N. 245 SENTENZA 6 novembre - 27 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica - Disposizioni per il recupero del  patrimonio
  edilizio  esistente  riferito  a  vani   e   locali   accessori   e
  seminterrati - Applicazione del piano demaniale marittimo regionale
  alle aree della riserva naturale "Pineta Dannunziana". 
- Legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per
  il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso e
  contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale  n.
  96/2000 ed ulteriori disposizioni), artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e
  7. 
(GU n.1 del 2-1-2019 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PETRIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
4, 5, comma 2, e 7 della  Regione  Abruzzo  1°  agosto  2017,  n.  40
(Disposizioni per il  recupero  del  patrimonio  edilizio  esistente.
Destinazioni d'uso e contenimento dell'uso del suolo, modifiche  alla
legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con  ricorso  spedito  per  la
notifica il 9 ottobre 2017, depositato in cancelleria il  13  ottobre
2017, iscritto al n. 81 del registro ricorsi 2017 e pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  48,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Abruzzo; 
    udito nella udienza pubblica  del  6  novembre  2018  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Franco Francesco Fabio per la
Regione Abruzzo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato  gli  artt.
4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della  legge  della  Regione  Abruzzo  1°
agosto 2017, n. 40  (Disposizioni  per  il  recupero  del  patrimonio
edilizio esistente. Destinazioni d'uso e  contenimento  dell'uso  del
suolo,  modifiche  alla  legge  regionale  n.  96/2000  ed  ulteriori
disposizioni), disciplinanti il recupero dei vani e locali  accessori
e seminterrati, situati in edifici esistenti o collegati direttamente
ad essi, da destinare ad uso residenziale, direzionale, commerciale o
artigianale, e l'applicazione del piano demaniale marittimo regionale
alle aree della riserva naturale "Pineta Dannunziana". 
    2.-  Secondo  il  ricorrente,  l'impugnato  art.  4,   comma   4,
violerebbe, in primo luogo, l'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),
della Costituzione, in relazione agli artt. 6,  comma  3,  12  e  65,
comma 4, del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale). 
    Deduce il Presidente del Consiglio  dei  ministri  che  la  norma
censurata individua i requisiti tecnici degli interventi di recupero,
prevedendo, al comma 4, che «il recupero dei vani  e  locali  di  cui
all'art. 2,  comma  1,  e'  ammesso  anche  in  deroga  ai  limiti  e
prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali
vigenti, ovvero in assenza dei medesimi». 
    La disposizione, pertanto,  eluderebbe  l'obbligo  di  sottoporre
tali interventi «a valutazione ambientale strategica, o  almeno  alla
relativa verifica di  assoggettabilita'»,  previste  dagli  artt.  6,
comma 3, e 12 del d.lgs. n. 152 del 2006  (d'ora  in  avanti:  codice
dell'ambiente). 
    Inoltre, potendo determinare una deroga alle  disposizioni  degli
strumenti  urbanistici  ed  edilizi  comunali  che   recepiscono   la
pianificazione di bacino,  la  disposizione  censurata  comporterebbe
anche l'elusione della norma di cui all'art. 65, comma 4, del  codice
dell'ambiente, secondo cui  «Le  disposizioni  del  Piano  di  bacino
approvato  hanno   carattere   immediatamente   vincolante   per   le
amministrazioni ed enti pubblici, nonche' per i soggetti privati, ove
trattasi di prescrizioni dichiarate di tale  efficacia  dallo  stesso
Piano di bacino. In particolare, i  piani  e  programmi  di  sviluppo
socio-economico e di assetto ed  uso  del  territorio  devono  essere
coordinati, o comunque non in  contrasto,  con  il  Piano  di  bacino
approvato». 
    3.- L'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n.  40  del  2017
contrasterebbe, in secondo  luogo,  con  piu'  principi  fondamentali
della legislazione statale in materia di governo del  territorio,  in
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Esso sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l'art. 2,  comma  4,
del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari  in  materia  edilizia),  secondo  cui  i
«comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria  e  normativa
di cui all'art. 3 del decreto legislativo  18  agosto  2000  n.  267,
disciplinano l'attivita' edilizia». 
    Il  d.P.R.  n.  380  del  2001  (d'ora  in  avanti:  testo  unico
dell'edilizia  o  TUE)  avrebbe  quindi  ricondotto   la   competenza
regolamentare  dei  Comuni  in  materia   urbanistica   all'autonomia
statutaria e  normativa  prevista  dal  citato  art.  3  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento   degli   enti   locali)   ed   avente    ancoraggio
costituzionale negli artt. 114 e 117, sesto comma, Cost. 
    La norma impugnata, inoltre, sarebbe in contrasto con gli artt. 4
e 7 della legge 17 agosto 1942,  n.  1150  (Legge  urbanistica),  che
attribuiscono ai Comuni la pianificazione urbanistica e la disciplina
delle disposizioni d'uso degli immobili. 
    Essa, ancora, nel consentire gli interventi di recupero anche  in
assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, si  porrebbe
in contrasto con l'art. 9 del TUE, che individua l'attivita' edilizia
realizzabile in assenza di tali strumenti. 
    4.- L'art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40  del  2017,
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, viola  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento all'art.  65,  comma
4, del codice dell'ambiente. 
    La disposizione impugnata, nel  consentire  la  riconversione  di
vani accessori in destinazione d'uso residenziale,  potrebbe  infatti
determinare un incremento del carico abitativo incompatibile  con  le
prescrizioni del piano  di  bacino  volte  alla  tutela  dal  rischio
idrogeologico. 
    La norma censurata, in particolare, escluderebbe  dall'ambito  di
applicazione della legge soltanto  le  aree  soggette  a  vincolo  di
inedificabilita' assoluta e, quindi, non quelle in cui  il  piano  di
bacino si limiti a vietare l'incremento del carico urbanistico. 
    Essa, inoltre, vieterebbe la riconversione solo  nelle  aree  «ad
elevato  rischio  idrogeologico»,  quando,  invece,  per  ragioni  di
pubblica incolumita', simili interventi dovrebbero essere vietati  in
tutte le aree a rischio moderato (R1), medio  (R2),  elevato  (R3)  e
molto elevato (R4). 
    5.- L'impugnato art. 7, infine, violerebbe  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s) Cost., in riferimento all'art. 22, commi 1, lettera
d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree
protette). 
    Il ricorrente, premesso che la  disciplina  in  materia  di  aree
protette, sia statali che regionali, contenuta nella legge n. 394 del
1991  rientra  nella  competenza  legislativa  esclusiva  statale  in
materia di tutela dell'ambiente,  deduce  che  la  Regione  non  puo'
derogare alle norme statali, ma solo «determinare, sempre nell'ambito
delle  proprie  competenze,  livelli  maggiori  di   tutela»,   senza
compromettere  il  punto  di  equilibrio  tra  esigenze  contrapposte
espressamente individuato dalla norma dello Stato. 
    La disposizione censurata,  prevedendo  che  il  piano  marittimo
regionale, ovvero quello comunale di recepimento, sono prevalenti «su
ogni altra legislazione e/o normativa anche di tipo  sovraordinato  o
ambientale», violerebbe l'art. 22, comma 1, lettera d),  della  legge
n. 394 del 1991, secondo cui le attivita' svolte nelle aree  protette
regionali sono disciplinate da regolamenti  adottati  in  conformita'
all'art. 11 della legge medesima. 
    La dichiarata prevalenza del piano marittimo regionale, ovvero di
quello comunale di recepimento, contrasterebbe anche con  l'art.  22,
comma 6, della legge n. 394 del 1991, in forza del quale «Nei  parchi
naturali regionali e nelle  riserve  naturali  regionali  l'attivita'
venatoria  e'  vietata,  salvo  eventuali  prelievi   faunistici   ed
abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri  ecologici.
Detti prelievi ed abbattimenti  devono  avvenire  in  conformita'  al
regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali
per iniziativa e sotto  la  diretta  responsabilita'  e  sorveglianza
dell'organismo di gestione del parco  e  devono  essere  attuati  dal
personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate  scelte
con preferenza tra cacciatori residenti  nel  territorio  del  parco,
previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente». 
    6.- Con memoria depositata nella cancelleria di questa  Corte  il
17 novembre 2017, si e' costituita in giudizio  la  Regione  Abruzzo,
chiedendo  di   dichiarare   l'inammissibilita',   ovvero,   in   via
subordinata, l'infondatezza delle questioni sollevate. 
    7.- La resistente eccepisce, in primo  luogo,  l'inammissibilita'
delle prime due questioni «per l'inadeguatezza  delle  argomentazioni
esposte» e per «l'assoluto eccesso di genericita' delle motivazioni». 
    La censura di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della
legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017, in particolare,  sarebbe  generica
ed apodittica, priva di alcun percorso motivazionale a sostegno delle
ragioni per cui la «deroga ai limiti e  prescrizioni  edilizie  degli
strumenti  urbanistici»  comporterebbe  l'elusione  dell'obbligo   di
sottoporre a  valutazione  ambientale  strategica  (VAS)  i  previsti
interventi di recupero, la elusione delle  previsioni  dei  piani  di
bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali e la  violazione
della riserva regolamentare dei Comuni in materia urbanistica. 
    Le prime due censure sarebbero inammissibili anche  per  la  loro
«contraddittorieta' sotto il profilo dell'esatta  individuazione  del
thema decidendum»,  perche'  il  ricorrente,  pur  avendole  riferite
esclusivamente al comma 4 dell'art. 4 e al comma 2 dell'art. 5  della
legge reg. Abruzzo n. 40  del  2017,  avrebbe  poi  concluso  per  la
declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale  dei  citati  articoli
nella loro interezza. 
    8.- Nel merito, quanto alla prima  censura  rivolta  all'art.  4,
comma 4, di violazione della competenza statale in materia di  tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  per  elusione   dell'obbligo   di
sottoposizione  a  VAS,  o   almeno   alla   relativa   verifica   di
assoggettabilita', e perche'  derogatoria  delle  disposizioni  degli
strumenti urbanistici ed edilizi che recepiscono la pianificazione di
bacino, la resistente ritiene che essa poggi su  una  interpretazione
errata  della  norma,  assunta  senza  considerare   la   misura   di
salvaguardia prevista dal legislatore regionale. 
    Osserva la Regione Abruzzo come il comma 4  faccia  espressamente
salve le previsioni del comma  3,  ai  sensi  del  quale  «Tutti  gli
interventi di recupero devono rispettare le  norme  antisismiche,  di
sicurezza   e   antincendio   vigenti,   nonche'   quelle    relative
all'efficienza    energetica,    alla    tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema». 
    Secondo la resistente, pertanto,  la  deroga  ai  limiti  e  alle
prescrizioni  edilizie  degli  strumenti   urbanistici   ed   edilizi
contemplata dal comma 4 presuppone  sempre  e  comunque  il  rispetto
della normativa in materia  di  tutela  ambientale,  il  che  implica
l'impossibilita' di eludere le procedure di  VAS  o  di  verifica  di
assoggettabilita'  previste  dagli  artt.   6   e   12   del   codice
dell'ambiente. 
    Sotto altro profilo, poi, non sarebbe agevole comprendere come la
mera  modifica  di  destinazione  d'uso  di  vani   esistenti   possa
comportare la necessita'  di  una  nuova  VAS  rispetto  ai  piani  e
programmi in base ai quali siano stati gia' realizzati  gli  immobili
di cui quei vani fanno parte. 
    Gli interventi di recupero disciplinati dalla legge regionale  in
questione,  infatti,  non  implicherebbero  nuovo  consumo  di  suolo
mediante l'esercizio di attivita' di nuova edificazione  ma  solo  il
recupero di locali accessori e vani seminterrati  gia'  presenti  nel
tessuto edilizio, con esclusione di opere  che  comportino  modifiche
delle altezze esterne del fabbricato esistente e della  sagoma  delle
costruzioni. 
    Nella maggior  parte  dei  casi  l'applicazione  della  normativa
regionale potrebbe comportare solo un mutamento di destinazione d'uso
del locale,  consentito  esclusivamente  all'interno  della  medesima
categoria funzionale tra quelle previste dall'art. 23-ter,  comma  1,
del TUE (art. 2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017). 
    In ogni caso, la Regione Abruzzo ribadisce che il rispetto  della
normativa ambientale e, piu' in generale, di quella nazionale vigente
in subiecta materia, e' assicurato, oltre  che  dal  citato  art.  4,
comma 3, anche dall'art. 1 della medesima legge regionale n.  40  del
2017, a mente del quale «La presente legge detta disposizioni volte a
promuovere, nel rispetto della normativa statale vigente, il recupero
del patrimonio edilizio esistente», e dall'art. 3, comma 2, ai  sensi
del quale «Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da
norme ambientali o paesaggistiche nazionali e regionali». 
    Per  le  stesse  ragioni  sarebbe   infondata   la   censura   di
illegittimita' dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo  n.  40
del 2017, per violazione dell'art. 65 del codice dell'ambiente: anche
in questo caso l'osservanza delle  previsioni  dei  piani  di  bacino
recepite negli strumenti urbanistici sarebbe garantito  dal  richiamo
operato nel comma 3 dell'art. 4 al rispetto delle  norme  ambientali,
e,  prima  ancora,  dal  carattere  immediatamente  vincolante  delle
disposizioni di piano, strumento di pianificazione sovraordinato agli
altri. 
    Andrebbe  considerato,  infine,  che  la  deroga  censurata   dal
ricorrente non riguarda gli strumenti urbanistici in senso stretto  e
quindi la pianificazione  del  territorio,  ma  e'  circoscritta  «ai
limiti e alle prescrizioni edilizie». 
    9.- In relazione alla censura di contrasto della norma  regionale
con i principi fondamentali della legislazione statale in materia  di
governo del territorio  di  cui  al  testo  unico  dell'edilizia,  la
Regione afferma che l'intera legge reg. Abruzzo n.  40  del  2017  e'
rispettoso dell'autonomia e delle competenze comunali. 
    L'art. 5, comma  1,  della  medesima  legge  regionale,  infatti,
demanda  proprio  ai  Comuni  la  facolta'  di  decidere,  in   piena
discrezionalita', l'an e il  quomodo  di  attuazione  delle  relative
previsioni, e l'art. 3, comma  1,  prevede  che  i  Comuni,  in  fase
applicativa, restano competenti  per  la  gestione  dei  procedimenti
amministrativi, atteso che gli interventi di recupero sono consentiti
«previo rilascio del titolo abilitativo  edilizio  richiesto  per  il
tipo di intervento». 
    La deroga prevista dalla norma censurata, inoltre,  riguarderebbe
solo   le   prescrizioni   comunali   aventi   carattere    meramente
tecnico-edilizio e non quelle di natura piu' propriamente urbanistica
ne' tantomeno gli strumenti di pianificazione. 
    Nemmeno potrebbe dirsi  violato  l'art.  2,  comma  4,  del  TUE,
poiche'  la  disposizione  censurata  sarebbe  estranea  anche   alla
disciplina edilizia in senso stretto e non inciderebbe sulla  riserva
regolamentare in capo ai Comuni. 
    10.- Parimenti priva di pregio sarebbe la censura  di  violazione
dell'art. 9 del testo unico dell'edilizia riguardante la possibilita'
di effettuare interventi di recupero anche «in assenza  di  strumenti
urbanistici ed edilizi comunali». 
    Il citato art. 9, infatti, disciplina la tipologia di  interventi
edilizi consentiti «nei comuni sprovvisti di strumenti  urbanistici»,
individuati in quelli previsti «dalle lettere a), b), e c) del  primo
comma dell'articolo 3»,  ossia  quelli  di  «manutenzione  ordinaria,
straordinaria e di restauro e risanamento conservativo». 
    Gli interventi di recupero  disciplinati  dalla  legge  regionale
andrebbero ricompresi proprio in tale ultima categoria, come definita
dal legislatore statale, trattandosi di iniziative  implicanti  opere
minimali che comportano meri mutamenti di destinazione d'uso  interni
alla medesima  categoria  funzionale,  con  eventuali  piccole  opere
edilizie  di  adeguamento  ma  senza  stravolgimento   dell'organismo
edilizio nel suo complesso. 
    11.-   Con   riferimento   alla   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 2, della legge regionale n. 40  del
2017, la Regione Abruzzo  osserva  che  secondo  il  ricorrente  esso
sarebbe in contrasto con l'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente
e quindi con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sotto  due
distinti profili: 1) la riconversione ad uso  residenziale  dei  vani
accessori potrebbe determinare  un  carico  di  incremento  abitativo
incompatibile con le prescrizioni del piano di bacino;  2)  la  norma
escluderebbe dall'ambito di applicazione della legge  regionale  solo
«le aree soggette a vincoli  di  inedificabilita'  assoluta»,  ovvero
quelle «ad elevato  rischio  idrogeologico»,  mentre  gli  interventi
previsti dovrebbero  essere  vietati  in  tutte  le  aree  a  rischio
moderato (R1), medio (R2) e molto elevato (R4). 
    Quanto al primo profilo,  la  resistente  osserva  che  la  norma
censurata, lungi dal mettere in discussione la prevalenza  dei  piani
di bacino o di settore rispetto agli atti pianificatori  subordinati,
si limita a fissare soglie minime di tutela e  salvaguardia  connesse
sia al vincolo di  inedificabilita'  assoluta  posto  dagli  atti  di
pianificazione territoriale e non necessariamente legato a situazioni
di rischio o pericolosita' (ad esempio, il divieto di  edificabilita'
previsto dai piani dei parchi), sia al rischio idrogeologico. 
    Il rispetto delle prescrizioni contenute nel piano  di  bacino  -
prosegue la Regione Abruzzo - e' in ogni caso garantito dal richiamo,
operato nel comma 3 dell'art. 4 della legge regionale, all'osservanza
delle norme in materia di sicurezza e tutela ambientale, tra le quali
e'  sicuramente  annoverabile  l'art.  65,  comma   4,   del   codice
dell'ambiente; nonche' dalla stessa natura immediatamente  vincolante
del piano di bacino medesimo. 
    Le stesse considerazioni conducono, secondo la  resistente,  alla
infondatezza anche  del  secondo  profilo  di  censura:  la  prevista
esclusione dell'applicabilita' della  legge  regionale  alle  aree  a
«rischio  elevato»  non  puo'  valere,  di  per  se',  a   precludere
l'operativita' delle vincolanti prescrizioni  di  piano  nelle  altre
aree qualificate a rischio medio, moderato e molto elevato. 
    12.- Con memoria depositata il 16 ottobre 2018 il Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri  ha  replicato  alle  eccezioni  avversarie,
evidenziando l'ammissibilita'  del  ricorso,  stante  la  completezza
delle  argomentazioni  poste  a  sostegno  delle   censure,   nonche'
ribadendo la sua fondatezza per le  ragioni  gia'  esposte  nell'atto
introduttivo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  gli
artt. 4, comma 4, 5, comma 2, e 7 della legge della  Regione  Abruzzo
1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni per il  recupero  del  patrimonio
edilizio esistente. Destinazioni d'uso e  contenimento  dell'uso  del
suolo,  modifiche  alla  legge  regionale  n.  96/2000  ed  ulteriori
disposizioni), disciplinanti il recupero dei vani e locali  accessori
e  seminterrati  e  l'applicazione  del  piano  demaniale   marittimo
regionale alle aree della riserva naturale "Pineta Dannunziana". 
    1.1.- Con riferimento all'art. 4, comma 4, il ricorrente  lamenta
la  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e 65,  comma  4,
del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale); nonche' dell'art. 117, terzo comma, Cost., in  relazione
all'art. 2, comma 4, e 9 del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.  380  (Testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia) e agli artt. 4 e 7 della legge  17  agosto  1942,  n.  1150
(Legge urbanistica). 
    1.1.1.- Piu' in particolare, secondo l'Avvocatura generale  dello
Stato, la disposizione censurata - nel prevedere che il recupero  dei
vani e locali di cui all'art. 2, comma 1 (ossia  dei  vani  e  locali
accessori situati in edifici esistenti o  collegati  direttamente  ad
essi ed utilizzati anche come pertinenze degli stessi e  dei  vani  e
locali  seminterrati)  «e'  ammesso  anche  in  deroga  ai  limiti  e
prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali
vigenti, ovvero in assenza dei medesimi» - determina, in primo luogo,
l'elusione  dell'obbligo   di   sottoporre   tali   interventi   alla
«valutazione ambientale strategica, o almeno alla  relativa  verifica
di assoggettabilita'», di cui agli artt. 6, comma 3, e 12 del  d.lgs.
n. 152 del 2006 (d'ora in avanti: codice dell'ambiente). 
    Essa, in secondo luogo, consentirebbe di derogare alle previsioni
del piano di bacino recepite negli strumenti urbanistici comunali, in
violazione dell'art. 65, comma 4, del codice  dell'ambiente,  secondo
cui «Le disposizioni del Piano di bacino  approvato  hanno  carattere
immediatamente vincolante per le amministrazioni  ed  enti  pubblici,
nonche'  per  i  soggetti  privati,  ove  trattasi  di   prescrizioni
dichiarate di  tale  efficacia  dallo  stesso  Piano  di  bacino.  In
particolare, i piani e programmi di  sviluppo  socio-economico  e  di
assetto ed uso del territorio devono essere  coordinati,  o  comunque
non in contrasto, con il Piano di bacino approvato». 
    1.1.2.- L'art. 4, comma 4,  poi,  violerebbe  l'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  perche'  sarebbe  in  contrasto  con   il   principio
fondamentale della materia del governo del territorio posto dall'art.
2, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 (d'ora in avanti: testo  unico
dell'edilizia  o  TUE)  che  attribuisce  ai  Comuni  la   disciplina
dell'attivita' edilizia. 
    La norma impugnata, inoltre, sarebbe in contrasto con gli artt. 4
e  7  della  legge  n.  1150  del  1942  (d'ora  in   avanti:   legge
urbanistica),  che  attribuiscono   ai   Comuni   la   pianificazione
urbanistica e la disciplina dell'uso degli immobili. 
    Essa, infine, consentirebbe gli interventi di recupero  anche  in
assenza degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali, in contrasto
con  il  principio  fondamentale  stabilito  dall'art.  9  TUE,   che
individua  l'attivita'  edilizia  realizzabile  in  assenza  di  tali
strumenti. 
    1.2.- L'art. 5, comma 2, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017,
nel prevedere che la medesima  legge  regionale  «trova  applicazione
diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai regolamenti
edilizi vigenti», con esclusione delle «aree soggette  a  vincoli  di
inedificabilita' assoluta dagli atti di  pianificazione  territoriale
ovvero nelle aree ad  elevato  rischio  geologico  o  idrogeologico»,
viola, secondo il ricorrente, l'art. 117, secondo comma, lettera  s),
Cost., in relazione all'art. 65, comma 4, del codice dell'ambiente. 
    La  norma  censurata  sarebbe  in  contrasto  con  il   parametro
interposto indicato, perche' escluderebbe dall'ambito di applicazione
della  legge  regionale  soltanto  le  aree  soggette  a  vincolo  di
inedificabilita' assoluta e non anche  quelle  in  cui  il  piano  di
bacino si limiti a vietare l'incremento  del  carico  urbanistico;  e
perche' escluderebbe la riconversione solo  nelle  aree  «ad  elevato
rischio idrogeologico»,  quando,  invece,  per  ragioni  di  pubblica
incolumita', simili interventi dovrebbero essere vietati in tutte  le
aree a rischio moderato  (R1),  medio  (R2),  elevato  (R3)  e  molto
elevato (R4). 
    1.3.- L'art. 7 della legge reg. Abruzzo n.  40  del  2017,  nello
stabilire la prevalenza del «Piano  Marittimo  regionale,  ovvero  di
quello Comunale di recepimento»,  su  ogni  altra  «legislazione  e/o
normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale»,  viola,  secondo
il Presidente del Consiglio dei ministri, l'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., perche' consente al  piano  previsto  dalla  legge
regionale  di  derogare   al   regolamento   dell'area   protetta   e
disciplinare l'attivita' venatoria, in contrasto con quanto  previsto
dall'art. 22, commi 1, lettera d), e 6, della legge 6 dicembre  1991,
n. 394 (Legge quadro sulle aree protette). 
    2.- La Regione Abruzzo ha eccepito l'inammissibilita' «dei  primi
due motivi di impugnativa» «per l'inadeguatezza delle  argomentazioni
esposte» e per «l'assoluto eccesso di genericita' delle motivazioni». 
    La doglianza di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  in
particolare,  sarebbe  apodittica   e   priva   di   alcun   percorso
motivazionale a sostegno delle ragioni per cui la «deroga ai limiti e
prescrizioni  edilizie  degli  strumenti  urbanistici»  comporterebbe
l'elusione  dell'obbligo  di  sottoporre  a  valutazione   ambientale
strategica (VAS) gli interventi di recupero previsti dalla  normativa
regionale, la elusione delle previsioni dei piani di bacino  recepite
negli strumenti urbanistici comunali e la  violazione  della  riserva
regolamentare dei Comuni in materia urbanistica. 
    Le medesime censure sarebbero inammissibili  anche  per  la  loro
«contraddittorieta' sotto il profilo dell'esatta  individuazione  del
thema decidendum»,  perche'  il  ricorrente,  pur  avendole  riferite
esclusivamente al comma 4 dell'art. 4  e  al  comma  2  dell'art.  5,
avrebbe   poi   concluso   per   la   declaratoria   d'illegittimita'
costituzionale dei citati articoli nella loro interezza. 
    2.1.- Entrambe le eccezioni non sono fondate. 
    Quanto alla lamentata contraddittorieta'  della  motivazione,  e'
vero che il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale degli artt.  4  e  5,  senza
specificamente  indicare,  nell'epigrafe  e  nelle  conclusioni   del
ricorso, i commi recanti le norme oggetto d'impugnazione. 
    Tale  indicazione,  tuttavia,  si  rinviene   nel   corpo   della
motivazione, la cui integrale  lettura  consente,  senza  margine  di
errore, l'individuazione delle  norme  impugnate,  come  dimostra  la
stessa difesa della parte resistente che su di esse si incentra. 
    Quanto  alla  eccepita  genericita'   della   motivazione,   deve
convenirsi   con   la   Regione   Abruzzo   che   la   giurisprudenza
costituzionale  e'  costante  nel   ritenere   che   «l'esigenza   di
un'adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  termini  perfino   piu'
pregnanti nei giudizi proposti in via principale  rispetto  a  quelli
instaurati in via incidentale» (tra le tante, sentenze n. 32 del 2017
e n. 141 del 2016). Pertanto, «il  ricorso  in  via  principale  deve
contenere "una seppur sintetica argomentazione di merito  a  sostegno
della richiesta declaratoria di illegittimita'  costituzionale  della
legge. In particolare,  l'atto  introduttivo  al  giudizio  non  puo'
limitarsi  a  indicare  le  norme  costituzionali  e  ordinarie,   la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della questione di costituzionalita',  ma  deve
contenere  [...]  anche  una  argomentazione  di  merito,  sia   pure
sintetica,   a   sostegno    della    richiesta    declaratoria    di
incostituzionalita', posto che l'impugnativa  deve  fondarsi  su  una
motivazione  adeguata  e  non  meramente  assertiva"  (ex   plurimis,
sentenza n. 107 del 2017 che richiama anche le sentenze  n.  251,  n.
153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015)»  (sentenza  n.  152  del  2018;
nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 109 del 2018,  n.  261,
n. 210 e n. 169 del 2017). 
    Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente  ha  individuato  con
chiarezza  le  disposizioni  censurate,  i  parametri  costituzionali
asseritamente violati  e  la  normativa  statale  di  riferimento  in
materia  ambientale  o  di  governo  del  territorio,  e  ha  fornito
argomentazioni,  sia  pure  a  tratti  succinte,  delle  ragioni  del
contrasto tra le prime e i secondi. 
    3.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo n. 40  del  2017,  per
violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in
relazione agli artt. 6, comma 3, e 12 del codice  dell'ambiente,  non
e' fondata. 
    4.-  L'inquadramento  delle  norme  statali  sulla  verifica   di
assoggettabilita' a VAS nella materia della tutela dell'ambiente, con
conseguente idoneita' a fungere da parametro  interposto,  ovvero  da
standard minimo o punto di equilibrio non derogabile dal  legislatore
regionale, e' corretto (tra le tante, sentenze n. 114  del  2017,  n.
219 e n. 117 del 2015, n. 197 del 2014, n. 58 del 2013). 
    Non e' invece condivisibile l'assunto che la  disciplina  statale
sia incisa in peius dalla norma  regionale,  la  quale,  introducendo
misure derogatorie dei  vigenti  strumenti  urbanistici  ed  edilizi,
eluderebbe, per gli interventi  di  recupero  da  essa  disciplinati,
l'obbligo di verifica di assoggettabilita' a VAS. 
    4.1.- La legge reg. Abruzzo n. 40 del  2017  «detta  disposizioni
volte a promuovere, nel rispetto della normativa statale vigente,  il
recupero del patrimonio edilizio esistente,  attraverso  il  recupero
dei vani e locali accessori, nonche' dei vani e locali  seminterrati,
situati in edifici esistenti o collegati  direttamente  ad  essi,  da
destinare   ad   uso   residenziale,   direzionale,   commerciale   o
artigianale, al fine di uno sviluppo sostenibile e  di  contenere  il
consumo di suolo» (art. 1). 
    Il recupero dei vani e locali e' consentito a condizione che:  a)
siano stati legittimamente realizzati alla data di entrata in  vigore
della legge; b) non abbiano in corso procedure  di  accertamento  per
opere abusive; c) siano collocati in edifici serviti dalle  opere  di
urbanizzazione primaria; d) non facciano  parte  di  edifici  abusivi
(art. 2, commi 2 e 3). 
    Il cambio di destinazione d'uso del  vano  o  locale  oggetto  di
recupero e' poi «consentito solo all'interno della medesima categoria
funzionale tra quelle di cui al  comma  1  dell'articolo  23-ter  del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380  (Testo
unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia)» (art. 2, comma 1). 
    Ancora, ai sensi dell'art. 3, «Sono consentiti gli interventi  di
recupero ai fini residenziale, direzionale, commerciale o artigianale
dei vani e locali di cui all'articolo 2, comma 1, con o  senza  opere
edilizie, previo rilascio del titolo abilitativo  edilizio  richiesto
per il tipo di intervento e nel rispetto delle  prescrizioni  di  cui
alla presente  legge  (...)  2.  Per  gli  edifici  situati  in  aree
sottoposte a vincolo paesaggistico e per gli  immobili  vincolati  ai
sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10  della  legge  6
luglio  2002,  n.  137),  il  recupero  dei  vani  e  locali  di  cui
all'articolo  2,  comma  1,  e'  in  ogni  caso   consentito   previa
autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
Restano comunque ferme le prescrizioni  in  materia  poste  da  norme
ambientali o paesaggistiche nazionali e regionali 3. La realizzazione
degli interventi di recupero e' subordinata all'esistenza delle opere
di  urbanizzazione  primaria  e   al   reperimento   degli   standard
urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 del  Ministero  dei
lavori  pubblici  (Limiti  inderogabili  di  densita'  edilizia,   di
altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti  massimi  tra  spazi
destinati  agli  insediamenti  residenziali  e  produttivi  e   spazi
pubblici o riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei  nuovi  strumenti
urbanistici  o  della  revisione  di  quelli  esistenti,   ai   sensi
dell'articolo 17 della L. 6 agosto  1967,  n.  765)  ovvero  al  loro
adeguamento  o  realizzazione,  in  relazione   al   maggior   carico
urbanistico connesso alla trasformazione della destinazione d'uso». 
    Infine, ai sensi dell'art. 4, «1. Gli interventi di recupero  dei
vani e locali di cui all'articolo 2, comma 1,  devono  conseguire  il
rispetto di tutte le prescrizioni igienico-sanitarie  vigenti  e  dei
parametri di aero-illuminazione, anche attraverso la realizzazione di
opere edilizie o mediante  l'installazione  di  appositi  impianti  e
attrezzature tecnologiche atte a tale funzione. L'altezza interna dei
vani e locali destinati alla permanenza di persone  non  puo'  essere
inferiore a metri 2,40. 2. Ai fini  del  raggiungimento  dell'altezza
minima di cui al comma 1, e' consentito, nell'ambito  dell'intervento
richiesto, effettuare la rimozione  di  eventuali  controsoffittature
esistenti, l'abbassamento della quota di calpestio  del  pavimento  o
l'innalzamento del solaio sovrastante, a condizione  che  tali  opere
edilizie  non  comportino  modifiche  delle   altezze   esterne   del
fabbricato esistente e siano realizzate nel  rispetto  e  nell'ambito
della sagoma delle costruzioni  interessate.  L'altezza  interna  dei
vani e locali oggetto di recupero e' misurata da pavimento a soffitto
senza tenere conto dell'intradosso di travi e sporgenze similari.  E'
considerata regolare  ed  utile  l'altezza  finita  ricompresa  nella
tolleranza di cantiere come definita dall'articolo 34,  comma  2-ter,
del D.P.R. 380/2001. 3.  Tutti  gli  interventi  di  recupero  devono
rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti,
nonche'  quelle  relative  all'efficienza  energetica,  alla   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema [...]». 
    4.2.- L'esame congiunto delle  citate  disposizioni  della  legge
regionale rende  evidente  che  esse,  dettate  nell'esercizio  della
potesta'  legislativa  concorrente  in   materia   di   governo   del
territorio,  si  limitano  ad  incentivare  il  recupero   dei   vani
seminterrati ed accessori nel rispetto della normativa  ambientale  e
dei principi fondamentali della disciplina  urbanistica  ed  edilizia
nazionale, dettando minute  prescrizioni  edilizie  (quali  l'altezza
minima dei locali seminterrati e le modalita' della sua misurazione). 
    Esse,  dato  il  loro  contenuto  concreto,  non  incidono  sulla
pianificazione territoriale o sulla localizzazione  degli  interventi
affidati ai piani urbanistici comunali e, se fossero state introdotte
in via amministrativa (mediante modifica  dei  regolamenti  edilizi),
non avrebbero richiesto  la  verifica  di  assoggettabilita'  a  VAS,
perche'  non   incidenti   sulla   «pianificazione   territoriale   o
destinazione dei suoli» (art. 6, comma 2, del codice dell'ambiente) e
perche'   all'evidenza   insuscettibili    di    produrre    «impatti
significativi  sull'ambiente»  (art.   6,   comma   3,   del   codice
dell'ambiente). 
    In definitiva, la legge regionale non  puo'  essere  tacciata  di
avere  determinato  una  «elusione»  dell'obbligo  di   verifica   di
assoggettabilita' a VAS, mediante l'attrazione alla sfera legislativa
della  modifica  di  strumenti   amministrativi   di   pianificazione
suscettibili di incidere sull'ambiente. 
    5.- La questione di costituzionalita' dell'art. 4, comma  4,  per
violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  in
relazione  all'art.  65,  comma  4,  del  codice  dell'ambiente,   e'
egualmente non fondata. 
    6.- Anche in questo caso e' corretto l'inquadramento delle  norme
statali sul piano di bacino nella materia della tutela dell'ambiente,
con conseguente loro idoneita' a  fungere  da  parametro  interposto,
ovvero da standard minimo o punto di equilibrio  non  derogabile  dal
legislatore regionale (sentenze n. 254 e n. 168 del 2010, n. 254 e n.
232 del 2009). 
    Come correttamente eccepito dalla Regione Abruzzo,  tuttavia,  la
norma censurata non pone alcuna deroga alle previsioni del  piano  di
bacino che, proprio in forza del parametro  interposto  invocato,  si
impongono a tutte le amministrazioni e ai privati, a prescindere  dal
loro  recepimento  in  altre  fonti   legislative   o   regolamentari
(argumenta ex sentenze  n.  46  del  2014  e  n.  251  del  2013  con
riferimento alla VAS, e sentenza n. 168 del 2010 con riferimento alla
VIA). 
    E' del resto la stessa legge regionale ad affermare espressamente
che «Restano comunque ferme le prescrizioni in materia poste da norme
ambientali o paesaggistiche nazionali e regionale» (art. 3, comma  2)
e che tutti gli interventi di recupero da essa  disciplinati  «devono
rispettare le norme antisismiche, di sicurezza e antincendio vigenti,
nonche'  quelle  relative  all'efficienza  energetica,  alla   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» (art. 4, comma 3,  richiamato  dalla
stessa disposizione impugnata). 
    7.- Secondo il ricorrente l'art. 4,  comma  4,  violerebbe  anche
l'art. 117, terzo comma, Cost., perche' si porrebbe in contrasto  con
piu' principi fondamentali in materia di governo del  territorio,  ed
in  particolare:  a)  con  l'art.  2,  comma  4,  del   testo   unico
dell'edilizia che assegna  ai  Comuni  la  disciplina  dell'attivita'
edilizia; b) con  gli  artt.  4  e  7  della  legge  urbanistica  che
attribuiscono ai Comuni la potesta'  pianificatoria  urbanistica;  c)
con l'art. 9 del TUE che individua l'attivita' edilizia  realizzabile
in assenza degli strumenti urbanistici. 
    8.- Anche tali questioni non sono fondate. 
    9.-  L'art.  2,  comma  4,  del  testo  unico  dell'edilizia,  se
riconosce ai Comuni la facolta' di disciplinare l'attivita' edilizia,
non  configura  (ne'  potrebbe)  in  capo  agli  stessi  una  riserva
esclusiva di regolamentazione in grado di  spogliare  il  legislatore
statale  e  quello  regionale  del  legittimo  esercizio  delle  loro
concorrenti  competenze  legislative  in  materia  di   governo   del
territorio, competenze non a caso richiamate dallo stesso art. 2 TUE. 
    9.1.-  Neanche  sussiste  la  dedotta  violazione  del  principio
fondamentale  di   attribuzione   ai   Comuni   della   funzione   di
pianificazione urbanistica del territorio, poiche', come si  e'  gia'
detto, la  disposizione  censurata  consente  esclusivamente  deroghe
minute alla  disciplina  edilizia  comunale,  dettate  nell'esercizio
della ricordata competenza  legislativa  concorrente  in  materia  di
governo del territorio. 
    Questa Corte, del resto, ha gia' escluso che  il  «sistema  della
pianificazione» assurga a principio cosi' assoluto  e  stringente  da
impedire alla legge regionale  -  che  e'  fonte  normativa  primaria
sovraordinata  rispetto  agli  strumenti  urbanistici  locali  -   di
prevedere interventi in deroga a tali strumenti (sentenza n.  46  del
2014, ove peraltro la disciplina regionale, a  differenza  di  quella
oggi scrutinata, consentiva incrementi volumetrici). 
    9.2.- Non  e'  neanche  fondata  la  censura  di  violazione  del
principio fondamentale stabilito dall'art. 9 del TUE (sentenze n.  68
del 2018 e n.  84  del  2017),  che  individua  l'attivita'  edilizia
realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici. 
    Gli  interventi  di  recupero   consentiti   dalla   disposizione
censurata sono infatti in linea  con  quelli  previsti  dall'invocato
parametro interposto. 
    Si e' gia' visto che essi non implicano consumo di suolo mediante
l'esercizio di attivita' di nuova edificazione ma solo il recupero di
locali accessori  e  vani  seminterrati  gia'  presenti  nel  tessuto
edilizio, con esclusione di  opere  che  comportino  modifiche  delle
altezze  esterne  del  fabbricato  esistente  e  della  sagoma  delle
costruzioni (art. 4, comma 2, della legge  reg.  Abruzzo  n.  40  del
2017). 
    Anche l'eventuale mutamento di destinazione d'uso del  locale  e'
possibile «solo all'interno della medesima categoria  funzionale  tra
quelle di cui  al  comma  l  dell'articolo  23-ter  del  Decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)»  (art.
2, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017). 
    Gli interventi di recupero consentiti dalla legge  regionale  non
eccedono, quindi, quelli previsti dall'art. 9  del  TUE,  che,  nelle
zone sprovviste degli strumenti urbanistici, ammette, tra gli  altri,
gli interventi di manutenzione straordinaria (tra cui le opere  e  le
modifiche  necessarie  per  rinnovare  e   sostituire   parti   anche
strutturali degli edifici, nonche'  per  realizzare  ed  integrare  i
servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non  alterino  la
volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle
destinazioni di uso) e quelli di restauro e risanamento  conservativo
(ossia  quelli  rivolti  a  conservare  l'organismo  edilizio  e   ad
assicurarne la funzionalita' mediante un insieme sistematico di opere
che, nel rispetto degli elementi tipologici,  formali  e  strutturali
dell'organismo  stesso,  ne  consentano   anche   il   mutamento   di
destinazione d'uso purche' con tali elementi compatibili). 
    10.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 2, della legge reg. Abruzzo  n.  40  del  2017  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e' fondata. 
    La  norma  impugnata  esclude  l'operativita'  della   disciplina
regionale per  gli  interventi  di  recupero  ricadenti  nelle  «aree
soggette  a  vincoli  di  inedificabilita'  assoluta  dagli  atti  di
pianificazione territoriale ovvero  nelle  aree  ad  elevato  rischio
geologico o idrogeologico». 
    Essa e' impugnata solo in relazione all'art.  65,  comma  4,  del
codice dell'ambiente e in quanto consente gli interventi di  recupero
nelle aree assoggettate dai piani di bacino  (che  sono  una  species
degli  atti  di  pianificazione  territoriale)  a   vincoli   diversi
dall'inedificabilita' assoluta o qualificate a  rischio  geologico  o
idrogeologico diverso da quello elevato. 
    La disposizione censurata si pone in tal modo in contrasto con il
parametro interposto invocato dal  ricorrente,  sicche'  non  possono
operare le ricordate clausole di salvaguardia  previste  dalla  legge
regionale. 
    L'art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo  n.  40  del
2017, pertanto, deve essere dichiarato incostituzionale  nella  parte
in cui, dopo la parola «idrogeologico», non prevede le parole «e,  in
ogni caso, ove in contrasto con le previsioni dei piani di bacino». 
    11.-  Fondata  e'  anche  l'ultima  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7 della legge reg. Abruzzo n. 40  del  2017,
per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), in relazione
all'art. 22, commi 1, lettera d), e 6, della legge n. 394 del 1991. 
    Il  primo  dei  parametri  interposti  invocato  dal   ricorrente
stabilisce che e' principio fondamentale per la disciplina delle aree
naturali protette regionali l'adozione di regolamenti secondo criteri
stabiliti con legge regionale  in  conformita'  ai  principi  di  cui
all'art. 11 della medesima legge quadro. 
    La giurisprudenza costante di questa Corte ha «posto in  evidenza
come lo standard minimo uniforme di tutela nazionale  si  estrinsechi
nella predisposizione da parte degli enti gestori delle aree protette
"di strumenti  programmatici  e  gestionali  per  la  valutazione  di
rispondenza delle  attivita'  svolte  nei  parchi  alle  esigenze  di
protezione" dell'ambiente e  dell'ecosistema  (sentenza  n.  171  del
2012; nello stesso senso, le sentenze n. 74 del 2017, n. 263 e n.  44
del 2011, n. 387 del 2008). Sono dunque il regolamento (art. 11) e il
piano per il parco (art.  12),  nonche'  le  misure  di  salvaguardia
adottate nelle more dell'istituzione dell'area protetta  (artt.  6  e
8), gli strumenti attraverso i quali tale valutazione di  rispondenza
deve essere compiuta a tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema;  allo
stesso tempo  l'art.  29  -  inserito  tra  le  disposizioni  finali,
valevole  per  tutte  le  species  di  area  protetta  -  attribuisce
all'organismo di gestione il compito di assicurare  il  rispetto  del
regolamento e del piano» (sentenza n. 121 del 2018). 
    E tanto vale sia per i regolamenti e i piani delle aree  protette
nazionali sia per quelli delle aree protette  regionali  (ex  multis,
sentenze n. 121 del 2018, n. 74 e n. 36 del 2017, n. 212 del 2014, n.
171 del 2012, n. 325, n. 70 e n. 44 del 2011). 
    Il secondo parametro interposto invocato dal  ricorrente  prevede
che «Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali
l'attivita' venatoria e' vietata, salvo eventuali prelievi faunistici
ed  abbattimenti  selettivi  necessari   per   ricomporre   squilibri
ecologici.  Detti  prelievi  ed  abbattimenti  devono   avvenire   in
conformita' al regolamento del parco  o,  qualora  non  esista,  alle
direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilita'
e sorveglianza dell'organismo di gestione del parco e  devono  essere
attuati dal personale  da  esso  dipendente  o  da  persone  da  esso
autorizzate». 
    La norma censurata dal ricorrente, attribuendo al piano marittimo
regionale o a quello comunale di recepimento, in relazione alle  aree
della riserva naturale  "Pineta  dannunziana"  che  ricadono  al  suo
interno, valore sovraordinato a qualsiasi altra fonte regolamentare o
legislativa, viola entrambi i parametri invocati, perche' consente  a
tali  piani  sia  di  spogliare  il  regolamento  dell'area  naturale
protetta della sua funzione regolatoria esclusiva  (sentenze  n.  121
del 2018, n. 74 del 2017, n. 171 del 2012 e n. 315 del 2010)  sia  di
derogare al divieto di caccia posto dalla legge quadro  (sentenze  n.
74 del 2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010) 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2,
della legge della Regione Abruzzo 1° agosto 2017, n. 40 (Disposizioni
per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d'uso
e contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla legge regionale  n.
96/2000 ed ulteriori disposizioni),  nella  parte  in  cui,  dopo  la
parola «idrogeologico», non prevede le parole «e, in ogni  caso,  ove
in contrasto con le previsioni dei piani di bacino»; 
    2) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della
legge reg. Abruzzo n. 40 del 2017; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 4, della legge reg. Abruzzo  n.  40
del 2017, promosse,  in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), e terzo comma, della  Costituzione,  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE