N. 83 SENTENZA 21 febbraio - 20 aprile 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni   in   materia   di   impresa   (agevolazioni   concesse
  all'imprenditoria femminile: esclusione della revoca e del recupero
  anche quando siano ne siano venuti  meno  i  presupposti)  e  banca
  (Fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale  spa:
  intervento in controgaranzia limitato ai soli Confidi  aventi  sede
  operativa in Veneto). 
- Legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato  alla
  legge di stabilita' regionale 2017), artt. 79, comma 1, e 83, comma
  1. 
-   
(GU n.17 del 26-4-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 79, comma
1, e 83 della legge della Regione Veneto  30  dicembre  2016,  n.  30
(Collegato alla legge di stabilita'  regionale  2017),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  28
febbraio - 2 marzo 2017, depositato in cancelleria il 7 marzo 2017 ed
iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2017. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nella udienza pubblica del  20  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e  Andrea  Manzi
per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso  notificato  il  28  febbraio  -  2  marzo  2017,
depositato il 7 marzo 2017 e iscritto al n. 28 del  registro  ricorsi
2017, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato,  tra  gli
altri, gli artt. 79, comma 1, e 83 della legge della  Regione  Veneto
30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilita' regionale
2017),  in  riferimento  agli  artt.  3,  41,   117,   primo   comma,
quest'ultimo in relazione agli artt. 49, 56, 106 e 107  del  Trattato
sul  funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),   come   modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato
dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, e 117, secondo comma, lettera  e),
e 120 della Costituzione. 
    1.1.- L'art. 79, comma 1, della legge reg. Veneto n. 30 del  2016
cosi' recita: «In considerazione della gravita' della crisi economica
che ha colpito il sistema produttivo regionale veneto, al fine di non
creare disparita' di trattamento con le imprese di  cui  all'articolo
55, comma 3, della legge regionale 27 aprile 2015,  n.  6  "Legge  di
stabilita' regionale per  l'esercizio  2015",  non  si  procede  alla
revoca dell'agevolazione nei casi di violazione delle lettere b),  c)
e d), del comma 1 dell'articolo 20 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 28 luglio 2000, n. 314 "Regolamento per la semplificazione
del procedimento recante la disciplina del procedimento relativo agli
interventi  a  favore  dell'imprenditoria  femminile"  di  cui   alla
abrogata  legge  25  febbraio  1992,  n.  215  "Azioni  positive  per
l'imprenditoria  femminile".  Sono  fatti   salvi   i   provvedimenti
amministrativi gia' adottati, con  esclusione  degli  accertamenti  e
delle procedure di riscossione coattiva non ancora concluse alla data
di entrata in vigore della presente legge». 
    Secondo il Governo, la norma regionale -  stabilendo,  in  deroga
alla disciplina statale, che non si procede alla revoca e al recupero
degli aiuti previsti in favore  dell'imprenditoria  femminile,  anche
quando siano venuti meno i presupposti per la loro  erogazione  -  si
esporrebbe  a  due  censure   di   legittimita'   costituzionale,   e
segnatamente: violerebbe la normativa comunitaria in materia di aiuti
di Stato e, in  ogni  caso,  eccederebbe  la  competenza  legislativa
regionale. 
    Con riguardo al primo motivo, si tratterebbe di un  finanziamento
alle imprese - in particolare di una  misura  di  sostegno  economico
genericamente finalizzata alla riduzione dei maggiori costi derivanti
dalla crisi economica - che si porrebbe in contrasto con  il  divieto
di aiuti di Stato prescritto dall'art. 107 TFUE in quanto: la Regione
avrebbe omesso di notificare la misura alla  Commissione  europea;  a
prescindere  da  tale  omissione,   la   differenziazione   normativa
introdotta  a  favore  delle  imprese  venete  sarebbe  priva  di  un
fondamento  giustificativo  idoneo  a  renderla  compatibile  con  il
mercato interno. 
    Ne' una valida giustificazione  della  norma  impugnata  potrebbe
essere ravvisata nel riferimento che essa stessa opera  alle  ipotesi
contemplate dall'art. 55, comma 3, della legge della  Regione  Veneto
27 aprile 2015, n. 6 (Legge di stabilita' regionale  per  l'esercizio
2015). Tale norma dispone che «[n]ei casi di violazione dell'articolo
20, comma l, lettere  b)  e  c)  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 28 luglio 2000, n. 314 "Regolamento per la semplificazione
del procedimento recante la disciplina del procedimento relativo agli
interventi a favore dell'imprenditoria femminile",  si  procede  alla
revoca parziale delle agevolazioni in relazione al periodo di mancato
utilizzo  dei  beni  nella  destinazione  originaria  o  di   mancato
mantenimento delle condizioni che hanno  determinato  la  concessione
del beneficio. Dalla data di entrata in vigore della  presente  legge
non producono effetti gli eventuali provvedimenti  di  revoca  totale
gia' adottati». Non si vedrebbe, infatti, come una  disposizione  che
prevede la revoca parziale degli aiuti non utilizzati in conformita',
possa giustificare «per parita' di trattamento»  la  rinuncia  totale
alla revoca e  al  recupero  nei  casi  indicati  nella  disposizione
censurata. 
    La norma sarebbe quindi illegittima per violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 107 TFUE. 
    Quanto al secondo profilo di censura, il d.P.R. 28  luglio  2000,
n. 314 (Regolamento per la semplificazione del  procedimento  recante
la disciplina del procedimento  relativo  agli  interventi  a  favore
dell'imprenditoria femminile) - derogato dalla disposizione regionale
- sarebbe manifestazione  della  competenza  legislativa  statale  in
materia di tutela della concorrenza, attenendo  a  una  finalita'  di
politica economica di  rilevanza  nazionale  e  non  locale.  Con  la
disposizione  censurata,  la  Regione  Veneto   avrebbe   invaso   la
competenza legislativa esclusiva dello Stato  ex  art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. Ne' la facolta' per le regioni di  inserirsi
nell'intervento  statale  di  sostegno,  integrandone   le   risorse,
potrebbe fondare una loro competenza legislativa in materia,  essendo
evidente che l'intervento rimarrebbe di iniziativa  e  di  competenza
statale. 
    1.2.- L'art. 83 della legge reg. Veneto n. 30 del  2016  reca  la
rubrica  «Limitazione  degli  interventi  sul   fondo   di   garanzia
costituito presso il Mediocredito  Centrale  Spa»  e  prevede  quanto
segue: «1. Al fine di facilitare l'accesso al credito delle piccole e
medie  imprese  (PMI),  tenuto  conto  dell'operativita'  del   fondo
regionale di garanzia di cui all'articolo 2,  comma  1,  lettera  c),
della legge regionale 13 agosto 2004, n. 19 "Interventi di ingegneria
finanziaria per il sostegno e  lo  sviluppo  delle  piccole  e  medie
imprese", la Giunta regionale e' autorizzata ad avviare le  procedure
per limitare nel territorio della Regione del Veneto l'intervento del
fondo di garanzia costituito presso il Mediocredito Centrale  Spa  di
cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della  legge  23  dicembre
1996, n. 662 "Misure di razionalizzazione  della  finanza  pubblica",
alla  controgaranzia  delle  garanzie  emesse  dal   predetto   fondo
regionale e di quelle emesse dai consorzi di  garanzia  fidi,  aventi
sede operativa in Veneto ai sensi dell'articolo 18, comma 1,  lettera
r), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112  "Conferimento  di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.
59". 2. La limitazione dell'intervento del fondo di garanzia  di  cui
al comma 1 e' richiesta in via sperimentale per un periodo massimo di
anni due e per operazioni di importo fino a 100.000,00 euro e  potra'
conformarsi  alle  evoluzioni   della   normativa   che   regola   il
funzionamento del fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100,
lettera a), della legge n. 662 del 1996». 
    La  norma  e'  impugnata  «nella   parte   in   cui   circoscrive
l'intervento in controgaranzia del Fondo di Garanzia del Mediocredito
Centrale alle  sole  garanzie  rilasciate  dai  Confidi  aventi  sede
operativa in Veneto», in riferimento  agli  artt.  3,  41  (parametro
citato solo nel corpo della motivazione), 117, primo e secondo comma,
lettera e), e 120 Cost. 
    Il ricorrente richiama alcune  decisioni  dell'Autorita'  garante
della concorrenza  e  del  mercato  (AGCM)  che  avrebbero  messo  in
evidenza le conseguenze anticoncorrenziali  derivanti  da  vincoli  a
carattere territoriale imposti ai consorzi di garanzia collettiva dei
fidi  (cosiddetti  "confidi")  per  legge  regionale  (o   per   atto
amministrativo attuativo di una legge regionale) ai fini dell'accesso
a contributi pubblici, con particolare  riferimento  alla  previsione
del requisito della sede  legale  od  operativa  in  una  determinata
Regione. Una previsione di questo tipo limiterebbe di fatto l'accesso
al mercato geografico di riferimento dei confidi nuovi  o  attivi  in
altri territori, producendo  un  effetto  di  compartimentazione  del
mercato limitata agli ambiti  regionali,  e  contrasterebbe  con  gli
obiettivi di liberalizzazione perseguiti dagli artt. 49, 56 e 106 del
TFUE in tema di liberta' di stabilimento, di libera  prestazione  dei
servizi e di rimozione delle posizioni di esclusiva o,  comunque,  di
diritti speciali non necessari allo  svolgimento  dei  compiti  delle
imprese incaricate di un servizio di  interesse  economico  generale,
quali devono essere  considerati  i  confidi.  In  relazione  a  tale
contrasto la norma violerebbe dunque l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Introducendo una discriminazione tra  imprese  sulla  base  della
mera localizzazione territoriale,  la  norma  violerebbe  inoltre  il
principio  di  uguaglianza  ex  art.  3  Cost.  per   disparita'   di
trattamento di situazioni identiche, nonche' il divieto  di  limitare
l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte  del  territorio
nazionale ex art. 120, primo comma, Cost., divieto  che,  secondo  la
giurisprudenza costituzionale, si applicherebbe  anche  all'esercizio
di attivita' professionali ed economiche alle quali  le  Regioni  non
potrebbero frapporre barriere  protezionistiche  in  difetto  di  una
ragionevole giustificazione. 
    Il trattamento normativo discriminatorio contrasterebbe  altresi'
con il principio di libera concorrenza previsto dall'art. 41 Cost. 
    Infine la norma impugnata  invaderebbe  la  competenza  esclusiva
dello Stato in materia di  tutela  della  concorrenza  ex  art.  117,
secondo comma, lettera  e),  Cost.,  traducendosi  in  una  forma  di
compartimentazione    dei     mercati     a     immediato     impatto
anticoncorrenziale, la cui introduzione dovrebbe essere riservata  al
legislatore statale. L'impatto anticoncorrenziale sarebbe rafforzato,
nel caso concreto, dalla duplice circostanza che il  fondo  regionale
previsto dalla legge della Regione  Veneto  13  agosto  2004,  n.  19
(Interventi di ingegneria finanziaria per il sostegno e  lo  sviluppo
delle piccole e medie imprese), individua tra i propri beneficiari le
sole piccole e medie imprese (PMI) ubicate nel territorio  di  quella
Regione, e che a loro volta i confidi veneti prestano,  per  statuto,
garanzie normalmente solo a favore delle medesime imprese, sicche' il
rafforzamento del sistema delle garanzie nel Veneto perseguito  dalla
norma impugnata creerebbe  un'ulteriore  distorsione  concorrenziale,
favorendo l'accesso al credito delle sole PMI venete e  incoraggiando
la localizzazione imprenditoriale in quel territorio a  discapito  di
altri, «[...] cosi'  deformando  mediante  l'intervento  pubblico  le
dinamiche allocative del mercato». 
    Anche sotto questo profilo, pertanto, sarebbero «nette»,  sia  la
violazione del «principio sostanziale di concorrenza»,  sia  comunque
l'invasione della competenza legislativa dello Stato  in  materia  di
concorrenza. 
    2.- La Regione Veneto si e' costituita  in  giudizio  contestando
gli argomenti di controparte. 
    2.1.-  Con  riguardo  alla  questione  promossa  in   riferimento
all'art. 79, comma 1, la Regione Veneto ha chiesto che sia dichiarata
non fondata. 
    Per quanto la normativa  statale  di  sostegno  all'imprenditoria
femminile abbia la valenza di un intervento  di  politica  economica,
cio' non ne implicherebbe di per se' l'inclusione  nella  materia  di
«tutela della  concorrenza».  Cosi'  ragionando,  infatti,  qualunque
norma che prevedesse l'erogazione di contributi a favore di cittadini
e  imprese  dovrebbe  ritenersi  attribuita,  per  la  sua   astratta
capacita' di incidere sul mercato, alla  competenza  esclusiva  dello
Stato, e le  regioni  sarebbero  espropriate  della  possibilita'  di
gestire autonomamente le loro risorse per  la  cura  degli  interessi
pubblici ad esse affidati.  Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal
Governo, la disciplina  degli  aiuti  alle  imprese  andrebbe  dunque
ricondotta nell'ambito  delle  materie  cui  di  volta  in  volta  si
riferisce  la  specifica  provvidenza  (nella  specie  di  pertinenza
regionale). 
    La disposizione impugnata non si porrebbe  neppure  in  contrasto
con il diritto europeo della concorrenza. La «rinuncia»  alla  revoca
dell'aiuto avrebbe potuto, in ipotesi, integrare un  aiuto  di  Stato
incompatibile con  il  TFUE  soltanto  se  eccedente  la  soglia  «de
minimis». Ma tale esito sarebbe impossibile nel caso di  specie,  dal
momento che gli aiuti alle imprese femminili previsti dalla legge  25
febbraio 1992, n. 215 (Azioni positive per l'imprenditoria femminile)
sarebbero stati gia' originariamente concessi in regime «de minimis». 
    2.2.- La Regione Veneto ha chiesto, altresi',  che  la  questione
promossa in riferimento all'art. 83 sia  dichiarata  inammissibile  o
comunque non fondata. 
    Sotto il profilo dell'inammissibilita', mancherebbe  la  concreta
lesivita'  della  norma  impugnata,  che  non  avrebbe  un  contenuto
precettivo idoneo a ledere  la  concorrenza  ne'  qualsivoglia  altro
ambito   materiale   di   competenza   dello   Stato   o    parametro
costituzionale. La norma si  limiterebbe  ad  autorizzare  la  Giunta
regionale ad avviare la procedura dell'art. 18, comma 1, lettera  r),
del decreto legislativo  31  marzo  1998,  n.  112  (Conferimento  di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.
59), a tenore del quale «[c]on delibera  della  Conferenza  unificata
sono individuate, tenuto conto dell'esistenza di fondi  regionali  di
garanzia, le regioni sul cui territorio il fondo  limita  il  proprio
intervento alla controgaranzia dei predetti  fondi  regionali  e  dei
consorzi di garanzia collettiva fidi di cui all'art.  155,  comma  4,
del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385». 
    Si tratterebbe, dunque, di un atto di indirizzo  politico  avente
solo la veste formale della legge. Con esso  il  Consiglio  regionale
avrebbe esercitato la propria potesta' di  impulso,  autorizzando  la
Giunta ad avviare un  procedimento  amministrativo  gia'  previsto  e
disciplinato dalla legge  statale.  La  competenza  dello  Stato  non
subirebbe alcuna invasione e potrebbe essere  liberamente  esercitata
attraverso l'organo individuato  dal  d.lgs.  n.  112  del  1998  (la
Conferenza unificata),  senza  condizionamenti  derivanti  da  quanto
previsto dalla legge regionale,  che  circoscrive  i  propri  effetti
all'attivita' della Giunta regionale. 
    Tali considerazioni renderebbero anche irrilevanti  le  doglianze
relative all'invasione della competenza statale in materia di  tutela
della concorrenza, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    Quanto alla violazione dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  per
contrasto con i principi comunitari in  materia  di  concorrenza,  il
ricorrente non avrebbe prospettato in modo  adeguato  e  specifico  i
motivi  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma   impugnata,
essendosi limitato a rinviare per relationem al contenuto  di  alcune
decisioni dell'AGCM  su  fattispecie  diverse  da  quella  in  esame,
concernenti ipotesi di limitazione all'accesso dei  confidi  a  fondi
pubblici in base a criteri geografici. Neppure sarebbero  specificate
le ragioni per  le  quali  la  disposizione  regionale  violerebbe  i
principi  del  diritto  comunitario  indirettamente   evocati   quali
parametri di costituzionalita'. 
    Nel merito, il sospetto di discriminazione ratione  loci  sarebbe
il  frutto  di  un'erronea  lettura  della  norma   impugnata.   Essa
attuerebbe  una  deroga  "territoriale"   consentita   dallo   stesso
legislatore statale, operando una scelta  discrezionale  di  politica
regionale  che  puo'  riferirsi  solo  al   territorio   veneto.   Il
legislatore regionale avrebbe  adottato  non  un  criterio  meramente
formale, come  quello  della  sede  legale  dei  confidi,  bensi'  il
criterio sostanziale della sede operativa, correlando in tal modo  la
previsione sulle controgaranzie allo svolgimento da parte dei confidi
di una stabile attivita' nel  territorio  regionale,  in  perfetta  e
ragionevole simmetria con  la  analoga  previsione,  contenuta  nello
stesso art. 83 sulle controgaranzie a favore del fondo  regionale  di
riferimento. 
    Inoltre  la  Regione  osserva,   a   indiretta   conferma   della
legittimita'  della  norma,  che  Marche  e  Abruzzo  avrebbero  gia'
ottenuto, per effetto  di  apposite  deliberazioni  della  Conferenza
unificata, la  limitazione  dell'intervento  del  fondo  di  garanzia
costituito presso il  Mediocredito  Centrale  spa  nei  riguardi  dei
confidi aventi sede operativa o legale nel solo territorio regionale. 
    2.3.- Nella memoria illustrativa depositata il 30 gennaio 2018 la
Regione  Veneto   ha   ribadito   le   proprie   difese   in   ordine
all'impugnazione dell'art. 83. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato,  tra  gli
altri, gli artt. 79, comma 1, e 83 della legge della  Regione  Veneto
30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilita' regionale
2017). 
    Resta riservata a separate pronunce la decisione delle  ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale promosse dal ricorrente. 
    1.1.- L'art. 79, comma 1, - stabilendo, in deroga all'art. 20 del
d.P.R. 28 luglio 2000, n. 314 (Regolamento per la semplificazione del
procedimento recante la disciplina  del  procedimento  relativo  agli
interventi a favore dell'imprenditoria femminile), che non si procede
alla  revoca  e  al  recupero  degli   aiuti   previsti   in   favore
dell'imprenditoria  femminile,  anche  quando  siano  venuti  meno  i
presupposti per la loro erogazione - si esporrebbe a due  censure  di
legittimita' costituzionale. 
    La norma impugnata violerebbe, in primo luogo, l'art. 117,  primo
comma, della Costituzione, in relazione all'art. 107 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
2 agosto 2008, n. 130, in quanto: prevedendo misure che presentano le
caratteristiche degli aiuti di  Stato,  le  stesse  avrebbero  dovute
essere notificate alla Commissione  europea,  cui  sola  competerebbe
l'esame della compatibilita' con il mercato  interno  dei  regimi  di
aiuti esistenti negli  Stati  nazionali;  per  di  piu',  il  mancato
recupero delle risorse pubbliche erogate, il cui  pagamento  e'  reso
irrevocabile  anche  quando  se  ne   sia   constatata   la   mancata
utilizzazione specifica, non sarebbe giustificato da alcuna  concreta
utilita' di sviluppo economico,  con  il  risultato  che  ne  sarebbe
falsata, o minaccerebbe di esserne falsata, la concorrenza. 
    Sotto altro profilo, le disposizioni  censurate,  vertendo  sulla
revoca di agevolazioni e incentivi,  riguarderebbero  la  materia  di
competenza   legislativa   statale   esclusiva   di   «tutela   della
concorrenza», ponendosi in contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,
lettera e), Cost. 
    1.2.- In via pregiudiziale, si deve osservare che nella  delibera
del Consiglio dei ministri, che richiama  la  relazione  ministeriale
allegata, non si fa menzione dell'art. 117, primo comma, Cost., e dei
parametri comunitari interposti, ne' essi  sono  identificabili  alla
luce delle ragioni espresse (sentenze n. 228 del 2017 e  n.  270  del
2017). I principi in materia di concorrenza vengono  infatti  evocati
solo in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    Cosicche', difettando la necessaria piena corrispondenza  tra  il
ricorso  e  la  delibera  del  Consiglio  dei   ministri   che   l'ha
autorizzato, la prima questione  di  legittimita'  costituzionale  in
riferimento agli indicati parametri e'  inammissibile  (ex  plurimis:
sentenze n. 265 e n. 1 del 2016, n. 250 e n. 153 del 2015). 
    1.3.- Nel merito, sussiste la violazione dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost. 
    La giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare  che
la nozione di «concorrenza» di cui  al  secondo  comma,  lettera  e),
dell'art. 117 Cost., non  puo'  non  riflettere  quella  operante  in
ambito europeo (sentenze n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45 del 2010)  e
cio' vale anche quando essa  abbia  riguardo  al  mercato  di  ambito
nazionale o locale. Essa comprende, pertanto in  ogni  caso,  sia  le
misure legislative di tutela in senso proprio, intese  a  contrastare
gli atti e i comportamenti delle imprese che  incidono  negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di
promozione,  dirette  a  eliminare  limiti  e  vincoli  alla   libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra
imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a  prefigurare  procedure
concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'  ampia  apertura  del
mercato  a  tutti  gli  operatori  economici  (concorrenza  "per   il
mercato"). In questa seconda accezione, attraverso la  «tutela  della
concorrenza», vengono perseguite finalita' di  ampliamento  dell'area
di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste  ultime  anche
quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n.  299
del 2012 e n. 401 del 2007). 
    Su queste basi, la disciplina degli aiuti  pubblici  -  o  meglio
delle deroghe al  divieto  di  aiuti  pubblici,  compatibili  con  il
mercato interno - rientra nell'accezione dinamica di concorrenza,  la
quale contempla, come detto, le misure pubbliche  dirette  a  ridurre
squilibri e a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo degli
assetti concorrenziali. Non e'  priva  di  valore  interpretativo  la
sistematica  del  TFUE,  che  inserisce  la  disciplina  degli  aiuti
concessi dagli Stati all'interno del Titolo VII, al Capo I, rubricato
«Regole di concorrenza» (sentenza n. 14 del 2004). 
    Il riconoscimento che la tutela  della  concorrenza  non  esclude
interventi promozionali dello Stato deve raccordarsi con lo schema di
riparto delle competenze legislative fissato dall'art. 117  Cost.  Le
materie interessate dai finanziamenti possono infatti corrispondere a
molteplici settori  (ad  esempio,  il  commercio,  l'agricoltura,  il
turismo, l'industria) nei quali operano le imprese in difficolta' che
siano  beneficiarie  dei  medesimi,  riconducibili   a   materie   di
competenza regionale. 
    In tale quadro, l'intervento dello Stato  si  giustifica  quando,
per  l'accessibilita'  a  tutti  gli  operatori   e   per   l'impatto
complessivo, e' idoneo ad incidere sull'equilibrio economico generale
(sentenze n. 63 del 2008 e n. 14 del 2004). 
    Appartengono, invece, alla competenza legislativa  concorrente  o
residuale delle Regioni «gli interventi  sintonizzati  sulla  realta'
produttiva regionale», tali comunque  da  non  creare  ostacolo  alla
libera circolazione delle persone e delle cose fra le  regioni  e  da
non limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del
territorio nazionale (sentenza n. 14 del 2004). Entro questi  limiti,
anche le regioni, nell'esercizio  delle  loro  attribuzioni,  possono
intervenire  con  misure  di  aiuto  calibrate  sul  proprio   ambito
territoriale per incentivarne lo sviluppo economico, purche' coerenti
con la disciplina del diritto  dell'Unione  europea  sugli  aiuti  di
Stato (sentenza n. 217 del 2012; da ultimo, anche sentenza n. 98  del
2017). 
    1.4.- Nel caso di specie, la  legge  25  febbraio  1992,  n.  215
(Azioni positive per l'imprenditoria femminile) - le  cui  previsioni
sono  nel  frattempo  confluite  negli  artt.   52-55   del   decreto
legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice  delle  pari  opportunita'
tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6  della  legge  28  novembre
2005, n. 246) - prevede misure di agevolazione economica, consistenti
in contributi in conto capitale  per  l'acquisizione  di  impianti  e
servizi  che  vogliono  favorire   lo   sviluppo   dell'imprenditoria
femminile,  promuovendone  la  presenza  anche  nei   comparti   piu'
innovativi dei diversi settori produttivi. 
    L'intervento statale e' dunque diretto  a  sostenere  il  livello
degli investimenti (che si assume non ottimale)  di  una  particolare
categoria di operatori professionali,  accrescendo  in  tal  modo  la
competitivita' complessiva del sistema.  La  finalita'  di  stimolare
l'espansione  in  tutti  i  segmenti  di  mercato  delle  imprese   a
conduzione o a prevalente  partecipazione  femminile,  e  l'ammontare
delle risorse impiegate rappresentano sicuri elementi sintomatici del
livello nazionale dello strumento normativo in esame, che deve essere
pertanto ricondotto alla materia «tutela della  concorrenza»,  intesa
nell'anzidetto profilo dinamico e promozionale. 
    Tenendo conto che la tutela  della  concorrenza,  attesa  la  sua
natura trasversale, funge da limite alla disciplina  che  le  regioni
possono dettare nelle materie di competenza concorrente  o  residuale
(sentenze n. 38 del 2013 e n. 299 del 2012; da  ultimo,  sentenza  n.
165 del 2014), si deve concludere nel senso  che  era  precluso  alla
Regione Veneto di introdurre una disciplina derogatoria della  regola
statale - dettata dall'art. 20 del d.P.R. n. 314 del 2000  -  secondo
cui le agevolazioni concesse devono essere  revocate  in  seguito  al
venir meno di uno o piu' dei requisiti prescritti. 
    2.- Si passa ora ad esaminare l'impugnazione dell'art.  83  della
legge reg. Veneto n. 30 del 2016. 
    La norma impugnata si inquadra nel sistema  degli  interventi  di
sostegno pubblico per lo  sviluppo  delle  piccole  e  medie  imprese
(PMI), con specifico riguardo alle  garanzie  prestate  per  favorire
l'accesso delle PMI alle fonti finanziarie. 
    Al  comma  1,  la  disposizione   prevede   che,   tenuto   conto
dell'operativita' del fondo regionale  di  garanzia  istituito  dalla
legge della Regione Veneto 13  agosto  2004,  n.  19  (Interventi  di
ingegneria finanziaria per il sostegno e lo sviluppo delle piccole  e
medie imprese), la Giunta regionale «e'  autorizzata  ad  avviare  le
procedure per limitare  nel  territorio  della  Regione  del  Veneto»
l'intervento del fondo di garanzia -  istituito  dall'art.  2,  comma
100, lettera a), della legge 23 dicembre  1996,  n.  662  (Misure  di
razionalizzazione  della   finanza   pubblica)   «[...]   presso   il
Mediocredito Centrale Spa  allo  scopo  di  assicurare  una  parziale
assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a  favore
delle piccole e medie  imprese»  -  alla  sola  controgaranzia  delle
garanzie emesse a favore delle PMI dal predetto fondo regionale e dai
consorzi di  garanzia  collettiva  dei  fidi  (cosiddetti  "confidi")
«aventi sede operativa in Veneto». 
    A tale previsione si correla quella del comma 2, secondo il quale
«[l]a limitazione dell'intervento del fondo di  garanzia  di  cui  al
comma 1 e' richiesta in via sperimentale per un  periodo  massimo  di
anni due e per operazioni di importo fino a 100.000,00 euro e  potra'
conformarsi  alle  evoluzioni   della   normativa   che   regola   il
funzionamento del fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100,
lettera a), della legge n. 662 del 1996». 
    La norma autorizza la Giunta regionale «ad avviare  le  procedure
[...] ai sensi  dell'art.  18,  comma  1,  lettera  r),  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112», recante «Conferimento di funzioni
e compiti amministrativi  dello  Stato  alle  regioni  ed  agli  enti
locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,  n.  59».
Questa disposizione, oltre a prevedere che  «[s]ono  conservate  allo
Stato le funzioni amministrative concernenti [...]  la  gestione  del
fondo di garanzia» istituito dalla legge n. 662 del 1996, affida alla
Conferenza  unificata  il  potere  di  individuare,   «tenuto   conto
dell'esistenza di fondi regionali di garanzia,  le  regioni  sul  cui
territorio il fondo limita il proprio intervento alla  controgaranzia
dei predetti fondi regionali e dei consorzi  di  garanzia  collettiva
fidi [...]».  Il  legislatore  presuppone  che  i  sistemi  regionali
costituiti dai fondi regionali di garanzia a favore  delle  PMI,  ove
esistenti, e  dai  confidi  possano  avere  caratteristiche  tali  da
giustificare la limitazione dell'intervento del  fondo  statale  alla
sola controgaranzia, che opera come una garanzia di  secondo  livello
prestata a favore dei  garanti.  Pertanto,  nei  territori  regionali
individuati dalla Conferenza unificata sono  esclusi  gli  interventi
del fondo statale di immediato sostegno alle PMI, quali  la  garanzia
diretta e la cogaranzia. 
    Il ricorrente concentra l'impugnazione sulla parte  del  comma  1
che «[...] circoscrive l'intervento in controgaranzia  del  Fondo  di
Garanzia del Mediocredito Centrale alle sole garanzie rilasciate  dai
Confidi  aventi  sede  operativa  in  Veneto»,  ritenendo  che   cio'
determini una discriminazione tra imprese (i confidi) sulla  base  di
un elemento di localizzazione territoriale, in violazione di  plurimi
parametri: l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  agli  artt.
49, 56 e 106 TFUE, in tema di liberta'  di  stabilimento,  di  libera
prestazione dei servizi e di rimozione delle posizioni  di  esclusiva
o, comunque, di diritti speciali non necessari allo  svolgimento  dei
compiti delle imprese; l'art. 117, secondo comma, lettera e),  Cost.,
per invasione della competenza statale esclusiva in materia di tutela
della concorrenza; gli artt. 3 e 120 Cost., per lesione del principio
di uguaglianza e di liberta' di circolazione; l'art.  41  Cost.,  per
lesione della liberta' di iniziativa economica. 
    2.1.-    La    Regione    Veneto    eccepisce     preliminarmente
l'inammissibilita' delle questioni sotto due profili,  dei  quali  va
esaminato per primo, per priorita' logico-giuridica, quello  relativo
alla concreta mancanza di lesivita' della norma impugnata. 
    La Regione sostiene  che  l'art.  83  non  avrebbe  un  contenuto
precettivo idoneo a ledere la  concorrenza,  ne'  qualsivoglia  altro
ambito   materiale   di   competenza   dello   Stato   o    parametro
costituzionale, in quanto si limiterebbe  ad  autorizzare  la  Giunta
regionale ad avviare presso la Conferenza unificata la  procedura  di
individuazione del Veneto quale Regione sul cui territorio  il  fondo
di garanzia limita il  proprio  intervento  alla  controgaranzia  dei
fondi regionali e dei confidi. 
    Si tratterebbe, dunque, di un atto di indirizzo  politico  avente
la veste formale di  legge,  con  il  quale  il  Consiglio  regionale
avrebbe esercitato la propria potesta' di  impulso,  autorizzando  la
Giunta ad avviare un  procedimento  amministrativo  gia'  previsto  e
disciplinato dalla legge  statale.  La  competenza  dello  Stato  non
subirebbe alcuna invasione e potrebbe essere  liberamente  esercitata
attraverso l'organo individuato  dal  d.lgs.  n.  112  del  1998  (la
Conferenza unificata), senza condizionamenti  derivanti  dalla  legge
regionale, che produce i  propri  effetti  solo  nei  riguardi  della
Giunta. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La norma impugnata non ha una funzione meramente ricognitiva, ne'
e' comunque priva di portata precettiva (sentenze n. 63 del 2016,  n.
254 e n. 77 del 2015, n. 230 del 2013, n. 346 e n. 52  del  2010,  n.
401 del 2007), se non altro perche' vincola la Giunta a formulare  la
propria richiesta alla  Conferenza  unificata  nei  termini  in  essa
previsti e quindi circoscrivendo ai confidi aventi sede operativa nel
Veneto l'auspicata limitazione dell'intervento del fondo di garanzia.
Ne consegue che la dedotta mancanza di lesivita' della previsione non
incide sulla ammissibilita' delle questioni. 
    In  secondo   luogo,   viene   eccepita   l'insufficienza   della
motivazione quanto alla violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.,
per contrasto con i principi comunitari in  materia  di  concorrenza.
Secondo la Regione, il ricorrente non  avrebbe  prospettato  in  modo
adeguato e specifico i motivi di illegittimita' costituzionale  della
norma impugnata, essendosi limitato  a  rinviare  per  relationem  al
contenuto  di   alcune   decisioni   dell'Autorita'   garante   della
concorrenza e del mercato (AGCM) su fattispecie diverse da quella  in
esame, ne' avrebbe precisato le ragioni per le quali la  disposizione
regionale   violerebbe   i   principi   del    diritto    comunitario
indirettamente evocati quali parametri di costituzionalita'. 
    Nemmeno tale eccezione e' fondata. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza   di   questa   Corte,   la
motivazione per relationem e' lesiva del principio di autosufficienza
dell'atto introduttivo del giudizio (sentenza n. 40 del 2007), quando
«[...] una censura sia sviluppata  in  atti  diversi  dal  ricorso  o
dall'ordinanza in cui essa e' contenuta (come nel caso di motivazione
con rinvio ad altro ricorso - sentenza n. 40 del 2007 -  o  ad  altra
ordinanza di rimessione: ex plurimis, sentenze n. 197 e  n.  143  del
2010)» (sentenza n. 68 del 2011). Nel presente giudizio,  invece,  il
ricorrente ha richiamato specificamente, nel corpo della motivazione,
le  ragioni  esposte  in  alcune  decisioni  dell'AGCM   relative   a
provvedimenti amministrativi ritenuti in  contrasto  con  i  principi
comunitari  a  tutela  della  concorrenza,  perche'  discriminanti  i
confidi su base territoriale, e ne ha affermato la pertinenza al caso
in esame, sottolineando le analogie di detti atti con  la  previsione
regionale nella parte in cui questa richiederebbe il requisito  della
sede operativa dei confidi  nel  Veneto.  Le  motivazioni  addotte  a
sostegno della censura di violazione dei principi comunitari superano
pertanto la soglia minima di chiarezza e di completezza alla quale e'
subordinata l'ammissibilita' delle impugnazioni in via principale. 
    2.2.- Nel merito le questioni sono fondate. 
    Come gia' accennato, l'autorizzazione disposta ex lege vincola la
Giunta regionale ad avviare il procedimento  amministrativo  previsto
dall'art. 18, comma 1, lettera r), del d.lgs. n.  112  del  1998  con
esclusivo riferimento alle garanzie emesse a  favore  delle  PMI  dai
confidi «aventi sede operativa in Veneto», oltre che a quelle  emesse
dal fondo regionale di garanzia. La norma, dunque, pur  non  causando
direttamente l'effetto anticompetitivo lamentato dal  ricorrente,  e'
comunque finalizzata, attraverso la richiesta della Giunta  regionale
alla Conferenza unificata, a  delimitare  nel  territorio  veneto  la
platea dei confidi destinatari dell'intervento in controgaranzia  del
fondo. 
    Si deve dunque esaminare se tale delimitazione sia  in  contrasto
con i predetti parametri. 
    L'art. 13, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003,  n.  269
(Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e  per  la  correzione
dell'andamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 24 novembre 2003, n. 326, definisce i confidi come «[...]
i consorzi con attivita' esterna [...], le societa'  cooperative,  le
societa'  consortili  per  azioni,  a  responsabilita'   limitata   o
cooperative, che svolgono  l'attivita'  di  garanzia  collettiva  dei
fidi», per tale intendendosi «l'utilizzazione di risorse  provenienti
in tutto o  in  parte  dalle  imprese  consorziate  o  socie  per  la
prestazione  mutualistica  e  imprenditoriale  di  garanzie  volte  a
favorirne il finanziamento  da  parte  delle  banche  e  degli  altri
soggetti operanti nel settore finanziario». 
    Se  l'intervento  del  fondo  di  garanzia  fosse  limitato,  nel
territorio della Regione Veneto, alla controgaranzia  delle  garanzie
prestate dai soli confidi «aventi sede operativa  in  Veneto»  (oltre
che  dal  fondo  regionale),  come  previsto  nella  norma  regionale
censurata, i confidi  privi  di  tale  requisito  ma  intenzionati  a
fornire garanzie in favore delle PMI operanti in quel territorio  non
potrebbero beneficiare dell'intervento in  controgaranzia  del  fondo
statale. 
    La  norma  impugnata  e'  idonea  a  determinare   pertanto   una
discriminazione tra  imprese  sulla  base  di  un  mero  elemento  di
localizzazione territoriale (la sede operativa  in  Veneto),  atto  a
frapporre barriere di carattere protezionistico alla  prestazione  di
servizi  in  un  determinato  ambito   territoriale   da   parte   di
imprenditori privi del requisito legislativamente richiesto,  creando
il rischio di una compartimentazione regionale del mercato. 
    Non depone in senso contrario la considerazione che la Conferenza
unificata individua le regioni sul cui territorio il fondo limita  il
proprio  intervento  alla  sola  controgaranzia,  in  ragione   delle
caratteristiche dei sistemi regionali di garanzia a favore delle PMI.
Se e' vero che tali caratteristiche orientano, in base alla legge, la
scelta della Conferenza unificata, esse non giustificano tuttavia  in
alcun modo l'ulteriore restrizione dell'attivita'  di  controgaranzia
del fondo ai soli confidi aventi sede operativa nella regione. 
    Questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  discriminare  le
imprese sulla base di  un  elemento  di  localizzazione  territoriale
contrasta con il principio di eguaglianza di cui  all'art.  3  Cost.,
nonche' con il principio ex art. 120, primo comma,  Cost.,  a  tenore
del quale la Regione «non puo' adottare provvedimenti che  ostacolino
in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e  delle  cose
fra le regioni» e «non puo' limitare  il  diritto  dei  cittadini  di
esercitare in  qualunque  parte  del  territorio  nazionale  la  loro
professione, impiego o lavoro» (ex plurimis, sentenze n. 391 del 2008
e n. 207 del 2001). 
    Da tali principi consegue «il divieto per i legislatori regionali
di frapporre ostacoli di carattere protezionistico alla  prestazione,
nel  proprio   ambito   territoriale,   di   servizi   di   carattere
imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi  parte  del
territorio nazionale (nonche', in base ai principi  comunitari  sulla
liberta' di prestazione dei servizi, in qualsiasi  Paese  dell'Unione
europea)» (sentenze n. 64 del 2007 e n. 440 del 2006). 
    Inoltre,  norme  che  impongono  barriere  "protezionistiche"  di
natura territoriale si traducono altresi' in  una  limitazione  della
liberta' di iniziativa economica, violando anche il principio di  cui
all'art. 41 Cost. (sentenze n. 124 del 2010, n. 391 del 2008 e n.  64
del 2007). 
    Questa  Corte  ha  poi  avuto  modo  di   affermare   che   norme
introduttive  di  barriere  all'ingresso,   tali   da   alterare   la
concorrenza tra imprenditori, violano l'art. 117, primo comma, Cost.,
per contrasto con i vincoli  derivanti  dall'ordinamento  europeo  in
tema di diritto di stabilimento ex art. 49 TFUE  e  di  tutela  della
concorrenza (sentenza  n.  340  del  2010).  Il  principio  e'  stato
ribadito  con  specifico  riguardo  a  disposizioni  regionali   che,
prevedendo requisiti territoriali per l'iscrizione di imprenditori in
ruoli tenuti da enti pubblici, favorivano «[i]  richiedenti  gia'  da
tempo localizzati nel territorio regionale, con cio'  violando  anche
il  principio  di   parita'   di   trattamento   (id   est   di   non
discriminazione: sentenze n. 339 e n. 213  del  2011),  sotteso  alla
previsione dell'art. 49 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea, in tema di liberta' di stabilimento (sentenze n.  340  e  n.
180 del 2010)» (sentenza n. 264 del 2013). 
    2.3.- Va dunque dichiarata l'illegittimita' dell'art.  83,  comma
1, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, limitatamente alle  parole
«aventi sede operativa in Veneto». 
    La questione promossa in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost., rimane assorbita. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  79,  comma
1,  della  legge  della  Regione  Veneto  30  dicembre  2016,  n.  30
(Collegato alla legge di stabilita' regionale 2017); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  83,  comma
1, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, limitatamente alle  parole
«aventi sede operativa in Veneto». 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 79, comma 1, della legge reg. Veneto  n.  30
del 2016,  in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 107 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona  del  13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA