisito  autoriale,
poiche' l'esclusione di taluni soggetti dal  novero  dei  destinatari
della norma ripropone un sistema imperniato sul tipo d'autore»; 
    che le norme censurate introdurrebbero una  presunzione  assoluta
di maggiore pericolosita' del reo per il  suo  status  soggettivo  di
recidivo, che avrebbe  «l'effetto  automatico  di  conferire  maggior
disvalore al fatto, rendendolo piu' aggressivo per il solo fatto  che
proviene da soggetto consueto al delitto»; 
    che la presunzione sarebbe priva  di  logica,  in  quanto  «[u]na
condotta naturalisticamente obliterabile  sul  piano  penale  per  il
mediocre danno che crea diventerebbe il suo  contrario,  sol  perche'
agita da soggetto abituale»; 
    che l'irragionevolezza delle norme censurate sarebbe  ancor  piu'
evidente alla luce della giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di
recidiva reiterata; 
    che l'art. 1, comma 1, lettera m), della legge n.  67  del  2014,
laddove attribuisce ad uno status soggettivo del reo la capacita'  di
discriminare l'accesso all'istituto  della  non  punibilita'  per  la
particolare tenuita' del fatto, potrebbe altresi' essere ritenuto  in
contrasto con l'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  che,  con  il  suo
espresso  richiamo  al  «"fatto   commesso"»,   attribuisce   rilievo
fondamentale all'azione delittuosa per il suo obiettivo  disvalore  e
non solo in quanto «manifestazione sintomatologica  di  pericolosita'
sociale»; 
    che  infine  non  sarebbe  manifestamente  infondata  anche   una
questione di legittimita' costituzionale della norma in questione, in
riferimento all'art. 27 Cost. e  al  principio  di  proporzionalita',
«poiche' appare evidente che la punizione che discende  da  un  fatto
oggettivamente  privo  di   offensivita'   apprezzabile   espone   il
condannato ad una pena sproporzionata ex se alla gravita'  del  reato
commesso»; 
    che «in via subordinata», come  ha  precisato  nell'ordinanza  di
rimessione, il  Tribunale  rimettente,  in  riferimento  all'art.  76
Cost., ha sollevato  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis, quarto comma, cod. pen.; 
    che secondo il  Tribunale,  poiche'  la  legge  delega  ha  fatto
riferimento alle «condotte sanzionate [...] "con pena  detentiva  non
superiore nel massimo a cinque anni"», senza indicare alcun  criterio
di calcolo, il legislatore delegato avrebbe dovuto fare ricorso «agli
ordinari canoni di cui all'art. 4 e 278 c.p.p.  [e]  alle  norme  che
regolano  in  via  ordinaria  il  giudizio   di   bilanciamento   tra
circostanze, di cui all'art. 69 c.p.»; 
    che invece il legislatore delegato, senza averne  il  potere,  ha
«creato un peculiare criterio che, preso nel suo insieme,  non  trova
alcun  modello  corrispettivo  nel  sistema  penale   sostanziale   e
processuale», negando rilevanza a qualsiasi circostanza attenuante; 
    che  la  questione  sarebbe  rilevante,  perche'   in   caso   di
accoglimento il Tribunale potrebbe «accedere all'impiego dei  criteri
di individuazione della  pena  di  cui  all'art.  278  c.p.p.,  [...]
bilanciando la circostanza attenuante comune  di  cui  all'art.  62.4
c.p. in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti,  ricondurre
la pena edittale al di sotto dei cinque anni di  reclusione  e  cosi'
applicare la causa di esclusione della punibilita'»; 
    che infine, «[i]n via  aggiuntiva  ed  in  termini  indipendenti,
seppur collegati», il giudice a quo, in riferimento agli artt. 3,  25
e 27 Cost., ha sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis, quarto comma, cod. pen., «nella parte in cui, dopo
le parole "non si tiene conto  delle  circostanze",  non  e'  scritto
"fatta eccezione della circostanza attenuante prevista dall'art.  62,
n. 4 del codice penale e delle altre circostanze attenuanti"»; 
    che  la  scelta  del  legislatore  delegato  di  non   attribuire
rilevanza alle circostanze attenuanti comuni  e,  in  particolare,  a
quella prevista  dall'art.  62,  numero  4),  cod.  pen.  sarebbe  in
contrasto con l'art. 3 Cost., rendendo  impossibile  «discernere  tra
autore di una condotta connotata da maggiore pericolosita'  esecutiva
(violenza sulle cose, minorata difesa o  altro)  e  fatti  del  tutto
bagatellari, ma aggravati in termini idonei ad essere bilanciati»; 
    che  «[l]'interdizione  a   valorizzare,   in   qualsiasi   modo,
l'elemento circostanziale che piu' di ogni altro riconduce al modesto
impatto patrimoniale il danno da reato» sarebbe poi in contrasto  con
l'art. 25, secondo comma, Cost. e «la sproporzione della sanzione che
deriva dalla impossibilita' di considerare la diminuente  di  cui  si
dice» determinerebbe una violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost.; 
    che  le  questioni  sarebbero  rilevanti  perche'   mediante   il
bilanciamento tra le circostanze speciali  contestate  e  l'art.  62,
numero 4), cod. pen. l'imputata potrebbe beneficiare della  causa  di
non punibilita' prevista dall'art. 131-bis cod. pen.; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili; 
    che, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, il giudice rimettente
sarebbe  incorso  in  una  aberratio   ictus,   avendo   erroneamente
individuato la norma che esclude la punibilita' del fatto in presenza
di un comportamento abituale; 
    che  le  questioni   sarebbero   inammissibili,   anche   perche'
l'ordinanza di rimessione non chiarisce  se  «il  petitum  [...]  sia
costituito da una pronuncia caducatoria della norma censurata  oppure
da una pronuncia additiva»; 
    che nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituita
G. F., imputata nel giudizio a quo, che ha chiesto la declaratoria di
illegittimita' costituzionale delle norme censurate. 
    Considerato che, ad  avviso  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, le questioni sollevate dal Tribunale  ordinario  di  Padova
sarebbero inammissibili perche' il giudice rimettente sarebbe incorso
in una aberratio ictus; 
    che infatti non sarebbe possibile definire il giudizio a quo  con
una pronuncia di non punibilita'  per  la  particolare  tenuita'  del
fatto, «a cio' ostando la contestazione all'imputato  della  recidiva
specifica infraquinquennale»,  che  farebbe  escludere  il  requisito
della non abitualita' della condotta; 
    che l'eccezione e' infondata; 
    che in primo luogo il Tribunale rimettente ha censurato l'art. 1,
comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n.  67  (Deleghe  al
Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma  del
sistema sanzionatorio. Disposizioni in  materia  di  sospensione  del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), «nella parte in cui e' scritto "e la  non  abitualita'
del comportamento" e, per effetto derivato, [l]'art.  131  bis  c.p.,
comma 1, con riferimento alle  parole  "e  il  comportamento  risulta
abituale", e comma 3 (nella sua interezza)»; 
    che, contrariamente a quanto dedotto dall'Avvocatura dello Stato,
si tratta proprio delle norme della legge delega e del codice  penale
che subordinano l'esclusione della  punibilita'  per  la  particolare
tenuita'  del  fatto  al  requisito   della   non   abitualita'   del
comportamento, comprendendo nella  "abitualita'"  anche  la  recidiva
specifica e reiterata, contestata nel caso in esame; 
    che, secondo  la  difesa  dello  Stato,  le  questioni  sarebbero
altresi'  inammissibili  perche'  l'ordinanza   di   rimessione   non
chiarisce se «il  petitum  [...]  sia  costituito  da  una  pronuncia
caducatoria della norma censurata oppure da una pronuncia additiva»; 
    che anche questa eccezione e' infondata; 
    che  infatti,  essendo  state   sollevate   questioni   distinte,
ancorche' legate da pregiudizialita' logica, la  formulazione  di  un
diverso petitum, con riferimento a ciascuna di esse, non ne  comporta
l'inammissibilita'; 
    che le questioni sono state tra loro logicamente collegate in una
relazione di necessaria pregiudizialita'; 
    che per questa ragione la seconda e la terza questione sono state
sollevate dal giudice rimettente «in via subordinata», ossia solo per
l'eventualita' dell'accoglimento della prima; 
    che  infatti,  esistendo  a  carico  dell'imputato  una  recidiva
specifica e reiterata, se non cadesse il requisito  dell'abitualita',
la causa di non punibilita' introdotta dall'art. 131-bis  del  codice
penale non potrebbe in alcun  caso  trovare  applicazione  e  farebbe
perdere rilevanza alle altre  questioni  relative  all'art.  131-bis,
quarto comma, cod. pen., che diventerebbero inammissibili; 
    che secondo  il  Tribunale  rimettente  il  requisito  della  non
abitualita'   sarebbe   in   contrasto    con    piu'    disposizioni
costituzionali:  innanzi  tutto  con  l'art.  3  della  Costituzione,
perche' lo stesso fatto sarebbe trattato diversamente in  ragione  di
elementi  che  non  lo  riguardano  nella  sua  materialita',  ma  si
riferiscono ad aspetti soggettivi; poi con l'art. 25  Cost.,  perche'
con l'espresso  richiamo  al  «"fatto  commesso"»  questa  norma  da'
rilevanza alla condotta dell'agente per il suo obiettivo disvalore  e
non solo in quanto «manifestazione sintomatologica  di  pericolosita'
sociale»; infine con l'art.  27  Cost.,  perche'  «la  punizione  che
discende  da  un   fatto   oggettivamente   privo   di   offensivita'
apprezzabile espone il condannato ad una pena  sproporzionata  ex  se
alla gravita' del reato commesso», che «non potra' mai essere sentita
[...] come sanzione rieducatrice»; 
    che tali questioni, enunciate  in  via  prioritaria  dal  giudice
rimettente, sono manifestamente infondate; 
    che il fatto particolarmente lieve,  cui  fa  riferimento  l'art.
131-bis cod. pen., e' comunque un fatto  offensivo,  che  costituisce
reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare
la natura di extrema ratio della pena e  agevolare  la  "rieducazione
del condannato", sia per contenere il gravoso carico  di  contenzioso
penale gravante sulla giurisdizione; 
    che l'avere condizionato la non punibilita' anche  attraverso  un
dato soggettivo, costituito dalla non abitualita'  del  comportamento
penalmente illecito, non contrasta con il principio  di  uguaglianza,
perche'  il  trattamento  diverso  e'  collegato  a  una   situazione
giuridica diversa; 
    che un requisito analogo,  costituito  dalla  occasionalita'  del
fatto, e'  previsto  anche  nelle  fattispecie  simili  del  giudizio
davanti al giudice di pace (art. 34 del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274,  recante  «Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468») e del giudizio davanti al tribunale  per  i  minorenni
(art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante  «Approvazione
delle  disposizioni  sul  processo  penale  a  carico   di   imputati
minorenni»); 
    che riconoscere la  necessita'  che  la  fattispecie  penale  sia
ancorata al «"fatto commesso"», e  non  a  una  mera  «manifestazione
sintomatologica di pericolosita' sociale»,  come  rileva  il  giudice
rimettente, non significa negare qualunque  rilevanza  alla  condotta
dell'imputato   antecedente,   contemporanea   o   successiva    alla
commissione del fatto; 
    che la generale rilevanza di tale condotta  ai  fini  della  pena
risulta dall'art. 133 cod. pen., oltre  che  dalla  disciplina  della
recidiva, quando si tratta di condotta antecedente  alla  commissione
del fatto; 
    che un comportamento penalmente illecito con  caratteristiche  di
abitualita',  specie  se  costituite  da  una  recidiva  specifica  e
reiterata,  cosi'  come  puo'  rilevare  per  determinare  la   pena,
analogamente puo' rilevare per determinare la punibilita' di un fatto
che, seppure di particolare tenuita', costituisce comunque reato; 
    che a una logica per vari  aspetti  analoga  a  quella  dell'art.
131-bis cod. pen. si ispira anche  la  disciplina  della  sospensione
condizionale della pena, che, a norma dell'art. 164  cod.  pen.,  «e'
ammessa  soltanto  se,  avuto  riguardo  alle  circostanze   indicate
nell'articolo 133, il giudice presume che il  colpevole  si  asterra'
dal commettere ulteriori reati» e non puo' essere concessa «a chi  ha
riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto»; 
    che il riferimento del  Tribunale  rimettente  alle  sentenze  di
questa Corte (n. 106 e n. 105 del 2014, e n. 251 del  2012),  che  in
casi particolari  hanno  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, cod.  pen.,  non  e'  pertinente  perche'
quelle decisioni non hanno fatto venire meno il generale  divieto  di
prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva dell'art.  99,
quarto comma,  cod.  pen.,  ma  lo  hanno  escluso  solo  in  ipotesi
particolari,  nelle  quali  il  divieto   incideva   su   circostanze
attenuanti indicative di una diversita' materiale del  fatto  per  la
sua minore offensivita'; 
    che in quei casi infatti  il  divieto  comportava  la  violazione
dell'art. 3 Cost., perche' dava luogo  a  un  uguale  trattamento  di
fatti oggettivamente diversi, mentre nel caso  in  esame  vengono  in
questione  fatti  oggettivamente  uguali,  o  equivalenti,   trattati
diversamente, per il comportamento abitualmente illecito di chi li ha
commessi; 
    che applicare la causa  di  non  punibilita'  prevista  dall'art.
131-bis cod. pen. anche quando il comportamento illecito  dell'agente
risulta connotato dall'abitualita' contrasterebbe con le esigenze  di
prevenzione  speciale  e   significherebbe   garantire   all'imputato
l'impunita' per tutti  gli  analoghi  reati  che  dovesse  in  futuro
commettere; 
    che, in conclusione, le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera m), della  legge  n.  67  del  2014,  e
dell'art. 131-bis, primo e terzo comma, cod. pen. sono manifestamente
infondate, perche' l'avere subordinato la causa  di  non  punibilita'
per la particolare  tenuita'  del  fatto  alla  non  abitualita'  del
comportamento illecito non viola il principio  di  uguaglianza,  dato
che anche in  presenza  di  fatti  analoghi  le  ineguali  condizioni
soggettive giustificano il  diverso  trattamento  penale,  e  per  lo
stesso motivo non e' irragionevole e non risulta in contrasto con gli
artt. 25 e 27 Cost.; 
    che la manifesta infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 131-bis, primo  e  terzo  comma,  cod.  pen.
comporta  la  manifesta  inammissibilita'   delle   altre   questioni
sollevate dal Tribunale ordinario di Padova; 
    che infatti, non essendo  venuto  meno  il  requisito  della  non
abitualita'  della  condotta,  le  altre  questioni  sono  prive   di
rilevanza, perche' la causa di  non  punibilita'  prevista  dall'art.
131-bis cod. pen. risulta comunque inapplicabile nel giudizio a quo. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma  1,  lettera  m),  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili), e dell'art.  131-bis,  primo  e  terzo
comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3,  25
e 27 della Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di  Padova,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara  manifestamente  inammissibili   le   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art.  131-bis,  quarto  comma,  cod.
pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 76 Cost.,  dal
Tribunale ordinario di Padova, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA