N. 210 SENTENZA 25 settembre - 22 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Enti locali - Norme della  Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige  -
  Istituzione del Comune di Sen Jan di  Fassa-Sen  Jan,  mediante  la
  fusione dei Comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo  di  Fassa-Vich  -
  Adozione del bilinguismo nella toponomastica. 
- Legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 31  ottobre  2017,
  n. 8 (Istituzione del nuovo Comune di Sen Jan di Fassa  -  Sen  Jan
  mediante la fusione dei comuni di Pozza di  Fassa-Poza  e  Vigo  di
  Fassa-Vich), artt. 1, commi 1, 2 e 4; 2, comma 1; 3,  comma  1;  6,
  comma 1; 9, commi 2 e 3; 10, comma 1; 12; 13 e 14. 
(GU n.47 del 28-11-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio  BARBERA,  Giovanni  AMOROSO,   Francesco   VIGANO',   Luca
  ANTONINI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della
legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige 31 ottobre 2017,  n.
8 (Istituzione del nuovo Comune  di  Sen  Jan  di  Fassa  -  Sen  Jan
mediante la fusione dei comuni di  Pozza  di  Fassa-Poza  e  Vigo  di
Fassa-Vich), promosso dal Presidente del Consiglio dei  ministri  con
ricorso notificato il 27 dicembre 2017-3 gennaio 2018, depositato  in
cancelleria il 3 gennaio 2018, iscritto al n. 3 del registro  ricorsi
2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,
prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol; 
    udito nella udienza pubblica del 25  settembre  2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    uditi l'avvocato dello Stato Leonello Mariani per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri  e  l'avvocato  Barbara  Randazzo  per  la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 27  dicembre  2017-3  gennaio  2018
(reg. ric. n. 3 del 2018), il Presidente del Consiglio dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, ai sensi dell'art. 127  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 5 e 6 Cost.  e
all'art. 99 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale  per
il Trentino-Alto  Adige),  dell'art.  1  della  legge  della  Regione
autonoma Trentino-Alto Adige 31 ottobre 2017, n. 8  (Istituzione  del
nuovo Comune di Sen Jan di Fassa - Sen Jan mediante  la  fusione  dei
comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich). 
    1.1.- Deduce il ricorrente che, con la  normativa  impugnata,  la
Regione autonoma ha istituito il Comune di Sen Jan di  Fassa-Sen  Jan
mediante la fusione dei Comuni di  Pozza  di  Fassa-Poza  e  Vigo  di
Fassa-Vich, in virtu' della potesta' legislativa prevista dall'art. 7
dello statuto  reg.  Trentino-Alto  Adige,  omettendo,  tuttavia,  di
rispettare il disposto dell'art. 99 dello stesso  statuto,  il  quale
impone l'uso della lingua italiana e non solo - come nella  specie  -
della lingua ladina. Violati sarebbero pure gli artt. 5 e 6 Cost., in
quanto  la  garanzia  delle  minoranze  linguistiche  e  l'unita'   e
indivisibilita' della Repubblica ostano all'utilizzo di denominazioni
toponomastiche espresse solo mediante l'uso dell'idioma locale. 
    E' ben vero - soggiunge il ricorrente  -  che  l'art.  102  dello
statuto speciale tutela le popolazioni ladine della Regione autonoma,
ma il rispetto della  toponomastica  di  tali  popolazioni  non  puo'
risolversi nell'eliminazione della toponomastica italiana. La  tutela
si  realizzerebbe,  dunque,   a   traverso   la   compresenza   della
denominazione ladina e italiana  del  toponimo,  e  non  si  potrebbe
risolvere  in  un  rapporto  di   alternativita'   linguistica,   che
realizzerebbe   un'illegittima   discriminazione   a   danno    della
«maggioranza (linguistica) italiana». Cio' sarebbe  tanto  vero  che,
per la Provincia autonoma di Bolzano, l'art. 101 del medesimo statuto
prevede l'uso congiunto, nella toponomastica, della lingua italiana e
tedesca. Si aggiunge, a  tal  proposito,  che,  in  coerenza  con  le
previsioni statutarie, l'art. 5 del decreto legislativo  16  dicembre
1993, n. 592  (Norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale  della
regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela  delle
popolazioni ladina, mochena e  cimbra  della  provincia  di  Trento),
individua i vari Comuni ladini, espressi tutti nella forma  bilingue.
Si conclude rilevando che, se nella  Provincia  autonoma  di  Bolzano
vige la  regola  del  bilinguismo  perfetto  ed  e'  obbligatoria  la
toponomastica italiana, a piu' forte ragione nella Provincia autonoma
di Trento - in assenza di bilinguismo  perfetto  -  la  tutela  delle
minoranze linguistiche non puo' avvenire facendo a meno dell'utilizzo
della lingua ufficiale nazionale. 
    1.2.- L'analisi delle disposizioni statali emanate in  attuazione
dell'art.   6   Cost.   confermerebbe   la   dedotta   illegittimita'
costituzionale della disciplina impugnata. Nella  legge  15  dicembre
1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche
storiche), applicabile, sino  all'adozione  di  specifiche  norme  di
attuazione, anche alle Regioni ad  autonomia  speciale,  si  afferma,
infatti, che la lingua ufficiale della Repubblica e' l'italiano (art.
1) e si prevede che, in aggiunta ai toponimi ufficiali,  puo'  essere
disposta l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e  agli  usi
locali (art. 10). Dunque, il toponimo locale non  potrebbe  eliminare
quello ufficiale. 
    A sua volta, la legge  della  Provincia  autonoma  di  Trento  27
agosto  1987,  n.  16  (Disciplina  della  toponomastica),  pur   non
occupandosi - perche'  materia  di  competenza  regionale,  ai  sensi
dell'art.  7  dello  statuto  -  della  toponomastica   dei   Comuni,
stabilisce che alle  denominazioni  ufficiali  di  frazioni,  strade,
piazze ed edifici  pubblici  possono  essere  affiancati  i  toponimi
tradizionalmente usati in sede locale (art. 10). 
    Ancor piu' di recente, l'art. 19,  comma  6,  della  legge  della
Provincia autonoma di Trento 19 giugno 2008, n. 6 (Norme di tutela  e
promozione  delle  minoranze  linguistiche  locali),  stabilisce  che
«[f]atte salve le denominazioni  dei  comuni,  le  indicazioni  e  le
segnalazioni relative a localita' e toponimi  di  minoranza  sono  di
regola espresse nella sola denominazione ladina, mochena  o  cimbra».
Ne deriverebbe, dunque, che,  a  differenza  delle  denominazioni  di
localita' e toponimi di minoranza, quelle dei  Comuni  devono  essere
espresse anche in lingua  italiana,  tant'e'  che  la  stessa  legge,
nell'individuare i Comuni territorialmente interessati, ne indica  le
denominazioni in forma bilingue. 
    1.3.- La circostanza che la  lingua  italiana  non  possa  essere
sostituita - ma solo affiancata -  da  altre  lingue  locali  sarebbe
desumibile, poi, pure dalla sentenza n. 42 del 2017 di questa  Corte,
la quale, ancorche' riferita a diversa fattispecie, ha  ribadito,  in
relazione al principio di tutela delle minoranze  linguistiche,  come
l'uso di altre lingue non possa essere inteso come  alternativo  alla
lingua  italiana,  o  tale  da  porre  quest'ultima   «in   posizione
marginale». 
    1.4.- In conclusione, il ricorrente osserva che - indicando nella
sola lingua ladina la denominazione del nuovo Comune di  Sen  Jan  di
Fassa-Sen Jan, quando era  peraltro  storicamente  presente  in  quei
luoghi anche quella italiana di San Giovanni -  la  Regione  autonoma
Trentino-Alto   Adige/Südtirol   avrebbe    esercitato    «in    modo
costituzionalmente non corretto la competenza legislativa alla stessa
spettante  in  materia  di  denominazione   dei   comuni   di   nuova
istituzione», con cio' violando i parametri costituzionali evocati. 
    2.- Con atto depositato l'8 febbraio 2018,  la  Regione  autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol si e' costituita  chiedendo  dichiararsi
inammissibili o, comunque sia, infondate le questioni di legittimita'
costituzionale proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    2.1.- La Regione  resistente  svolge  un'articolata  premessa  in
fatto, nella quale sottolinea in particolare la circostanza  che,  il
12 e il 17 agosto 2016, i Comuni di Pozza di Fassa-Poza e di Vigo  di
Fassa-Vich avevano trasmesso alla Provincia  autonoma  di  Trento  le
delibere consiliari dell'11 agosto 2016, con le quali avevano  deciso
di attribuire al nuovo Comune la denominazione di «Comun de Sen  Jan»
nella versione ladina e  di  «Comune  di  Sen  Jan  di  Fassa»  nella
versione italiana, mantenendo, in entrambe le versioni, il nome  "Sen
Jan"  «in  ragione  del  profondo   significato   storico-identitario
dell'intera comunita' legato alla "Pief de Sen Jan", il luogo in  cui
si riuniva fin dalle origini l'assemblea  di  tutti  i  vicini  della
Comunita' di Fassa». 
    2.2.-  La  Regione  autonoma  pone  in  evidenza,  poi,  che   il
Commissario del Governo per la Provincia autonoma di Trento,  benche'
fosse a conoscenza dei fatti sin dal 23 settembre 2016 -  data  nella
quale la Giunta regionale  lo  aveva  informato  della  procedura  di
fusione dei Comuni di Pozza di Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich, della
denominazione dell'istituendo  Comune  e  dell'oggetto  del  relativo
quesito referendario, ove tale denominazione era stata ripetuta - non
abbia «manifestato tempestivamente alcun dubbio di  costituzionalita'
sul punto in occasione del rilascio dell'intesa [per l'individuazione
della data in cui tenere la consultazione  referendaria],  ne'  abbia
impugnato la deliberazione della  Giunta  regionale  del  10  ottobre
2016». 
    In  conseguenza  di  cio',  la  Regione  resistente   deduce   la
tardivita'  del  ricorso,  in  quanto  proposto  a  legge  approvata,
malgrado  il   relativo   procedimento   contemplasse   espressamente
l'intervento del Commissario del Governo in vista della consultazione
referendaria, la cui delibera di  indizione  da  parte  della  Giunta
regionale recava anche la denominazione dell'istituendo Comune. 
    Si richiama, al riguardo, la sentenza n. 2 del 2018  della  Corte
costituzionale, nella quale si e' affermato che i vizi degli atti del
procedimento referendario, fatti valere  tempestivamente  davanti  al
giudice amministrativo, si  trasferiscono  sulla  legge  regionale  e
possono essere oggetto di  sindacato  nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale di  quest'ultima.  Se  ne  dovrebbe  dedurre  che,  in
mancanza di tempestiva impugnazione, i vizi non possano essere  fatti
valere per la prima volta in sede di giudizio  costituzionale,  quali
vizi propri della legge. Nella richiamata pronuncia, infatti,  si  e'
ribadito che gli atti del procedimento referendario  sono  sottoposti
al sindacato del giudice amministrativo in modo  da  evitare  che  le
controversie concernenti la legittimita' della procedura referendaria
vengano in rilievo quando ormai  la  variazione  circoscrizionale  e'
gia' stata disposta con la legge. 
    Ove cosi' non fosse  -  sottolinea,  concludendo  sul  punto,  la
Regione - le conseguenze sarebbero gravi, in quanto la modifica della
denominazione  del  Comune,  gia'  operativa  dal  1°  gennaio  2018,
dovrebbe comportare un rinnovo, sia pure  parziale,  della  procedura
referendaria,  non  avendo  il  Consiglio  regionale  il  potere   di
modificare a posteriori una denominazione sulla quale  si  sono  gia'
espressi i Consigli comunali proponenti, la  popolazione  interessata
nonche' la Giunta provinciale, sia in sede di parere che in  sede  di
formulazione dei quesiti referendari. 
    2.3.- La Regione autonoma deduce, poi, l'inconferenza e  l'errata
interpretazione dei parametri invocati. 
    2.3.1.- A proposito, infatti,  del  richiamo  all'art.  99  dello
statuto speciale, la difesa  regionale  rileva  che,  in  materia  di
toponomastica, il medesimo statuto prevede l'obbligo del  bilinguismo
soltanto nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano (art.  8,
primo  comma,  numero  2),  riservando  alla  competenza  legislativa
regionale l'istituzione e denominazione di nuovi  Comuni  nonche'  la
modifica delle loro circoscrizioni (art. 7, primo comma). 
    Errata sarebbe anche l'interpretazione  dell'art.  19,  comma  6,
della legge prov. Trento n.  6  del  2008,  in  quanto  l'espressione
«fatte  salve  le  denominazioni  dei   comuni»   intenderebbe   solo
sottolineare  che  in  tale  ambito  la  Provincia  autonoma  non  ha
competenza legislativa. 
    2.3.2.- Impropria si rivelerebbe, poi, l'evocazione degli artt. 5
e 6 Cost., in quanto sarebbe paradossale che le disposizioni  tese  a
salvaguardare le minoranze linguistiche vengano invocate a tutela  di
una pretesa «purezza» della lingua italiana, senza  considerare  che,
nella specie, si tratterebbe di scelte gia' avallate dalla  comunita'
linguistica  italiana,   tutelata   nella   fase   preparatoria   del
procedimento  (si  richiama   la   legge   della   Regione   autonoma
Trentino-Alto Adige 21 ottobre 1963, n. 29, recante «Ordinamento  dei
Comuni» e il decreto del Presidente della Regione 1°  febbraio  2005,
n. 3/L, recante «Approvazione del testo unico delle  leggi  regionali
sull'ordinamento dei  comuni  della  Regione  Autonoma  Trentino-Alto
Adige»). 
    Non pertinente si rivelerebbe, inoltre, il richiamo  alla  citata
sentenza  n.  42  del  2017,  stante  l'evidente   diversita'   della
fattispecie oggetto del giudizio.  D'altra  parte,  l'interpretazione
propugnata dal ricorrente dovrebbe  indurre  a  ritenere  illegittime
tutte  le  vigenti   denominazioni   espresse   in   lingua   diversa
dall'italiano  e  senza  l'indicazione  del  corrispondente  toponimo
italiano, come accade per varie localita' della Valle d'Aosta  e  del
Piemonte.  Si   rievoca,   al   riguardo,   il   noto   processo   di
«"italianizzazione" forzata» dei  toponimi  in  epoca  fascista,  che
porto' alla creazione di denominazioni italiane  del  tutto  estranee
alle tradizioni locali, poi ripristinate, gia' prima dell'entrata  in
vigore  della  Costituzione,  per  mezzo  di   diverse   disposizioni
normative. 
    2.3.3.- Risulterebbe anche non correttamente interpretato  l'art.
10 della legge n. 482 del 1999, dal momento che il toponimo ufficiale
non dovrebbe essere  necessariamente  espresso  in  lingua  italiana.
Comunque sia - sottolinea la difesa regionale -  le  norme  contenute
nella legge n. 482 del 1999  potrebbero  trovare  applicazione  anche
alla  Regione  autonoma   Trentino-Alto   Adige/Südtirol   solo   ove
assicurino una tutela piu' elevata rispetto alle leggi regionali,  in
virtu' della clausola di maggior favore (art. 18 della legge  n.  482
del 1999 e art. 5-bis del d.lgs. n. 592 del 1993). 
    2.4.- Risulterebbe errata, ad ogni modo, anche la  considerazione
secondo la quale, nella specie, sarebbe stata omessa la denominazione
in lingua italiana. 
    Si osserva, infatti, che «la tradizione culturale della comunita'
italiana locale trova riscontro nella denominazione "di  Fassa",  che
fa riferimento alla identificazione della  Valle  di  Fassa,  secondo
l'originaria proposta dei Comuni».  La  denominazione  ufficiale  del
nuovo Comune - elemento che identificherebbe il  soggetto  giuridico,
ma che potrebbe essere espresso linguisticamente secondo l'uso  della
comunita' locale  -  sarebbe  quindi  formulata  nelle  due  versioni
linguistiche "Sen Jan di Fassa - Sen Jan", in linea con  il  rispetto
della toponomastica delle popolazioni ladine richiesto dall'art.  102
dello statuto speciale, ancorche' non rechi la  traduzione  letterale
in lingua italiana di "San Giovanni". D'altra  parte,  l'art.  5  del
d.lgs. n. 592 del 1993,  nell'individuare  le  comunita'  ladine  con
doppia denominazione, per due casi (Moena-Moena e Soraga-Soraga) reca
la medesima denominazione sia nella versione italiana che  in  quella
ladina. 
    3.- In data 3 settembre 2018, la Regione  autonoma  Trentino-Alto
Adige/Südtirol  ha  depositato  una  memoria  con  la  quale  insiste
affinche'  sia  dichiarata  l'inammissibilita'   o,   comunque   sia,
l'infondatezza   delle    proposte    questioni    di    legittimita'
costituzionale. 
    3.1.- La difesa della resistente, nel ribadire l'inammissibilita'
del ricorso per tardivita', ha prodotto un documento che attesterebbe
come nulla potesse eccepire il Commissario del Governo  in  relazione
alla denominazione del nuovo Comune. 
    La Regione autonoma ha  depositato,  infatti,  una  nota  del  10
gennaio 2018 a firma del Sottosegretario per gli affari regionali - i
cui  destinatari  sono  il  Presidente  della  stessa  Regione  e  il
Commissario straordinario del Comune di Sen Jan di  Fassa-Sen  Jan  -
nella quale si afferma che, ove la Regione avesse approvato una nuova
legge modificando la denominazione del nuovo Comune in  «Sen  Jan  di
Fassa», sarebbe stata valutata l'ipotesi di proporre al Consiglio dei
ministri la rinuncia al ricorso. La difesa regionale osserva  che  la
denominazione  in  tal  modo  proposta  «fornisce   piena   e   ampia
soddisfazione» alle proprie tesi difensive, al punto da far  dubitare
che  vi  sia  ancora  materia  del  contendere.  Inoltre,  dopo  aver
ripercorso le censure che il Presidente del Consiglio dei ministri ha
speso nel ricorso, reputate incoerenti  con  quanto  affermato  nella
richiamata nota, si osserva che l'impugnazione della legge  regionale
dovrebbe considerarsi quale «tentativo surrettizio di trasferire  sul
piano costituzionale una  questione  che  appare  piuttosto  solo  il
frutto di una contrapposizione partitica». 
    3.2.- La Regione autonoma  insiste,  poi,  sull'inconferenza  del
riferimento alla sentenza n. 42 del 2017,  dalla  quale,  sebbene  in
essa si ribadisca il primato  della  lingua  italiana,  non  potrebbe
discendere un «obbligo di  italianizzazione  delle  denominazioni  di
tutti i comuni». 
    Pertinente, al contrario, sarebbe richiamare le sentenze  n.  170
del 2010 e n. 88 del 2011 della Corte costituzionale. Con  la  prima,
infatti,  la  Corte  avrebbe  riconosciuto  che  le  Regioni  possono
valorizzare il dato storico delle antiche  denominazioni  dei  Comuni
anche in base alle parlate in uso nelle  relative  comunita',  misure
che non sarebbero  riconducibili  esclusivamente  alla  tutela  delle
minoranze linguistiche di cui all'art. 6 Cost.  Con  la  seconda,  si
sarebbe  escluso  che  la  speciale  legislazione  di  tutela   delle
minoranze linguistiche storiche di cui alla legge  n.  482  del  1999
esaurisce ogni forma di  riconoscimento  e  sostegno  del  pluralismo
linguistico, perche' a esse si affiancano lingue regionali  e  idiomi
locali, che troverebbero tutela non solo nell'art. 6 Cost., ma  anche
nel principio pluralistico e nel principio d'eguaglianza di cui  agli
artt. 2 e 3 Cost. 
    D'altra  parte,  aggiunge  la  difesa  regionale,  e'  lo  stesso
legislatore che, nella legge costituzionale 4  dicembre  2017,  n.  1
(Modifiche allo statuto speciale per il Trentino-Alto  Adige/Südtirol
in materia di tutela della minoranza  linguistica  ladina),  utilizza
una denominazione - quella di "Comun General de  Fascia"  di  cui  al
novellato art. 102 dello statuto - esclusivamente in ladino. 
    3.3.- La difesa regionale, in conclusione della  memoria,  rileva
come la  proposta  di  denominazione  di  cui  alla  richiamata  nota
governativa del 10 gennaio 2018 colga nel segno,  non  traducendo  il
nominativo ladino «Sen Jan» in «San Giovanni»: la denominazione  «Sen
Jan di Fassa», infatti, sarebbe costituita  dal  nome  storico  della
localita' in cui ha  sede  il  nuovo  comune,  da  secoli  centro  di
riferimento  delle  comunita'  ladine   della   Val   di   Fassa,   e
dall'indicazione in italiano dell'ambito geografico (la Val di Fassa,
appunto). D'altro canto,  nel  Dizionario  toponomastico  trentino  -
disciplinato dalla legge provinciale n. 16 del 1987 - esisterebbe  il
toponimo «Sen Jan» e non anche quello di «San Giovanni». 
    Infine,  la  resistente  osserva  che   l'eventuale   sussistenza
dell'obbligo  di  bilinguismo  non  potrebbe   implicare   «la   mera
italianizzazione del nominativo, ma piuttosto  la  rispondenza  della
denominazione alle tradizioni storiche della  comunita'  interessata»
poiche' -  si  richiamano  le  parole  del  Presidente  Terracini  in
Assemblea costituente, in sede di discussione dello statuto  speciale
della Regione autonoma Valle d'Aosta - «i nomi delle  localita'  o  i
nomi propri non [fanno] parte dell'altra lingua,  ma  sono  cio'  che
sono». 
    4.- In data 4 settembre 2018, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato  memoria  con  la  quale,  nell'insistere  per
l'accoglimento  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
proposte,  replica  alle  difese  svolte  dalla  Regione   resistente
nell'atto di costituzione. 
    4.1.-  L'Avvocatura  generale  dello  Stato  reputa   palesemente
destituita  di  fondamento  l'eccezione  di   inammissibilita',   per
tardivita', dell'impugnazione. 
    L'intervento  del  Commissario  del   Governo   nell'ambito   del
procedimento referendario,  infatti,  sarebbe  stato  circoscritto  e
limitato - ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,  della  legge  della
Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige  7  novembre  1950,   n.   16
(Sull'esercizio del referendum applicato alla costituzione  di  nuovi
Comuni,   a   mutamenti   delle   circoscrizioni   comunali,    della
denominazione o del capoluogo dei Comuni)  -  alla  sola  espressione
dell'intesa sulla data  di  convocazione  del  referendum  consultivo
concernente la fusione dei Comuni: da tale circostanza  non  potrebbe
farsi  derivare  alcuna  «acquiescenza  preclusiva  della  successiva
impugnazione, ex art. 127 Cost., della legge regionale istitutiva del
nuovo Comune». 
    Per altro verso,  il  potere  del  Governo  di  dedurre  vizi  di
legittimita' costituzionale della  legge  non  potrebbe  considerarsi
condizionato dalla necessita' di impugnare previamente, davanti  alla
giurisdizione   amministrativa,   gli   atti    amministrativi    del
procedimento referendario. Il Governo, infatti, non avrebbe interesse
ne' legittimazione ad impugnare tali atti, i quali «di  per  se'  non
ledono in via  diretta,  immediata  ed  attuale,  ne'  le  competenze
statali ne',  piu'  in  generale,  situazioni  giuridiche  soggettive
attive (poteri o diritti) facenti capo allo Stato». 
    La difesa del ricorrente ricorda, inoltre, che nella sentenza  n.
2 del  2018  la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  le  leggi
regionali ex art. 133 Cost. «non sono paragonabili alle leggi che  si
limitano ad approvare un atto amministrativo, perche' non  ratificano
l'esito del referendum consultivo, ma esprimono una  scelta  politica
del Consiglio regionale»:  conseguentemente,  il  controllo  su  tali
leggi non puo' che spettare esclusivamente al giudice  costituzionale
ed e' solo  una  volta  che  dette  leggi  siano  state  approvate  e
promulgate  che,  eventualmente,  puo'  dedursi  «quella  "eccedenza"
rispetto alle prerogative e alle competenze regionali che  radica  il
potere statale di ricorso ex art.  127  Cost.».  In  quella  medesima
pronuncia, la Corte costituzionale avrebbe altresi' affermato  che  i
vizi degli atti del procedimento referendario si convertono  in  vizi
del procedimento di formazione della legge, dal che ne deriverebbe la
possibilita' per il Governo, nel termine decadenziale di cui all'art.
127 Cost., di sottoporli al  sindacato  del  giudice  costituzionale,
senza che la previa impugnazione degli atti amministrativi «si  ponga
quale  condizione  di  proponibilita'  del  successivo  giudizio   di
legittimita' costituzionale in via principale». 
    4.2.- Il ricorrente, poi, reputa priva di pregio la contestazione
della resistente circa la  pertinenza  dei  parametri  costituzionali
evocati. 
    4.2.1.- Sarebbe  stato  frainteso,  innanzitutto,  il  senso  del
richiamo all'art. 99 dello  statuto  speciale,  il  quale  stabilisce
chiaramente che quella italiana «e' la lingua ufficiale dello Stato». 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  osserva   che   «le   norme
statutarie di riferimento» sono rappresentate dall'art. 2,  il  quale
riconosce parita' di diritti a tutti i  cittadini,  indipendentemente
dal gruppo linguistico di appartenenza, e  dall'art.  102,  il  quale
riconosce alle popolazioni ladine, mochene e cimbre il rispetto della
loro toponomastica e delle loro tradizioni. Il  quadro  normativo  di
riferimento sarebbe  poi  completato  dal  d.lgs.  n.  592  del  1993
nonche', come gia' posto in evidenza nel ricorso, dagli artt. 7, 8  e
10 della legge prov. Trento n. 16 del 1987 e dall'art. 19 della legge
prov. Trento n. 6 del 2008. 
    Alla stregua di tali disposizioni, in ambito di toponomastica  la
tutela della minoranza linguistica ladina  si  realizzerebbe  «su  un
piano di concorrenza,  e  non  di  alternativita'».  L'obbligo  della
bilinguita', infatti, vigerebbe, ai sensi dell'art. 8,  n.  2,  oltre
che degli art. 100 e 101, dello statuto speciale, nel solo territorio
della Provincia autonoma di Bolzano, ove  i  toponimi  devono  essere
indicati in italiano  e  in  tedesco.  Nella  Provincia  autonoma  di
Trento, invece, la  bilinguita',  attesa  l'ufficialita'  della  sola
lingua italiana ai sensi dell'art. 99 dello statuto speciale, sarebbe
solo facoltativa, in linea con quanto previsto, del resto,  dall'art.
10 della legge n. 482 del 1999, il quale  consente,  nei  Comuni  ove
sono presenti  minoranze  linguistiche  storiche,  di  aggiungere  al
toponimo ufficiale, necessariamente in italiano, il toponimo locale. 
    Infine, non sarebbe erroneo ne' fuorviante neppure  il  richiamo,
effettuato nel ricorso, all'art.  19,  comma  6,  della  legge  prov.
Trento n. 6 del 2018, il quale, facendo salve  le  denominazioni  dei
Comuni,  per  un  verso  conferma,  pleonasticamente,   la   potesta'
legislativa della Regione in tale ambito, stabilita dall'art.  7  del
proprio statuto e,  per  un  altro  e  soprattutto,  esclude  che  le
denominazioni dei Comuni, a differenza di quelle  delle  localita'  e
dei toponimi di minoranza, possano essere espressi nella sola  lingua
locale. 
    4.2.2.-  Del  pari  priva  di   fondamento   sarebbe,   altresi',
l'obiezione circa  la  conferenza,  quali  parametri  costituzionali,
degli  artt.  5  e  6  Cost.  Tali  norme  costituzionali  infatti  -
garantendo l'unita' e  l'indivisibilita'  della  Repubblica,  che  si
realizzano anche attraverso l'unita' linguistica, e la  tutela  delle
minoranze linguistiche - osterebbero  «a  previsioni  discriminatorie
della maggioranza linguistica italiana».  In  questa  prospettiva  di
difesa  dell'ufficialita'  della   lingua   italiana   quale   lingua
nazionale, il  riferimento  alla  sentenza  n.  42  del  2017,  lungi
dall'essere  incomprensibile,  troverebbe   ragion   d'essere   nelle
affermazioni di principio ivi compiute dalla Corte costituzionale. 
    4.3.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  rileva,  inoltre,  che
proverebbe troppo l'argomento della  difesa  regionale,  secondo  cui
l'accoglimento delle tesi del Governo dovrebbe  condurre  a  ritenere
costituzionalmente illegittime le denominazioni ufficiali, in  lingua
diversa dall'italiana,  di  Comuni  nelle  Regioni  Valle  d'Aosta  e
Piemonte. Cio' perche' la denominazione monolingue  francese  sarebbe
stata resa possibile, in  via  eccezionale,  da  legge  dello  Stato,
mentre non esisterebbe alcuna norma statale che  consenta  l'utilizzo
esclusivo del solo toponimo ladino. Ne' potrebbe dirsi che l'art.  10
della  legge  prov.  Trento  n.  16  del  1987,  nel  far  ferma   la
denominazione  ufficiale,  non  necessariamente  si  riferisce  a  un
toponimo in lingua italiana: essendo solo questa la lingua ufficiale,
soltanto in italiano potrebbe essere espresso il toponimo ufficiale. 
    Non sarebbe comprensibile, poi, il richiamo  fatto  dalla  difesa
regionale alla cosiddetta clausola di maggior favore, di cui all'art.
18 della legge n. 482 del 1999, in forza del quale le norme  di  tale
legge  si  applicherebbero  alla   Regione   autonoma   Trentino-Alto
Adige/Südtirol solo se garantiscono una  maggior  tutela  rispetto  a
quella prevista dalle leggi regionali: in considerazione dell'esposto
quadro normativo in tema di toponomastica comunale, non  vi  sarebbe,
nell'ordinamento regionale, alcuna disposizione normativa di  maggior
tutela. 
    4.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine,  contesta
l'esattezza anche di  quella  che  reputa  l'«estrema»  difesa  della
resistente, ovverosia che, anche a riconoscere  la  necessita'  della
doppia  denominazione,  l'obbligo  della  denominazione   in   lingua
italiana sarebbe rispettato dalla prima parte del toponimo  (Sen  Jan
di Fassa). 
    Tale denominazione, infatti, e' composita e bilingue, poiche'  le
parole "Sen Jan" sono di lingua ladina  e  la  locuzione  "di  Fassa"
sarebbe priva di «un'effettiva valenza identificativa del  comune  di
nuova istituzione». In senso contrario, non  varrebbe  obiettare  che
l'art. 5 del  d.lgs.  n.  592  del  1993  individua  due  Comuni  che
presentano la medesima denominazione sia in italiano che  in  ladino:
si tratterebbe di una  mera  coincidenza,  che  non  escluderebbe  la
necessita' dell'espressione in entrambe le lingue,  «con  prevalenza,
in ogni caso, della denominazione italiana»,  soprattutto  allorche',
come nella specie accade con quella  di  "San  Giovanni",  essa  gia'
esista e sia di diffuso utilizzo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
1 della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige  31  ottobre
2017, n. 8 (Istituzione del nuovo Comune di Sen Jan di  Fassa  -  Sen
Jan mediante la fusione dei comuni di Pozza di Fassa-Poza e  Vigo  di
Fassa-Vich). Il ricorrente lamenta che la denominazione del Comune di
nuova istituzione sia espressa soltanto in  lingua  ladina,  anziche'
congiuntamente in lingua italiana e in lingua ladina: cio' renderebbe
la disposizione impugnata in contrasto con l'art. 99  del  d.P.R.  31
agosto 1972,  n.  670  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per  il  Trentino-Alto
Adige), in base al quale la lingua ufficiale dello  Stato  e'  quella
italiana, nonche' con gli artt. 5 e 6  della  Costituzione,  i  quali
osterebbero   «a   previsioni   discriminatorie   della   maggioranza
linguistica  italiana»  e,  quindi,  all'utilizzo  di   denominazioni
toponomastiche espresse unicamente nell'idioma locale. 
    2.- La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha  eccepito
la tardivita' del ricorso, in ragione del fatto  che  il  Commissario
del Governo della Provincia  autonoma  di  Trento,  benche'  fosse  a
conoscenza della scelta della denominazione  del  nuovo  Comune,  non
abbia  al  riguardo  «manifestato  tempestivamente  alcun  dubbio  di
costituzionalita'». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Come ha correttamente posto  in  evidenza  l'Avvocatura  generale
dello Stato nella memoria difensiva, il  Commissario  del  Governo  -
secondo quanto previsto dall'art.  2,  comma  1,  della  legge  della
Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige  7  novembre  1950,   n.   16
(Sull'esercizio del referendum applicato alla costituzione  di  nuovi
Comuni,   a   mutamenti   delle   circoscrizioni   comunali,    della
denominazione o del capoluogo dei  Comuni),  ancora  vigente  a  quel
momento - e' stato chiamato  a  esprimersi  soltanto  sulla  data  di
convocazione del referendum per l'istituzione del  nuovo  Comune,  la
quale data, in base alla  richiamata  norma  regionale,  deve  essere
stabilita d'intesa con la Giunta  regionale.  L'aver  raggiunto  tale
intesa, normativamente richiesta, non puo' considerarsi quale  tacito
assenso alla denominazione del nuovo Comune: e cio', a prescindere da
ogni considerazione sulla effettiva possibilita', per il  Commissario
del Governo, di muovere rilievi  alla  predetta  denominazione  o  di
impugnare i relativi atti amministrativi. 
    Ne', a sostegno dell'eccezione, puo' ritenersi utilmente  evocata
la sentenza n. 2 del 2018 di  questa  Corte,  la  quale,  secondo  la
lettura proposta dalla difesa regionale, avrebbe affermato che i vizi
del procedimento  referendario,  in  quanto  sindacabili  dinanzi  al
giudice amministrativo, non possono essere fatti valere per la  prima
volta in sede di giudizio costituzionale. 
    In tale pronuncia questa  Corte  -  se  ha  riconosciuto  che  il
sindacato del giudice  amministrativo  sugli  atti  del  procedimento
referendario ex art. 133 Cost. «deve risultare pieno  e  tempestivo»,
al fine di ridurre la possibilita' che le controversie relative  alla
legittimita' della procedura  referendaria  emergano  successivamente
all'approvazione della legge - non  ha  certo  escluso,  in  caso  di
mancata impugnazione dei predetti atti, la  sindacabilita'  dell'atto
legislativo. Tutt'al contrario, ha affermato che gli  eventuali  vizi
della procedura referendaria si  traducono  in  vizio  formale  della
legge, osservando come, in tal modo, «senza ledere  la  giurisdizione
del giudice amministrativo, [venga preservata] la posizione di questa
Corte, alla quale l'art. 134 Cost. affida in via esclusiva il compito
di garantire la legittimita' costituzionale della legislazione  anche
regionale» (sentenza n. 2 del 2018). 
    Deve d'altra parte osservarsi che  -  a  seguire  la  prospettiva
della Regione resistente - verrebbe a configurarsi una condizione  di
procedibilita' per l'impugnazione, da parte dello Stato, delle  leggi
regionali adottate ex art. 133 Cost., la  cui  mancata  soddisfazione
finirebbe per determinare la decadenza dall'esercizio  di  un  potere
costituzionalmente sancito dall'art. 127 Cost.: il che  non  potrebbe
che formare  oggetto  di  espressa  previsione,  anch'essa  di  rango
costituzionale. L'impugnazione del Governo non puo' che considerarsi,
dunque, tempestiva, tanto piu' che, nella specie, non  viene  neppure
in discorso la regolarita' della procedura referendaria. 
    3.- La resistente ha  eccepito,  inoltre,  l'insussistenza  della
materia del contendere. Essa sarebbe venuta  meno  in  ragione  della
nota del 10 gennaio 2018 del Sottosegretario per gli affari regionali
-  trasmessa  al  Presidente  della  Regione  autonoma  Trentino-Alto
Adige/Südtirol e al Commissario straordinario del neoistituito Comune
- nella quale si affermava che, in caso di approvazione di una  legge
regionale che avesse modificato la censurata denominazione del Comune
in quella di «Sen Jan di Fassa», eliminando la ulteriore dizione «Sen
Jan», sarebbe stata proposta al Consiglio dei  ministri  la  rinuncia
all'odierna impugnativa. Denominazione, quella  ora  richiamata,  che
fornirebbe «piena e ampia soddisfazione» alla resistente. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. 
    L'attivita' del Sottosegretario per gli affari regionali - che e'
svolta su un piano  prettamente  politico-istituzionale  -  non  puo'
impegnare il Consiglio  dei  ministri,  unico  organo  legittimato  a
disporre del ricorso, ne'  tantomeno  condizionare  lo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale condotto  da  questa  Corte.  L'interesse
alla coltivazione del ricorso da parte del Governo, d'altra parte, e'
testimoniato dal deposito, ad opera  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato, della memoria in prossimita'  dell'udienza  pubblica,  con  la
quale  si  e'  insistito  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
costituzionale della disposizione impugnata. 
    4.-  Ancora  in   via   preliminare,   deve   essere   dichiarata
l'inammissibilita' della  questione  di  legittimita'  costituzionale
proposta in riferimento all'art. 5 Cost. 
    La doglianza  e',  infatti,  apodittica,  essendosi  limitato  il
Presidente del Consiglio dei ministri a rilevare che il principio  di
unita' e indivisibilita' della Repubblica «osterebbe all'utilizzo  di
denominazioni toponomastiche espresse unicamente in idioma locale». A
sostegno   della    richiesta    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale non puo' proporsi, come nella specie, una  motivazione
meramente assertiva, ma devono essere specificamente  e  congruamente
indicate le ragioni per le  quali  la  norma  impugnata  si  pone  in
contrasto con i parametri evocati (ex plurimis, sentenze n.  152  del
2018, n. 32 del 2017, n. 37 del 2016 e n. 251 del 2015). 
    5.- Nel merito, la questione proposta in riferimento all'art.  99
dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e' fondata. 
    5.1.- La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo  riconosciuto
che la lingua italiana e'  l'«unica  lingua  ufficiale»  del  sistema
costituzionale (sentenza n. 28 del 1982) e  che  tale  qualificazione
«non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio
interpretativo generale  delle  diverse  disposizioni  che  prevedono
l'uso delle lingue minoritarie,  evitando  che  esse  possano  essere
intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre
in  posizione  marginale  la  lingua  ufficiale   della   Repubblica»
(sentenza n. 159 del 2009). Il primato della lingua italiana - si  e'
anche detto ancor piu' di recente - «non solo  e'  costituzionalmente
indefettibile [ma e'] decisivo per  la  perdurante  trasmissione  del
patrimonio storico  e  dell'identita'  della  Repubblica,  oltre  che
garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come  bene
culturale in se'» (sentenza n. 42 del 2017). 
    Allo stesso tempo, la lingua non puo' non essere un «elemento  di
identita' individuale e collettiva di importanza basilare»  (sentenze
n. 88 del 2011 e n. 15 del 1996), in quanto  e'  «mezzo  primario  di
trasmissione» (sentenza n. 62 del 1992) dei valori culturali che essa
esprime.  E'  in  quest'ottica  che   la   tutela   delle   minoranze
linguistiche deve essere considerata «uno dei principi  fondamentali»
dell'ordinamento costituzionale, espressione di «un rovesciamento  di
grande  portata  politica  e  culturale,  rispetto  all'atteggiamento
nazionalistico manifestato dal fascismo» (sentenza n. 15 del 1996)  e
diretto «alla consapevole custodia e valorizzazione di  patrimoni  di
sensibilita' collettiva vivi e vitali nell'esperienza  dei  parlanti,
per  quanto  riuniti  solo  in  comunita'  diffuse  e   numericamente
"minori"» (sentenza n. 170 del 2010). 
    5.2.- L'incrocio dei due valori costituzionali -  primazia  della
lingua italiana e tutela delle  lingue  minoritarie  -  si  pone  con
particolare accento nell'ambito della toponomastica,  dove  viene  in
rilievo non solo una funzione pratica, volta ad assicurare la formale
individuazione dei nomi di luogo, ma anche una funzione  comunicativa
e simbolica, tesa a valorizzare  nelle  denominazioni  le  tradizioni
storiche del territorio e della comunita' che in  quei  luoghi  vive,
garantendone la continuita' del patrimonio culturale e linguistico. 
    E' in questa prospettiva che, a livello internazionale, la  Carta
europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal  Consiglio
d'Europa il 5 novembre 1992, prevede che  le  Parti  si  impegnano  a
permettere  o  incoraggiare  «l'uso  o  l'adozione,   se   del   caso
congiuntamente con l'adozione della denominazione nella(e)  lingua(e)
ufficiale(i), di forme tradizionali e  corrette  della  toponomastica
nelle lingue regionali o minoritarie» (art. 10, comma 2, lettera  g).
Nello stesso senso  si  muove,  poi,  la  Convenzione-quadro  per  la
protezione delle minoranze nazionali, adottata dal Consiglio d'Europa
il 1° febbraio 1995, ratificata ed eseguita in Italia con la legge 28
agosto 1997, n. 302 (Ratifica ed esecuzione della  convenzione-quadro
per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1º
febbraio 1995), il cui art. 11, comma 3, prevede che «[n]elle regioni
tradizionalmente  abitate  da  un   numero   rilevante   di   persone
appartenenti ad una minoranza nazionale, le  Parti,  nel  quadro  del
loro sistema legislativo, non esclusi, se del caso, accordi con altri
Stati,  si  sforzeranno,  tenendo   conto   delle   loro   condizioni
specifiche, di presentare le  denominazioni  tradizionali  locali,  i
nomi delle strade ed  altre  indicazioni  topografiche  destinate  al
pubblico, anche  nella  lingua  minoritaria,  allorche'  vi  sia  una
sufficiente domanda per tali indicazioni». 
    Il medesimo indirizzo, pur in assenza di un'organica normativa in
materia di toponomastica, e' seguito nel nostro ordinamento. La legge
15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle  minoranze
linguistiche storiche), infatti, per un verso ribadisce che la lingua
ufficiale della Repubblica e' l'italiano (art. 1, comma  1);  per  un
altro,   espressamente   stabilisce   -   secondo   un   «equilibrato
procedimento» (sentenza n. 159 del 2009) che valorizza le lingue e le
culture  minoritarie,  contestualmente  preservando   il   patrimonio
linguistico e culturale dell'italiano - che, nei  Comuni  in  cui  si
applica il regime  di  tutela  da  essa  previsto,  «in  aggiunta  ai
toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione
di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali» (art. 10). 
    5.3.-  L'art.  99  dello   statuto   reg.   Trentino-Alto   Adige
espressamente  ribadisce  che  la  lingua  italiana  «e'  la   lingua
ufficiale dello Stato», cui nella Regione  e'  parificata  la  lingua
tedesca, e che essa «fa testo negli atti aventi carattere legislativo
e nei casi nei quali [dal medesimo] statuto e' prevista la  redazione
bilingue». 
    Lo  statuto  speciale  reca  altresi'  disposizioni  in  tema  di
toponomastica le quali, dettando una disciplina che e'  profondamente
influenzata dalle vicende storiche che hanno interessato  la  Regione
nel corso  della  prima  meta'  del  secolo  scorso,  non  apportano,
tuttavia, alcuna deroga all'ufficialita' della lingua italiana  -  la
quale, dunque, deve essere necessariamente adoperata  anche  in  tale
ambito - ma si limitano a  imporre,  nei  vari  casi,  l'utilizzo  di
denominazioni anche in lingua  tedesca,  ladina,  mochena  o  cimbra:
l'art. 7, primo comma, dello statuto, riprendendo quasi  testualmente
l'art. 133 Cost., stabilisce che «Con leggi della regione, sentite le
popolazioni interessate, possono  essere  istituiti  nuovi  comuni  e
modificate le loro circoscrizioni e denominazioni»; l'art. 8,  n.  2,
attribuisce alle Province autonome di Trento e di Bolzano la potesta'
legislativa nella toponomastica cosiddetta  minore,  «fermo  restando
l'obbligo  della  bilinguita'  nel  territorio  della  provincia   di
Bolzano»; l'art. 101 prevede  che  «Nella  Provincia  di  Bolzano  le
amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di
lingua  tedesca,  anche  la  toponomastica  tedesca,  se   la   legge
provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la  dizione»;
l'art. 102, infine, stabilisce che le popolazioni ladine,  mochene  e
cimbre hanno «diritto [...] al rispetto della toponomastica  e  delle
tradizioni delle popolazioni stesse». 
    Per quel che concerne specificamente la  lingua  ladina,  il  suo
impiego nella toponomastica, ma  unitamente  a  quella  italiana,  e'
ribadito da disposizioni di attuazione dello statuto speciale: l'art.
73 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1951, n. 574
(Norme di attuazione dello  Statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto
Adige), prevede espressamente che  «nelle  valli  ladine  [...]  puo'
essere usato nella toponomastica locale, oltre che la lingua italiana
e la lingua tedesca, anche il  ladino»;  a  conferma,  l'art.  5  del
decreto legislativo 16 dicembre 1993, n.  592  (Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale della  Regione  autonoma  Trentino  Alto-Adige
concernenti disposizioni di tutela della popolazione ladina,  mochena
e cimbra della  provincia  di  Trento)  individua,  con  il  toponimo
bilingue, sette localita' ladine, tra le quali i Comuni di  Pozza  di
Fassa-Poza e Vigo di Fassa-Vich, la cui fusione ha originato il nuovo
Comune di cui alla legge regionale impugnata. 
    Dal richiamato  quadro  normativo  emerge,  pertanto,  che  nella
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol - oggi individuata  con
toponimo bilingue dall'art. 116 Cost., quale sostituito  dall'art.  2
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione) - devono essere utilizzati,
per un verso,  toponimi  anche  in  lingua  tedesca  nella  Provincia
autonoma di Bolzano e, per  un  altro,  al  fine  di  rispettarne  le
tradizioni, toponimi anche in lingua  -  secondo  i  casi  -  ladina,
cimbra o mochena, nei  territori  ove  sono  presenti  le  rispettive
popolazioni. Prescrivendo la compresenza della lingua italiana  e,  a
volta a volta, delle lingue minoritarie, viene apprestata una  tutela
alle minoranze linguistiche e al loro patrimonio culturale in tema di
toponomastica, senza  tuttavia  far  venire  meno,  neppure  in  tale
ambito,  la  primazia  della  lingua  ufficiale   della   Repubblica,
espressamente riconosciuta dall'art. 99 dello statuto speciale. 
    5.4.- Il legislatore regionale, con la disposizione censurata, ha
bensi' adoperato, per il Comune di  nuova  istituzione,  un  toponimo
bilingue - cosi' mostrando di essere consapevole di dover utilizzare,
nell'individuazione del nomen del nuovo ente locale, tanto la  lingua
italiana quanto quella ladina - ma  ha  fatto  ricorso,  nella  prima
parte di tale toponimo  (Sen  Jan  di  Fassa),  a  una  denominazione
mistilingue che non  puo'  dirsi  espressa  in  lingua  italiana  sol
perche', come invece sostenuto  dalla  difesa  della  resistente,  fa
riferimento  alla  Valle  di  Fassa.  La  normativa  statutaria,  nel
prescrivere il bilinguismo  anche  nella  toponomastica,  impone,  al
contrario, che il toponimo sia espresso, per una  parte,  interamente
nella  lingua  italiana  e,  per   un'altra,   anche   nella   lingua
minoritaria. 
    Ne' puo' ritenersi che l'utilizzo, nella denominazione del  nuovo
Comune, delle parole italiane  «San  Giovanni»  avrebbe  determinato,
come adombrato dalla difesa regionale, una  forzosa  italianizzazione
di  un  toponimo  storicamente  e   tradizionalmente   radicato   sul
territorio. Va osservato, in primis, che  il  toponimo  «Sen  Jan  di
Fassa-Sen Jan» - espressione d'una «scelta politica» (sentenza  n.  2
del 2018) che,  sentite  le  popolazioni  interessate,  il  Consiglio
regionale ha compiuto con la legge impugnata - adopera il nome di  un
santo, ovviamente non sconosciuto alla lingua italiana, di  modo  che
l'uso della locuzione «San Giovanni» non sarebbe stato il  frutto  di
una traduzione coatta di un toponimo in verita'  intraducibile.  Deve
rilevarsi,  inoltre,  che  «San  Giovanni»  e'  toponimo  che,   come
pianamente  emerge  dai  lavori  preparatori  della  legge  regionale
censurata, era gia' diffusamente presente nei territori ove sorge  il
nuovo Comune, tanto che era utilizzato per  denominare  una  frazione
del preesistente Comune di Vigo di Fassa-Vich. 
    5.5.-   Deve,   dunque,   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art.  1,  commi  1,  2  e  4,  della  legge  reg.
Trentino-Alto Adige n. 8 del 2017, nella parte  in  cui  utilizza  la
denominazione «Sen Jan di Fassa-Sen  Jan»  anziche'  quella  di  «San
Giovanni di Fassa-Sen Jan». 
    6.- La questione sollevata in riferimento all'art. 6 Cost.  resta
assorbita. 
    7.- La dichiarazione d'illegittimita' costituzionale deve  essere
estesa in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27  della  legge  11
marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), alle ulteriori disposizioni della  legge  reg.
Trentino-Alto Adige n. 8 del 2017 (artt. 2, comma 1; 3, comma  1;  6,
comma 1; 9, commi 2 e 3; 10, comma 1; 12; 13 e 14) che,  al  pari  di
quella censurata, utilizzano la denominazione «Sen Jan  di  Fassa-Sen
Jan» anziche' quella di «San Giovanni di Fassa-Sen Jan».  Va  da  se'
che dovra' essere coerentemente corretto anche il titolo della legge. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1,
2 e 4, della legge della  Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige  31
ottobre 2017, n. 8 (Istituzione del nuovo Comune di Sen Jan di  Fassa
- Sen Jan mediante la fusione dei comuni di  Pozza  di  Fassa-Poza  e
Vigo di Fassa-Vich), nella parte in  cui  utilizza  la  denominazione
«Sen Jan di Fassa-Sen  Jan»  anziche'  quella  di  «San  Giovanni  di
Fassa-Sen Jan»; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 2, comma 1, 3, comma 1,  6,  comma  1,  9,
commi 2 e 3, 10, comma 1, 12, 13  e  14  della  legge  reg.  Trentino
Alto-Adige, nella parte in cui utilizzano la denominazione  «Sen  Jan
di Fassa-Sen Jan» anziche' quella di «San Giovanni di Fassa-Sen Jan». 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA