N. 14 SENTENZA 9 - 31 gennaio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Sciopero ‒ Norme sull'esercizio del diritto di sciopero  nei  servizi
  pubblici   essenziali   ‒   Plurime   astensioni   degli   avvocati
  dall'attivita' giudiziaria ‒ Preventiva comunicazione  obbligatoria
  del periodo di astensione, della relativa motivazione e del termine
  finale. 
- Legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del  diritto  di
  sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla  salvaguardia  dei
  diritti  della  persona  costituzionalmente  tutelati.  Istituzione
  della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), art. 2,
  commi 1, 2 e 5, come modificata dalla legge 11 aprile 2000,  n.  83
  (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n.  146,  in
  materia di esercizio del diritto di sciopero nei  servizi  pubblici
  essenziali  e   di   salvaguardia   dei   diritti   della   persona
  costituzionalmente tutelati). 
-   
(GU n.6 del 6-2-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1,
2 e 5, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme  sull'esercizio  del
diritto  di  sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali   e   sulla
salvaguardia dei diritti della persona  costituzionalmente  tutelati.
Istituzione  della  Commissione  di  garanzia  dell'attuazione  della
legge), come modificata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83  (Modifiche
ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n.  146,  in  materia  di
esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici  essenziali  e
di  salvaguardia  dei  diritti   della   persona   costituzionalmente
tutelati),  promosso  dalla  Corte  di  appello   di   Venezia,   nel
procedimento penale a carico di A. B. con  ordinanza  del  24  maggio
2017, iscritta al n. 182 del registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9  gennaio  2019  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 maggio 2017, depositata il  1°  dicembre
2017, la  Corte  d'appello  di  Venezia  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della  legge
12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di  sciopero
nei servizi pubblici essenziali  e  sulla  salvaguardia  dei  diritti
della  persona   costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della
Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), come modificata
dalla legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche  ed  integrazioni  della
legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto  di
sciopero nei  servizi  pubblici  essenziali  e  di  salvaguardia  dei
diritti della persona costituzionalmente tutelati),  nella  parte  in
cui - in caso di plurime  astensioni  degli  avvocati  dalle  udienze
accomunate, per espressa dichiarazione dell'associazione  promotrice,
dalle medesime ragioni di protesta - non prevede  che  la  preventiva
comunicazione  obbligatoria  del  periodo  dell'astensione  e   della
relativa motivazione debba riguardare tutte le  iniziative  tra  loro
collegate, con l'indicazione di un termine finale, e non  la  singola
astensione di volta in volta proclamata. 
    Secondo il  collegio,  la  disposizione  violerebbe  «i  principi
costituzionali di ragionevolezza, nonche' di efficienza del  processo
penale», e gli  artt.  3,  24,  97  e  111  della  Costituzione,  con
riferimento anche all'art. 6 della Convenzione  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    La Corte d'appello premette di  dover  decidere,  a  seguito  del
rinvio   pronunciato   dalla   Corte   di   cassazione,    unicamente
sull'applicabilita'  della   recidiva   reiterata   infraquinquennale
all'imputato A. B., detenuto per altra causa, accusato del  reato  di
violazione di obblighi inerenti alla  sorveglianza  speciale  di  cui
all'art.  9  della  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita'). 
    Riferisce, in particolare, che all'udienza del 5 maggio 2017  non
e' stato possibile trattare il processo  per  via  dell'adesione  del
difensore all'iniziativa  associativa  di  astensione  dalle  udienze
deliberata dalla giunta dell'Unione delle camere penali italiane  per
il periodo dal 2 al 5 maggio 2017 e all'udienza  successiva,  fissata
per il 24 maggio 2017, la trattazione e'  stata  nuovamente  impedita
dall'adesione del difensore a  un'altra  astensione,  dal  22  al  25
maggio 2017, preceduta da un'ulteriore analoga delibera. Il  collegio
rimettente  rileva  che  entrambe   le   iniziative   dell'avvocatura
associata  rispettano  il  codice   di   autoregolamentazione   delle
astensioni  dalle  udienze  degli  avvocati  (valutato  idoneo  dalla
Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre  2007,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 2008). 
    Tutto cio' premesso,  la  Corte  d'appello,  nel  dubitare  della
ragionevolezza della disciplina, sollecita un nuovo intervento  della
Corte costituzionale ricordando che, con la sentenza n. 171 del 1996,
sono gia' stati affermati principi in tema di limiti  al  diritto  di
astensione dalle udienze degli avvocati, che hanno trovato successiva
disciplina positiva nella citata legge n. 83 del 2000. 
    La Corte rimettente riferisce che  vi  sono  gia'  state  quattro
iniziative di astensione tra loro collegate, tutte volte a contestare
il disegno di legge sulle modifiche organiche al codice penale  e  al
codice di procedura penale. 
    Il collegamento tra le iniziative, attuate dal  20  al  24  marzo
2017, dal 10 al 14 aprile 2017, dal 2 al 5 maggio 2017, e dal  22  al
25 maggio 2017, si desume dalle corrispondenti delibere della  giunta
dell'Unione  delle  camere  penali   italiane.   Le   ragioni   della
contestazione riguardano  il  metodo  parlamentare  di  deliberazione
adottato per il disegno di legge indicato  (la  fiducia  anziche'  il
dibattito  «libero»),  nonche'  i   contenuti   della   riforma   (in
particolare, le modalita' di partecipazione in videoconferenza  e  le
modifiche alla disciplina della prescrizione). 
    Allo stato, dunque, permanendo  le  ragioni  della  protesta,  e'
prevedibile - secondo la  Corte  rimettente  -  la  deliberazione  di
ulteriori  iniziative  di  astensione  collettiva,  con   conseguente
ripercussione negativa sull'organizzazione del lavoro giudiziario e i
tempi  del  processo  penale  e  -  dal  momento  che  il  codice  di
autoregolamentazione delle astensioni dalle  udienze  degli  avvocati
consente ogni astensione che non superi  la  durata  di  otto  giorni
consecutivi (con esclusione  della  domenica  e  degli  altri  giorni
festivi)  per  ciascun  mese  solare  -  la  sequenza  di  astensioni
collettive  degli  avvocati  potrebbe  estendersi  fino  a   coprire,
nell'arco dell'anno, il 35 per cento del tempo lavorativo utile. 
    Pertanto,  la  Corte  rimettente  sostiene  che  -   essendo   la
disciplina censurata  posta  con  riferimento  a  singole  iniziative
dell'avvocatura associata - la reiterazione di astensioni  collettive
avvinte da un'unica finalita' impone un diverso apprezzamento  e  una
nuova valutazione in termini di ragionevolezza della  disciplina,  in
quanto la proclamazione dell'astensione comunicata di volta in  volta
incide  sull'efficienza  del  processo  penale,  contravvenendo,  con
effetto  elusivo,  alla  stessa  ratio  sottostante   l'obbligo   del
preavviso, con violazione, altresi',  dei  principi  affermati  dalla
Corte costituzionale con la citata sentenza  n.  171  del  1996.  Per
altro verso, l'impossibilita' per il giudice di conoscere con congruo
anticipo  le  date  delle  astensioni  collegate,   pur   trattandosi
sostanzialmente di un'iniziativa  unica,  vulnera  l'esercizio  della
giurisdizione con conseguenze che non si esauriscono nei disagi e nei
pregiudizi patiti dai soggetti direttamente coinvolti  nell'attivita'
giudiziaria, ma attengono all'esistenza dello Stato di diritto  e  al
«controllo democratico del suo funzionamento e delle sue finalita'». 
    In un contesto  aggravato  dall'elevato  numero  di  procedimenti
pendenti, prosegue il giudice a  quo,  in  cui  l'ottimizzazione  del
tempo  costituisce  una  regola  indefettibile,  la  possibilita'  di
organizzare il ruolo delle udienze secondo criteri  di  affidabilita'
assume rilevanza centrale  al  fine  di  garantire  il  rispetto  del
principio del giusto processo. Tale risultato non appare conseguibile
quando, come nel caso di specie, a fronte della concreta possibilita'
di future astensioni, il  giudice  non  e'  posto  in  condizioni  di
tenerne conto al momento della predisposizione del  calendario  delle
udienze. 
    Peraltro, questa difficolta' nella programmazione  delle  udienze
rende inapplicabile l'art. 132-bis del decreto legislativo 28  luglio
1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale), che indica tra i  criteri  di  priorita'
nella trattazione dei processi l'essere l'imputato, come nel caso  in
esame, detenuto, anche se per altra causa. 
    Quanto  alla  rilevanza  della  questione,  la  Corte   d'appello
dichiara di non poter individuare una data certa per il rinvio  della
trattazione  del  processo,  restando  esposta,  per  effetto   delle
disposizioni  censurate,   all'alea   derivante   dalla   prevedibile
reiterazione delle iniziative di astensione. 
    Circa  la  non  manifesta  infondatezza,  il  collegio   conclude
assumendo che la norma censurata si pone  in  contrasto:  a)  con  «i
principi costituzionali di ragionevolezza, nonche' di efficienza  del
processo penale», entrambi «affermati,  in  plurime  occasioni,  pure
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 460  del
1995, che ha affermato che l'efficienza del processo penale "e'  bene
costituzionalmente protetto")»; b) con l'art. 97 Cost., per contrasto
con il  «principio  del  buon  andamento  dell'amministrazione  della
giustizia»; c) con l'art. 111 Cost., anche in  relazione  all'art.  6
CEDU, per contrasto  con  il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo; d) con l'art. 3 Cost., per contrasto con il  principio  «di
uguaglianza  dei  cittadini  davanti  alla  legge  [...]  palesemente
disattesa da contesti organizzativi impossibilitati a tentare di dare
al   singolo   caso   giudiziario   risposte   giurisdizionali    non
occasionali»; e) con l'art. 24 Cost., «che riconosce il diritto ad un
processo  "giusto"   anche   perche'   rispettoso   del   canone   di
ragionevolezza quanto a durata, e perche'  assicura  all'imputato  il
diritto effettivo a disporre, nei tempi dati, di una difesa tecnica». 
    2.- Con atto depositato il  9  gennaio  2018  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate. 
    In punto di ammissibilita', la  difesa  dello  Stato  rileva  che
l'iter parlamentare del disegno di legge oggetto di contestazione  si
e' concluso con l'approvazione della legge 23  giugno  2017,  n.  103
(Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento  penitenziario).  Pertanto,  a  suo  avviso,  essendo
venuta meno la ragione delle astensioni, deve ritenersi che anche  la
prognosi della Corte rimettente circa le future iniziative  collegate
non  possa  piu'  inverarsi.  Cio'   implicherebbe   il   superamento
dell'asserito impedimento a individuare una data per il rinvio  della
trattazione   del   processo   e,   in   definitiva,   determinerebbe
l'irrilevanza delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  nel
giudizio a quo. 
    Nel  merito,  l'Avvocatura  osserva  che  la  materia  e'   stata
esaminata  approfonditamente  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'
(Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 marzo 2014-29
settembre  2014,  n.  40187),  che  ha  escluso  che,  a  fronte  del
bilanciamento tra il diritto all'astensione e i diritti  fondamentali
dei soggetti  interessati  alla  funzione  giudiziaria  compiuto  dal
legislatore e integrato dalle  fonti  secondarie,  il  giudice  possa
procedere a un'ulteriore ponderazione comparativa. Circa  l'attivita'
giudiziaria, poi, la citata pronuncia della Corte di cassazione  pone
in risalto che la normativa primaria e secondaria prevede  una  serie
di  misure  volte  ad  armonizzare  la  contrapposizione,   come   la
sospensione  della  prescrizione  per  il  periodo  necessario   agli
adempimenti  connessi  al  rinvio,  l'esclusione  del   diritto   del
difensore a ricevere la notifica del provvedimento  di  differimento,
la  sospensione  dei  termini  di  durata  massima   della   custodia
cautelare,  l'impossibilita',  sancita  dall'art.  4  del  codice  di
autoregolamentazione, di proclamare l'astensione nei processi in  cui
si procede per reati la cui prescrizione maturi durante tale periodo.
Per altro verso, in  termini  generali,  le  sezioni  unite  reputano
riconducibili nell'alveo della normalita' le  conseguenze  derivanti,
di  regola,  da  uno  sciopero  o  da  un'astensione  collettiva  che
interessi servizi pubblici essenziali. 
    Alla luce di tali osservazioni, la difesa dello  Stato  argomenta
la non fondatezza  delle  questioni  qualificando  «fisiologici»  gli
effetti dell'astensione collettiva dall'attivita'  giudiziaria  degli
avvocati, cosi' come attualmente disciplinata. 
    In conclusione, l'Avvocatura evidenzia che il  bilanciamento  tra
il diritto dell'avvocato che aderisce all'astensione e i contrapposti
valori dello Stato e diritti dei soggetti interessati  dall'attivita'
giudiziaria e' stato realizzato dal  legislatore  e  dalle  fonti  di
rango secondario in  piena  conformita'  alle  indicazioni  contenute
nella sentenza di questa Corte n. 171 del 1996. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello  di  Venezia  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della  legge
12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di  sciopero
nei servizi pubblici essenziali  e  sulla  salvaguardia  dei  diritti
della  persona   costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della
Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), come modificata
dalla legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche  ed  integrazioni  della
legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto  di
sciopero nei  servizi  pubblici  essenziali  e  di  salvaguardia  dei
diritti della persona costituzionalmente tutelati),  nella  parte  in
cui - in caso di plurime  astensioni  degli  avvocati  dalle  udienze
accomunate, per espressa dichiarazione dell'associazione  promotrice,
dalle medesime ragioni di protesta - non prevede  che  la  preventiva
comunicazione  obbligatoria  del  periodo  dell'astensione  e   della
relativa motivazione debba riguardare tutte le  iniziative  tra  loro
collegate, con l'indicazione di un termine finale, e non  la  singola
astensione  di  volta  in  volta  proclamata.  Sarebbero  violati  «i
principi costituzionali di ragionevolezza, nonche' di efficienza  del
processo penale»; l'art. 97 della Costituzione, per contrasto con  il
«principio del buon andamento dell'amministrazione della  giustizia»;
l'art. 111 Cost. - anche con riferimento all'art. 6 della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 -, per  contrasto  con
il principio di ragionevole durata del processo; l'art. 3 Cost.,  per
contrasto con il principio «di uguaglianza dei cittadini davanti alla
legge  [...]  palesemente   disattesa   da   contesti   organizzativi
impossibilitati  a  tentare  di  dare  al  singolo  caso  giudiziario
risposte giurisdizionali non  occasionali»;  l'art.  24  Cost.,  «che
riconosce il diritto ad un processo "giusto" anche perche' rispettoso
del canone di ragionevolezza quanto  a  durata,  e  perche'  assicura
all'imputato il diritto effettivo a disporre, nei tempi dati, di  una
difesa tecnica». 
    2.- Preliminarmente, va rilevato che le  sollevate  questioni  di
legittimita'  costituzionale  sono  ammissibili  sotto   il   profilo
dell'esatta individuazione della norma censurata. 
    In  generale,  ricorre  l'inammissibilita'  della  questione  per
aberratio  ictus  ove  sia  erroneamente  individuata  la  norma   in
riferimento alla quale sono formulate le  censure  di  illegittimita'
costituzionale, mentre  l'imprecisa  indicazione  della  disposizione
indubbiata non inficia di per se'  l'ammissibilita'  della  questione
stessa, ove questa Corte  sia  posta  in  grado  di  individuare  «il
contesto  normativo  effettivamente  impugnato  (alla   stregua   del
contenuto delle censure formulate nella stessa ordinanza di  rinvio)»
(sentenza n. 176 del 1992). 
    Nella specie, la Corte d'appello rimettente - al fine di decidere
se rinviare, o no, l'udienza del  24  maggio  2017,  fissata  per  il
prosieguo del giudizio penale nei confronti di un imputato  detenuto,
il cui difensore di fiducia  aveva  dichiarato  di  volersi  astenere
dall'attivita' difensionale  in  adesione  all'astensione  collettiva
proclamata dalla giunta dell'Unione delle camere penali italiane  per
un periodo (dal  22  al  25  maggio  2017)  nel  quale  cadeva  anche
l'udienza stessa - e' chiamata a fare applicazione  della  disciplina
dell'astensione collettiva degli avvocati. 
    Tale disciplina (artt. 2 e 2-bis della legge  n.  146  del  1990)
condiziona  l'esercizio  del  diritto  all'astensione  collettiva  al
rispetto  di  misure  dirette   a   consentire   l'erogazione   delle
prestazioni indispensabili in materia di  giustizia;  misure  la  cui
previsione e' demandata ai codici  di  autoregolamentazione  adottati
dalle  associazioni  o  dagli  organismi  di   rappresentanza   delle
categorie interessate, nel rispetto della prescrizione di un  termine
di preavviso non inferiore a quello indicato al comma 5  dell'art.  2
della legge n. 146 del  1990  e  dell'obbligo  di  indicazione  della
durata e delle motivazioni dell'astensione collettiva. 
    Sono questi limiti che, secondo la  Corte  d'appello  rimettente,
vengono in rilievo quanto alla loro adeguatezza, posta in dubbio  con
riferimento agli evocati parametri, sicche' la norma  censurata  puo'
dirsi  identificata  con  sufficiente  precisione,  anche  se   manca
l'espresso riferimento all'art. 2-bis, ossia alla disposizione per il
tramite della quale trova applicazione il censurato art. 2, commi  1,
2 e 5. 
    3.- Ne' dubbi di ammissibilita' possono  sorgere  -  come  invece
assume  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   -   in   ragione   del
sopravvenuto venir  meno  della  ragione  dell'astensione  collettiva
degli avvocati dopo  l'approvazione  in  Parlamento  della  legge  23
giugno 2017, n.  103  (Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di
procedura penale e all'ordinamento penitenziario). 
    La   definitiva   approvazione   di   tale    legge,    avversata
dall'avvocatura in alcune sue parti durante il suo iter parlamentare,
ha  di  fatto  posto  termine  alla  sequenza  di  proclamazioni   di
astensioni  collettive  ed  e'  quindi,  in  concreto,  superata   la
preoccupazione  della  Corte  d'appello  di  fissare  nuovamente   il
processo per una data  che  possa  cadere  all'interno  di  un  nuovo
periodo di astensione collettiva riconducibile  alle  stesse  ragioni
della protesta. 
    Ma cio' non fa venir meno la rilevanza delle sollevate questioni,
atteso che comunque la Corte d'appello  si  deve  ancora  pronunciare
sulla legittimita' della mancata partecipazione, all'udienza  del  24
maggio 2017, del difensore dell'imputato in  adesione  all'astensione
collettiva degli avvocati. 
    4.- Sempre sotto il profilo dell'ammissibilita'  delle  questioni
di costituzionalita' sollevate, deve considerarsi che la disposizione
sulle prestazioni indispensabili  in  materia  penale  contenuta  nel
codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle  udienze  degli
avvocati - ritenuto idoneo  dalla  Commissione  di  garanzia  per  lo
sciopero nei  servizi  essenziali  con  delibera  n.  07/749  del  13
dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 3 del 2008, adottato in data 4 aprile 2007 dall'Organismo unitario
dell'avvocatura (di seguito: OUA) e da altre associazioni categoriali
(Unione   camere   penali   italiane-UCPI,   Associazione   nazionale
forense-ANF,  Associazione  italiana  giovani  avvocati-AIGA,  Unione
nazionale  camere  civili-UNCC)  -  deve  essere  ora  valutata   con
riferimento   alla    sopravvenuta    dichiarazione    di    parziale
illegittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge n. 146  del
1990 (sentenza n. 180 del 2018). 
    Per effetto di questa pronuncia la prescrizione di cui all'art. 4
del codice di autoregolamentazione  delle  astensioni  dalle  udienze
degli avvocati va posta a raffronto  con  la  citata  norma  primaria
(art. 2-bis) che piu' non consente - mentre prima  (illegittimamente)
non precludeva - che il codice predetto (nel  regolare,  all'art.  4,
comma 1, lettera b, l'astensione degli avvocati  nei  procedimenti  e
nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi  in  stato  di
detenzione) interferisca con la disciplina della  liberta'  personale
dell'imputato in  ragione  degli  effetti  sui  termini  di  custodia
cautelare   secondo,   alternativamente,   la   richiesta    espressa
dell'imputato di proseguire nel processo ovvero, all'opposto, il  suo
consenso anche tacito all'astensione del difensore.  Sicche'  non  e'
piu' applicabile la condizione ostativa al dispiegarsi  della  regola
posta dallo stesso codice di autoregolamentazione (art. 4,  comma  1)
che non consente  l'astensione  del  difensore  allorche'  l'imputato
versi in stato di custodia cautelare. 
    Invece nel presente giudizio a quo l'imputato e' si' in stato  di
detenzione, ma per altra causa e  non  gia'  perche'  assoggettato  a
custodia cautelare e pertanto, non avendo l'imputato detenuto chiesto
che si procedesse malgrado l'astensione del suo difensore, questa non
era preclusa. 
    5.- E' poi manifestamente inammissibile  la  questione  sollevata
con riferimento all'art. 97 Cost. 
    La   disposizione   censurata,   ponendo   regole   destinate   a
disciplinare l'esercizio del diritto  all'astensione  degli  avvocati
dalle   udienze,   spiega   un   effetto    diretto    sull'esercizio
dell'attivita'  giurisdizionale.  Trova,  pertanto,  applicazione  il
criterio, piu' volte affermato dalla  Corte,  secondo  cui  «come  la
giurisprudenza  costituzionale  ha   costantemente   affermato,   "il
principio del buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  pur
essendo riferibile agli organi dell'amministrazione della  giustizia,
attiene esclusivamente alle  leggi  concernenti  l'ordinamento  degli
uffici  giudiziari  ed  il   loro   funzionamento   sotto   l'aspetto
amministrativo; mentre tale principio e' estraneo all'esercizio della
funzione giurisdizionale" (sentenza n. 174 del 2005; ordinanza n.  44
del 2006)» (sentenza n.  272  del  2008;  nello  stesso  senso,  piu'
recentemente, sentenze n. 91 del 2018 e n. 65 del 2014). 
    L'evocato parametro e'  pertanto  incongruente,  con  conseguente
manifesta inammissibilita' della questione. 
    6.- Nel merito, non sono fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale in  riferimento  agli  altri  parametri  evocati,  ivi
compreso quello interposto, le quali  convergono  verso  una  censura
sostanzialmente unitaria, di inadeguatezza dei limiti  all'astensione
collettiva  degli  avvocati,  si'  da  giustificare  il  loro   esame
congiunto. 
    7.-  La  Corte  d'appello  rimettente  prende  in  considerazione
l'ipotesi di ripetute proclamazioni di  astensione  collettiva  della
categoria professionale, riferibili a una matrice  unitaria:  quella,
nella  specie,  di  quattro  periodi  di  astensione  collettiva  per
complessivi diciotto giorni, racchiusi in un arco di tempo  di  circa
due mesi e relativi a  «iniziative  [...]  tra  loro  dichiaratamente
collegate e in  definitiva  originate  dalle  medesime  ragioni».  Ma
ipotizza - e riconduce a essa - anche una sequenza piu'  radicale  ed
estrema,  in  caso  di  plurimi  ripetuti   periodi   di   astensione
collettiva, fino a coprire oltre un terzo delle  giornate  lavorative
nell'anno. 
    Con  riferimento  a  questa  fattispecie   la   Corte   d'appello
rimettente ritiene che le garanzie attualmente previste dalla legge e
dal codice di autoregolamentazione per l'ipotesi della  proclamazione
di ciascuna singola astensione collettiva (preavviso minimo di  dieci
giorni e durata non superiore a otto  giorni)  risulterebbero  essere
non sufficienti, e quindi inadeguate, ad  assicurare  le  prestazioni
indispensabili, alle quali fa riferimento l'art. 2 della legge n. 146
del 1990, e la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti di cui
all'art. 1. 
    8.- Orbene, va ribadito (sentenze n. 180 del 2018 e  n.  171  del
1996) che «l'astensione dalle udienze degli avvocati e procuratori e'
manifestazione incisiva della dinamica associativa volta alla  tutela
di questa forma di lavoro  autonomo»,  in  relazione  alla  quale  e'
identificabile, piu' che una mera facolta' di rilievo costituzionale,
un vero e proprio diritto  di  liberta'.  E'  necessario,  pero',  un
bilanciamento con altri valori costituzionali meritevoli  di  tutela,
tenendo conto che l'art. 1, secondo comma, lettera  a),  della  legge
146   del   1990   indica   fra   i   servizi   pubblici   essenziali
«l'amministrazione della giustizia, con  particolare  riferimento  ai
provvedimenti  restrittivi  della  liberta'  personale  ed  a  quelli
cautelari ed urgenti nonche' ai processi penali con imputati in stato
di detenzione». 
    Tale bilanciamento e'  realizzato,  da  una  parte,  quanto  alla
disciplina primaria, dal censurato art. 2, comma 5, che prescrive che
il preavviso di astensione collettiva non  puo'  essere  inferiore  a
dieci giorni e che  nella  sua  comunicazione  deve  essere  indicata
altresi'  una  durata  compatibile  con   la   tutela   dei   diritti
fondamentali, si' da garantire le prestazioni indispensabili, nonche'
ben determinata con la fissazione del termine iniziale e finale. 
    D'altra parte, trovano applicazione le ulteriori piu'  specifiche
prescrizioni dettate  dal  codice  di  autoregolamentazione,  che  ha
natura di normativa subprimaria (sentenza n. 180 del 2018) e  che  e'
stato ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia per  lo  sciopero
nei servizi  pubblici  essenziali  con  la  citata  delibera  del  13
dicembre 2007. 
    In   particolare,   l'art.   2,   comma   4,   del   codice    di
autoregolamentazione   prevede   innanzi   tutto   che    «[c]iascuna
proclamazione deve riguardare un unico periodo di astensione» e  deve
essere preceduta da un preavviso minimo di dieci giorni. Inoltre,  il
comma  1  dell'art.  4  prescrive  che   tra   la   proclamazione   e
l'effettuazione dell'astensione  non  puo'  intercorrere  un  periodo
superiore a sessanta giorni. 
    Con  questa  perimetrazione  e'  tipizzata  la   fattispecie   di
legittima astensione collettiva: una singola proclamazione seguita  a
breve - non prima di dieci giorni e non dopo sessanta giorni - da  un
unico (e quindi continuativo) periodo di astensione. 
    La circostanza, poi, che  distinte  proclamazioni  di  astensione
collettiva, in sequenza temporale,  siano  riferibili  a  uno  stesso
stato di agitazione della categoria non rileva di  per  se',  essendo
ben possibile il progressivo aggiustamento dell'azione  di  contrasto
posta in essere dalla categoria per conseguire  (dal  Governo  o  dal
legislatore) il risultato cui essa mira. 
    La  possibile  ripetizione   dell'astensione   collettiva   trova
comunque  un  limite  nella  piu'  articolata  modulazione  temporale
prevista dal codice di autoregolamentazione, il cui art. 2, comma  4,
prescrive che l'astensione non puo' superare otto giorni consecutivi,
con l'esclusione dal computo della  domenica  e  degli  altri  giorni
festivi. Inoltre, con riferimento a ciascun  mese  solare,  non  puo'
comunque essere superata la durata di otto giorni, anche se si tratta
di astensioni aventi a oggetto questioni e temi diversi. In ogni caso
tra  il  termine  finale  di  un'astensione  e  l'inizio  di   quella
successiva deve intercorrere un intervallo di almeno quindici giorni. 
    Il limite mensile massimo di otto giorni e l'intervallo minimo di
quindici  giorni  riguardano  appunto  la   possibile   sequenza   di
altrettante distinte proclamazioni riferite a singoli  intervalli  di
astensione collettiva. 
    La circostanza che una singola proclamazione, come quella che  in
concreto rileva nel giudizio a quo, risulti preceduta da  altre,  nel
contesto di uno stesso stato di agitazione della categoria,  e  possa
essere seguita da altre analoghe comporta che, oltre  al  limite  del
preavviso minimo di dieci giorni  (e  massimo  di  sessanta),  devono
essere rispettati anche gli altri due limiti concorrenti:  la  durata
complessiva (per sommatoria) non superiore a otto giorni nel  mese  e
l'intervallo non inferiore a quindici giorni tra il termine finale di
un'astensione e l'inizio di quella successiva. 
    9.- Deve poi considerarsi che le  prescrizioni  limitative  della
richiamata normativa - primaria e del codice di  autoregolamentazione
- non esauriscono l'apparato di tutele. 
    L'art.  4,  comma  4-quater,  della  legge  n.  146  del  1990  -
disposizione espressamente applicabile anche nei casi  di  astensione
collettiva di cui all'art.  2-bis  e  quindi  anche  a  quella  degli
avvocati  -  prevede,   innanzi   alla   Commissione   di   garanzia,
l'attivazione del  «procedimento  di  valutazione  del  comportamento
delle organizzazioni sindacali»  che  proclamano  lo  sciopero  o  vi
aderiscono;  l'intervento  della  Commissione  puo'  inoltre   essere
sollecitato  dalla  «richiesta   delle   parti   interessate,   delle
associazioni degli utenti rappresentative ai  sensi  della  legge  30
luglio 1998, n. 281,  delle  autorita'  nazionali  o  locali  che  vi
abbiano interesse», ma puo' altresi'  essere  promosso  a  iniziativa
della Commissione stessa, in ipotesi anche a seguito di  segnalazione
dello stesso giudice che abbia fissato il processo per un giorno  poi
risultato   ricadente   nel   periodo   di   astensione   collettiva;
disposizione questa che puo' venire in rilievo proprio nell'evenienza
estrema di una  sequenza  molto  prolungata  di  ripetute  astensioni
collettive,  come  temuto  dalla  Corte  d'appello  rimettente,   che
prefigura, in astratto, la possibilita' che  in  un  anno  potrebbero
esserci plurimi periodi di astensione  collettiva  fino  a  oltre  un
terzo di tutte le giornate lavorative. La Commissione  sarebbe  cosi'
chiamata a valutare - o rivalutare - l'idoneita'  delle  prescrizioni
del codice di autoregolamentazione con riferimento a una  fattispecie
siffatta, ove mai in ipotesi ricorrente (art. 13 della legge  n.  146
del 1990). 
    Rimane, infine, come clausola di chiusura,  l'attivazione,  anche
su segnalazione della Commissione, del potere pubblico di  ordinanza,
ai sensi dell'art. 8 della legge n. 146 del 1990 - di  cui  parimenti
e'  prevista  espressamente  l'applicazione  a  forme  di  astensione
collettiva  di  lavoratori   autonomi,   professionisti   o   piccoli
imprenditori  -,  «[q]uando  sussista  il  fondato  pericolo  di   un
pregiudizio   grave   e   imminente   ai   diritti   della    persona
costituzionalmente tutelati di cui all'articolo 1». 
    10.- Questa complessiva rete di protezione  -  da  una  parte,  i
limiti (di legge e autoregolamentari), che valgono  in  generale,  e,
dall'altra,  anche  il  possibile  intervento  della  Commissione  di
garanzia e, nei casi estremi,  del  potere  pubblico  -  assicura  la
congruita' del bilanciamento, in riferimento agli evocati  parametri,
tra il diritto degli avvocati di astensione collettiva  e  la  tutela
dei diritti costituzionalmente garantiti, di  cui  all'art.  1  della
legge n. 146 del 1990, per la  protezione  dei  quali  devono  essere
erogate in ogni caso le prestazioni indispensabili. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della  legge
12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di  sciopero
nei servizi pubblici essenziali  e  sulla  salvaguardia  dei  diritti
della  persona   costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della
Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), come modificata
dalla legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche  ed  integrazioni  della
legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto  di
sciopero nei  servizi  pubblici  essenziali  e  di  salvaguardia  dei
diritti della persona  costituzionalmente  tutelati),  sollevate,  in
riferimento all'art. 97 della Costituzione, dalla Corte d'appello  di
Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2 e 5, della legge  n.  146  del
1990, sollevate, in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  111  Cost.,
quest'ultimo anche in relazione all'art. 6 della Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte  d'appello  di
Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA