N. 81 SENTENZA 20 marzo - 20 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Legge regionale - Qualificazione del "popolo veneto" come  "minoranza
  nazionale" - Applicazione delle tutele apprestate dalla Convenzione
  quadro per la  protezione  delle  minoranze  nazionali  conclusa  a
  Strasburgo il 1° febbraio 1995,  ratificata  con  legge  28  agosto
  1997, n. 302. 
- Legge della Regione Veneto 13 dicembre 2016,  n.  28  (Applicazione
  della  convenzione  quadro  per  la  protezione   delle   minoranze
  nazionali). 
-   
(GU n.17 del 26-4-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,   Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  della  legge  della
Regione  Veneto  13  dicembre  2016,  n.   28   (Applicazione   della
convenzione quadro per  la  protezione  delle  minoranze  nazionali),
intero testo, e  dell'art.  4  della  medesima  legge,  promosso  con
ricorso del Presidente del Consiglio dei  ministri,  spedito  per  la
notificazione il 13 febbraio 2017, depositato in  cancelleria  il  20
febbraio 2017,  iscritto  al  n.  16  del  registro  ricorsi  2017  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  13,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti l'atto di costituzione della Regione Veneto nonche'  l'atto
di intervento dell'associazione "Aggregazione Veneta  -  Aggregazione
delle  associazioni  maggiormente  rappresentative  degli   enti   ed
associazioni di tutela della identita', cultura e lingua venete" e di
L. P.; 
    udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri, gli avvocati Mario  Bertolissi  e  Andrea
Manzi per la Regione Veneto, e Marco Della  Luna  per  l'associazione
"Aggregazione Veneta - Aggregazione delle  associazioni  maggiormente
rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identita',
cultura e lingua venete" e L. P. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato  la  legge
della Regione Veneto 13 dicembre  2016,  n.  28  (Applicazione  della
convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali),  per
intero e con riguardo all'art. 4. 
    Pur riconoscendo che le censure relative al vizio  di  competenza
del  legislatore  regionale   rivestono   carattere   preliminare   e
assorbente, il ricorrente  illustra  innanzitutto  le  violazioni  di
ordine sostanziale riferibili all'intero testo della legge  regionale
impugnata. 
    1.1.- Il primo motivo  di  impugnazione  concerne  la  violazione
degli artt. 5, 6 e 114 della Costituzione. 
    La legge regionale impugnata qualifica il  «popolo  veneto»  -  e
cioe' l'intera popolazione vivente nel territorio  delle  province  e
della citta' metropolitana elencate nell'art. 1, commi 2 e  3,  della
legge regionale statutaria 12 aprile 2012, n. 1 (Statuto del  Veneto)
- come "minoranza nazionale" ai sensi della Convenzione-quadro per la
protezione delle  minoranze  nazionali,  fatta  a  Strasburgo  il  1°
febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva con  la  legge  28  agosto
1997, n. 302. Cio' contrasterebbe con l'art. 114, primo comma,  della
Costituzione perche' tale norma  costituzionale,  nel  prevedere  che
Comuni, Province, Regioni, Citta' metropolitane  e  Stato  concorrono
nelle  loro  componenti  personale  e  territoriale  a   formare   la
Repubblica, andrebbe intesa nel senso che la popolazione riferibile a
uno di tali enti esponenziali non possa essere anche identificata per
cio'  solo  come  "minoranza  nazionale",  staccata  e   contrapposta
rispetto alla maggioranza della popolazione della  Repubblica  e  per
questo meritevole di protezione ai  sensi  della  convenzione-quadro.
Una  tale  qualificazione  della  popolazione  del  Veneto  lederebbe
altresi' il principio di unita' e indivisibilita'  della  Repubblica,
di cui all'art.  5  Cost.,  principio  fondamentale  dell'ordinamento
costituzionale,   sottratto   persino   al   potere   di    revisione
costituzionale, come questa Corte avrebbe affermato nella sentenza n.
118 del 2015, resa sempre nei  confronti  della  Regione  Veneto.  Il
ricorrente osserva che l'art. 5 Cost. rappresenta la Repubblica  come
una comunita' nazionale dotata di una propria identita' e generatrice
di un ordinamento  unitario  e  non  come  «una  somma  materiale  di
minoranze  autopostesi  come  tali,  l'una   estranea   all'altra   e
coesistenti tra loro su  una  base  giuridicamente  non  definita  ma
comunque precaria». Che le minoranze siano realta' che la  Repubblica
considera come ulteriori rispetto alle proprie componenti costitutive
di tipo personale, e proprio per  questo  meritevoli  di  una  tutela
specifica, sarebbe comprovato dall'art. 6 Cost., la' dove afferma che
«la Repubblica» in tutte le sue  articolazioni,  comprese  quindi  le
Regioni, tutela  le  minoranze  linguistiche,  le  quali  dunque  non
possono coincidere con  le  articolazioni  della  Repubblica  stessa,
quali sono le  Regioni  o,  piu'  precisamente,  le  loro  componenti
personali. Cio' che la Corte costituzionale ha stabilito a  proposito
delle   minoranze   linguistiche,   negando   che   all'articolazione
politico-amministrativa degli enti territoriali di cui si compone  la
Repubblica possa corrispondere automaticamente una  ripartizione  del
popolo in improbabili sue frazioni (si richiama la  sentenza  n.  170
del 2010), dovrebbe affermarsi a maggior  ragione  per  le  minoranze
nazionali. D'altra parte, secondo il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri sarebbe lo stesso contenuto della Convenzione-quadro per  la
protezione delle minoranze nazionali a confermare che la  popolazione
di  una  Regione  non  possa  formare  di  per  se'  una   "minoranza
nazionale": se e'  vero  che  la  convenzione-quadro  presuppone  una
situazione di pericolo  di  lesione  di  diritti  fondamentali  degli
appartenenti   alla    "minoranza    nazionale",    allora    sarebbe
contraddittorio dire che la popolazione di una Regione in quanto tale
e'  esposta  al  rischio  di  violazione  di  diritti  costituzionali
fondamentali da parte della  Repubblica,  proprio  perche'  anche  la
Regione e' elemento costitutivo  della  Repubblica  e  dunque  tenuta
anch'essa  a  garantire  quei  diritti.  Secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, le censure rivolte  all'art.  1  della  legge
regionale  impugnata,  che  identifica  l'aspetto  soggettivo   della
"minoranza nazionale"  con  la  popolazione  del  Veneto,  andrebbero
estese all'art. 2, che determina i contenuti oggettivi  della  tutela
che si vorrebbe apprestare tramite un rinvio alla convenzione-quadro,
quali  ad  esempio,  la  salvaguardia  degli  «elementi   essenziali»
dell'identita', come «la religione, la lingua, le  tradizioni  ed  il
patrimonio culturale» di cui all'art. 5 della convenzione-quadro.  La
"minoranza nazionale"  a  cui  si  riferisce  la  convenzione-quadro,
tuttavia, e' qualcosa di contrapposto  alla  maggioranza  del  popolo
organizzato nell'ordinamento generale, di  cui  la  minoranza  stessa
deve rispettare la leggi e i diritti ivi garantiti (art.  20).  Anche
l'art. 3 della legge  regionale  impugnata,  che  prefigura  un  ente
incaricato del compito di raccogliere le dichiarazioni  spontanee  di
appartenenza   alla   presunta   minoranza   veneta,    incorrerebbe,
conseguenzialmente,   nella   violazione   delle    medesime    norme
costituzionali, in  quanto  consente  ai  singoli  appartenenti  alla
popolazione di una Regione di decidere  individualmente  se  la  loro
appartenenza al  popolo  italiano  sia  piena  oppure  mediata  dalla
collocazione in una entita' che si  distingue  e  si  contrappone  al
popolo  italiano.  Sarebbe  poi  affetto   dai   medesimi   vizi   di
costituzionalita' anche l'art.  4  della  legge  che,  trattando  gli
aspetti finanziari, ha funzione secondaria e servente  rispetto  agli
articoli precedenti. 
    1.2.- Il secondo motivo di censura, sempre  relativo  alla  legge
regionale nella sua interezza, riguarda la violazione degli artt. 2 e
3  Cost.  Il  ricorrente  ricorda  che  secondo   la   giurisprudenza
costituzionale si puo' riconoscere una  minoranza,  titolare  di  uno
status particolare, solo quando lo impongano i principi  fondamentali
di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (si richiama la  sentenza  n.  159  del
2009):  quando,  cioe'  il  mancato  riconoscimento  della  minoranza
comporti  la  negazione  della  identita'  collettiva  di  un  gruppo
connotato  da  marcate  particolarita'   culturali,   in   violazione
dell'art. 2 Cost., nonche'  l'indebita  parificazione  giuridica  dei
suoi componenti alla condizione  della  generalita'  del  popolo,  in
violazione dell'art. 3 Cost.  Nel  caso  in  esame  non  ricorrerebbe
nessuna di queste condizioni, data l'assenza di ogni evidenza di tipo
storico o sociologico che riveli  nella  popolazione  del  territorio
veneto connotati identitari  tali  da  giustificarne  un  trattamento
giuridico quale minoranza nazionale.  Del  tutto  inconferente,  poi,
sarebbe il riferimento, contenuto nei lavori preparatori della legge,
al principio dell'autogoverno  regionale  di  cui  all'art.  2  dello
Statuto del Veneto. 
    1.3.- Il terzo motivo  di  censura  dell'intera  legge  regionale
riguarda la violazione degli artt. 80 e 117, secondo  comma,  lettera
a), Cost. Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ritiene  che  la
Regione non abbia la competenza ad adottare una normativa come quella
in  esame,  perche'  l'attuazione  della  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle minoranze nazionali  rientrerebbe  nella  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di  «politica  estera  e
rapporti internazionali dello Stato» (si richiamano  la  sentenza  n.
159 del 2009 e le sentenze n. 238 del 2004, n. 737 del 1988 e n.  179
del 1987).  In  primo  luogo,  il  distacco  di  una  porzione  della
popolazione nazionale dalla generalita' e la sua qualificazione  come
"minoranza nazionale" avrebbe immediato riflesso  sulla  personalita'
di  diritto  internazionale  dello  Stato.  In  secondo   luogo,   il
riconoscimento di una "minoranza nazionale" renderebbe  operanti  gli
obblighi    internazionali    dello    Stato    discendenti     dalla
convenzione-quadro, sicche' spetterebbe solo allo Stato la  capacita'
di  bilanciare  gli  interessi  confliggenti  e  assicurare  che   il
riconoscimento di una "minoranza nazionale" non  si  traduca  in  una
ragione di privilegio  o  al  contrario  di  discriminazione  per  la
restante popolazione o per le altre minoranze. 
    Quanto alla violazione dell'art. 80 Cost., il ricorrente sostiene
che con la legge impugnata la  Regione  Veneto  solo  formalmente  si
sarebbe   basata   sulla   legge   nazionale   di   ratifica    della
convenzione-quadro, ma in realta' avrebbe a tutti gli effetti emanato
una propria particolare legge di ratifica, che si sovrappone a quella
statale. 
    1.4.- Pur ritenendo che i tre motivi  di  censura  sopra  esposti
siano tali da travolgere anche le previsioni  serventi,  relative  al
«Finanziamento» della legge stessa, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri presenta «per completezza» un quarto motivo di impugnazione,
rivolto specificamente contro l'art. 4, per  violazione  degli  artt.
81, terzo e quarto comma, 117, secondo comma, lettere  g)  ed  e),  e
118, primo comma, Cost. 
    La  disposizione  impugnata  prevede  che   le   spese   relative
all'attuazione della legge in esame «sono a carico e sono  deliberate
da  ciascuna  amministrazione  centrale  o  periferica  chiamata   ad
attuarla».  Una  tale   previsione   determinerebbe   anzitutto   una
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera g), che  attribuisce
alla competenza esclusiva  dello  Stato  la  materia  «organizzazione
amministrativa dello Stato» e in proposito il ricorrente ricorda  che
per costante giurisprudenza costituzionale  (si  cita  da  ultima  la
sentenza n. 9 del 2016) e' vietato alle Regioni  porre  a  carico  di
organi e amministrazioni dello Stato  compiti  ulteriori  rispetto  a
quelli individuati con legge statale. In secondo luogo, sussisterebbe
una  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),   che
attribuisce  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato   la   materia
«perequazione  delle  risorse  finanziarie».  A  tale  riguardo,   il
ricorrente nota che l'impugnato art. 4 pone  a  carico  del  bilancio
statale le spese necessarie all'attuazione della  legge  regionale  e
prevede  che  tali  spese   siano   finalizzate   alla   perequazione
finanziaria. Per le medesime ragioni sarebbe violato anche l'art. 81,
terzo e quarto comma, Cost.,  dato  che  solo  la  legge  statale  di
approvazione  del  bilancio  puo'  autorizzare  spese  a  carico  del
bilancio statale, mentre la legge regionale impugnata  non  solo  non
indica i mezzi di copertura delle spese, ma  neanche  le  quantifica,
impedendo cosi' in radice ogni ipotetica previsione di copertura. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Veneto chiedendo  che
la Corte costituzionale si pronunci nel senso dell'inammissibilita' e
comunque del rigetto di tutte le questioni sollevate. 
    La difesa regionale  afferma  innanzitutto  che  la  Regione  non
contesta la circostanza che sia lo Stato l'ente chiamato  ad  attuare
la Convenzione-quadro per la protezione  delle  minoranze  nazionali,
sui cui contenuti poi si sofferma. Secondo la  difesa  della  Regione
Veneto,  la  legge  regionale  impugnata  in  concreto   esprimerebbe
soltanto l'«aspirazione banalissima di non perdersi nel  mare  magnum
dell'indistinto globalizzato». La Regione Veneto  non  avrebbe  fatto
altro «che ricordare allo Stato di aver ratificato, con la  legge  n.
302/1997, la Convenzione-quadro sulle minoranze nazionali,  che  essa
ritiene dotata di contenuti rilevanti per la comunita' insediata  nel
proprio territorio». E cio', secondo la Regione,  non  determinerebbe
«affatto ne' collisioni ne' rotture, ma  semplicemente  una  attesa»:
l'attesa che venga realizzata anche per le minoranze nazionali quella
tutela di cui la stessa giurisprudenza  costituzionale  si  e'  fatta
carico quando ha affermato  che  la  previsione  della  tutela  delle
minoranze linguistiche appare destinata, piu' che  alla  salvaguardia
delle  lingue  minoritarie  in  quanto  oggetto  di   memoria,   alla
consapevole custodia e valorizzazione di  patrimoni  di  sensibilita'
vivi e vitali nell'esperienza dei parlanti (si richiama  la  sentenza
n. 170 del 2010, oltre che la sentenza n. 42 del 2017,  la'  dove  si
da' atto del valore pregnante sia della  lingua  italiana  sia  delle
lingue minoritarie  e  si  evoca  l'erosione  dei  confini  nazionali
determinata  dalla  globalizzazione).  Di  conseguenza,  la   lettura
offerta dal ricorso statale  al  contenuto  complessivo  della  legge
regionale impugnata,  «pur  letteralmente  consentita»,  non  sarebbe
condivisibile. La stessa  circostanza  che  il  dettato  della  legge
regionale impugnata sia, «per ora, concretamente  inoffensivo»,  dato
che la legge regionale non  prevede  oneri  per  la  sua  attuazione,
testimonierebbe che la Regione Veneto ritiene che sia lo Stato l'ente
competente ad attuare la convenzione-quadro  e  ad  accollarsene  gli
oneri nella sua veste di soggetto di diritto internazionale. In  ogni
caso, poi, non ci sarebbe alcuna violazione degli artt. 5,  6  e  114
Cost., dato che la futura acquisizione da parte del  «popolo  veneto»
dello  status  di  "minoranza  nazionale"  non  determinerebbe  alcun
contrasto con la Costituzione e con la  legislazione  che  la  attua,
«poiche' rimane saldo il principio che entrambe  vanno  rigorosamente
rispettate». Non sarebbero violati neppure gli artt.  2  e  3  Cost.,
perche' essere  "minoranza  nazionale"  non  equivarrebbe  affatto  a
essere titolari di prerogative ingiustificate; ne' sarebbero  violati
gli artt. 81 e 117, secondo comma,  lettera  a),  Cost.,  perche'  la
Regione Veneto non avrebbe deliberato, legislativamente,  di  operare
sostituendosi allo Stato, ma al contrario si sarebbe  inibita  questa
facolta' proprio nel  momento  in  cui  ha  stabilito  che  la  legge
regionale fosse «a costo  zero».  Inoltre,  data  la  «non  rilevanza
giuridica dell'art. 4 della legge  regionale»,  non  sarebbero  stati
violati neppure gli artt. 81, terzo  e  quarto  comma;  117,  secondo
comma, lettere a) ed  e),  e  118,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto
«disporre delle proprie risorse e' prerogativa dello  Stato,  cui  la
Regione chiede l'attuazione, in proprio favore» della  legge  statale
di ratifica ed esecuzione della  convenzione-quadro  sulle  minoranze
nazionali. 
    In definitiva, la difesa regionale conclude in  primo  luogo  per
l'inammissibilita' delle censure prospettate dall'Avvocatura generale
dello Stato, «atteso il carattere non lesivo dell'atto impugnato»; e,
in secondo luogo, per la non fondatezza delle questioni sia «in se' e
per se', nel merito», sia «soprattutto e in ogni caso, se si accoglie
l'opinione formulata dalla difesa della Regione Veneto,  secondo  cui
la normativita' della legge impugnata e' condizionata da  iniziative,
che lo Stato decidera' di assumere ai sensi della legge n. 302/1997».
In  particolare,  questa  Corte  costituzionale,  secondo  la  difesa
regionale  «potra',   se   del   caso,   pronunciare   una   sentenza
interpretativa  di  rigetto  di  quanto  sostenuto  dalla  Avvocatura
generale dello Stato» e «lo Stato potra', in ogni momento,  sollevare
conflitto  di  attribuzioni  nei  confronti  di  eventuali   atti   e
provvedimenti che la Regione Veneto intendesse adottare in attuazione
della legge regionale n. 28/2016; atti e  provvedimenti  da  valutare
nella loro lesivita' non ora in astratto, ma un domani  in  concreto,
al momento della loro adozione». 
    3.- Hanno depositato un atto di intervento nel giudizio davanti a
questa Corte l'associazione non riconosciuta "Aggregazione  Veneta  -
Aggregazione delle associazioni  maggiormente  rappresentative  degli
enti ed associazioni di tutela  della  identita',  cultura  e  lingua
venete", che si definisce «organizzazione esponenziale della  nazione
veneta», in persona del suo legale rappresentante L.  P.,  unitamente
allo stesso L. P. in proprio, eccependo la tardivita' del  ricorso  e
chiedendo che, nel merito, ne venga dichiarata l'infondatezza. 
    4.-  In  vista  dell'udienza  pubblica,  ha  depositato   memoria
soltanto la difesa della Regione  Veneto,  insistendo  sulle  proprie
conclusioni e svolgendo alcune considerazioni di sintesi.  La  difesa
regionale ricorda, in particolare, che  e'  attualmente  in  atto  un
"negoziato" tra la Regione Veneto e lo Stato  per  l'attribuzione  di
maggiori competenze ai  sensi  dell'art.  116,  terzo  comma,  Cost.,
giunto ora, a fine legislatura, a «una positiva pre-intesa, destinata
a  completarsi,  una  volta  insediate  le  nuove   Camere».   Questa
circostanza  assegnerebbe  alla  legge  regionale  impugnata   «altri
significati, di certo non eversivi». La legge regionale, ribadisce la
Regione, non avrebbe inteso invadere  le  competenze  spettanti  allo
Stato  in  tema  di  minoranze  nazionali,  ne'  ledere  i  parametri
costituzionali invocati, ma avrebbe piuttosto attuato «una  sorta  di
ricognizione, che ha lo scopo evidente di ridare vigore alla  memoria
e, con essa, a un sistema di valori, la cui nobilta' e' innegabile». 
    5.- All'udienza del 20 marzo 2018, previa discussione sul  punto,
e' stato dichiarato inammissibile l'intervento per i motivi  indicati
nell'ordinanza dibattimentale allegata alla presente sentenza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale della  legge  della  Regione
Veneto 13 dicembre 2016, n. 28 (Applicazione della convenzione quadro
per la protezione delle minoranze nazionali), impugnandola nella  sua
interezza per contrasto con gli artt. 2, 3, 5,  6,  80,  114  e  117,
secondo comma, lettera a), della Costituzione  Ha  inoltre  censurato
specificamente l'art. 4 della medesima legge regionale per violazione
degli artt. 81, terzo e quarto comma, 117, secondo comma, lettere  g)
ed e), e 118, primo comma, Cost. 
    1.1.- In via preliminare va confermata l'ordinanza dibattimentale
allegata alla  presente  sentenza  che  ha  dichiarato  inammissibile
l'intervento. 
    1.2.-  La  legge  regionale  impugnata  e'  composta  da   cinque
articoli. 
    L'art. 1, rubricato «Minoranza Nazionale», prevede che al «popolo
veneto» - individuato tramite il rinvio agli artt. 1 e 2 della  legge
regionale statutaria 12 aprile 2012, n.  1  (Statuto  del  Veneto)  e
comprensivo delle comunita' etnico-linguistiche  cimbre  e  ladine  e
delle   «comunita'   legate   storicamente    e    culturalmente    o
linguisticamente al popolo veneto anche al di  fuori  del  territorio
regionale» - «spettano i diritti» di cui alla Convenzione-quadro  per
la protezione delle minoranze nazionali, fatta  a  Strasburgo  il  1°
febbraio 1995, ratificata e resa esecutiva con  la  legge  28  agosto
1997, n. 302. 
    L'art. 2 stabilisce che la «legge si attua a  tutti  gli  ambiti»
previsti dalla medesima convenzione-quadro secondo  i  criteri  e  le
modalita' determinati dalla Giunta regionale e «senza oneri a  carico
della Regione». 
    L'art.   3   individua   «l'Aggregazione    delle    associazioni
maggiormente rappresentative degli enti  ed  associazioni  di  tutela
della identita', cultura e lingua venete, da  costituirsi  presso  la
Giunta  regionale»  quale  soggetto  incaricato  «della  raccolta   e
valutazione  delle  dichiarazioni  spontanee»  di  appartenenza  alla
minoranza nazionale veneta. Alla Giunta regionale spetta  il  compito
di monitorare le attivita' svolte dal nuovo ente. 
    L'art. 4 si occupa degli aspetti finanziari, prevedendo che tutte
le  spese  relative  alla  attuazione  della  legge   impugnata   nel
territorio  regionale  «sono  a  carico  e  deliberate  da   ciascuna
amministrazione centrale o  periferica  chiamata  ad  attuarla  [...]
eventualmente con perequazione dell'amministrazione centrale». 
    L'art. 5, infine, ne stabilisce l'entrata in  vigore,  a  partire
dal giorno successivo alla sua pubblicazione. 
    1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri formula tre ordini
di censure in relazione all'intero testo della legge regionale n.  28
del 2016. 
    In primo luogo, il ricorrente ritiene violati gli artt.  5,  6  e
114 Cost., in quanto la  popolazione  riferibile  a  uno  degli  enti
esponenziali della Repubblica  non  potrebbe  per  cio'  solo  essere
qualificata  come  "minoranza  nazionale",  distinta  e  contrapposta
rispetto alla maggioranza del popolo italiano. Il principio di unita'
e indivisibilita' sancito dagli artt. 5 e 114  Cost.  impedirebbe  di
rappresentare la Repubblica come «una somma materiale  di  minoranze»
e, in ogni caso, le minoranze nazionali non potrebbero coincidere con
le componenti personali delle articolazioni della Repubblica  stessa,
quali sono le Regioni. 
    In secondo luogo, il ricorrente denuncia  il  contrasto  con  gli
artt. 2 e 3 Cost. perche' riconoscere una minoranza sarebbe possibile
e necessario solo  quando  in  mancanza  di  tale  riconoscimento  si
negherebbe   l'identita'   collettiva   del    gruppo,    parificando
giuridicamente  una  situazione  collettiva  connotata   da   marcate
particolarita'  culturali  alla  condizione  della  generalita'   del
popolo.  Nel  caso  di  specie,  tuttavia,  non   ricorrerebbero   le
circostanze che sole giustificano e richiedono il  riconoscimento  di
una minoranza veneta. 
    In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri  ritiene
che il legislatore regionale non sia competente ad adottare la  legge
impugnata, in quanto l'attuazione  della  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle minoranze nazionali  rientrerebbe  nella  competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di  «politica  estera  e
rapporti internazionali dello Stato» di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera a), Cost. Inoltre, la Regione Veneto solo  formalmente
si  sarebbe  basata  sulla  legge   nazionale   di   ratifica   della
convenzione-quadro, ma in realta' avrebbe a tutti gli effetti emanato
una propria particolare legge di ratifica, con conseguente violazione
dell'art. 80 Cost. 
    1.4.- In caso di mancato accoglimento delle censure relative alla
legge regionale n. 28 del 2016 nella sua interezza, il Presidente del
Consiglio dei ministri denuncia distintamente anche il solo  art.  4,
per violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  g),  Cost.,
relativo alla materia «organizzazione amministrativa dello Stato», in
quanto  le  Regioni  non  potrebbero  porre  a  carico  di  organi  e
amministrazioni dello  Stato  compiti  ulteriori  rispetto  a  quelli
individuati con legge statale. La  medesima  disposizione  violerebbe
inoltre l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  relativo  alla
materia «perequazione delle  risorse  finanziarie»,  perche'  sarebbe
vietato alla  legge  regionale  prevedere  «il  riequilibrio  tra  le
disponibilita' finanziarie dei diversi livelli di governo  dotati  di
differente capacita' fiscale». Infine, la disposizione censurata  non
rispetterebbe i principi  contenuti  nell'art.  81,  terzo  e  quarto
comma, e nell'art.  118,  primo  comma,  Cost.,  dato  che  la  legge
regionale impugnata non quantifica le spese ne' individua i mezzi con
cui  farvi  fronte,  e   comunque   addossa   illegittimamente   alle
amministrazioni statali nuovi oneri amministrativi e finanziari. 
    2.-    La    difesa    regionale    eccepisce     preliminarmente
l'inammissibilita' del ricorso per carenza di lesivita'  della  legge
regionale impugnata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La legge della Regione Veneto n. 28 del 2016 qualifica il «popolo
veneto» come "minoranza nazionale" degna di  tutela  ai  sensi  della
convenzione-quadro  e   impegna   le   amministrazioni   centrali   e
periferiche a rendere effettiva tale tutela; essa  prevede,  inoltre,
l'istituzione di un nuovo ente regionale incaricato di raccogliere  e
valutare  le  dichiarazioni  individuali  di  appartenenza   a   tale
minoranza. Diversamente da quanto ritenuto  dalla  difesa  regionale,
non si tratta  di  semplici  aspirazioni  o  di  enunciati  meramente
ottativi, ma di precetti a contenuto normativo,  sicche'  l'eccezione
di inammissibilita'  basata  sulla  carenza  di  lesivita'  dell'atto
impugnato deve essere respinta (si veda analogamente, da  ultima,  la
sentenza n. 245 del 2017). 
    Ne', d'altra parte, i contenuti della legge  regionale  impugnata
potrebbero mai essere interpretati, secondo quanto prospettato  dalla
resistente, come semplice espressione di una richiesta, rivolta  allo
Stato, di dare effettiva attuazione alla  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle minoranze nazionali  nel  territorio  della  Regione
Veneto. In proposito, va ricordato anzitutto che  lo  Stato  ha  gia'
ratificato e recepito la convenzione-quadro con la legge n.  302  del
1997. In ogni caso, lo strumento di  cui  ogni  Regione  dispone  per
stimolare l'intervento dello Stato negli ambiti di sua competenza non
e' certo l'approvazione di  una  legge  regionale,  ma  e'  piuttosto
l'iniziativa legislativa delle leggi  statali  attribuita  a  ciascun
Consiglio regionale dall'art. 121 Cost. E' a  tale  facolta'  che  la
Regione avrebbe dovuto fare ricorso se l'intendimento  effettivamente
perseguito fosse stato quello di sollecitare il  legislatore  statale
ad adottare ulteriori atti di sua competenza  in  materia  di  tutela
delle minoranze,  volti  alla  «custodia  e  alla  valorizzazione  di
patrimoni di sensibilita' collettiva vivi e  vitali»  nel  territorio
regionale, come affermato nelle  memorie  del  Veneto,  richiamandosi
alle parole di questa Corte (sentenza n. 170 del 2010). 
    3.- Nel  merito,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
aventi ad oggetto l'intera  legge  regionale  n.  28  del  2016  sono
fondate. 
    3.1.-  Per  inquadrare  correttamente  le  questioni   sottoposte
all'esame  della  Corte,  occorre  premettere  che  la  tutela  delle
minoranze - garantita dall'art. 6  Cost.  con  specifico  riferimento
alle  minoranze  linguistiche  -  e'  espressione  dei   fondamentali
principi del pluralismo sociale (art.  2  Cost.)  e  dell'eguaglianza
formale  e  sostanziale  (art.  3  Cost.),  che  conformano  l'intero
ordinamento costituzionale e che per questo  sono  annoverati  tra  i
suoi principi supremi (sentenze n. 88 del 2011, n. 159 del  2009,  n.
15 del 1996 e n. 62 del 1992). 
    L'aspetto linguistico al quale si riferisce l'art. 6 Cost., e  su
cui  questa  Corte  e'   stata   piu'   frequentemente   chiamata   a
pronunciarsi, e' «un elemento  [...]  di  importanza  basilare»  che,
insieme  a  quello  nazionale,   etnico,   religioso   e   culturale,
contribuisce a definire la «identita' individuale e  collettiva»  dei
singoli e dei gruppi (sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996  e  n.
261 del 1995). Tale identita' e' l'oggetto della  tutela  approntata,
oltre che dai citati principi costituzionali, anche  da  sempre  piu'
numerosi documenti internazionali (si  vedano  ad  esempio  gli  ampi
riferimenti contenuti nelle sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del  1996
e n. 62 del 1992). Pertanto, nella giurisprudenza di questa Corte, la
tutela delle minoranze  linguistiche  di  cui  all'art.  6  Cost.  e'
considerata espressione paradigmatica di una piu' ampia e  articolata
garanzia delle identita' e del pluralismo culturale, i  cui  principi
debbono ritenersi  applicabili  a  tutte  le  minoranze,  siano  esse
religiose, etniche o nazionali, oltre che linguistiche. 
    3.2.-  Deve  essere  condivisa   l'osservazione   della   Regione
resistente circa il fatto che  la  tutela  delle  minoranze  richiede
«l'apprestamento sia  di  norme  ulteriori  di  svolgimento,  sia  di
strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta  operativita'»
(sentenze n. 159 del 2009, n. 15 del 1996, n. 62 del 1992 e n. 28 del
1982),  in  presenza  delle  quali  soltanto  i  principi  proclamati
dall'art. 6 Cost. e  dai  rilevanti  accordi  internazionali  possono
acquisire concreta effettivita'. 
    In ordine alla titolarita' dei poteri esercitabili a tale  scopo,
questa Corte in un primo momento ha affermato che solo il legislatore
statale fosse abilitato a dettare norme sulla tutela delle minoranze,
in ragione di  inderogabili  esigenze  di  unita'  e  di  eguaglianza
(sentenze n. 14 del 1965, n. 128 del 1963, n. 46 e n. 1 del 1961 e n.
32 del 1960). Successivamente, questa Corte ha ritenuto che  anche  i
legislatori regionali e provinciali potessero adottare atti normativi
in  materia,  specialmente  al  fine  di  garantire   e   valorizzare
l'identita'  culturale  e  il  patrimonio   storico   delle   proprie
comunita', ma sempre nel pieno  rispetto  di  quanto  determinato  in
materia dal legislatore statale (sentenze n. 261 del 1995, n. 289 del
1987 e n. 312 del 1983). 
    La  giurisprudenza  costituzionale   piu'   recente   e'   chiara
nell'affermare che la tutela delle minoranze  e'  refrattaria  a  una
rigida configurazione in termini di "materia"  da  collocare  in  una
delle ripartizioni individuate nel Titolo V della seconda parte della
Costituzione e che la sua attuazione in via di legislazione ordinaria
richiede tanto l'intervento del legislatore statale, quanto l'apporto
di quello regionale (sentenza n. 159 del 2009). Infatti,  i  principi
contenuti negli artt. 2, 3,  e  6  Cost.  si  rivolgono  sempre  alla
"Repubblica" nel suo  insieme  e  pertanto  impegnano  tutte  le  sue
componenti -  istituzionali  e  sociali,  centrali  e  periferiche  -
nell'opera  di  promozione  del   pluralismo,   dell'eguaglianza   e,
specificamente, della tutela  delle  minoranze;  sicche',  sul  piano
legislativo,  l'attuazione  di  tali  principi  esige  il  necessario
concorso della legislazione regionale con quella statale. 
    Nondimeno, il compito di determinare gli elementi  identificativi
di una minoranza da tutelare non puo' che essere affidato  alle  cure
del legislatore statale, in ragione della loro necessaria uniformita'
per l'intero territorio nazionale. Inoltre, il legislatore statale si
trova nella posizione  piu'  favorevole  a  garantire  le  differenze
proprio in  quanto  capace  di  garantire  le  comunanze  e  risulta,
percio', in grado di rendere  compatibili  pluralismo  e  uniformita'
(sentenza n. 170 del 2010), anche  in  attuazione  del  principio  di
unita' e indivisibilita' della Repubblica di cui all'art. 5 Cost. 
    In questa cornice debbono intendersi  le  affermazioni  contenute
nella sentenza n. 170 del 2010 - relative alla tutela delle minoranze
linguistiche, ma da estendersi, per le ragioni  sopra  esposte,  alla
piu' generale tutela dei gruppi minoritari - secondo le quali non  e'
consentito al legislatore regionale configurare  o  rappresentare  la
"propria" comunita' in quanto tale  come  "minoranza",  «essendo  del
tutto   evidente   che,   in   linea   generale,    all'articolazione
politico-amministrativa dei diversi enti territoriali all'interno  di
una medesima piu' vasta, e  composita,  compagine  istituzionale  non
possa  reputarsi  automaticamente  corrispondente  -  ne',  in  senso
specifico, analogamente rilevante - una  ripartizione  del  "popolo",
inteso  nel  senso  di  comunita'  "generale",  in  improbabili   sue
"frazioni"» (sentenza n. 170 del 2010). Riconoscere un tale potere al
legislatore  regionale  significherebbe,   infatti,   introdurre   un
elemento di frammentazione nella comunita' nazionale  contrario  agli
artt. 2, 3, 5 e 6 Cost. 
    Lasciata,  dunque,  in  disparte  ogni  considerazione  circa  la
compatibilita' della  legge  regionale  impugnata  con  lo  specifico
contenuto della Convenzione-quadro per la protezione delle  minoranze
nazionali, a cui essa  si  richiama  -  la  quale  peraltro  contiene
principalmente un elenco di diritti di  natura  individuale,  ma  non
configura  diritti  collettivi  dei  gruppi  minoritari  -  la  legge
regionale  impugnata,  nel  qualificare  il  «popolo   veneto»   come
"minoranza  nazionale"  ai  sensi  della  citata  convenzione-quadro,
contrasta con i principi sviluppati nella  giurisprudenza  di  questa
Corte in materia. 
    Ne consegue la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'intero  testo  della  legge  regionale  n.  28  del   2016,   in
riferimento agli artt. 2, 3, 5 e 6 Cost. 
    3.3.- Restano assorbiti gli altri profili di censura. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara inammissibile l'intervento di «Aggregazione Veneta  -
Aggregazione delle associazioni  maggiormente  rappresentative  degli
enti ed associazioni di tutela  della  identita',  cultura  e  lingue
venete» e di L. P.; 
    2) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  della  legge  della
Regione  Veneto  13  dicembre  2016,  n.   28   (Applicazione   della
convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali). 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
 
                                                            Allegato: 
                        ordinanza letta all'udienza del 20 marzo 2018 
 
                              ORDINANZA 
 
    Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
un giudizio di legittimita' costituzionale  (r.r.  n.  16  del  2017)
avverso la legge  della  Regione  Veneto  13  dicembre  2016,  n.  28
(Applicazione  della  convenzione  quadro  per  la  protezione  delle
minoranze nazionali), in relazione all'intero testo e all'art. 4; 
    che in questo giudizio hanno depositato, in data 6  aprile  2017,
un  atto  di  intervento  l'associazione   «Aggregazione   Veneta   -
Aggregazione delle associazioni  maggiormente  rappresentative  degli
enti ed associazioni di tutela  della  identita',  cultura  e  lingua
venete», in persona del suo legale  rappresentante  L.P.,  unitamente
allo stesso L.P. in proprio; 
    che le parti private intervenienti hanno eccepito la tardivita' e
l'infondatezza del ricorso; 
    Considerato che il giudizio di legittimita' costituzionale in via
principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potesta'
legislativa e non ammette  l'intervento  di  soggetti  che  ne  siano
privi, fermi restando per costoro, ove ne  ricorrano  i  presupposti,
gli altri mezzi di tutela  giurisdizionale  eventualmente  esperibili
(si veda, da ultima e per tutte, la sentenza n. 5 del 2018). 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile l'intervento  di  «Aggregazione  Veneta  -
Aggregazione delle associazioni  maggiormente  rappresentative  degli
enti ed associazioni di tutela  della  identita',  cultura  e  lingua
venete» e L. P. nel giudizio promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri con l'indicato ricorso r.r. n. 16 del 2017. 
 
                 F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente