N. 67 SENTENZA 21 febbraio - 30 marzo 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Avvocati iscritti alla Cassa nazionale di  previdenza  e
  assistenza, titolari anche di pensione di vecchiaia nella  gestione
  INPS - Sanzioni per omessa o tardiva presentazione della domanda di
  iscrizione. 
- Legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema  previdenziale
  forense), artt. 10 e 22, secondo comma. 
-   
(GU n.14 del 4-4-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 10 e  22,
secondo comma, della legge 20 settembre 1980,  n.  576  (Riforma  del
sistema previdenziale forense), promosso dal Tribunale  ordinario  di
Palermo nel procedimento vertente tra A. T. e la Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza degli avvocati ed  i  procuratori  (d'ora  in
poi: Cassa), con ordinanza del 12 novembre 2014, iscritta  al  n.  49
del registro ordinanze 2015 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di costituzione di A. T. e  della  Cassa  forense,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  20  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Massimiliano  Marinelli  per  A.  T.,  Massimo
Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza  forense  e
l'avvocato dello  Stato  Giustina  Noviello  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 novembre 2014 il Tribunale ordinario  di
Palermo,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 38 e 53 della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della
legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma  del  sistema  previdenziale
forense). 
    Il rimettente premette di essere investito del  ricorso  proposto
dall'avvocato  A.  T.  nei  confronti  della  Cassa  forense  per  la
declaratoria di illegittimita' del provvedimento del 14 gennaio  2014
del  Consiglio  di  amministrazione  della  Cassa  forense,   nonche'
dell'atto  presupposto  costituito  dalla   determinazione   del   28
settembre 2012 della Giunta esecutiva, con cui  la  Cassa  gli  aveva
richiesto il pagamento di complessivi  euro  79.961,07  a  titolo  di
contributi, interessi, sanzioni e penali, in  ragione  della  tardiva
iscrizione alla Cassa stessa. 
    In punto di  fatto,  il  tribunale  riferisce  che,  con  ricorso
depositato in data 16 giugno  2014,  l'avvocato  A.  T.  esponeva  di
essere stato  dipendente  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) dal 1° ottobre 1965 al 31 dicembre 2006  e,  pertanto,
iscritto all'assicurazione generale obbligatoria gestita dal predetto
istituto; di percepire la pensione di vecchiaia erogata dall'INPS dal
1° gennaio 2007; di essere transitato in data  11  gennaio  2007,  al
sessantasettesimo anno di eta', dall'elenco speciale  degli  avvocati
dipendenti di enti pubblici all'albo ordinario, iniziando l'attivita'
libero-professionale; di  avere  comunicato  annualmente  alla  Cassa
forense il proprio reddito  professionale  e  il  volume  di  affari,
versando il solo contributo fisso, ma di avere richiesto l'iscrizione
alla Cassa solo in data 23 settembre 2011; di  avere  ricevuto  dalla
Cassa, in data 25 ottobre 2012, comunicazione della sua iscrizione  a
decorrere dall'11 gennaio  2007,  con  l'applicazione  delle  penali,
sanzioni ed interessi. 
    Tanto  premesso  -  riferisce  il  tribunale  rimettente   -   il
ricorrente  chiedeva  che  venisse  dichiarata  l'illegittimita'  del
provvedimento del 14 gennaio 2014 e  dell'atto  presupposto,  con  il
quale la Cassa gli aveva richiesto il pagamento di  complessivi  euro
79.961,07 a titolo  di  contributi,  interessi,  sanzioni  e  penali;
chiedeva, altresi', che venisse sollevata questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge n. 576
del 1980, per violazione degli artt. 3, 38 e 53 Cost. 
    La Cassa forense si costituiva nel giudizio a  quo  chiedendo  il
rigetto delle domande. 
    2.- Ad  avviso  del  rimettente,  la  rilevanza  delle  sollevate
questioni  di  legittimita'  costituzionale  si   ricaverebbe   dalle
conseguenze economiche  risentite  dal  ricorrente  per  effetto  del
provvedimento di iscrizione d'ufficio, con decorrenza  dal  2007,  ad
opera  della  Cassa  forense;  provvedimento  la   cui   legittimita'
costituisce oggetto del giudizio promosso dall'avvocato A.T. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo  dubita,
in riferimento agli artt.  3,  38  e  53  Cost.,  della  legittimita'
costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo comma, della legge n. 576
del 1980. 
    In primo luogo, il tribunale rimettente  ritiene  che  l'art.  10
della richiamata legge contrasti con l'art. 3 Cost. e con i  principi
di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita'. 
    In  particolare,   il   passaggio   dall'assicurazione   generale
obbligatoria gestita dall'INPS al sistema di previdenza  della  Cassa
forense ha comportato la  sottoposizione  dell'avvocato  A.  T.  agli
obblighi  contributivi  conseguenti,  tra  cui   il   pagamento   del
contributo percentuale sul reddito annuale, secondo le stesse  regole
che si applicano «nel caso  in  cui  ad  iscriversi  sia  un  giovane
avvocato, o, comunque, un soggetto di  eta'  largamente  inferiore  a
quella del ricorrente». 
    Da  qui   la   ritenuta   disparita'   di   trattamento,   stante
l'applicazione  delle   stesse   regole   a   situazioni   tra   loro
profondamente diverse. 
    Infatti - osserva il tribunale -  il  ricorrente,  a  fronte  del
versamento dei contributi richiesti, non  percepira',  in  base  alla
legge n. 576 del  1980,  la  pensione  di  vecchiaia  ne'  quella  di
anzianita',  occorrendo  a  tal  fine  l'esercizio   ininterrotto   e
continuativo della professione per  almeno  trenta  (o  trentacinque)
anni, come richiesto rispettivamente  dagli  artt.  2  e  3;  ne'  la
pensione di inabilita', occorrendo l'iscrizione alla  Cassa  in  data
anteriore al compimento del  quarantesimo  anno  di  eta',  ai  sensi
dell'art.  4;  ne'  la  pensione  di  invalidita',  per  difetto  dei
requisiti previsti dall'art. 5; ne' potra' fare maturare la  pensione
ai superstiti, per difetto dei presupposti di cui all'art. 7. 
    Il rimettente sottolinea che il  sistema  previdenziale  forense,
sebbene ispirato  al  principio  della  solidarieta'  tra  i  diversi
assicurati, per cui tra contributi versati e prestazioni erogate  non
sussiste un vincolo di corrispettivita', non  puo'  prevedere,  senza
violare gli  evocati  parametri  costituzionali,  che  un  assicurato
partecipi al suo finanziamento in  misura  del  tutto  sproporzionata
rispetto a quanto gli  sara'  possibile  percepire  come  prestazioni
erogate dalla Cassa. 
    Il tribunale ravvisa  la  violazione  dell'art.  3  Cost.  e  dei
principi di eguaglianza,  ragionevolezza  e  proporzionalita',  anche
nella regolamentazione in modo diverso di situazioni analoghe. 
    Infatti, mentre il pensionato  della  Cassa  che  resta  iscritto
all'albo e' tenuto a corrispondere, per il periodo in cui non  riceve
alcun  trattamento  previdenziale  -  ovvero  oltre  il  limite   del
quinquennio  dalla  maturazione  del  diritto   a   pensione   -   la
contribuzione solidaristica nella misura ridotta del 3 per cento  del
reddito annuale, l'avvocato pensionato nella gestione INPS,  iscritto
alla Cassa forense, si trova a «contribuire al  finanziamento  di  un
trattamento previdenziale che non potra'  verosimilmente  percepire»,
non essendo nelle condizioni, «in considerazione della sua  eta',  di
raggiungere i requisiti previsti dall'art. 2 della legge n.  576  del
1980 per il conseguimento della pensione di  vecchiaia  retributiva».
Egli infatti e' tenuto alla contribuzione in misura  percentuale  del
reddito annuale, senza potere usufruire, in mancanza dei requisiti di
legge, ne' della pensione di vecchiaia ne' di quella di  invalidita',
bensi'  solo  della  cosiddetta  "pensione  contributiva",  calcolata
applicando al montante contributivo il coefficiente di trasformazione
legalmente previsto. 
    In particolare, nel caso  di  specie,  a  fronte  di  un  esborso
complessivo pari a euro 79.961,07, il ricorrente  potrebbe  percepire
un trattamento previdenziale pari solo ad euro 3.500,00 lordi annui. 
    Il rimettente ritiene che l'art. 10 della legge n. 576  del  1980
violi anche l'art. 38 Cost., in quanto  l'avvocato  pensionato  nella
gestione INPS, iscritto alla Cassa forense, verrebbe a finanziare una
prestazione della  quale  egli  non  potra'  godere,  potendo  invece
accedere alla  cosiddetta  "pensione  contributiva",  prevista  dalla
normativa  regolamentare  della  Cassa,   di   importo   notevolmente
inferiore rispetto ai contributi versati. 
    L'art. 10 della richiamata legge contrasterebbe - ad  avviso  del
tribunale - altresi', con  l'art.  53  Cost.,  in  quanto  l'avvocato
pensionato nella gestione  INPS,  iscritto  alla  Cassa  forense  «e'
tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura sproporzionata e
maggiore rispetto a quella sostenuta dagli altri  suoi  colleghi  che
percepiscono le prestazioni pensionistiche dalla Cassa forense». 
    3.- Il tribunale dubita  poi  della  legittimita'  costituzionale
anche dell'art. 22, secondo comma, della legge n. 576  del  1980  per
violazione degli artt. 3 Cost. e dei  principi  di  ragionevolezza  e
proporzionalita' nonche' degli artt. 38 e 53 Cost. 
    Dopo avere riportato il contenuto dell'art. 22  della  richiamata
legge, il  rimettente  evidenzia  i  tre  diversi  tipi  di  sanzione
previsti dal sistema previdenziale forense per l'ipotesi del  mancato
invio ovvero della redazione infedele della comunicazione  reddituale
annuale, del mancato o ritardato pagamento dei  contributi,  e  della
mancata richiesta di iscrizione alla Cassa  forense  (rispettivamente
artt. 17; 18 e 22, secondo comma, della richiamata legge). 
    Il tribunale sottolinea come l'applicazione nel  caso  di  specie
delle sanzioni ex art. 22, secondo comma, non tiene conto  del  fatto
che l'avvocato A. T. ha tempestivamente  comunicato  i  redditi  alla
Cassa. 
    Ad avviso del rimettente, l'avvocato  pensionato  nella  gestione
INPS, che non abbia nascosto il proprio reddito ed  abbia  effettuato
le ordinarie comunicazioni reddituali alla Cassa forense, senza pero'
richiedere l'iscrizione in modo tempestivo, viene ingiustificatamente
sanzionato in modo piu' grave di colui il quale, dopo avere richiesto
l'iscrizione, non invii annualmente la comunicazione reddituale o  la
effettui in modo infedele (art. 17  della  legge  n.  576  del  1980)
ovvero ritardi o non effettui il pagamento dei  contributi  (art.  18
della legge n. 576 del 1980). 
    Da qui la ritenuta non manifesta infondatezza della questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 22, secondo comma, della  legge
n. 576 del 1980 in riferimento agli artt. 3, 38 e 53 Cost. 
    4.- Con atto depositato in data 23 aprile 2015 si  e'  costituito
in  giudizio  l'avvocato   A.   T.   chiedendo   -   nel   riportarsi
sostanzialmente alle medesime argomentazioni di cui all'ordinanza  di
rimessione  -  l'accoglimento   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    In data 15 novembre 2016 e in  data  13  marzo  2017,  lo  stesso
avvocato ha depositato memorie illustrative nelle quali ha  insistito
per l'accoglimento delle questioni. 
    5.- Con atto depositato in data 28 aprile 2015 si  e'  costituita
in  giudizio  la  Cassa  forense  chiedendo  che  le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  siano   dichiarate   inammissibili   o,
comunque, infondate. 
    Preliminarmente la  Cassa  forense  eccepisce  l'inammissibilita'
delle questioni per difetto di  motivazione  sulla  rilevanza  e  per
indeterminatezza del petitum, non avendo  il  rimettente  specificato
quali siano le «rime obbligate»  che  consentirebbero  un  intervento
manipolativo, sia con riguardo alla contribuzione di solidarieta' che
al sistema sanzionatorio. 
    Nel merito, la  Cassa  deduce  la  infondatezza  di  entrambe  le
questioni. 
    Quanto alla censura dell'art. 10 della legge n. 576 del 1980,  in
riferimento all'art. 3 Cost., la  Cassa  richiama  la  giurisprudenza
della   Corte   costituzionale    in    merito    alla    sostanziale
incomparabilita' dei sistemi previdenziali. 
    La Cassa ritiene priva di fondamento anche la  censura  dell'art.
10, in riferimento all'art. 38 Cost., in quanto,  essendo  l'avvocato
A. T. andato in pensione con il massimo di  anzianita'  contributiva,
lo stesso godrebbe  senz'altro  dei  «mezzi  necessari  per  vivere»,
adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia. 
    Quanto alla asserita violazione  dell'art.  53  Cost.,  la  Cassa
deduce il carattere inconferente del parametro richiamato, non avendo
la contribuzione previdenziale natura di imposizione  tributaria,  ma
di  prestazione  patrimoniale  diretta  a   concorrere   agli   oneri
finanziari del regime previdenziale. 
    Ad avviso della Cassa, le censure mosse dal rimettente  sarebbero
incompatibili con il principio di solidarieta'  cui  e'  ispirato  il
sistema previdenziale  forense.  In  esso  non  c'e'  una  necessaria
corrispettivita' tra contributi e  prestazioni  erogate,  essendo  il
versamento dei contributi correlato alla «capacita' contributiva»  di
ciascun esercente con continuita' la professione e l'attribuzione dei
benefici previdenziali allo «stato di bisogno» di ognuno di essi. 
    Peraltro, non  corrisponderebbe  al  vero  che  la  contribuzione
versata  dall'avvocato  A.  T.  sia  del  tutto   inutile   ai   fini
pensionistici, in quanto, come ricorda  lo  stesso  rimettente,  agli
iscritti alla Cassa che non maturano  l'anzianita'  contributiva  per
godere della pensione di  vecchiaia,  spetta,  dopo  cinque  anni  di
iscrizione, un trattamento su base contributiva. 
    Inoltre, riguardo all'affermata sproporzione tra quanto richiesto
dalla Cassa e il trattamento previdenziale fruibile dall'avvocato  A.
T., le indicazioni del rimettente sarebbero  falsate,  essendo  stati
inclusi nel debito complessivo indicato non solo i contributi  dovuti
dall'iscritto ma anche le sanzioni. 
    Quanto  alla  sospettata  illegittimita'  dell'art.  22,  secondo
comma,   della   legge   n.   576   del   1980,   la   Cassa   deduce
l'inammissibilita' o, comunque l'infondatezza della  questione,  data
la inidoneita' delle  diverse  richiamate  discipline  a  fungere  da
tertia comparationis.  Al  riguardo,  sottolinea,  peraltro,  l'ampia
discrezionalita' del legislatore nella definizione dei presupposti  e
del quantum delle sanzioni penali, principio che varrebbe  anche  per
le sanzioni civili, quali quelle in esame. 
    In data 15 novembre 2016, 21 marzo 2017 e  30  gennaio  2018,  la
Cassa forense ha  depositato  memorie  illustrative  nelle  quali  ha
insistito per la declaratoria di inammissibilita' o  di  infondatezza
delle questioni. 
    6.- Con atto depositato in data 28 aprile 2015, e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le  questioni  di
legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili o, in  via
gradata, manifestamente infondate. 
    In  primo   luogo,   la   difesa   dell'interveniente   eccepisce
l'inammissibilita' per incompleta e, dunque,  erronea  individuazione
della normativa denunciata, avendo  il  rimettente  trascurato  altre
norme della stessa legge n. 576 del 1980  rilevanti  nel  giudizio  a
quo. Deduce, inoltre, la  incompleta  descrizione  della  fattispecie
oggetto del giudizio principale, con conseguente inammissibilita' per
difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    A sostegno della non  fondatezza  delle  questioni,  l'Avvocatura
generale richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha
ricondotto il sistema previdenziale forense  al  tipo  solidaristico,
caratterizzato   dalla   irrilevanza   della   proporzionalita'   tra
contributi e prestazioni previdenziali, essendo considerati  i  primi
unicamente quale mezzo finanziario della previdenza sociale. 
    Se,  dunque,  gli  obblighi   previdenziali   non   sono   legati
all'esigenza della divisione del rischio ne' tantomeno sono  inseriti
in una relazione di corrispettivita' con i benefici previdenziali del
sistema, ma costituiscono doveri di  solidarieta'  nell'ambito  della
categoria   professionale,   risulta   ragionevole   -   ad    avviso
dell'Avvocatura  -  che  essi  gravino  in   modo   generalizzato   e
incondizionato su tutti i membri della categoria, compresi  coloro  i
quali, per particolari situazioni soggettive, non possono  conseguire
con certezza o, per intero,  i  benefici  previdenziali  del  sistema
considerato. 
    In data  15  novembre  2016,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato memoria illustrativa nella quale ha  insistito
per la declaratoria  di  inammissibilita'  o  di  infondatezza  delle
questioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario  di  Palermo,  con  ordinanza  del  12
novembre 2014, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 10 della legge 20  settembre  1980,  n.  576  (Riforma  del
sistema previdenziale  forense),  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione,  sotto  i  profili  del   principio   di   eguaglianza,
ragionevolezza e proporzionalita', in quanto l'avvocato iscritto alla
Cassa nazionale di  previdenza  e  assistenza  degli  avvocati  ed  i
procuratori (d'ora in poi: Cassa), che sia anche titolare di pensione
di vecchiaia nell'assicurazione generale obbligatoria della  gestione
Istituto nazionale della previdenza  sociale  (INPS),  e'  tenuto  al
versamento di un contributo percentuale sul reddito annuale  «secondo
le stesse regole che si applicano nel caso in cui ad  iscriversi  sia
un giovane avvocato [...]», con  disparita'  di  trattamento,  stante
l'applicazione  della  stessa  disciplina  a  situazioni   tra   loro
profondamente diverse. Infatti, l'avvocato gia' pensionato  in  altra
gestione, iscritto alla Cassa in  eta'  avanzata,  ben  difficilmente
maturera', a fronte del versamento  dei  contributi  richiesti  dalla
Cassa, i presupposti per percepire la pensione di vecchiaia o  quella
di  anzianita'  e  comunque  non  potra'  conseguire  il  trattamento
pensionistico di inabilita', ne' quello di invalidita', ne' tantomeno
far maturare pensioni ai superstiti. Non e' possibile  -  secondo  il
rimettente -  che,  pur  essendo  il  sistema  previdenziale  forense
ispirato  al  principio  solidaristico  per  cui  tra  contributi   e
prestazioni  erogate  dalla  Cassa  non  sussiste   un   vincolo   di
corrispettivita', l'assicurato  partecipi  al  suo  finanziamento  in
misura del tutto sproporzionata rispetto a quanto effettivamente  gli
sara' possibile percepire come trattamento pensionistico. 
    Inoltre - prosegue il rimettente - mentre  l'avvocato  pensionato
nella gestione INPS, iscritto alla Cassa, e' tenuto a contribuire  al
finanziamento  di  un  trattamento  previdenziale  che   non   potra'
verosimilmente percepire, non essendo nelle  condizioni,  in  ragione
della sua eta', di raggiungere i requisiti per il conseguimento della
pensione di vecchiaia, invece, l'avvocato pensionato della Cassa  che
rimane  iscritto  all'albo  e'  tenuto  a   corrispondere   la   sola
contribuzione solidaristica nella misura ridotta del 3 per cento  del
reddito annuale e matura, nel tempo, il diritto a due supplementi  di
pensione.  Vi  sarebbe  quindi  una   regolamentazione   diversa   di
situazioni analoghe con violazione del principio di eguaglianza. 
    Secondo il tribunale rimettente sarebbero  altresi'  violati  sia
l'art. 38 Cost., in quanto l'avvocato pensionato nella gestione INPS,
iscritto alla Cassa, verrebbe  a  finanziare  una  prestazione  della
quale egli non potra' godere, potendo solo accedere ad un trattamento
previdenziale  (cosiddetta  "pensione   contributiva")   notevolmente
inferiore ai contributi effettivamente versati; sia l'art. 53  Cost.,
per essere egli «tenuto a finanziare la spesa previdenziale in misura
sproporzionata e maggiore rispetto a  quella  sostenuta  dagli  altri
suoi colleghi che percepiscono le  prestazioni  pensionistiche  dalla
Cassa». 
    Lo stesso tribunale ha sollevato altresi'  questione  incidentale
di legittimita' costituzionale dell'art.  22,  secondo  comma,  della
medesima legge n. 576 del 1980, in riferimento agli stessi parametri,
in quanto l'avvocato pensionato nella gestione INPS,  che  non  abbia
nascosto  il  proprio  reddito  ed  abbia  effettuato  le   ordinarie
comunicazioni reddituali alla Cassa, senza pero' richiedere  ad  essa
l'iscrizione, viene sanzionato in modo piu' grave di colui il  quale,
dopo  avere  richiesto  l'iscrizione,  non   invii   annualmente   la
comunicazione reddituale o la effettui  in  modo  infedele  (art.  17
della legge n. 576  del  1980)  ovvero  ritardi  o  non  effettui  il
pagamento dei contributi (art. 18 della  medesima  legge).  La  norma
censurata contiene - secondo il rimettente - una sanzione  del  tutto
sproporzionata rispetto  all'effettiva  lesivita'  del  comportamento
concretamente tenuto dall'avvocato. 
    2.- Vanno innanzi tutto respinte le eccezioni di inammissibilita'
sollevate dalla Cassa e dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.1.- La fattispecie,  oggetto  del  giudizio  a  quo,  e'  stata
puntualmente   descritta   dal   giudice   rimettente   in    termini
sufficientemente dettagliati. 
    Risulta infatti dall'ordinanza di rimessione  che  l'avvocato  A.
T., gia' dipendente dell'INPS ed  iscritto  all'albo  speciale  degli
avvocati dipendenti di enti pubblici, dopo la cessazione del rapporto
di impiego (il 31 dicembre  2006)  ed  il  contestuale  conseguimento
della  pensione  di  vecchiaia  nella   gestione   dell'assicurazione
generale obbligatoria dell'INPS, ha chiesto ed ottenuto  l'iscrizione
nell'albo ordinario (con decorrenza dall'11 gennaio  2007)  iniziando
ad esercitare l'attivita' di avvocato all'eta' di sessantasette anni.
Pur comunicando il suo reddito professionale alla Cassa e provvedendo
altresi'  a  corrispondere  il  contributo   minimo,   ha   domandato
l'iscrizione alla Cassa solo in data 23 settembre 2011 e quindi oltre
il termine di legge previsto dall'art. 22, secondo comma, della legge
n. 576 del 1980 (ossia entro l'anno solare successivo  a  quello  nel
quale l'interessato ha raggiunto il minimo di reddito o il minimo  di
volume di affari, di natura professionale, fissati dal  comitato  dei
delegati della Cassa per l'accertamento  dell'esercizio  continuativo
della professione). La  Cassa  ha  provveduto  quindi  all'iscrizione
dell'avvocato A. T. al sistema di previdenza forense, retrodatata con
la stessa decorrenza  dell'iscrizione  all'albo  (11  gennaio  2007),
domandandogli il pagamento dei contributi arretrati con  interessi  e
sanzioni, nonche' irrogandogli la penalita' prevista per l'ipotesi di
mancato tempestivo inoltro della domanda di iscrizione. 
    Nel  giudizio  pendente  davanti  al  Tribunale  di  Palermo   si
controverte sia della  debenza  dei  contributi  previdenziali  nella
misura  quantificata  dalla  Cassa,  sia  della  legittimita'   della
penalita' per la tardiva iscrizione. 
    Il  tribunale  rimettente  quindi,  da  una  parte,   deve   fare
applicazione dell'art. 10 della legge n. 576 del 1980  per  accertare
la fondatezza, o no, della  pretesa  della  Cassa  al  pagamento  dei
contributi  nella  misura  ordinaria   a   fronte   delle   deduzioni
dell'avvocato A.T. ricorrente che, in ragione della  sua  particolare
situazione di pensionato di vecchiaia nella gestione  INPS,  sostiene
di non essere tenuto al pagamento della  contribuzione  nella  misura
ordinaria e di essere,  semmai,  a  cio'  obbligato  nella  inferiore
misura dell'avvocato pensionato di vecchiaia  nella  stessa  gestione
previdenziale della Cassa. 
    D'altra  parte,  per  accertare  la  legittimita',  o  no,  della
penalita' per tardiva iscrizione alla Cassa, il rimettente deve  fare
applicazione altresi' dell'art. 22,  secondo  comma,  della  medesima
legge, stante la contestazione dell'avvocato ricorrente che deduce la
sproporzione per eccesso della misura della sanzione fissata da  tale
disposizione, rispetto alle sanzioni di altre condotte  inadempienti,
poste in comparazione. 
    Tale  necessaria  applicazione  nel  giudizio  a  quo  delle  due
disposizioni, oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale, vale
a confermare l'ammissibilita', sotto tale  profilo,  delle  questioni
stesse. 
    2.2.-  Ne'  sussiste  inammissibilita'  per  petitum  generico  o
indeterminato. 
    Benche' il giudice a quo non indichi il contenuto della pronuncia
che la Corte dovrebbe adottare qualora ritenesse fondate le questioni
di legittimita'  costituzionale,  tuttavia,  dal  tenore  complessivo
della motivazione, emerge con sufficiente chiarezza  il  verso  delle
sollevate  questioni.  Solo  l'indeterminatezza  ed  ambiguita'   del
petitum comportano - per  consolidata  giurisprudenza  costituzionale
(ex pluribus, sentenza n. 32 del 2016; ordinanze n. 227 e n. 177  del
2016 e n. 269 del 2015) - l'inammissibilita' della questione. Qualora
poi il  petitum  sia  di  carattere  additivo,  e'  inammissibile  la
questione solo se l'ordinanza di rimessione  ometta  di  indicare  in
maniera sufficientemente circostanziata il verso della addizione  che
sarebbe necessaria per la reductio ad legitimitatem. 
    Nella specie risulta che  il  rimettente  da  una  parte  mira  a
ridimensionare l'obbligo  contributivo  dell'avvocato  pensionato  di
vecchiaia  nella  gestione  INPS  in  misura  almeno  pari  al   piu'
favorevole trattamento riservato all'avvocato pensionato di vecchiaia
nella gestione previdenziale della Cassa. D'altra parte chiede che la
Corte riconduca a ragionevolezza la sanzione  prevista,  in  caso  di
mancata o ritardata domanda di iscrizione, a carico dell'avvocato che
abbia comunque comunicato alla Cassa il suo reddito professionale. 
    Tanto e'  sufficiente  al  fine  dell'ammissibilita'  sotto  tale
profilo delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    2.3.-   Neppure   sussiste   inammissibilita'   per    incompleta
ricostruzione del quadro normativo. 
    Il  tribunale  rimettente  ha  indicato  puntualmente  le  citate
disposizioni della legge n. 576 del 1980 di cui e'  chiamato  a  fare
applicazione ed inoltre ha  fatto  espresso  riferimento  alle  fonti
regolamentari  della  Cassa,  tenendo  conto  della  disciplina   ivi
contenuta la' dove  ha  argomentato  in  ordine  all'esiguita'  della
pensione contributiva rispetto all'entita' dei contributi versati. 
    3.-  Nel  merito  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10 della legge n. 576 del 1980,  sollevate  in  riferimento
agli artt. 3 e 38 Cost., non sono fondate. 
    3.1.- Il sistema della previdenza forense  -  quale  disciplinato
fondamentalmente dalla legge n. 576 del 1980, piu' volte  modificata,
e dalla  successiva  normativa  sulla  privatizzazione  della  Cassa,
integrata dalla regolamentazione di quest'ultima - e' ispirato ad  un
criterio solidaristico e non gia' esclusivamente  mutualistico,  come
gia' riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte  (sentenze  n.
362 del 1997, n. 1008 del 1988, n. 171 del 1987, n. 169 del 1986,  n.
133 e n. 132 del 1984). 
    Gli    avvocati    assicurati,    che    svolgono    un'attivita'
libero-professionale riconducibile anch'essa  all'area  della  tutela
previdenziale del lavoro, garantita in  generale  dal  secondo  comma
dell'art. 38 Cost., non solo beneficiano -  assumendone  il  relativo
onere con l'assoggettamento al contributo soggettivo  ed  integrativo
(ex artt. 10 e 11 della legge n. 576 del 1980) - della  copertura  da
vari  rischi  di  possibile  interruzione  o  riduzione  della   loro
attivita' con conseguente contrazione  o  cessazione  del  flusso  di
reddito professionale, ma  anche  condividono  solidaristicamente  la
necessita'  che,  verificandosi  tali  eventi,  «siano  preveduti  ed
assicurati  mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di   vita»,   come
prescritto dal richiamato parametro costituzionale. Cio' rappresenta,
non diversamente da parallele forme di previdenza per altre categorie
di liberi professionisti, la connotazione essenziale della previdenza
forense, quale soprattutto risultante dalla riforma introdotta con la
citata legge n. 576 del 1980, e segna il superamento  dell'originario
e  risalente  criterio,  derivato  dalle  assicurazioni  private,  di
accantonamento dei contributi in conti individuali per  fare  fronte,
in chiave meramente assicurativa e non  gia'  solidaristica,  a  tali
rischi. 
    Le plurime prestazioni previdenziali previste dalla legge n.  576
del 1980,  quali  la  pensione  di  vecchiaia  (art.  2),  quella  di
anzianita' (art. 3), quella di inabilita' (art. 4) o  di  invalidita'
(art.  5),  quella  di  reversibilita'  (art.  7),  rappresentano  le
distinte articolazioni di tale solidarieta' mutualistica  categoriale
prescritta  dal  legislatore  con  carattere  di  obbligatorieta'  in
attuazione del precetto costituzionale posto  dall'art.  38,  secondo
comma, Cost. e da ultimo rafforzata dalla legge 31 dicembre 2012,  n.
247 (Nuova disciplina dell'ordinamento  della  professione  forense),
nella   misura   in   cui   dall'iscrizione   agli   albi    consegue
automaticamente la contestuale iscrizione alla Cassa (art. 21,  comma
8). 
    L'abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge  -
dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto  privato,
al pari di altre casse categoriali di liberi professionisti, in forza
del decreto legislativo 30 giugno  1994,  n.  509  (Attuazione  della
delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di
enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e  assistenza)  -  e
l'apertura all'autonomia  regolamentare  del  nuovo  ente  non  hanno
indebolito il  criterio  solidaristico  di  base,  che  rimane  quale
fondamento essenziale di questo sistema integrato,  di  fonte  ad  un
tempo  legale  (quella  della  normativa  primaria  di  categoria)  e
regolamentare (quella della Cassa, di natura  privatistica).  Con  il
citato d.lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione
di un complessivo disegno di riordino  della  previdenza  dei  liberi
professionisti (art. 1, comma 23, della legge 24  dicembre  1993,  n.
537,  recante  «Interventi  correttivi  di  finanza  pubblica»),   ha
arretrato la  linea  d'intervento  della  legge  (si  e'  parlato  in
proposito di delegificazione della disciplina: da ultimo,  Cassazione
civile,  sezione  lavoro,  sentenza  13  febbraio  2018,  n.   3461),
lasciando  spazio  alla  regolamentazione  privata  delle  fondazioni
categoriali, alle quali e' assegnata la missione  di  modellare  tale
forma di previdenza secondo il criterio  solidaristico.  Rientra  ora
nell'autonomia   regolamentare   della    Cassa    dimensionare    la
contribuzione degli assicurati nel modo piu' adeguato per raggiungere
la finalita' di solidarieta' mutualistica che la  legge  le  assegna,
assicurando comunque l'equilibrio di bilancio (art. 2, comma  2,  del
d.lgs. n. 509 del 1994) e senza necessita' di finanziamenti  pubblici
diretti  o  indiretti  (art.  1,  comma  3,  del   medesimo   decreto
legislativo.), che sono anzi esclusi (sentenza n. 7 del 2017). 
    E' tale connotazione solidaristica  che  giustifica  e  legittima
l'obbligatorieta' - e piu' recentemente  l'automaticita'  ex  lege  -
dell'iscrizione alla Cassa e la sottoposizione dell'avvocato  al  suo
regime previdenziale e segnatamente agli obblighi contributivi. 
    Il criterio  solidaristico  significa  anche  che  non  c'e'  una
diretta    corrispondenza,    in    termini    di    corrispettivita'
sinallagmatica,  tra  la  contribuzione,  alla  quale   e'   chiamato
l'avvocato  iscritto,  e  le  prestazioni  previdenziali  (ed   anche
assistenziali) della Cassa. 
    Si ha quindi che l'assicurato, che obbligatoriamente, e da ultimo
automaticamente, accede al sistema  previdenziale  della  Cassa  (ora
fondazione con personalita' giuridica di diritto privato), partecipa,
nel complesso  ed  in  generale,  al  sistema  delle  prestazioni  di
quest'ultima, il cui intervento, al  verificarsi  di  eventi  coperti
dall'assicurazione di  natura  previdenziale,  si  pone  in  rapporto
causale con l'obbligo contributivo senza  che  sia  necessario  alcun
piu'  stretto   ed   individualizzato   nesso   di   corrispettivita'
sinallagmatica tra contribuzione e prestazioni.  E'  questo  criterio
solidaristico che  assicura  la  corrispondenza  al  paradigma  della
tutela previdenziale garantita dall'art. 38, secondo comma, Cost. 
    3.2.- Posto tale criterio solidaristico, cui si ispira il sistema
della Cassa, il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)  e  quello
di adeguatezza dei trattamenti previdenziali (art. 38, secondo comma,
Cost.)  non  risultano  in  sofferenza   allorche'   l'accesso   alle
prestazioni della Cassa sia in concreto, per il  singolo  assicurato,
altamente improbabile in ragione di circostanze di  fatto  legate  al
caso  di  specie,  quale  l'iscrizione  alla  previdenza  forense  in
avanzata eta' anagrafica, si' che l'aspettativa di vita  media  lasci
prevedere  che   difficilmente   sara'   possibile,   all'assicurato,
conseguire, ad esempio, la pensione di vecchiaia. Il ridotto grado di
probabilita'  per  il  professionista  piu'  anziano  di   conseguire
benefici  pensionistici,  che  presuppongono  l'esercizio   protratto
dell'attivita',  attiene  a  circostanze  fattuali  ricollegabili  al
momento della vita in cui il soggetto  sceglie  di  intraprendere  la
professione. 
    Per altro  verso,  l'avvocato  pensionato  nella  gestione  INPS,
iscritto alla Cassa, che di fatto non possa accedere alla pensione di
anzianita' o di vecchiaia, puo' in ogni caso  maturare,  dopo  cinque
anni di contribuzione, la pensione contributiva di vecchiaia, secondo
quanto previsto dal Regolamento generale della Cassa. Come  riferisce
il giudice rimettente e come e' pacifico tra le parti,  la  normativa
regolamentare della Cassa (art. 8 del Regolamento per le  prestazioni
previdenziali) prevede la pensione  contributiva  secondo  i  criteri
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico
obbligatorio e complementare) in rapporto al montante dei  contributi
soggettivi versati entro un  determinato  tetto  reddituale,  nonche'
delle somme corrisposte a titolo di riscatto o di ricongiunzione. 
    Tale prestazione vale comunque ad escludere che la  contribuzione
versata  senza  la  possibilita'   concreta   di   conseguire   alcun
trattamento  pensionistico  di  vecchiaia  o  di  anzianita'  rimanga
erogata "a vuoto": c'e' comunque, anche in caso  di  iscrizione  alla
Cassa in eta' avanzata, la possibilita' concreta  di  conseguire  una
prestazione  previdenziale  di  entita'  calcolata  con  il   sistema
contributivo. 
    In conclusione, l'art. 10 della legge n. 576 del 1980, prevedendo
l'ordinario obbligo contributivo per l'avvocato assicurato, anche  se
iscritto alla Cassa in eta' avanzata, come il ricorrente nel giudizio
a quo, si' da rendere altamente  improbabile  il  raggiungimento  dei
presupposti per conseguire la pensione di vecchiaia o di  anzianita',
e' immune dalle censure mosse, in generale, dal giudice rimettente in
riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost. 
    3.3.- Alla stessa conclusione di non fondatezza  della  questione
occorre pervenire se si prende in considerazione l'altra  circostanza
dedotta dal giudice rimettente a fondamento di un  ulteriore  profilo
di  censura:  la  percezione  di  un  trattamento  pensionistico   di
vecchiaia erogato da gestione previdenziale diversa da  quella  della
Cassa; situazione questa  posta  in  comparazione  con  quella  degli
avvocati, pensionati di vecchiaia nella gestione previdenziale  della
stessa Cassa, i quali proseguano l'attivita' professionale. 
    Per questi ultimi la legge n. 576  del  1980  contempla,  in  via
derogatoria ed eccezionale, un regime contributivo di favore. Infatti
l'art. 10, terzo comma, prevede che il contributo soggettivo  e'  si'
dovuto anche dagli avvocati pensionati che restano iscritti all'albo;
ma l'obbligo  del  contributo  minimo  e'  escluso  dall'anno  solare
successivo alla maturazione del diritto a pensione ed  il  contributo
e' dovuto in misura pari al 3 per cento del reddito dell'anno  solare
successivo al compimento di cinque anni dalla maturazione del diritto
a pensione. 
    Questa fattispecie non puo' pero' essere evocata,  quale  tertium
comparationis,  per  raffrontarla  a  quella  dell'avvocato  che  sia
titolare di  un  trattamento  pensionistico  di  vecchiaia  in  altra
gestione previdenziale, quale l'assicurazione  generale  obbligatoria
nella gestione INPS, difettando  il  requisito  dell'omogeneita'.  Lo
speciale regime di favore, previsto per gli avvocati pensionati della
Cassa, ha carattere eccezionale e  derogatorio  e  si  giustifica  in
ragione del  fatto  che  si  tratta  di  assicurati  che  hanno  gia'
ampiamente alimentato tale sistema previdenziale pagando per  anni  i
dovuti contributi (soggettivo ed  integrativo)  fino  a  maturare  il
requisito contributivo sufficiente,  in  concorso  con  il  requisito
anagrafico, per conseguire la pensione  di  vecchiaia.  Inoltre  tale
regime di favore costituisce un complemento dello stesso  trattamento
previdenziale in godimento. 
    Invece, l'avvocato, che in precedenza non sia stato iscritto alla
Cassa, non vi ha contribuito e, coerentemente, vi accede  secondo  il
regime ordinario,  non  rilevando  la  circostanza  che  prima  abbia
contribuito ad  altra  gestione  previdenziale  fino  a  maturare  il
diritto alla pensione di vecchiaia. 
    Le due fattispecie poste in comparazione dal rimettente -  quella
dell'avvocato  pensionato  nel  sistema  dell'assicurazione  generale
obbligatoria gestito dall'INPS, che  si  iscrive  all'albo  ordinario
dopo il pensionamento, e quella dell'avvocato pensionato di vecchiaia
nel sistema di previdenza forense della Cassa,  che  rimane  iscritto
all'albo anche dopo la maturazione del  diritto  a  tale  trattamento
pensionistico - non sono omogenee, sicche' non ingiustificata  e'  la
disciplina  differenziata  che  limita  il  piu'  favorevole   regime
contributivo in misura ridotta  ai  soli  avvocati  pensionati  della
stessa Cassa. 
    4.- La questione di legittimita' costituzionale del medesimo art.
10 della legge n. 576 del 1980, in riferimento all'art. 53 Cost.,  e'
invece inammissibile. 
    Il rimettente non dubita in realta'  della  natura  pacificamente
previdenziale del contributo in questione, ne' potrebbe farlo per  la
intrinseca  contraddizione  che  non  lo  consentirebbe.  Infatti  il
giudice  a  quo  muove  dal  non  contestato  presupposto  della  sua
giurisdizione   come   giudice   ordinario,    laddove    l'eventuale
prospettazione della natura tributaria del contributo, al  contrario,
la escluderebbe comportando, di  conseguenza,  la  giurisdizione  del
giudice tributario, che il rimettente stesso  non  ipotizza  affatto.
Non vi e' dubbio infatti che «quella contributiva  previdenziale  non
e' una imposizione tributaria vera e propria, di carattere  generale,
ma una prestazione patrimoniale diretta a contribuire  esclusivamente
agli  oneri  finanziari  del  regime  previdenziale  dei  lavoratori»
(sentenza n. 173 del 1986; nello stesso  senso  sentenza  n.  88  del
1995). 
    In realta' il rimettente evoca l'art. 53 Cost. sotto  un  profilo
diverso   perche'   assume,   in   sostanza,   che   il    contributo
complessivamente  richiesto  all'avvocato  A.  T.  sia   marcatamente
eccedente rispetto al possibile beneficio previdenziale che a lui  ne
deriverebbe, sicche' esso ridonderebbe,  di  fatto,  in  una  vera  e
propria imposizione tributaria, inammissibile perche' la Cassa non ha
alcuna potesta' fiscale. L'avvocato A. T. sarebbe tenuto a finanziare
la spesa previdenziale in misura sproporzionata e maggiore rispetto a
quella sostenuta dagli altri suoi colleghi che potranno percepire - o
anche che gia' percepiscono - le prestazioni pensionistiche da  parte
della Cassa. 
    In questa prospettiva la censura e' inammissibile. 
    Si   e'   gia'   ricordato   che   l'obbligazione    contributiva
dell'assicurato iscritto alla Cassa trova fondamento nella prescritta
tutela previdenziale del lavoro in generale (art. 38, secondo  comma,
Cost.) e si giustifica nella misura in cui e'  diretta  a  realizzare
tale finalita',  la  quale  segna  anche  il  limite  della  missione
assegnata alla Cassa. Diversa e'  l'obbligazione  tributaria  che  si
fonda sulla «capacita' contributiva» (art. 53, primo comma, Cost.)  e
che  non  ha  necessariamente  una  destinazione  mirata,  bensi'  si
raccorda al generale dovere di concorrere alle  «spese  pubbliche»  e
puo' anche rispondere a finalita' di  perequazione  reddituale  nella
misura in cui  opera  il  prescritto  canone  di  progressivita'  del
sistema tributario (art. 53, secondo comma, Cost.). 
    Stante questa  differenziazione,  la  contribuzione  dovuta  alla
Cassa,   fin   quando   assicura   l'adeguatezza   dei    trattamenti
pensionistici alle esigenze di vita, anche con un  indiretto  effetto
di perequazione, non eccede la  solidarieta'  categoriale  di  natura
previdenziale,  in  quanto  «volta  a  realizzare  un   circuito   di
solidarieta' interno al sistema previdenziale» (sentenza n.  173  del
2016),  ne'  trasmoda  in  un'obbligazione  ascrivibile  invece  alla
fiscalita' generale e quindi di natura tributaria. 
    Pero', nella  specie,  il  rimettente  deduce  soltanto  la  mera
circostanza  fattuale  della  ritenuta   eccessiva   onerosita'   del
contributo previdenziale, circostanza che attiene  alle  peculiarita'
del caso, e non svolge una adeguata censura di carattere generale sul
complessivo sistema  di  provvista  della  Cassa  in  raffronto  alle
prestazioni erogate. 
    Tale   insufficiente   motivazione   della    censura    comporta
l'inammissibilita' della sollevata questione di costituzionalita'. 
    5.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22,
secondo comma, della legge n. 576 del 1980 - che e' inammissibile  in
riferimento  all'art.  53  Cost.  in  mancanza   di   una   specifica
motivazione della censura - e' infondata in riferimento agli artt.  3
e 38, secondo comma, Cost. 
    Il  giudice   rimettente   pone   in   comparazione   il   regime
sanzionatorio previsto distintamente per vari possibili comportamenti
inadempienti dell'avvocato iscritto agli albi: l'omessa  (o  tardiva)
domanda  di  iscrizione  alla  Cassa;  il   mancato   inoltro   delle
comunicazioni obbligatorie quanto  al  reddito  ed  al  volume  degli
affari; il ritardo nel pagamento dei contributi dovuti;  inadempienze
queste che sono sanzionate rispettivamente dagli  artt.  22,  secondo
comma; 17, quarto comma e 18, quarto comma, della legge  n.  576  del
1980. 
    L'art. 22, secondo comma, prevede  che  nel  caso  di  infrazione
all'obbligo di presentazione della domanda di iscrizione alla  Cassa,
la Giunta esecutiva provvede all'iscrizione d'ufficio e l'avvocato e'
tenuto a pagare,  oltre  ai  contributi  arretrati  con  interessi  e
sanzioni,  anche  una  penalita'  pari  alla  meta'  dei   contributi
arretrati, ossia quelli il cui  termine  di  pagamento  sarebbe  gia'
scaduto se l'iscrizione fosse stata chiesta tempestivamente. 
    L'art.  17,  quarto  comma,  prescrive  che  l'avvocato  che  non
ottemperi all'obbligo di comunicazione degli imponibili IRPEF  e  dei
volumi d'affari IVA, quanto al reddito professionale, o che  effettui
una comunicazione non conforme al vero,  e'  tenuto  a  versare  alla
Cassa una penalita' pari a meta'  del  contributo  soggettivo  minimo
previsto per l'anno solare in  cui  la  comunicazione  doveva  essere
inviata. 
    L'art. 18, quarto comma, prevede che il ritardo nei pagamenti dei
contributi dovuti comporta l'obbligo di pagare gli interessi di  mora
nella stessa misura stabilita per le imposte dirette  e  inoltre  una
sanzione  pari  al   15   per   cento   del   capitale   non   pagato
tempestivamente. 
    Tale graduazione della reazione sanzionatoria,  che  vede  quella
dell'art. 22, secondo  comma,  come  la  piu'  grave  ed  afflittiva,
resiste alla censura del  rimettente  di  difetto  di  ragionevolezza
intrinseca (art. 3 Cost.) e di inidoneita' a realizzare la  finalita'
di salvaguardia della funzione previdenziale della  Cassa  (art.  38,
secondo comma, Cost.). 
    Invero la condotta sanzionata dall'art. 22, secondo comma, citato
-  ossia  l'inadempienza  consistente  nell'esercizio  dell'attivita'
forense da parte di un avvocato che,  pur  essendone  tenuto  per  la
sussistenza dei relativi presupposti, abbia omesso di  presentare  la
domanda di iscrizione alla Cassa - costituiva, nel regime antecedente
alla  riforma  dell'ordinamento   forense   del   2012,   una   grave
inadempienza per la Cassa, la quale, in  mancanza  della  domanda  di
iscrizione,  poteva  non  saper  nulla  dell'avvocato  che,  iscritto
all'albo, esercitasse con continuita'  l'attivita'  professionale.  E
rappresentava una inadempienza piu'  insidiosa  rispetto  alle  altre
condotte sanzionate rispettivamente dall'art. 17 e dall'art. 18 della
medesima legge, che vedevano la Cassa in condizione di  reagire  piu'
agevolmente, essendo gia' in possesso di utili elementi  cognitivi  a
partire dagli stessi gia' verificati presupposti dell'iscrizione alla
Cassa. Ne' la mera comunicazione del reddito professionale  (ai  fini
IRPEF) e del volume complessivo d'affari (ai  fini  dell'IVA)  poteva
considerarsi equipollente - ex se ed in generale -  alla  domanda  di
iscrizione alla Cassa in un  sistema  in  cui  non  era  escluso  che
potesse esercitarsi la professione forense senza essere iscritti alla
Cassa. 
    Proprio per rimuovere questa che - piu' delle altre  inadempienze
di cui agli artt. 17 e 18 citati - poteva comportare, per  la  Cassa,
un grave nocumento  alla  realizzazione  della  tutela  previdenziale
della categoria  professionale,  il  legislatore  ha  introdotto,  in
occasione della riforma dell'ordinamento  della  professione  forense
(legge  n.  247  del  2012),  un  automatismo  per  cui  l'iscrizione
all'ordine comporta in ogni caso l'iscrizione alla Cassa, sicche' una
siffatta inadempienza non  e'  piu'  configurabile.  Infatti,  mentre
prima di  tale  riforma  l'iscrizione  all'ordine  professionale  era
obbligatoria per gli avvocati  e  procuratori  che  esercitassero  la
libera professione con carattere di continuita' e  l'iscrizione  alla
Cassa era subordinata alla domanda  dell'interessato  da  presentarsi
nel termine stabilito di legge (art. 22 della legge n. 576 del 1980),
a seguito della citata legge n. 247 del 2012 l'iscrizione  agli  albi
comporta la contestuale ed automatica iscrizione alla Cassa (art. 21,
comma 8). Sicche', alla  luce  del  nuovo  ordinamento  professionale
forense, non puo' piu' darsi il caso dell'avvocato iscritto all'albo,
ma non alla Cassa. 
    5.1.- La ritenuta non fondatezza  della  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale non esclude che sia compito  del  giudice
rimettente  accertare,  nel  giudizio  a  quo,  se   ci   sia   stata
effettivamente la contestata condotta  inadempiente  della  protratta
omissione  della  domanda  di  iscrizione   alla   Cassa   ad   opera
dell'avvocato ricorrente, dovendosi valutare il comportamento  tenuto
da quest'ultimo, che non si e' limitato a comunicare  alla  Cassa  il
suo reddito professionale (ai fini IRPEF) ed il suo  volume  d'affari
(ai fini IVA), ma sembra  aver  anche  corrisposto,  fin  dall'inizio
dell'attivita' libero-professionale, il contributo in  misura  fissa,
riconoscendosi in tal modo, con fatti concludenti,  soggetto,  seppur
in misura inferiore al dovuto,  alla  obbligazione  contributiva  che
sarebbe derivata dalla sua iscrizione alla Cassa. 
    Si tratta pero'  di  una  quaestio  facti  che  riguarda  se,  in
concreto e nella specie,  sussista,  o  no,  la  contestata  condotta
inadempiente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 10 e 22, secondo  comma,  della  legge  20
settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema  previdenziale  forense),
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e  38,  secondo  comma,  della
Costituzione, dal Tribunale ordinario  di  Palermo,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 10 e 22,  secondo  comma,  della  medesima
legge 20 settembre 1980, n. 576, sollevate, in  riferimento  all'art.
53, primo comma, Cost.,  dal  Tribunale  ordinario  di  Palermo,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE