N. 35 SENTENZA 6 dicembre 2017- 21 febbraio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati tributari - Indebita compensazione - Soglia di punibilita'. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000,  n.  74  (Nuova  disciplina  dei
  reati in materia di imposte sui redditi e sul  valore  aggiunto,  a
  norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno  1999,  n.  205),  art.
  10-quater, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal decreto
  legislativo 24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del  sistema
  sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della  legge
  11 marzo 2014, n. 23). 
-   
(GU n.9 del 28-2-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  10-quater
del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74  (Nuova  disciplina  dei
reati in materia di imposte sui redditi  e  sul  valore  aggiunto,  a
norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nel  testo
anteriore  alle  modifiche  apportate  dal  decreto  legislativo   24
settembre 2015, n.  158  (Revisione  del  sistema  sanzionatorio,  in
attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11  marzo  2014,  n.
23),  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di   Busto   Arsizio   nel
procedimento penale a carico di C. N., con ordinanza dell'11 novembre
2016, iscritta al n. 17 del  registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale,
dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6 dicembre  2017  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 novembre 2016, il  Tribunale  ordinario
di Busto Arsizio  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-quater del  decreto  legislativo  10  marzo  2000,  n.  74  (Nuova
disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e  sul  valore
aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno  1999,  n.
205),  nel  testo  anteriore  alle  modifiche  operate  dal   decreto
legislativo  24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del   sistema
sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11
marzo 2014, n. 23), nella parte in cui, con riguardo  al  delitto  di
indebita  compensazione  ivi  descritto,   «indica   il   limite   di
punibilita' in 50.000 euro annui anziche' in 150.000 euro». 
    Il giudice a quo riferisce di essere investito del  processo  nei
confronti di una persona imputata  del  reato  previsto  dalla  norma
censurata, per aver omesso  di  versare  somme  dovute  a  titolo  di
imposte sui redditi per l'anno 2009 dell'importo complessivo di  euro
125.214, utilizzando in compensazione,  ai  sensi  dell'art.  17  del
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme  di  semplificazione
degli adempimenti dei  contribuenti  in  sede  di  dichiarazione  dei
redditi   e   dell'imposta   sul   valore   aggiunto,   nonche'    di
modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), crediti
per imposta sul valore aggiunto (IVA) risultati inesistenti. 
    Il rimettente  rileva  come  sia  applicabile  alla  fattispecie,
ratione temporis, l'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 nel  suo
testo originario, che richiamava - con la medesima tecnica utilizzata
nell'art.  10-ter  a  proposito  del  delitto  di  omesso  versamento
dell'IVA - la disposizione  dell'art.  10-bis  dello  stesso  decreto
legislativo, ai  fini  della  determinazione  tanto  del  trattamento
sanzionatorio (reclusione da sei  mesi  a  due  anni),  quanto  della
soglia di punibilita' (euro 50.000 per periodo di imposta). 
    Tale formulazione risulta, infatti, piu' favorevole  all'imputato
di quella successivamente introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015,  che
- fermo restando l'ammontare della soglia di punibilita'  -  descrive
in   modo   autonomo   la   fattispecie,    distinguendo    l'ipotesi
dell'utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti, per  la
quale la risposta punitiva e' rimasta invariata  (comma  1  dell'art.
10-quater del d.lgs. n. 74  del  2000,  come  novellato),  da  quella
dell'utilizzazione di crediti inesistenti - considerata piu' grave  -
per  la  quale  la  pena  e'  stata  invece  notevolmente   aumentata
(reclusione da un anno e sei mesi a sei anni: comma 2 del nuovo  art.
10-quater). Discutendosi, nel caso di specie, della compensazione  di
crediti in assunto  inesistenti,  i  principi  generali  in  tema  di
successione di leggi penali, di cui all'art.  2  del  codice  penale,
imporrebbero di applicare  la  norma  incriminatrice  nella  versione
d'origine, che prevede il trattamento sanzionatorio piu' mite. 
    Cio' posto, il giudice a quo rileva, quanto  alla  non  manifesta
infondatezza della questione, che con la sentenza n. 80 del  2014  la
Corte costituzionale ha dichiarato  illegittimo,  per  contrasto  con
l'art. 3 Cost., l'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, nella  parte
in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre  2011,
puniva l'omesso versamento dell'IVA, dovuta  in  base  alla  relativa
dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo
di imposta, ad euro 103.291,38. 
    La  Corte  ha  ritenuto,  in  specie,  lesiva  del  principio  di
eguaglianza la  previsione,  per  il  delitto  di  omesso  versamento
dell'IVA, di una soglia di  punibilita'  (euro  50.000)  inferiore  a
quelle  stabilite  per   la   dichiarazione   infedele   e   l'omessa
dichiarazione dagli artt. 4 e  5  del  medesimo  decreto  legislativo
(rispettivamente, euro 103.291,38 ed  euro  77.468,53),  prima  della
loro modifica in diminuzione ad opera  del  decreto-legge  13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 14 settembre 2011, n.  148;  modifica  operante,  per  espressa
previsione normativa, in rapporto ai soli fatti commessi dopo  il  17
settembre  2011.  In  questo  modo,  infatti,  veniva  riservato   un
trattamento deteriore a comportamenti  di  evasione  tributaria  meno
insidiosi e lesivi degli  interessi  del  fisco,  attenendo  l'omesso
versamento a somme di cui lo stesso contribuente si era  riconosciuto
debitore nella dichiarazione annuale relativa all'IVA. 
    Il rimettente ricorda altresi' come, a seguito di tale pronuncia,
i Tribunali ordinari di Lecce e  di  Palermo  abbiano  sollevato  una
similare questione di legittimita' costituzionale inerente al delitto
di indebita compensazione. Riguardo ad essa, la Corte  costituzionale
ha  peraltro  disposto,  con  l'ordinanza  n.  116   del   2016,   la
restituzione degli atti ai giudici a quibus per una nuova valutazione
della rilevanza e della non  manifesta  infondatezza  alla  luce  dei
sopravvenuti mutamenti del quadro normativo, conseguenti  all'entrata
in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015. 
    A questo proposito, il rimettente osserva  come  la  novella  del
2015 abbia modificato l'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, elevando la
soglia di punibilita' del delitto di dichiarazione infedele, riferita
all'imposta evasa, a 150.000 euro. Trattandosi di modifica favorevole
al reo, tale nuovo limite di punibilita' deve  ritenersi  applicabile
anche ai fatti anteriormente commessi. 
    Allo stato attuale, pertanto,  il  contribuente  che,  dopo  aver
presentato la dichiarazione IVA, abbia  utilizzato  in  compensazione
crediti  non  spettanti  o  inesistenti,   omettendo   il   pagamento
dell'imposta  per  un  ammontare  superiore   a   50.000   euro,   e'
assoggettato a sanzione penale,  mentre  il  contribuente  che  abbia
presentato una dichiarazione  infedele,  esponendo  elementi  passivi
fittizi od omettendo di indicare elementi attivi, con una evasione di
imposta superiore a 50.000 euro, ma non a 150.000 euro, resta  esente
da pena. 
    Ad avviso  del  Tribunale  rimettente,  tale  assetto  violerebbe
l'art. 3 Cost. per contrasto con il «principio di eguaglianza formale
e sostanziale», in quanto due condotte che appaiono, anche  sotto  il
profilo  sanzionatorio,  quantomeno  di  pari   gravita'   verrebbero
trattate in modo ingiustificatamente differenziato. 
    Il reato di dichiarazione infedele e',  infatti,  punito  con  la
pena della reclusione da uno a  tre  anni,  piu'  elevata  di  quella
prevista dall'art.  10-quater  del  d.lgs.  n.  74  del  2000,  nella
formulazione applicabile al caso concreto, per il delitto di indebita
compensazione. Cio' a dimostrazione del fatto che il  legislatore  lo
ha considerato piu' grave. 
    Sul piano  del  disvalore,  in  ogni  caso,  le  due  fattispecie
criminose apparirebbero sostanzialmente  identiche.  In  entrambe  le
ipotesi  verrebbe,  infatti,  punita  una  condotta  commissiva   del
contribuente a carattere «fraudolento e/o decettivo», atta  a  creare
una falsa rappresentazione documentale  della  realta':  connotazioni
che renderebbero le fattispecie stesse piu' gravi,  ad  esempio,  del
reato di omessa dichiarazione, la cui condotta e' meramente omissiva. 
    A fronte di cio', la previsione, per l'indebita compensazione, di
una soglia di punibilita'  nettamente  piu'  bassa  di  quella  della
dichiarazione infedele - il rapporto e' addirittura di uno  a  tre  -
risulterebbe palesemente irragionevole. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo.  Il
suo   accoglimento   porterebbe,    infatti,    al    proscioglimento
dell'imputato, al quale e' contestato  l'omesso  versamento,  tramite
utilizzazione in compensazione di crediti inesistenti, di  una  somma
inferiore a 150.000 euro. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
infondata. 
    L'Avvocatura generale dello Stato rileva che la  condotta  tipica
dell'indebita compensazione implica una utilizzazione  impropria  del
modello per il  versamento  dei  tributi  (cosiddetto  modello  F24),
idonea a mascherare l'evasione,  o  quantomeno  a  ritardare  la  sua
scoperta. 
    L'inserimento in detto modello di  un  credito  non  spettante  o
inesistente si tradurrebbe, quindi, in un  artificio  documentale  di
notevole disvalore. La circostanza risulterebbe ancora piu'  evidente
alla luce della ratio dello strumento della compensazione dei crediti
con i debiti, introdotto dal d.lgs.  n.  241  del  1997  al  fine  di
semplificare  gli  adempimenti  dei  contribuenti.   Questi   ultimi,
infatti, ove vantino un credito  nei  confronti  dell'amministrazione
finanziaria, in luogo di richiedere il rimborso  delle  somme  -  che
comporterebbe una procedura dai  tempi  ben  piu'  lunghi  -  possono
utilizzarle per evitare  di  effettuare  il  versamento  dei  tributi
dovuti.  In  considerazione  dell'affidamento  che  l'amministrazione
ripone, in questa delicata fase di  riscossione  delle  imposte,  sul
leale comportamento dei contribuenti, non apparirebbe  irrazionale  o
arbitraria la previsione, per l'indebita compensazione, di una soglia
di punibilita' inferiore a quella della dichiarazione infedele. 
    D'altra parte, il termine di comparazione indicato dal rimettente
non sarebbe pertinente, stante la diversita' delle  ipotesi  poste  a
raffronto. L'art. 10-quater  del  d.lgs.  n.  74  del  2000  avrebbe,
infatti, una sfera applicativa piu'  ampia  di  quella  dell'art.  4,
giacche' mentre quest'ultima disposizione sanziona  la  presentazione
di una dichiarazione infedele in relazione alle sole imposte  dirette
e all'IVA, la norma censurata punisce tutte le condotte  di  indebita
compensazione relative al  cosiddetto  versamento  unitario  previsto
dall'art.  17  del  d.lgs.  n.  241  del  1997.  Lo  strumento  della
compensazione puo' essere utilizzato, cioe', non solo con riguardo ai
crediti e debiti fiscali relativi alle imposte dirette e all'IVA,  ma
anche con riguardo ai «contributi  dovuti  all'INPS»  e  alle  «altre
somme  a  favore  dello   Stato,   delle   regioni   e   degli   enti
previdenziali»:  circostanza   che   incrementerebbe   il   disvalore
dell'illecito. 
    La  scelta  di  lasciare  inalterata  la  soglia  di  punibilita'
dell'indebita compensazione  in  occasione  della  riforma  del  2015
rifletterebbe la perdurante volonta' del legislatore di reprimere con
fermezza fatti particolarmente  insidiosi,  non  comparabili  con  la
dichiarazione infedele: volonta'  resa  ancora  piu'  evidente  dalla
scissione delle due condotte punite dalla norma, con la previsione di
una pena piu' severa per la compensazione operata utilizzando crediti
inesistenti, la quale viene, altresi', espressamente  sottratta  alla
causa di non punibilita' contemplata dal novellato art. 13 del d.lgs.
n. 74 del 2000. 
    La  questione   apparirebbe,   in   conclusione,   manifestamente
infondata alla luce del costante  orientamento  della  giurisprudenza
costituzionale, secondo  il  quale  l'individuazione  delle  condotte
punibili, nonche' la  scelta  e  la  quantificazione  delle  relative
sanzioni   rientrano   nella   discrezionalita'   del    legislatore:
discrezionalita' che puo' essere censurata, in sede  di  giudizio  di
costituzionalita', soltanto ove il suo esercizio  ne  rappresenti  un
uso distorto o arbitrario, cosi' da confliggere in modo manifesto con
il  canone  della  ragionevolezza,   come   avviene   a   fronte   di
sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette  da
alcuna   ragionevole   giustificazione.   Evenienza,   questa,    non
riscontrabile nella specie. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Tribunale  ordinario  di  Busto  Arsizio  dubita   della
legittimita'   costituzionale   dell'art.   10-quater   del   decreto
legislativo 10 marzo 2000, n.  74  (Nuova  disciplina  dei  reati  in
materia di imposte  sui  redditi  e  sul  valore  aggiunto,  a  norma
dell'articolo 9 della legge  25  giugno  1999,  n.  205),  nel  testo
anteriore alle modifiche operate dal decreto legislativo 24 settembre
2015, n. 158 (Revisione  del  sistema  sanzionatorio,  in  attuazione
dell'articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014,  n.  23),  nella
parte in cui, con riguardo al delitto di indebita  compensazione  ivi
descritto, «indica il limite di  punibilita'  in  50.000  euro  annui
anziche' in 150.000 euro». 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione  denunciata  violerebbe
l'art. 3 della Costituzione,  per  contrasto  con  il  «principio  di
uguaglianza formale  e  sostanziale»,  assoggettando  la  fattispecie
dell'indebita  compensazione  ad  un  trattamento   irragionevolmente
deteriore rispetto a quello  riservato  alla  dichiarazione  infedele
(art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000): reato punito con pena piu' severa
- quanto ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n.
158 del 2015  -  e  che  apparirebbe,  nella  sostanza,  di  identico
disvalore. 
    2.- La questione non e' fondata. 
    La  norma  incriminatrice  sottoposta  a  scrutinio  si   colloca
nell'alveo  del  processo  di  parziale  revisione  della   strategia
politico-criminale sottesa al riassetto del sistema penale tributario
attuato dal d.lgs.  n.  74  del  2000:  strategia  consistente  nella
focalizzazione dell'intervento repressivo preminentemente sulla  fase
dell'"autoaccertamento"  del  debito  di  imposta   -   ossia   della
dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sul  valore
aggiunto - a presidio  dell'obbligo  di  veritiera  ostensione  della
situazione  reddituale  o  delle  basi  imponibili   da   parte   del
contribuente. 
    L'avvenuto riscontro di un allarmante fenomeno evasivo realizzato
in sede di riscossione dei tributi induceva il legislatore  a  mutare
indirizzo, introducendo figure di reato  intese  a  colpire  illeciti
commessi nella fase successiva a quella di determinazione della  base
imponibile, cioe' in relazione al versamento dell'imposta. 
    Il processo prendeva concretamente avvio con l'art. 1, comma 414,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria  2005)»,  che  ripristinava  (a)  il  delitto  di  omesso
versamento di ritenute certificate da parte del sostituto  d'imposta,
gia' soppresso dalla riforma del 2000 (nuovo art. 10-bis  del  d.lgs.
n. 74 del 2000). 
    Due anni piu' tardi, il  legislatore  interveniva  novamente  con
l'art.  35,  comma  7,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto  2006,  n.
248, coniando altre due  figure  di  reato  attinenti  alla  fase  di
versamento dei tributi: da un lato,  (b)  il  delitto  -  con  remote
ascendenze nel panorama penale di  settore  -  di  omesso  versamento
dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione
annuale (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000); dall'altro,  (c)  il
delitto - totalmente privo, invece, di riscontri  nel  passato  -  di
indebita compensazione (art. 10-quater del d.lgs. n.  74  del  2000),
che viene in rilievo in questa sede. 
    Le nuove incriminazioni del 2006 erano congegnate con la  tecnica
del  rinvio  alla  norma  sull'omesso  versamento  di  ritenute.   In
particolare,   l'art.   10-quater,   sotto   la   rubrica   «indebita
compensazione», stabiliva che «[l]a disposizione di cui  all'articolo
10-bis si applica, nei limiti ivi  previsti,  anche  a  chiunque  non
versa  le  somme  dovute,  utilizzando  in  compensazione,  ai  sensi
dell'articolo 17 del decreto  legislativo  9  luglio  1997,  n.  241,
crediti non spettanti o inesistenti». 
    Pacificamente, il rinvio all'art. 10-bis e la formula «nei limiti
ivi previsti» valevano ad estendere  alla  fattispecie  criminosa  il
trattamento sanzionatorio e la soglia di  punibilita'  stabiliti  per
l'omesso versamento di ritenute certificate: il delitto in  questione
era, dunque, punito con la reclusione da sei mesi a due anni e sempre
che l'omesso versamento risultasse di ammontare  superiore  a  50.000
euro per ciascun periodo d'imposta. 
    3.- Il Tribunale rimettente muove le  sue  censure  proprio  alla
formulazione originaria della norma incriminatrice, vigente alla data
di commissione del fatto per cui si procede nel  giudizio  principale
(concernente l'omesso versamento di somme dovute a titolo di  imposte
sui redditi per l'anno 2009). 
    Con assunto affatto plausibile, osserva  che  detta  formulazione
deve ritenersi tuttora applicabile nel giudizio a quo, in quanto piu'
favorevole all'imputato  di  quella  successivamente  introdotta  dal
d.lgs. n. 158  del  2015,  nel  quadro  di  una  ulteriore  ed  ampia
revisione del sistema sanzionatorio tributario. L'art. 9  del  citato
decreto legislativo  ha,  infatti,  sostituito  la  norma  censurata,
scindendo  la  figura  criminosa  dell'indebita  compensazione  -  in
precedenza unitaria - in due ipotesi delittuose  distinte,  collocate
in commi separati  e  autonomamente  descritte:  la  prima,  inerente
all'utilizzazione  in  compensazione  di  «crediti  non   spettanti»,
punita, come in precedenza, con la pena della reclusione da sei  mesi
a due anni (comma 1 dell'art. 10-quater del d.lgs. n.  74  del  2000,
come novellato); la seconda, concernente l'utilizzazione di  «crediti
inesistenti»,  punita  invece  con  pena  sensibilmente  piu'  severa
(reclusione da un anno e sei mesi a sei anni),  in  ragione  del  suo
maggior disvalore (comma 2). Cio', fermo restando  l'ammontare  della
soglia di punibilita', la quale - diversamente da quanto e'  avvenuto
per  gli  altri  delitti  di  omesso  versamento   (il   cui   limite
quantitativo di rilevanza  penale  e'  stato  notevolmente  innalzato
dalla novella del 2015) - risulta tuttora fissata,  con  riguardo  ad
entrambe le ipotesi di indebita compensazione, nella  somma  di  euro
50.000  (sia  pure  intesa  quale   «importo   annuo»   dei   crediti
indebitamente  utilizzati,  e  non  piu'  ragguagliata  al   «periodo
d'imposta»). 
    Essendo  contestata,  nella   specie,   all'imputato   l'indebita
utilizzazione di crediti inesistenti, i principi generali in tema  di
successione nel tempo delle leggi penali (e, segnatamente, l'art.  2,
quarto  comma,  del  codice  penale)   fanno   si'   che   la   norma
incriminatrice rimanga applicabile nella sua versione d'origine,  che
contempla per detta fattispecie  il  trattamento  sanzionatorio  piu'
mite. 
    4.- Cio' posto, il giudice a quo richiama, quale  premessa  delle
sue censure, la sentenza n. 80 del 2014, con la quale questa Corte ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 10-ter del d.lgs. n.
74 del 2000, nella parte in cui, con riferimento  ai  fatti  commessi
sino al 17  settembre  2011,  puniva  l'omesso  versamento  dell'IVA,
dovuta in base  alla  relativa  dichiarazione  annuale,  per  importi
superiori ad euro 50.000 per ciascun periodo di imposta, anziche'  ad
euro 103.291,38. 
    Nell'occasione, questa Corte ha rilevato come il delitto previsto
dal citato art. 10-ter  presupponesse  l'avvenuta  presentazione,  da
parte del contribuente, di una dichiarazione annuale relativa all'IVA
recante un saldo debitorio superiore alla soglia  di  punibilita'  di
50.000 euro, non seguita dal pagamento, entro  il  termine  previsto,
della somma indicata dal contribuente stesso  come  dovuta.  In  tale
assetto era insita  una  sperequazione  di  trattamento,  palesemente
irragionevole,   rispetto   ai   delitti   di   infedele   e   omessa
dichiarazione, di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74  del  2000  -
delitti attinenti anche alla dichiarazione annuale IVA - per i  quali
erano previste soglie di punibilita', riferite all'imposta evasa,  di
ammontare piu' elevato  (rispettivamente,  euro  103.291,38  ed  euro
77.468,53). Ne  seguiva  che,  nel  caso  in  cui  l'IVA  dovuta  dal
contribuente si collocasse  nell'intervallo  tra  l'una  e  le  altre
soglie  (risultasse,  cioe',  superiore  a  50.000  euro,   ma   non,
rispettivamente, a 103.291,38 o a 77.468,53 euro), veniva trattato in
modo deteriore chi avesse  presentato  una  dichiarazione  veritiera,
senza versare l'imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi avesse
presentato  una  dichiarazione  infedele,  o  non  avesse  presentato
affatto la dichiarazione,  evadendo  del  pari  l'imposta:  condotte,
queste,   certamente   piu'   "insidiose"    per    l'amministrazione
finanziaria,  in  quanto  idonee  -  diversamente  dall'altra  -   ad
ostacolare l'accertamento dell'evasione. Malgrado cio',  nella  prima
ipotesi il soggetto avrebbe dovuto rispondere del delitto  di  omesso
versamento dell'IVA; nella seconda, sarebbe rimasto invece esente  da
pena, non risultando superati i limiti di rilevanza  penale  previsti
dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000. 
    La discrasia era  stata  rimossa  dallo  stesso  legislatore  con
l'art. 2, comma 36-vicies semel, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione  finanziaria  e
per lo sviluppo), aggiunto dalla legge di  conversione  14  settembre
2011, n. 148, che aveva ridotto la soglia di punibilita'  dell'omessa
dichiarazione ad euro 30.000 e quella della dichiarazione infedele ad
euro 50.000: dunque, ad un importo inferiore, nel primo caso, e pari,
nel  secondo,  a  quello  della  soglia  di  punibilita'  dell'omesso
versamento dell'IVA. Per espressa previsione normativa, le  modifiche
in questione erano, tuttavia, applicabili ai soli fatti successivi al
17 settembre 2011 (art. 2, comma 36-vicies bis, del d.l. n.  138  del
2011): con la conseguenza che, con riguardo ai fatti commessi sino  a
quella data, l'incongruenza permaneva. 
    Di qui la pronuncia di questa Corte, che, al  fine  di  rimuovere
nella  sua  interezza  la  distonia,  ha  allineato  la   soglia   di
punibilita'  dell'omesso  versamento  dell'IVA  -  quanto  ai   fatti
commessi sino al 17 settembre 2011 - alla piu' alta fra le soglie  di
punibilita' delle violazioni in rapporto alle  quali  si  manifestava
l'irragionevole  disparita'  di  trattamento:  quella,  cioe',  della
dichiarazione infedele (euro 103.291,38). 
    5.- Diversamente da quanto e' avvenuto nei casi  che  hanno  dato
luogo all'ordinanza n. 116 del 2016, di restituzione  degli  atti  ai
giudici a quibus per ius  superveniens  -  anch'essa  richiamata  dal
rimettente - il Tribunale lombardo non  chiede,  peraltro,  a  questa
Corte  di  replicare  la  ricordata  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  parziale  con  riguardo  al   delitto   di   indebita
compensazione. Formula, invece, una distinta censura, correlata  alle
modifiche apportate al quadro normativo di riferimento dal d.lgs.  n.
158 del 2015. 
    Rileva, cioe', che  l'art.  4  del  citato  decreto  legislativo,
novellando l'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ha innalzato la soglia
di punibilita' del delitto di dichiarazione infedele ad euro  150.000
e  che  tale  modifica  -  in  quanto  di  segno  favorevole  al  reo
(traducendosi in una parziale abolitio criminis)  -  e'  destinata  a
trovare  applicazione  anche  in  rapporto  ai  fatti   anteriormente
commessi  (compresi   quelli   coevi   alla   vicenda   di   indebita
compensazione di cui si discute nel  giudizio  principale).  Assunto,
pure  questo,  pienamente  condivisibile  e,  in  fatto,  rispondente
all'indirizzo  della  giurisprudenza  di   legittimita'   (Corte   di
cassazione,  sezione  terza  penale,  sentenza  11  novembre  2015-13
gennaio 2016, n. 891). 
    6.- Il giudice a quo si mostra, per altro verso,  consapevole  di
come il ragionamento che sorregge la richiamata sentenza  n.  80  del
2014 non possa  essere  esteso  sic  et  simpliciter  al  delitto  di
indebita compensazione. 
    Di la' dalla comune matrice  politico-criminale,  il  delitto  in
esame presenta, infatti, un evidente  tratto  differenziale  rispetto
agli altri delitti in materia di omesso versamento delle imposte,  ad
esso pure originariamente allineati quanto a soglia di punibilita'  e
a trattamento  sanzionatorio  (omesso  versamento  delle  ritenute  e
omesso versamento  dell'IVA).  Nelle  ipotesi  previste  dagli  artt.
10-bis e  10-ter  del  d.lgs.  n.  74  del  2000,  infatti,  l'omesso
versamento riguarda  somme  di  cui  lo  stesso  contribuente  si  e'
riconosciuto  debitore  in  documenti   fiscalmente   rilevanti   (le
certificazioni   delle   ritenute   rilasciate   ai   sostituiti   e,
attualmente, anche la dichiarazione annuale di  sostituto  d'imposta,
da un  lato;  la  dichiarazione  relativa  all'IVA,  dall'altro).  Di
conseguenza, la condotta e' priva  di  connotati  di  "insidiosita'",
essendo l'inadempienza tributaria palese e prontamente  riscontrabile
dall'amministrazione finanziaria. 
    Altrettanto non puo' dirsi, invece,  per  l'ipotesi  disciplinata
dall'art. 10-quater, la quale accoppia al disvalore di evento (omesso
versamento di  somme  dovute)  uno  specifico  disvalore  di  azione,
consistente   nell'abusiva    utilizzazione    dell'istituto    della
compensazione in materia tributaria, quale disciplinato dall'art.  17
del  decreto  legislativo  9  luglio   1997,   n.   241   (Norme   di
semplificazione  degli  adempimenti  dei  contribuenti  in  sede   di
dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche'
di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni). 
    In  passato,  l'istituto  civilistico  della  compensazione   era
ritenuto  inapplicabile  ai  crediti  di  natura  tributaria,   fatta
eccezione (a  talune  condizioni)  per  la  cosiddetta  compensazione
"verticale", avente ad oggetto, cioe', crediti e debiti relativi alla
stessa imposta. Con il citato art. 17,  il  legislatore  ha  superato
tale  impostazione  restrittiva,  consentendo  al   contribuente   di
effettuare  -  tramite  la  compilazione  di  un  apposito   modello,
denominato «modello F24» - un versamento unitario «delle imposte, dei
contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello  Stato,
delle regioni e degli enti  previdenziali»,  analiticamente  elencati
nella norma stessa: versamento in occasione del  quale  e'  possibile
compensare le somme a debito con quelle a credito. In questo modo, il
contribuente non e' piu' costretto a corrispondere la somma dovuta  e
ad avviare contestualmente la  procedura  per  il  rimborso  del  suo
credito, ma puo' servirsi direttamente di quest'ultimo per evitare di
effettuare il pagamento. E lo puo'  fare  persino  oltre  gli  stessi
limiti   dell'istituto   civilistico:   in   deroga   al    requisito
dell'identita'  dei  soggetti  titolari  delle  reciproche  posizioni
debitorie e creditorie, previsto dal codice civile  (art.  1241),  la
compensazione e', infatti, ammessa anche tra  crediti  e  debiti  del
contribuente nei confronti di  enti  diversi  (Stato,  Regioni,  enti
previdenziali). 
    Si  tratta  di  meccanismo  che  implica  un  elevato  grado   di
affidamento  nella  correttezza  del  protagonista  del   versamento,
chiamato ad  effettuare  lui  stesso,  tramite  la  compilazione  del
modello, l'operazione di calcolo del dovuto. La norma  incriminatrice
di  cui  all'art.  10-quater  del  d.lgs.  n.  74   del   2000   mira
specificamente a contrastare gli abusi cui il meccanismo  si  presta,
tramite l'artificio di esporre nel modello - e, cosi', di  utilizzare
in compensazione - crediti «non  spettanti»  o  «inesistenti».  Nella
specie, il contribuente  non  si  limita,  quindi,  ad  una  condotta
omissiva di mancato versamento del dovuto, ma supporta la stessa  con
la redazione di un documento  ideologicamente  falso.  Comportamento,
questo, dotato di potenzialita' decettive:  l'indebita  compensazione
non e',  infatti,  di  norma,  immediatamente  percepibile  da  parte
dell'amministrazione finanziaria, ma emerge solo qualora  gli  organi
accertatori appurino l'insussistenza o la non spettanza  del  credito
portato  in  compensazione   (in   questo   senso   si   veda   gia',
incidentalmente, la sentenza n. 100 del 2015). 
    E' chiaro, quindi, che con  riguardo  all'indebita  compensazione
non si potrebbe parlare, comunque sia, di  un  trattamento  deteriore
del contribuente il quale, pur senza versare il dovuto, abbia  tenuto
un  comportamento  "trasparente",  rispetto  a  quello  riservato  al
contribuente  che,  presentando  una  dichiarazione  infedele,  abbia
invece evaso le imposte tramite una condotta ingannevole. 
    7.- Ad avviso del rimettente, cio' non impedirebbe  di  ravvisare
nella diversa parametrazione delle  soglie  di  punibilita'  dei  due
delitti - indebita  compensazione  e  dichiarazione  infedele  -  una
violazione del principio di eguaglianza. 
    Le  due  figure  criminose  sarebbero,  infatti,  ad  ogni  modo,
pienamente omologabili sul piano del disvalore, venendo in entrambi i
casi  represse  condotte  commissive  a  carattere   decettivo,   che
implicano  una  rappresentazione  documentale  non  veritiera   della
realta'. La dichiarazione infedele e' punita, d'altra parte,  con  la
reclusione da uno a tre anni: dunque, con una pena  piu'  elevata  di
quella prevista dall'art. 10-quater del d.lgs. n. 74  del  2000,  nel
testo originario (applicabile nel caso  di  specie),  per  l'indebita
compensazione,  anche  nell'ipotesi  di  utilizzazione   di   crediti
inesistenti. Segno, questo, che  il  legislatore  ha  considerato  il
delitto di dichiarazione infedele piu' grave. 
    Di conseguenza, sarebbe del tutto  irragionevole  che  l'indebita
compensazione assuma  rilevanza  penale  in  presenza  di  un  omesso
versamento superiore a 50.000 euro, quando invece per la  punibilita'
dell'infedele  dichiarazione  e'  richiesta  un'evasione  di  imposta
addirittura tripla. 
    8.- La tesi non puo' essere condivisa. 
    Per costante giurisprudenza di questa  Corte,  la  configurazione
delle fattispecie  criminose  e  la  determinazione  della  pena  per
ciascuna di esse costituiscono materia affidata alla discrezionalita'
del legislatore, involvendo apprezzamenti  tipicamente  politici.  Le
scelte legislative sono pertanto censurabili, in sede di sindacato di
legittimita' costituzionale,  solo  ove  trasmodino  nella  manifesta
irragionevolezza o nell'arbitrio (ex plurimis, sentenze n. 273  e  n.
47 del 2010, ordinanza n. 71 del 2007, nonche', piu' di recente,  con
particolare riguardo al trattamento sanzionatorio,  sentenze  n.  179
del 2017, n. 236 e n. 148 del 2016), come avviene quando ci si  trovi
a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee  non
sorrette  da  alcuna  ragionevole  giustificazione  (tra  le   altre,
sentenze n. 56 e n. 23 del 2016, n. 81 del  2014,  n.  68  del  2012;
ordinanza n. 30 del 2007). Il confronto  tra  fattispecie  normative,
finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte  legislative,
presuppone, dunque, necessariamente l'omogeneita' delle ipotesi poste
in comparazione (sentenza n. 161 del 2009, ordinanza n. 41 del 2009). 
    Tale requisito non e' ravvisabile nel caso in esame. Di  la'  dai
generici tratti di comunanza evocati  dal  rimettente  (finalita'  di
tutela delle finanze pubbliche, presenza in entrambi  i  casi  di  un
falso  ideologico  documentale),  le  figure   criminose   poste   in
comparazione  si  presentano,   infatti,   eterogenee   per   oggetto
materiale, condotta tipica e  -  stando  al  prevalente  orientamento
giurisprudenziale - anche per sfera di tutela. 
    L'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 punisce il  contribuente  che,
al fine di evadere le imposte dirette o l'IVA, indichi in  una  delle
dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un
ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti
(predicato  che  sostituisce   attualmente   l'originario   aggettivo
«fittizi»). 
    L'art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 punisce, invece,  come
gia' ricordato, chi omette di  versare  «somme  dovute»  tramite  uno
specifico  tipo  di  artificio:  ossia  mediante  l'abusivo  utilizzo
dell'istituto  della  compensazione   tributaria,   attuato   tramite
l'inserimento di crediti non spettanti o inesistenti nel  modello  di
pagamento unitario. 
    E'  dunque  diverso,  anzitutto,  l'oggetto  materiale  dei   due
illeciti. Nel primo caso, il mendacio  del  contribuente  si  esprime
nella dichiarazione annuale  relativa  alle  imposte  sui  redditi  o
all'IVA;  nell'altro,  in   un   documento   fiscale   con   distinte
caratteristiche e funzioni, quale  il  cosiddetto  modello  F24.  Per
questo  verso,  la  situazione  si  presenta,  quindi,  differenziata
rispetto a quella riscontrabile in  rapporto  al  delitto  di  omesso
versamento dell'IVA (oggetto della  sentenza  n.  80  del  2014),  il
quale, se pure configurato come illecito di  mero  inadempimento  del
debito tributario, presuppone  pero'  -  come  gia'  ricordato  -  la
presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione  annuale
relativa all'IVA (ossia proprio di uno dei due tipi di  dichiarazioni
avuti di mira dall'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000). 
    Per quanto attiene, poi, alla condotta tipica, e' ben vero che, a
seguito della modifica della norma definitoria  di  cui  all'art.  1,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 74 del 2000, operata dall'art.  1,
comma 1, lettera a), del d.lgs.  n.  158  del  2015,  la  nozione  di
«elementi attivi o passivi» - rilevante in rapporto a tutti i delitti
in materia  di  dichiarazione,  in  quanto  identificativa  dei  dati
alterati dal contribuente in danno del fisco  -  comprende  non  piu'
soltanto «le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in  senso
positivo o negativo, alla determinazione del  reddito  o  delle  basi
imponibili»,   ma   anche   «le   componenti   che   incidono   sulla
determinazione dell'imposta  dovuta».  Astrattamente  parlando,  tale
aggiunta normativa potrebbe  indurre  a  ritenere  che  il  reato  di
dichiarazione infedele possa attualmente commettersi anche attraverso
l'esposizione di crediti di  imposta  inesistenti  (dunque,  con  una
condotta similare a quella richiesta per l'integrazione  del  delitto
di indebita compensazione), trattandosi di entita' che incidono,  per
l'appunto, non sulla quantificazione della base imponibile, ma  sulla
determinazione dell'imposta netta da versare. 
    Come e' stato puntualmente osservato, tuttavia, dai  commentatori
della riforma  la  ricordata  integrazione  della  definizione  degli
«elementi attivi o passivi» si presenta strettamente  correlata  alle
modifiche apportate dallo stesso d.lgs. n. 158 del 2015 alla  formula
descrittiva del delitto di dichiarazione fraudolenta  mediante  altri
artifici, di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 74  del  2000:  delitto  in
relazione al quale non soltanto si e' previsto, in modo espresso, che
la condotta incriminata possa concretarsi  (anche)  nell'indicare  in
dichiarazione  «crediti  e  ritenute  fittizi»,  ma  si  e'  altresi'
introdotto uno specifico  riferimento  a  tale  ipotesi  in  sede  di
individuazione delle soglie di punibilita'. Ai fini dell'integrazione
del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante  altri  artifici  -
cosi' come  di  quello  di  dichiarazione  infedele  -  e',  infatti,
necessario il superamento congiunto di due soglie di punibilita': una
di tipo assoluto,  riferita  all'imposta  evasa;  l'altra  di  natura
composita (percentuale in prima battuta, salva la  previsione  di  un
"correttivo" espresso da una cifra  fissa).  Tale  seconda  soglia  -
riferita, in origine, esclusivamente all'«ammontare complessivo degli
elementi attivi sottratti all'imposizione» - e' ora  parametrata,  in
via alternativa,  quanto  al  delitto  di  dichiarazione  fraudolenta
mediante altri artifici, anche all'«ammontare complessivo dei crediti
e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta», il quale deve
risultare «superiore al cinque per cento dell'ammontare  dell'imposta
medesima o comunque a euro trentamila» (art. 3, comma 1,  lettera  b,
del d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito). 
    Nessun intervento analogo e'  stato,  per  converso,  operato  in
rapporto  al  delitto  di  dichiarazione  infedele.  Di   la'   dalla
perdurante  omessa   menzione   dell'ipotesi   in   questione   nella
descrizione della condotta incriminata (che gia' di per se'  potrebbe
essere  ritenuta  rivelatrice  della  voluntas  legis),  il   mancato
adattamento della seconda soglia di punibilita' di  cui  all'art.  4,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 74 del 2000 - necessario  al  fine
di  tenere  adeguato  conto  della  disomogeneita'  delle   grandezze
paragonate (ossia di componenti  idonee  ad  incidere,  da  un  lato,
sull'imposta, e, d'altro, sull'imponibile) - rappresenta un  ostacolo
difficilmente sormontabile all'inclusione dell'esposizione di crediti
di  imposta  inesistenti  nella  sfera   applicativa   della   figura
criminosa. 
    Tutto cio' per tacere del fatto  che,  nella  misura  in  cui  si
riconosca alla modifica della norma definitoria di  cui  all'art.  1,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 74 del 2000 una valenza innovativa
- conformemente ad una opinione diffusa - essa non potrebbe, comunque
sia, operare in rapporto ai fatti commessi anteriormente  all'entrata
in vigore della novella del  2015,  traducendosi  in  un  ampliamento
dell'area di rilevanza penale, per sua natura irretroattivo.  Con  la
conseguenza che l'innovazione in parola non potrebbe in  nessun  caso
assumere  rilievo  ai  fini  della  comparazione  -  prospettata  dal
rimettente - del delitto di  dichiarazione  infedele  con  quello  di
indebita  compensazione,  nella  versione  antecedente  all'anzidetta
novella. 
    Si aggiunga, ancora, che la sola compensazione ammessa in sede di
presentazione della dichiarazione annuale relativa alle  imposte  sui
redditi o all'IVA e' quella "verticale": laddove, invece, in sede  di
versamento unitario, puo' procedersi anche (o, secondo  una  corrente
interpretativa, soltanto) alla compensazione "orizzontale", ossia tra
imposte diverse. 
    A questo riguardo, la  giurisprudenza  prevalente  e',  peraltro,
dell'avviso che il censurato art. 10-quater  del  d.lgs.  n.  74  del
2000, in ragione del suo tenore  letterale,  si  presti  a  reprimere
l'omesso versamento di  somme  attinenti  a  tutti  i  debiti  -  sia
tributari, sia di altra natura - per il  cui  pagamento  deve  essere
utilizzato il modello di versamento unitario  (Corte  di  cassazione,
sezione terza penale, sentenza 21 gennaio-4 febbraio 2015,  n.  5177;
sezione seconda penale, 20 maggio-16 settembre 2009, n. 35968): cio',
ancorche' la disposizione risulti inserita in un testo normativo - il
d.lgs. n. 74 del 2000 - che, come emerge anche  dal  suo  titolo,  e'
posto per il resto a presidio  unicamente  delle  imposte  dirette  e
dell'IVA. In questa prospettiva, risponderebbe del delitto  in  esame
non solo - come e' pacifico - chi ometta di versare imposte dirette o
l'IVA utilizzando indebitamente in compensazione crediti  concernenti
altre imposte (anche regionali) o crediti di natura previdenziale, ma
anche  chi  si  avvalga  di  analogo   artificio   per   evitare   di
corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di
previdenza. Alla luce di una simile lettura della  norma,  anche  sul
piano  della  sfera   applicativa,   la   fattispecie   dell'indebita
compensazione risulterebbe,  dunque,  eterogenea  rispetto  a  quella
della dichiarazione infedele, il cui perimetro di tutela e' ristretto
alla sola imposizione diretta e sul valore aggiunto. 
    9.- In difetto della necessaria omogeneita'  tra  le  fattispecie
criminose poste a raffronto, nessun argomento a sostegno  della  tesi
del rimettente puo' essere tratto  dall'analisi  differenziale  delle
rispettive pene edittali. 
    La quantificazione delle soglie di punibilita' risponde, infatti,
a logiche distinte e non sovrapponibili a quelle  che  presiedono  al
dosaggio delle pene. Resta quindi escluso,  in  linea  generale,  che
possa postularsi un principio di necessaria proporzionalita'  tra  il
livello delle soglie di rilevanza penale  del  fatto  e  l'intensita'
della  risposta  sanzionatoria.  Cosi',  nell'esercizio   della   sua
discrezionalita',  il  legislatore  della  novella  del   2015,   pur
diversificando nettamente il trattamento sanzionatorio  dell'indebita
compensazione secondo che siano utilizzati crediti  non  spettanti  o
crediti inesistenti, ha pero' mantenuto  invariata  per  entrambe  le
ipotesi la medesima soglia di punibilita', senza che  in  cio'  possa
scorgersi alcuna violazione del principio di eguaglianza. 
    Per quanto attiene piu' specificamente al caso in esame,  d'altra
parte, e' ben vero che, anteriormente al d.lgs. n. 158 del  2015,  la
pena prevista per la dichiarazione infedele risultava  alquanto  piu'
energica di quella comminata  per  l'indebita  compensazione.  Ma  e'
altrettanto vero che, a seguito della  riforma,  il  rapporto  si  e'
rovesciato, almeno per quanto attiene alla fattispecie  dell'indebita
compensazione   mediante   utilizzazione   di   crediti   inesistenti
(rilevante nel giudizio a quo). Detta fattispecie - qualificata nella
relazione al d.lgs. n. 158 del 2015 come «estremamente  offensiva»  -
e', infatti, assoggettata attualmente ad  una  pena  nettamente  piu'
severa (addirittura doppia nel  massimo)  di  quella  che  accede  al
tertium comparationis (reclusione da un anno e sei mesi a sei  anni).
Si tratta di  pena  senz'altro  molto  elevata  nel  panorama  penale
tributario.  Cio'  a  chiara  dimostrazione  dell'opinabilita'  delle
valutazioni circa il rapporto tra il disvalore delle due  fattispecie
poste in comparazione. 
    10.- Alle considerazioni che precedono, di per se' dirimenti,  va
aggiunto,  per  completezza,  che  nel  formulare   il   quesito   di
costituzionalita' il  giudice  a  quo  non  ha  tenuto  conto  di  un
ulteriore elemento. 
    Per espressa previsione normativa, ai  fini  della  verifica  del
superamento della soglia di punibilita' della dichiarazione  infedele
riferita all'imposta evasa, di cui all'art. 4, comma 1,  lettera  a),
del d.lgs. n. 74  del  2000,  si  deve  aver  riguardo  alle  singole
imposte. L'evasione  relativa  alle  imposte  sui  redditi  e  quella
dell'IVA, pertanto, non si sommano, neppure nel caso di presentazione
di una dichiarazione unificata, possibile  sino  al  2016,  ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322  (Regolamento
recante modalita' per la presentazione delle  dichiarazioni  relative
alle imposte  sui  redditi,  all'imposta  regionale  sulle  attivita'
produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi  dell'articolo
3, comma 136, della legge  23  dicembre  1996,  n.  662),  nel  testo
anteriore alle modifiche operate dall'art. 1, comma 641, della  legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)». 
    Di  contro,   con   riguardo   all'indebita   compensazione,   il
superamento della soglia di punibilita' va determinato tenendo  conto
della  somma  complessiva  non  versata   dal   contribuente,   senza
distinguere tra i diversi titoli debitori. 
    Ne deriva che, anche qualora si ritenga che l'art. 10-quater  del
d.lgs. n. 74 del 2000 tuteli unicamente l'imposizione diretta  e  sul
valore  aggiunto,  il  richiesto   innalzamento   della   soglia   di
punibilita' dell'illecito a 150.000 euro non varrebbe, in ogni  caso,
neppure esso a garantire l'auspicata  equiparazione  del  trattamento
delle due fattispecie poste in comparazione: sotto il profilo  dianzi
indicato, il delitto di cui all'art. 10-quater del d.lgs. n.  74  del
2000 resterebbe soggetto a un regime (sia pure in misura ridotta,  ma
comunque sia) piu' severo  di  quello  riservato  alla  dichiarazione
infedele. 
    11.- La questione va dichiarata, pertanto, non fondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 10-quater del decreto legislativo  10  marzo  2000,  n.  74
(Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi  e  sul
valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno  1999,
n. 205), nel testo  anteriore  alle  modifiche  operate  dal  decreto
legislativo  24  settembre  2015,  n.  158  (Revisione  del   sistema
sanzionatorio, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, della legge 11
marzo 2014, n.  23),  sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario   di   Busto   Arsizio   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA