N. 33 SENTENZA 24 gennaio - 4 marzo 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Enti locali ‒ Obbligo di gestione in forma associata  delle  funzioni
  fondamentali dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti  o  a
  3.000 se montani ‒  Individuazione  della  dimensione  territoriale
  ottimale e omogenea per il suddetto esercizio associato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione finanziaria e di  competitivita'  economica),  art.
  14, commi 26,  27,  28,  28-bis,  29,  30  e  31,  convertito,  con
  modificazioni, in legge 30 luglio 2010,  n.  122,  come  modificato
  dall'art. 19, comma 1, del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
  (Disposizioni urgenti per la revisione  della  spesa  pubblica  con
  invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento
  patrimoniale delle imprese del settore bancario),  convertito,  con
  modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135; legge della  Regione
  Campania 7 agosto 2014, n. 16 recante  «Interventi  di  rilancio  e
  sviluppo dell'economia regionale nonche' di carattere ordinamentale
  e organizzativo  (collegato  alla  legge  di  stabilita'  regionale
  2014)», art. 1, commi 110 e 111. 
-   
(GU n.10 del 6-3-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  commi
26, 27, 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, in legge 30
luglio 2010, n. 122, anche come modificato dall'art. 19, comma 1, del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,  in  legge  7
agosto 2012, n. 135, e dell'art. 1, commi  110  e  111,  della  legge
della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante  «Interventi  di
rilancio e sviluppo  dell'economia  regionale  nonche'  di  carattere
ordinamentale e organizzativo (collegato  alla  legge  di  stabilita'
regionale 2014)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per
il Lazio, sezione prima ter, nel procedimento vertente tra il  Comune
di Liveri e altri e il Ministero dell'interno e altri, con  ordinanza
del 20 gennaio 2017, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  19,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti l'atto di  costituzione  del  Comune  di  Liveri  e  altri,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  2019  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi  l'avvocato  Aldo  Sandulli  per  il  Comune  di  Liveri  e
l'avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2017 (r.o. n. 65 del  2017),  il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione  prima  ter,
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  14,
commi da 26 a 31, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122, anche  come  modificato  dall'art.  19,  comma  1,  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella  legge  7
agosto 2012, n. 135, e dell'art. 1, commi  110  e  111,  della  legge
della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante  «Interventi  di
rilancio e sviluppo  dell'economia  regionale  nonche'  di  carattere
ordinamentale e organizzativo (collegato  alla  legge  di  stabilita'
regionale 2014)». 
    Ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  normativa  statale  si
porrebbe in contrasto, nel complesso, con gli artt. 3, 5, 77, secondo
comma, 95, 97, 114, 117, primo comma - in relazione all'art. 3  della
Carta europea dell'autonomia  locale,  firmata  a  Strasburgo  il  15
ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989,
n. 439 -  e  sesto  comma,  118,  119  e  133,  secondo  comma  della
Costituzione. 
    La normativa regionale contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 95, 97,
114, 117, primo comma - in relazione all'art. 3 della  Carta  europea
dell'autonomia locale  -  e  sesto  comma,  e  118  Cost.,  per  aver
pretermesso il necessario  coinvolgimento  degli  enti  locali  nella
individuazione degli ambiti ottimali per l'esercizio associato  delle
funzioni fondamentali. 
    La  normativa  statale,  in  sintesi,  stabilisce   le   funzioni
fondamentali dei Comuni e prevede l'obbligo per  i  piu'  piccoli  di
tali enti (quelli con popolazione fino a 5.000 abitanti o a 3.000, se
montani) di esercitare le predette funzioni in  forma  associata;  la
normativa  regionale,  in   attuazione   di   una   delle   impugnate
disposizioni statali, individua la dimensione territoriale ottimale e
omogenea funzionale  all'esercizio  associato,  nonche'  le  scadenze
temporali per l'avvio di tale modalita' di gestione. 
    2.-  Il  TAR  rimettente  e'  chiamato  a  decidere  un   ricorso
introdotto  congiuntamente  da  cinque   Comuni   campani   e   dalla
Associazione per la Sussidiarieta' e la  Modernizzazione  degli  Enti
Locali - ASMEL, associazione esponenziale degli enti  locali:  questi
hanno impugnato  la  circolare  del  Ministero  dell'interno  del  12
gennaio 2015 n. 323, con la quale ai prefetti  sono  state  impartite
indicazioni operative per procedere alla ricognizione dello stato  di
attuazione della normativa e per diffidare i Comuni  inadempienti;  i
ricorrenti  hanno  altresi'  chiesto  di  accertare  di  non   essere
obbligati a quanto previsto dalle disposizioni di legge censurate.  A
sostegno del ricorso, i Comuni e l'associazione hanno dedotto che  il
provvedimento ministeriale sarebbe affetto da illegittimita' derivata
a  causa  della  illegittimita'   costituzionale   della   disciplina
legislativa sulla cui base e' stato adottato. 
    2.1.- In punto di rilevanza, l'ordinanza ritiene la decisione del
ricorso  strettamente   dipendente   dall'esito   del   giudizio   di
costituzionalita'  e  ravvisa  nel  giudizio  principale  un  petitum
separato e distinto dalla questione di legittimita' costituzionale. 
    L'ordinanza  riconosce  anche   l'attualita'   dell'interesse   a
ricorrere,  che  permane  «nonostante  le  intervenute  proroghe  del
termine fissato dalla  legge  per  l'attuazione  dell'obbligo  legale
gravante sugli enti locali ricorrenti». Per un verso, il differimento
del termine non inciderebbe sull'attualita' della lesione,  rimanendo
comunque certo il momento in cui la stessa si realizzera'; per  altro
verso,  la   circolare   impugnata   imporrebbe   precise   attivita'
prodromiche  all'attuazione  dell'obbligo  legislativamente  imposto,
costituenti obblighi attuali sia al momento  della  proposizione  del
ricorso che dell'ordinanza di rimessione. 
    2.2.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,   l'ordinanza
ripercorre gli interventi normativi che hanno interessato la  materia
in esame e illustra partitamente le censure. 
    In particolare, il giudice rimettente sostiene  la  «carenza  dei
presupposti  di  necessita'  e  di   urgenza   per   l'adozione   del
decreto-legge»,  richiesti  dall'art.  77,  secondo   comma,   Cost.:
richiamando la sentenza n. 220 del 2013, evidenzia che  le  norme  di
cui all'art. 14,  commi  da  26  a  31,  del  d.l.  n.  78  del  2010
introdurrebbero una riforma ordinamentale giungendo a  «delineare  in
via definitiva l'elenco delle funzioni fondamentali dei  Comuni»,  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p),  Cost.  e  a  «incidere
sull'assetto organizzativo dei Comuni con  popolazione  inferiore  ai
5.000 abitanti prevedendo, in via definitiva, l'obbligo di  esercizio
in forma associata delle funzioni fondamentali stesse». Pertanto,  in
parte  qua,  il  d.l.  n.  78  del  2010  non  trarrebbe  la  propria
legittimazione dalla necessita' di  disciplinare  casi  straordinari,
bensi' detterebbe «un'ordinaria disciplina ordinamentale  degli  enti
locali, senza peraltro contenere misure di  immediata  applicazione»;
tale profilo risulterebbe anche dalla previsione, contenuta nel comma
31-ter dell'art. 14 del d.l. n.  78  del  2010,  di  una  «attuazione
dilazionata nel tempo», confermata dalle ulteriori proroghe disposte.
Infine,  l'ordinanza  ritiene  che  le  medesime   disposizioni   non
sarebbero «adeguatamente giustificate nemmeno sotto  il  profilo  dei
risparmi  di  spesa  che  si  sarebbero  potuti  ottenere  in  virtu'
dell'intervento  riformatore,  risparmi  che,   nella   specie,   non
risultano essere stati mai quantificati» (sono richiamati al riguardo
dei passaggi della relazione  tecnica  presentata  dal  Governo  alle
Camere, riferiti rispettivamente al testo originario dell'art. 14 del
d.l. n. 78 del 2010 e al testo novellato dall'art. 19 del d.l. n.  95
del 2012, come convertito). 
    2.3.-  Un  distinto   gruppo   di   questioni   di   legittimita'
costituzionale delle norme di cui all'art. 14, commi da 26 a 31,  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito, e' sollevato per contrasto  con
gli artt. 3, 5, 95 e 97,  117,  sesto  comma,  114,  118  Cost.,  con
riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e  tutela
delle autonomie locali; nonche' per contrasto con l'art.  117,  primo
comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.   3   della   Carta   europea
dell'autonomia locale. 
    Gli argomenti  a  sostegno  delle  censure  si  incentrano  sulla
obbligatorieta' e sulla rigidita' del  nuovo  assetto  dell'esercizio
associato  delle  funzioni   comunali,   a   fronte   della   diversa
caratterizzazione  che  i  relativi  istituti  avevano  prima   della
introduzione della disciplina in questione, quando era  prevista  «la
volontarieta' nell'an e la flessibilita'  nel  quomodo  della  scelta
delle forme associative alle quali aderire». 
    Da cio' conseguirebbero, secondo il  giudice  rimettente,  «delle
rilevanti  conseguenze  sul  normale   funzionamento   del   circuito
democratico», in quanto gli  organi  gestionali  non  sarebbero  piu'
sottoposti all'indirizzo  politico  di  quelli  rappresentativi,  con
conseguente accentramento delle funzioni di indirizzo  e  vulnus  del
principio di responsabilita' politica degli  organi  democraticamente
eletti, espresso dagli artt. 95 e 97  Cost.,  nonche'  dell'autonomia
degli enti locali coinvolti (viene richiamata la sentenza n.  52  del
1969).  Inoltre,  la  disciplina  introdotta  non  assicurerebbe   il
rispetto dell'art. 3 della Carta europea  dell'autonomia  locale;  ai
sensi di tale disposizione  «[p]er  autonomia  locale,  s'intende  il
diritto e la capacita' effettiva, per  le  collettivita'  locali,  di
regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la  loro
responsabilita', e a favore delle popolazioni, una  parte  importante
di affari pubblici», precisando che «[t]ale diritto e' esercitato  da
consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio  libero,
segreto, paritario, diretto ed universale, in grado  di  disporre  di
organi esecutivi responsabili nei loro confronti». 
    Uno specifico profilo di censura della disciplina  dell'esercizio
obbligatorio in forma associata  delle  funzioni  fondamentali  viene
ravvisato nella compressione della potesta' regolamentare dei  Comuni
riconosciuta, dall'art.  117,  sesto  comma,  Cost.  in  ordine  alla
disciplina dell'organizzazione e  dello  svolgimento  delle  funzioni
loro  attribuite.  A   tale   riguardo,   l'ordinanza   richiama   la
giurisprudenza   costituzionale   sulle   condizioni   affinche'   il
legislatore, statale e regionale, possa coordinare l'esercizio  delle
funzioni locali (sentenze n. 229 del 2001 e n. 129 del 2016, le quali
richiedono il coinvolgimento e la partecipazione  degli  enti  locali
interessati). 
    2.4.-   Con   riferimento   alle   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 110 e 111 della legge reg. Campania
n. 16 del 2014, l'ordinanza ravvisa  la  non  manifesta  infondatezza
«[p]er le medesime ragioni e per contrasto con gli  stessi  parametri
costituzionali di cui  al  punto  precedente»  (supra,  punto  2.3.),
aggiungendo che nell'individuare gli ambiti ottimali per  l'esercizio
delle  funzioni  fondamentali  la  legge   avrebbe   fatto   generico
riferimento ai cosiddetti sistemi territoriali di sviluppo,  previsti
a loro volta in ambito urbanistico dalla legge della Regione Campania
13 ottobre 2008, n. 13  (Piano  Territoriale  Regionale),  «senza  in
merito  svolgere  adeguata  istruttoria  attraverso   il   necessario
coinvolgimento degli enti locali interessati». 
    2.5.- Infine, l'ordinanza ritiene non manifestamente infondate le
questioni di legittimita' costituzionale delle  norme  dell'art.  14,
commi da 26 a 31, del d.l. n.  78  del  2010,  come  convertito,  per
violazione degli  artt.  133,  secondo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'istituzione di nuovi Comuni, e  degli  artt.  114  e  119  Cost.,
riguardo all'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali.
Cio' in quanto, sebbene attraverso  l'esercizio  associato  di  quasi
tutte  le  funzioni  fondamentali,  imposto  per  legge,  «gli   enti
interessati non risultino formalmente estinti», residuerebbe loro  un
livello  di  autonomia  insufficiente,  per  potesta'  regolamentare,
titolarita' di funzioni e  autonomia  finanziaria  di  entrata  e  di
spesa. 
    Pertanto,  poiche'  le  norme  censurate   hanno   disposto   «la
traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto nuovo o  diverso,
spogliandone il precedente titolare», ai fini dell'art. 133,  secondo
comma,   Cost.   tale   situazione   non    sarebbe    «distinguibile
dall'estinzione dell'ente locale per fusione o incorporazione», oltre
ad essere mancata la «previsione del coinvolgimento delle popolazioni
interessate» richiesta dall'art. 133, secondo comma, Cost. 
    3.- Con atto depositato il 30 maggio  2017,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni   di   legittimita'   costituzionale   vengano   dichiarate
manifestamente inammissibili e comunque infondate. 
    3.1.- L'interveniente ritiene che le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  1,  commi  110  e  111,  della  legge  reg.
Campania n.  16  del  2014  siano  inammissibili,  prima  ancora  che
infondate, essendo state solo enunciate nell'ordinanza di  rimessione
e in alcun modo sviluppate e motivate. 
    3.2.- L'Avvocatura  generale  prende  posizione  sulla  rilevanza
delle questioni relative alle norme dell'art. 14 del d.l. n.  78  del
2010, ritenendo  che  la  conclusione  positiva,  come  motivata  dal
giudice rimettente, parrebbe giustificata dal fatto che i  ricorrenti
agiscano anche per l'accertamento negativo dell'obbligo di  stipulare
una convenzione per l'esercizio in forma associata o  tramite  unione
delle proprie funzioni fondamentali. 
    3.3.- Nel merito, sul ritenuto contrasto con l'art.  77,  secondo
comma, Cost., la difesa dell'interveniente lo ritiene escluso poiche'
le disposizioni di cui ai commi da 26 a 31 del citato art.  14  «sono
dirette ad assicurare il coordinamento della finanza  pubblica  e  il
contenimento delle spese per l'esercizio delle funzioni  fondamentali
dei Comuni» e pertanto la mancanza dei presupposti  di  necessita'  e
urgenza  non  sarebbe   evidente,   come   invece   richiesto   dalla
giurisprudenza costituzionale (si richiamano le sentenze n. 287 e 133
del 2016). 
    L'interveniente afferma poi che  il  d.l.  n.  78  del  2010  non
avrebbe «introdotto (ex novo) una "riforma ordinamentale" degli  enti
locali», ricordando le disposizioni che gia' nel vigore della legge 8
giugno 1990, n.  142  (Ordinamento  delle  autonomie  locali)  -  poi
trasfuse nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) -  disciplinavano  le
gestioni  associate  di  funzioni   e   servizi   «anche   in   forma
obbligatoria». 
    In ogni caso, secondo l'Avvocatura, sarebbe necessario  «valutare
il testo delle disposizioni del decreto in esame nella loro  versione
originaria e non in quella (diversa) attuale,  frutto  di  successivi
interventi normativi, come tali privi di rilevanza ex art. 77,  comma
2 Cost.». Seguendo tale criterio, sarebbe insussistente la censura al
Governo di avere delineato le funzioni fondamentali  dei  Comuni,  in
quanto queste  sarebbero  piuttosto  state  definite  per  relationem
richiamando un preesistente testo legislativo, l'art.  21,  comma  3,
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di
federalismo  fiscale,   in   attuazione   dell'articolo   119   della
Costituzione) che, per  i  Comuni,  individuava  provvisoriamente  un
minor numero di funzioni fondamentali e  relativi  servizi.  Inoltre,
quanto alla «ritenuta assenza di "misure di immediata  applicazione"»
si fa rilevare che il comma 31  dell'art.  14  censurato,  nella  sua
prima versione, «prevedeva una tempistica di attuazione accelerata» e
che «[s]olo successivamente si e' ritenuto di procrastinare  il  dies
ad quem». 
    Con riferimento agli ulteriori parametri di costituzionalita' dei
quali l'ordinanza ravvisa la  violazione,  l'interveniente  ribadisce
che ipotesi di gestione associata obbligatoria di funzioni e  servizi
erano state  gia'  contemplate  dal  legislatore  e  afferma  che  la
previsione di tale obbligo a carico  degli  enti  locali  di  modeste
dimensioni non lederebbe il principio di buon andamento,  ma  sarebbe
ad esso funzionale, oltre che idoneo a garantire  una  gestione  piu'
efficace, efficiente ed economica mediante gli strumenti  dell'unione
di Comuni o della convenzione, rientrando cosi' «tra i poteri che  la
Costituzione riserva allo  Stato  in  punto  di  coordinamento  della
finanza pubblica». 
    Inoltre, non sarebbero fondate neppure le ulteriori doglianze  in
merito alla perdita di autonomia e  potesta'  regolamentare  in  capo
agli enti locali soggetti all'obbligo di gestione  associata,  tenuto
conto dei caratteri propri degli strumenti che, alternativamente, gli
stessi possono utilizzare (convenzione e  unione  di  Comuni).  Anche
laddove imposta, la gestione associata di funzioni proprie dei Comuni
non potrebbe essere considerata, di  per  se',  illegittima,  secondo
quanto affermato dalla sentenza n. 160 del 2016. 
    L'ultima  censura  prospettata  dall'ordinanza   di   rimessione,
relativa alla denunciata violazione degli artt. 133, 114 e 119 Cost.,
viene, infine, confutata richiamando la sentenza n.  50  del  2015  e
ritenendo che la normativa censurata non farebbe  perdere  agli  enti
locali la propria identita', ma comporterebbe  l'esercizio  congiunto
di una parte delle loro funzioni,  «contribuendo  alla  realizzazione
dell'obiettivo   del   contenimento   complessivo   delle   spese   e
all'ottimizzazione della gestione delle predette funzioni». 
    4.- Il Presidente della Giunta regionale non  e'  intervenuto  in
giudizio. 
    5.- Con un'unica memoria depositata il 30 maggio  2017,  si  sono
costituiti nel giudizio tre dei cinque Comuni ricorrenti  innanzi  al
TAR Lazio (e precisamente i Comuni di Baia e Latina, Liveri e  Teora)
nonche' l'Associazione per la  Sussidiarieta'  e  la  Modernizzazione
degli  Enti  Locali  -  ASMEL,  del  pari  ricorrente  nel   giudizio
amministrativo, chiedendo che le questioni sollevate con  l'ordinanza
introduttiva del giudizio vengano dichiarate fondate. 
    5.1.- Le parti argomentano sulla rilevanza  delle  questioni  con
riferimento sia all'azione di accertamento  negativo  che  all'azione
volta all'annullamento della circolare ministeriale  del  12  gennaio
2015. 
    5.2.- Nel merito, con riferimento al primo ordine di censure,  si
sostiene la violazione dell'art.  77  Cost.  per  incompetenza  della
fonte a riformare organicamente l'ordinamento delle autonomie  locali
e per carenza del requisito dell'urgenza, dimostrata dal differimento
nel tempo degli effetti delle disposizioni. 
    Infatti,  in  contrasto  con  la  giurisprudenza  costituzionale,
l'art. 14 censurato non si sarebbe limitato a  disciplinare  «singole
funzioni», ma conterrebbe e definirebbe «per intero  l'elenco  stesso
delle funzioni  fondamentali»;  inoltre,  il  medesimo  articolo  non
avrebbe regolato  uno  «specifico  profilo»  della  funzione,  ma  la
titolarita' soggettiva della stessa, con significative  ripercussioni
sul ruolo degli organi di governo dell'ente e delle normali dinamiche
istituzionali della grande maggioranza dei Comuni italiani. 
    Quanto  alla   carenza   del   requisito   dell'urgenza,   questa
risulterebbe, oltre che dal differimento della  completa  attuazione,
anche dalla presenza  di  effetti  finanziari  non  quantificabili  e
valutabili; in ogni caso, le norme contenute nel d.l. n. 78 del  2010
non potevano dirsi di «immediata applicazione». 
    Nel trattare il secondo gruppo di censure  di  costituzionalita',
la memoria di parte richiama la  generale  disciplina  dell'esercizio
associato delle funzioni comunali, in base  alla  quale  era  rimesso
agli  enti  valutare,  caso  per  caso,  l'utilita'  della   gestione
associata, nel pieno rispetto dell'autonomia degli enti  e  del  buon
andamento dell'organizzazione amministrativa; il d.l. n. 78 del  2010
avrebbe invece ribaltato questo assetto «che  da  volontario  diviene
obbligatorio; da flessibile, rigido; da settoriale, generale». 
    Si evidenzia, inoltre, che per ognuna delle funzioni fondamentali
potrebbero  ipotizzarsi  ambiti  territoriali  ottimali  di  gestione
differenti  e  che  dalla  unificazione  degli  uffici  deriverebbero
l'interruzione del normale funzionamento  del  circuito  democratico,
nonche'  l'imposizione  di  un  modello  organizzativo  rigido,   che
sacrificherebbe  «l'interesse  alla  migliore  organizzazione   della
funzione  e  del  servizio  pubblico,  ad  esigenze  orizzontali   di
contenimento della spesa». 
    Il ruolo dei consigli e delle giunte dei singoli Comuni verrebbe,
altresi',  svalutato  in  quanto   sia   il   potere   di   indirizzo
politico-amministrativo che quello di attribuzione degli incarichi di
funzione sarebbero affidati «ad organi di nuova istituzione, quali le
conferenze dei sindaci o altri luoghi di rappresentanza condivisa dei
Comuni associati»; cio' porterebbe peraltro a «un sistema di  governo
acefalo»,  che  non   garantirebbe   all'azione   amministrativa   di
perseguire gli obiettivi e le  priorita'  fissati  dalle  maggioranze
consiliari. 
    Quanto alla imposizione  del  modello  organizzativo  rigido,  si
argomenta che le norme censurate violerebbero le garanzie sostanziali
e procedurali fissate  dalla  Costituzione  a  tutela  dell'autonomia
regolamentare  e   organizzativa   comunale.   Infatti,   il   potere
regolamentare dei piccoli Comuni verrebbe «compresso  orizzontalmente
per  tutte  le  funzioni   assegnate,   indipendentemente   da   ogni
valutazione in merito all'ambito territoriale piu' idoneo  alla  loro
gestione»; inoltre, la «presunzione iuris et de iure di  inidoneita'»
dei piccoli Comuni a svolgere autonomamente le funzioni fondamentali,
posta «per ragioni di "coordinamento  della  finanza  pubblica"»  non
sarebbe   autorizzata    dalla    Costituzione,    costituendo    una
«gerarchizzazione    dell'interesse    organizzativo    all'interesse
finanziario» e «impedendo  ogni  diverso  bilanciamento  che  non  si
risolva nella necessaria soccombenza del primo al secondo»,  peraltro
con un «preteso esercizio di competenze statali trasversali (quale il
coordinamento  finanziario),  che   invadono   competenze   materiali
regionali (l'ordinamento locale)». 
    Vi sarebbe  poi  l'irragionevolezza  e  contraddittorieta'  delle
norme censurate, in quanto sarebbe non dimostrata la  inefficienza  e
diseconomicita' della gestione  amministrativa  dei  piccoli  Comuni,
cosi' come sarebbe non corretta la presunzione  di  risparmio  legata
alla gestione delle funzioni su scala  sovra-comunale,  effetto  che,
invece, potrebbe valere per l'erogazione di alcuni pubblici  servizi,
mentre tale «approccio non puo' essere esteso alle funzioni in  senso
proprio ne', tantomeno, a  tutte  le  funzioni  fondamentali»  senza,
quantomeno, una verifica casistica. 
    Con specifico riferimento  alle  questioni  di  costituzionalita'
dell'art. 1, commi 110 e 111, della legge reg.  Campania  n.  16  del
2014, la memoria sottolinea che tali norme «sono state adottate senza
la ben che minima istruttoria e programmazione,  all'interno  di  una
legge  omnibus,  e  senza  alcun  coinvolgimento  degli  enti  locali
interessati». Oltre ai cosiddetti sistemi territoriali  di  sviluppo,
individuati come  ambiti  ottimali  per  l'esercizio  delle  funzioni
fondamentali,  resterebbero  salvi  i  diversi  ambiti  definiti   in
applicazione delle normative regionali in  materia  di  gestione  del
servizio idrico integrato, di smaltimento dei rifiuti e  dei  servizi
sociali per l'esercizio delle relative funzioni, ma  tali  differenti
ambiti non sarebbero tra loro coincidenti. 
    Si sostiene poi la irragionevolezza del criterio  prescelto,  per
essere  i  cosiddetti  sistemi   territoriali   di   sviluppo   delle
aggregazioni amplissime, con una popolazione media molto superiore ai
centomila abitanti, e si  segnalano  le  difficolta'  per  i  piccoli
Comuni, che  potrebbero  essere  «fagocitati»  dai  Comuni  grandi  o
grandissimi  presenti  nei  propri  ambiti,  o  che  potrebbero   non
confinare con altri Comuni  minori  «essendo  magari  contermini  con
Comuni di diverso ambito». 
    Infine, i predetti sistemi  territoriali  di  sviluppo  sarebbero
inadatti a soddisfare gli obiettivi  di  efficienza  ed  economicita'
richiesti dal d.l. n. 78 del 2010, in quanto concepiti come ambiti di
programmazione di interventi essenzialmente in materia urbanistica. 
    Quanto al terzo gruppo di censure, riferite agli artt. 133, 114 e
119 Cost., la memoria sviluppa gli argomenti del giudice  rimettente,
evidenziando che all'esito del percorso associativo obbligatorio  non
permarrebbe in capo al Comune il  «"nucleo  minimo"  di  attribuzioni
tali da consentire la sua qualificazione costituzionale in termini di
"ente autonomo"», per cui si sarebbe disposta  la  traslazione  delle
funzioni fondamentali «ad un soggetto nuovo o  diverso,  spogliandone
il precedente titolare»: ai fini dell'art. 133 Cost., tale condizione
non sarebbe quindi «distinguibile  dall'estinzione  dell'ente  locale
per fusione o incorporazione». 
    6.- In prossimita' dell'udienza sono state depositate  tempestive
memorie. 
    6.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  con  riferimento
alla questione relativa all'art. 77 Cost., evidenzia che la  sentenza
n. 220 del 2013 richiamata dal rimettente riguardava «una fattispecie
di portata ben piu' ampia di quella oggetto  dell'odierno  giudizio»,
mentre il d.l. n. 78 del 2010 non avrebbe «introdotto alcuna  riforma
"ordinamentale", limitandosi a prevedere, ai  fini  del  contenimento
della spesa pubblica» e di  maggiore  efficienza,  «alcuni  specifici
obblighi per l'esercizio delle funzioni [...] a  carico  dei  piccoli
Comuni». Rientrerebbe, inoltre,  nella  competenza  dello  Stato  sia
determinare  le  funzioni   fondamentali   dei   Comuni   sia   anche
individuarne, a fini di contenimento della  spesa,  le  modalita'  di
esercizio. 
    Sono richiamati i  contenuti  della  indagine  conoscitiva  della
Commissione affari costituzionali della Camera, svolta sulla  materia
in questione e conclusa nel novembre  del  2016,  per  dimostrare  la
infondatezza  della  censura   riferita   al   «presunto   danno   al
"funzionamento del circuito democratico"». 
    6.2.- Le parti costituite ribadiscono la «natura  "ordinamentale"
e  di  "sistema"  delle  norme   introdotte»   che,   unitamente   al
differimento degli effetti, attesterebbe la violazione  dell'art.  77
Cost.; replicando  all'Avvocatura  dello  Stato,  ritengono  poi  che
correttamente l'ordinanza abbia censurato le disposizioni del d.l. n.
78 del 2010 come modificate dal d.l. n.  95  del  2012;  quest'ultimo
decreto  costituirebbe  quindi  «il  thema  decidendum   dell'odierno
incidente di costituzionalita'». 
    Quanto alle censure riferite  «alla  compressione  dell'autonomia
locale», la memoria ritiene che le sentenze n. 160 del 2016 e  n.  50
del 2015, evocate dalla Avvocatura dello Stato,  offrano  in  realta'
una indiretta conferma della fondatezza delle questioni. 
    Dalla prima sentenza, infatti, discenderebbe  una  legittimazione
della gestione obbligatoria in  forza  del  buon  andamento  e  della
migliore organizzazione di un dato servizio,  anziche'  in  vista  di
meri risparmi di  spesa;  dalla  seconda  sentenza,  invece,  non  si
potrebbero trarre argomenti per l'infondatezza, atteso che  le  norme
in quella sede  scrutinate  «non  imponevano  affatto  ai  Comuni  la
gestione associata di funzioni amministrative». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  sezione
prima ter, ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  14,  commi  26,  27,  28,  28-bis,  29,  30  e   31,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, anche
come modificato dall'art. 19, comma 1,  del  decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la  revisione  della  spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, in legge 7  agosto  2012,  n.  135,  e
dell'art. 1, commi 110 e 111, della legge della  Regione  Campania  7
agosto 2014, n.  16,  recante  «Interventi  di  rilancio  e  sviluppo
dell'economia  regionale  nonche'  di   carattere   ordinamentale   e
organizzativo (collegato alla legge di stabilita'  regionale  2014)».
Ad avviso del giudice rimettente, la normativa statale si porrebbe in
contrasto, nel complesso, con gli artt. 3, 5, 77, secondo comma,  95,
97, 114, 117, primo comma -  in  relazione  all'art.  3  della  Carta
europea dell'autonomia locale, firmata a  Strasburgo  il  15  ottobre
1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439-
e sesto comma, 118, 119 e 133, secondo comma, della Costituzione. 
    La normativa regionale contrasterebbe con gli artt. 3, 5, 95, 97,
114, 117, primo comma - in relazione all'art. 3 della  Carta  europea
dell'autonomia locale  -  e  sesto  comma,  e  118  Cost.,  per  aver
pretermesso il necessario  coinvolgimento  degli  enti  locali  nella
individuazione degli ambiti ottimali per l'esercizio associato  delle
funzioni fondamentali. 
    Le disposizioni  statali  denunciate,  in  sintesi,  stabiliscono
l'obbligo per i Comuni di esercitare le funzioni fondamentali di  cui
sono titolari (comma 26), elencano le funzioni fondamentali  medesime
(comma 27), pongono l'obbligo, per i Comuni con  popolazione  fino  a
5.000 abitanti (o a 3.000,  se  montani),  di  esercitarle  in  forma
associata  mediante  unione  di  Comuni  o  convenzione  (comma  28),
disciplinano l'unione rinviando all'art. 32 del  decreto  legislativo
18  agosto  2000,  n.  267   recante   «Testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali»  (comma  28-bis),  vietano  di
svolgerle singolarmente o mediante  piu'  di  una  forma  associativa
(comma 29), demandano alle Regioni, nelle materie di cui all'articolo
117, terzo e quarto comma, Cost., l'individuazione  della  dimensione
territoriale ottimale per il predetto esercizio associato (comma  30)
e definiscono il limite demografico minimo  che  le  forme  associate
devono raggiungere (comma 31). 
    La normativa regionale denunciata, in attuazione del citato comma
30,  individua  la  dimensione  territoriale  ottimale   e   omogenea
funzionale  all'esercizio  associato  e  le  scadenze  temporali  per
l'avvio di tale modalita' di gestione. 
    Il termine entro  cui  i  Comuni  interessati  devono  assicurare
l'attuazione delle disposizioni di cui all'art. 14 del d.l. n. 78 del
2010 e' stato piu' volte differito e, attualmente, e' fissato  al  30
giugno 2019, ai sensi dell'art. 1, comma 2-bis, del decreto-legge  25
luglio 2018, n. 91  (Proroga  di  termini  previsti  da  disposizioni
legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 21 settembre
2018, n. 108. 
    2.-  Il  TAR  rimettente  si  trova  a  decidere  su  un  ricorso
presentato da cinque Comuni campani, aventi popolazione  inferiore  a
5.000 abitanti, e da un'associazione esponenziale di enti  locali.  I
ricorrenti hanno impugnato la circolare  del  Ministero  dell'interno
del 12 gennaio 2015 n. 323, con  la  quale  ai  prefetti  sono  state
impartite indicazioni operative per procedere alla ricognizione dello
stato  di  attuazione  della  normativa  e  per  diffidare  i  Comuni
inadempienti; i ricorrenti hanno altresi' chiesto di accertare di non
essere obbligati  a  quanto  previsto  dalle  disposizioni  di  legge
censurate. A sostegno del ricorso, i Comuni  e  l'associazione  hanno
dedotto  che  il  provvedimento  ministeriale  sarebbe   affetto   da
illegittimita' derivata a causa della  illegittimita'  costituzionale
della disciplina legislativa sulla cui base e' stato adottato. 
    3.- In punto di rilevanza, il TAR  rimettente  evidenzia  che  il
petitum oggetto del  ricorso  presentato  sarebbe  «costituito  dalla
pronuncia di accertamento negativo  della  sussistenza  dell'obbligo,
per i Comuni ricorrenti, di associarsi in via convenzionale, e  dalla
correlata pronuncia di annullamento  della  circolare  ministeriale».
Cio'  consentirebbe   di   ritenere   che,   come   affermato   dalla
giurisprudenza  costituzionale  (sentenza  n.  1   del   2014),   «la
circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una  o  piu'  norme
legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al  giudice
a quo non impedisce di considerare  sussistente  il  requisito  della
rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel  giudizio  principale
un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di
legittimita' costituzionale, sul  quale  il  giudice  rimettente  sia
chiamato a pronunciarsi». 
    D'altro  canto,  la  circolare  impugnata  avrebbe  un  contenuto
complesso in quanto, accanto  a  una  parte  di  carattere  meramente
ricognitivo della normativa in materia, ve ne  sarebbe  un'altra  con
«indubbia portata precettiva», ordinando ai prefetti,  alla  scadenza
del termine di legge, l'adozione di un formale atto  di  diffida  nei
confronti   degli   enti   locali    rimasti    inadempienti.    Cio'
qualificherebbe la circolare stessa come atto  immediatamente  lesivo
per i Comuni ricorrenti e, percio', autonomamente impugnabile. 
    L'ordinanza  riconosce  anche   l'attualita'   dell'interesse   a
ricorrere, che permarrebbe «nonostante le  intervenute  proroghe  del
termine fissato dalla  legge  per  l'attuazione  dell'obbligo  legale
gravante sugli enti locali ricorrenti». Per un verso, il differimento
del termine non inciderebbe sull'attualita' della lesione,  rimanendo
comunque certo il momento in cui la stessa si realizzera'; per  altro
verso,  la   circolare   impugnata   imporrebbe   precise   attivita'
prodromiche all'attuazione dell'obbligo legislativamente  prescritto,
costituenti obblighi attuali sia al momento  della  proposizione  del
ricorso che dell'ordinanza di rimessione. 
    Il  TAR  ritiene,  quindi,  che  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi da 26 a 31, del  d.l.  n.  78  del
2010, come convertito, siano pregiudiziali  rispetto  alla  decisione
definitiva  del  ricorso,   «risultando   quest'ultima   strettamente
dipendente dall'esito del giudizio di costituzionalita'». 
    4.- Ai fini della valutazione dell'ammissibilita' delle sollevate
questioni di  legittimita'  costituzionale,  occorre  preliminarmente
osservare che alcune delle disposizioni impugnate definiscono in  via
generale le funzioni fondamentali di tutti i  Comuni  italiani  (art.
14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010),  il  cui  esercizio  e'  reso
obbligatorio per ciascuno di tali enti (art. 14, comma 26,  del  d.l.
n. 78 del 2010), mentre altre (i successivi commi, da 28 a 31)  hanno
quali specifici destinatari i Comuni con  popolazione  fino  a  5.000
abitanti (categoria alla quale appartengono gli enti  ricorrenti  nel
giudizio a quo). Solo per questi  viene  stabilito  che  le  suddette
funzioni fondamentali devono essere obbligatoriamente  esercitate  in
forma   associata,   con   modalita'   organizzative   e    temporali
espressamente disciplinate sia dalle  stesse  disposizioni  di  fonte
statale che da quelle di fonte regionale. 
    Cio' premesso, le argomentazioni svolte  dal  TAR  del  Lazio  in
punto di rilevanza non si riferiscono in maniera analitica  a  ognuna
delle  disposizioni  oggetto  delle  questioni  sollevate,  ma   sono
illustrate con riferimento alla normativa, contenuta nei commi da  26
a 31 del citato art. 14, considerata nel suo insieme. 
    In  tale  contesto,  l'esposizione  del  giudice  rimettente   e'
comunque chiaramente incentrata sul profilo della immediata lesivita'
della circolare impugnata,  nella  parte  in  cui  ha  prescritto  ai
prefetti  di  verificare  lo  stato  di  attuazione  della  normativa
introdotta dal d.l. n. 78 del 2010 e  di  diffidare  ad  adempiere  i
Comuni che, in violazione dell'obbligo di gestione in forma associata
delle  funzioni  fondamentali,  non  vi  abbiano   provveduto   nelle
modalita' e nei termini previsti. 
    L'ordinanza,  invece,  non  chiarisce   per   quali   motivi   la
individuazione  delle  funzioni  fondamentali,  ossia  lo   specifico
oggetto di una o piu' di esse, rileverebbe  nella  risoluzione  della
controversia sottoposta al rimettente. 
    Il rapporto di pregiudizialita' che il giudice rimettente ravvisa
tra le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  commi
da 26 a 31, del d.l. n. 78 del 2010 e  la  decisione  definitiva  del
ricorso, deve, invero, essere propriamente riferito solo ai commi 28,
28-bis, 29, 30 e 31 nonche' all'art. 1, commi 110 e 111, della  legge
reg. Campania n. 16 del 2014. 
    Tali, infatti, sono  le  uniche  disposizioni  che  impongono  ai
Comuni di minori  dimensioni  di  gestire  le  funzioni  fondamentali
obbligatoriamente in forma  associata,  disciplinandone  modalita'  e
termini, con la conseguenza che solo la loro eventuale illegittimita'
incide sul procedimento principale, come richiesto dall'art. 23 della
legge  11  marzo  1957,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento della Corte costituzionale) e costantemente  confermato
dalla giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n.  67  del
2014, n. 91 del 2013, n. 236 e n. 224 del 2012). 
    Non altrettanto puo' ritenersi con riferimento alle questioni che
involgono i commi 26 e 27 dell'art. 14 del d.l. n. 78  del  2010.  Ai
fini della  risoluzione  della  controversia  sottoposta  al  giudice
rimettente, ovvero dello scrutinio della legittimita' della circolare
impugnata, l'applicazione dei citati commi  26  e  27  non  si  pone,
infatti, quale passaggio  pregiudiziale,  non  essendo  rilevante  il
numero  e  il  contenuto  delle  funzioni  fondamentali  cosi'   come
determinate,  quanto  piuttosto  l'imposizione  generalizzata  per  i
Comuni di minori dimensioni  di  un  obbligo  di  gestione  in  forma
associata delle funzioni medesime, obbligo che costituisce  l'oggetto
precipuo solo delle altre disposizioni censurate. 
    D'altro canto, l'interesse alla tutela azionata dai ricorrenti e'
scaturito non in relazione all'individuazione, in quanto tale,  delle
funzioni fondamentali, quanto piuttosto dalla preclusione a  gestirle
da  parte   di   ciascun   Comune   autonomamente,   effetto   questo
riconducibile solo alle disposizioni contenute nei commi 28,  28-bis,
29, 30 e 31 dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010,  nonche'  nell'art.
1, commi 110 e 111, della legge reg. Campania n. 16 del 2014. 
    In conclusione, solo nei termini ora esposti va  riconosciuta  la
rilevanza delle questioni  sollevate,  in  quanto  il  rimettente  e'
chiamato a pronunciarsi su un petitum  consistente  nell'annullamento
del  provvedimento  impugnato,  mentre  le  questioni  sollevate  nei
confronti dell'art. 14, commi 26 e 27, del d.l. n. 78 del 2010 devono
essere dichiarate inammissibili  per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza, a  causa  della  mancata  indicazione  delle  ragioni  che
depongano  per  l'applicabilita'  delle   disposizioni   e   per   la
pregiudizialita' delle questioni stesse (ex multis  sentenze  n.  224
del 2018, n. 209 e n. 119 del 2017). 
    5.- Sempre in via preliminare, ad avviso del  giudice  rimettente
uno specifico profilo  di  censura  della  disciplina  dell'esercizio
obbligatorio  in  forma   associata   delle   funzioni   fondamentali
consisterebbe nella compressione  della  potesta'  regolamentare  dei
Comuni riconosciuta dall'art. 117, sesto comma, Cost. in ordine  alla
disciplina dell'organizzazione e  dello  svolgimento  delle  funzioni
loro attribuite. 
    Con  riferimento  a  tale  censura,  l'ordinanza,  tuttavia,  non
fornisce una motivazione adeguata ai fini della sua ammissibilita'. 
    A  fronte  della  pur   evocata   compressione   della   potesta'
regolamentare riconosciuta  dalla  disposizione  costituzionale,  gli
argomenti  a  sostegno  si  risolvono,  infatti,  nel  mero  richiamo
testuale ad alcuni passaggi delle sentenze n. 229 del 2001 e  n.  129
del 2016. 
    Secondo  il  rimettente,  la  prima  chiarirebbe  «i  limiti  che
incontra il legislatore  nazionale  e  regionale  nell'esercizio  dei
poteri di coordinamento dell'esercizio  delle  funzioni  locali».  Il
precedente richiamato non appare pero' in alcun modo riferibile  alla
censura esposta sulla potesta' regolamentare dei Comuni, sia  perche'
relativo  alle  «determinazioni  regionali  di  "ordinamento"»,   sia
perche', peraltro, alla data di tale pronuncia, nemmeno  era  vigente
il sesto comma dell'art. 117 Cost. 
    La seconda sentenza viene, invece, evocata  dall'ordinanza  quale
riconoscimento della «necessita' dell'effettiva partecipazione  degli
enti locali nell'esercizio dei poteri legislativi statali e regionali
in materia di ordinamento degli enti locali»; anche in  questo  caso,
tuttavia, non risulta in alcun modo adeguatamente motivato  il  nesso
tra i  riportati  passaggi  testuali  della  sentenza  e  la  censura
attinente alla potesta' regolamentare garantita dall'art. 117,  sesto
comma, Cost., atteso, oltretutto, che  nel  giudizio  deciso  con  la
citata  sentenza  i   parametri   presi   in   considerazione   erano
completamente diversi (artt. 3,  97  e  119,  primo  e  terzo  comma,
Cost.). 
    La questione si rivela, quindi, «priva di un'adeguata ed autonoma
illustrazione delle ragioni  per  le  quali  la  normativa  censurata
integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato  (ex
plurimis: sentenze n. 219 del 2016, n. 120 del  2015  e  n.  236  del
2011)» (sentenza n. 240 del 2017). 
    Va  pertanto  dichiarata  l'inammissibilita',  per   carenza   di
motivazione sulla non  manifesta  infondatezza,  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 28, 28-bis, 29, 30  e
31,  del  d.l.  n.  78  del  2010,  come  convertito,  sollevata  con
riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost. 
    6.- Passando all'esame del merito, con la prima censura,  il  TAR
rimettente ravvisa la carenza dei  presupposti  di  necessita'  e  di
urgenza  per  l'adozione  del  decreto-legge   censurato,   richiesti
dall'art. 77, secondo comma, Cost. 
    6.1.-  Il  contrasto  con  il  parametro  evocato   consisterebbe
nell'avere  il   decreto-legge   dettato   «un'ordinaria   disciplina
ordinamentale degli enti locali, senza peraltro contenere  misure  di
immediata  applicazione»;  tale  profilo  risulterebbe  anche   dalla
previsione, contenuta nel comma 31-ter dell'art. 14 del  d.l.  n.  78
del 2010, di una «attuazione dilazionata nel tempo», confermata dalle
ulteriori proroghe disposte. 
    Infine, l'ordinanza ritiene che  le  disposizioni  censurate  non
sarebbero «adeguatamente giustificate nemmeno sotto  il  profilo  dei
risparmi  di  spesa  che  si  sarebbero  potuti  ottenere  in  virtu'
dell'intervento riformatore» e  richiama  al  riguardo  le  relazioni
tecniche presentate dal Governo con il d.l. n. 78 del 2010 e  con  il
d.l. n. 95 del 2012, prive di quantificazione. 
    6.2.- E' necessario,  preliminarmente,  individuare  puntualmente
l'oggetto del giudizio riferito alle disposizioni statali. 
    Infatti, da un lato, il dispositivo dell'ordinanza di  rimessione
fa riferimento all'articolo 14, commi da 26 a 31, del d.l. n. 78  del
2010, come convertito, senza richiamare esplicitamente le  successive
modificazioni che alcune delle predette disposizioni hanno subito. 
    Dall'altro, il  contenuto  dell'ordinanza,  riportando  il  testo
delle  disposizioni  censurate,  fa  invece  riferimento   a   quelle
risultanti dalle modifiche e  sostituzioni  apportate  dall'art.  19,
comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito. 
    Poiche' «[l]'oggetto  del  giudizio  costituzionale  deve  essere
individuato interpretando il dispositivo dell'ordinanza di rimessione
con la sua motivazione» (sentenza n. 203 del 2016), si puo'  ritenere
che il giudice rimettente abbia preso in considerazione il  contenuto
normativo   delle   disposizioni   censurate   come    effettivamente
applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame e sulla cui base
e' stata adottata la circolare impugnata, essendo  ormai  cessato  il
vigore delle diverse disposizioni inizialmente introdotte dal d.l. n.
78 del 2010. 
    Le norme dell'art. 14 del d.l.  n.  78  del  2010  rilevanti  nel
presente giudizio rinvengono, quindi, la loro fonte sia nel  d.l.  n.
78 del 2010 (il comma 29, non piu' modificato) che nel d.l. n. 95 del
2012 (che ha sostituito i commi 28, 28-bis, 30 e 31, del d.l.  n.  78
del 2010). 
    E' pertanto su tali norme  che  verte  il  presente  giudizio  di
costituzionalita'. 
    Non e' quindi pienamente corretta  l'interpretazione  prospettata
dall'Avvocatura  dello  Stato,  volta  a  concentrare  l'oggetto  del
giudizio sul contenuto originario del solo d.l. n. 78 del 2010. 
    6.3.- La questione non e' fondata. 
    6.3.1.- Una volta ribadito che l'unica  questione  rilevante  nel
presente  giudizio  e'  quella  attinente  alle   norme   che   hanno
disciplinato  l'obbligo  di  gestione  associata,  va,  innanzitutto,
considerato che anche recentemente la giurisprudenza di questa  Corte
ha riaffermato che il  sindacato  sui  presupposti  di  necessita'  e
urgenza di cui all'art. 77 Cost. rimane circoscritto  alla  «evidente
mancanza di tali  presupposti»  (sentenza  n.  5  del  2018)  o  alla
«manifesta   irragionevolezza   o   arbitrarieta'   della    relativa
valutazione» (sentenza n. 170 del 2017), sulla base di una pluralita'
di indici intrinseci ed estrinseci. 
    In continuita' con tali coordinate interpretative, puo' rilevarsi
che per entrambi i decreti-legge all'esame (il d.l. n. 78 del 2010  e
il d.l. n. 95 del 2012),  in  relazione  alle  norme  censurate,  non
sussiste tale «evidente  mancanza»  dei  presupposti  alla  luce  del
titolo dei provvedimenti, dei rispettivi preamboli  e  del  contenuto
complessivo delle disposizioni introdotte. 
    In particolare, con riferimento alla finalita'  perseguita  dalle
norme  introdotte  dai  commi  da  28  a  31  denunciati,   si   puo'
preliminarmente richiamare l'enunciato del  comma  25,  a  mente  del
quale le  disposizioni  dei  commi  da  26  a  31  «sono  dirette  ad
assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il  contenimento
delle spese per l'esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni». 
    Tale finalita' e' stata gia' oggetto di valorizzazione  da  parte
di questa Corte  con  la  sentenza  n.  22  del  2014,  la  quale  ha
riconosciuto, nelle norme in quella occasione denunciate  da  diverse
Regioni (quelle contenute nell'art. 19 del d.l. n. 95  del  2012,  di
modifica dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010), l'orientamento «a  un
contenimento della spesa pubblica, creando un sistema tendenzialmente
virtuoso di gestione associata di funzioni  (e,  soprattutto,  quelle
fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa». 
    A tale riguardo, non appare decisiva la  circostanza,  richiamata
dall'ordinanza  di  rimessione,  che   le   relazioni   tecniche   di
accompagnamento   ai   due   decreti-legge   non   contenessero   una
quantificazione dei risparmi attesi  dalle  norme  introdotte:  cio',
infatti, da un lato appare  giustificabile  in  forza  della  estrema
difficolta' di operare, a priori, precise  quantificazioni  derivanti
da un fenomeno organizzativo dal carattere complesso  e,  dall'altro,
non smentisce  la  probabilita'  che,  in  astratto,  dalla  gestione
associata di funzioni derivi plausibilmente una  maggiore  efficienza
dell'azione degli enti locali interessati. 
    Pertanto, nel  contesto  della  situazione  economico-finanziaria
degli  anni  2010-2012,  non  pare   potersi   affermare   l'evidente
insussistenza di una situazione di  fatto  comportante  l'urgenza  di
introdurre norme volte a razionalizzare l'esercizio  di  funzioni  da
parte di un gran numero di enti: alla fine del 2010 i Comuni  fino  a
5.000 abitanti erano, infatti, 5.683 su 8.092, pari a circa il 70 per
cento del totale dei Comuni italiani. 
    6.3.2.- Analogamente, gli argomenti  di  censura  incentrati  sui
tempi  di  attuazione  delle  disposizioni  introdotte  dai  suddetti
decreti-legge possono essere confutati dalla considerazione  che  sia
il d.l. n. 78 del 2010 che il d.l. n.  95  del  2012  hanno  comunque
previsto obblighi immediatamente efficaci nei  confronti  degli  enti
coinvolti (nonche' delle Regioni, per  l'esercizio  dei  poteri  loro
affidati),  apparendo  fisiologico  e   non   incompatibile   con   i
presupposti della necessita' e urgenza che il decreto-legge  articoli
alcuni passaggi procedurali e  preveda  per  determinati  aspetti  un
risultato differito (sentenze n. 5 del 2018, n. 170 del 2017 e n. 160
del 2016). 
    I successivi e continuati differimenti  del  termine  di  cui  al
comma 31-ter del d.l. n. 78 del 2010, non costituiscono di  per  se',
nella fattispecie in esame, un elemento dimostrativo  -  come  invece
ritiene  l'ordinanza  -  della  evidente  assenza,  ab  origine,  dei
requisiti di necessita' e urgenza, potendo invece rilevare  sotto  un
altro profilo, come si  vedra'  al  punto  7.5.  del  Considerato  in
diritto. 
    6.3.3.- Una considerazione specifica merita, infine,  la  censura
riferita alla natura ordinamentale delle disposizioni introdotte  dai
decreti-legge,  che,  come  detto,  vanno  anch'esse  limitate   alle
modalita' di gestione delle  funzioni  medesime,  senza  che  possano
venire in considerazione, in questa sede e  per  i  motivi  indicati,
quelle relative all'individuazione delle funzioni fondamentali. 
    Al riguardo, se, da un  lato,  va  senz'altro  ribadito  che  «la
trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale
di  un  ente  locale  territoriale,  previsto   e   garantito   dalla
Costituzione, e' incompatibile, sul piano logico e giuridico, con  il
dettato costituzionale» (sentenza n. 220  del  2013),  dall'altro  va
rilevato che  le  norme  censurate  hanno  introdotto  riforme  dalla
portata  innovativa  solo  parziale,  atteso  che  -  come   rilevato
dall'Avvocatura dello Stato, che ha richiamato gli artt. 24, 25 e  26
della legge 8  giugno  1990,  n.  142  (Ordinamento  delle  autonomie
locali) e i corrispondenti artt. 30, 31 e 32 del decreto  legislativo
18 agosto 2000, n. 267  (Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento
degli enti locali) - sia la convenzione che l'unione di Comuni  erano
forme  istituzionali  gia'   da   tempo   previste   e   disciplinate
dall'ordinamento,  che,  sebbene  in  limitate  ipotesi  e  solo   in
relazione a specifiche funzioni, prefigurava anche la possibilita' di
una loro costituzione obbligatoria (con riguardo alle  convenzioni  e
ai consorzi: art. 24, comma 3, e art. 25, comma 7, della legge n. 142
del 1990). 
    Le considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza  n.  220  del
2013 per giungere alla censura dell'utilizzo del decreto-legge  quale
fonte idonea a trasformare l'intera disciplina  ordinamentale  di  un
ente  locale   territoriale,   pur   richiamate   dall'ordinanza   di
rimessione,  non  appaiono  quindi  pianamente   riconducibili   agli
interventi normativi censurati, che  hanno  strutturato,  sebbene  in
modo  certamente  piu'  stringente,  una  disciplina  della  gestione
associata che pero' era presente da prima nell'ordinamento degli enti
locali. 
    Peraltro, ad analoghe conclusioni questa Corte e' gia'  pervenuta
nella sentenza n.  44  del  2014,  a  proposito  della  disciplina  -
parallela a quella qui in esame - dell'obbligo di gestione  associata
di tutte le funzioni per i Comuni fino a  1.000  abitanti.  A  fronte
della censura delle Regioni, di violazione  dell'art.  77  Cost.,  la
sentenza, infatti, non ha condiviso «l'assunto secondo  cui  l'intero
art.  16  introdurrebbe  norme  ordinamentali  dirette  ad   incidere
profondamente sullo status istituzionale dei Comuni», precisando  che
«le disposizioni censurate non alterano il tessuto strutturale  e  il
sistema delle autonomie locali, ma sono dirette a realizzare,  per  i
Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti,  l'esercizio  in  forma
associata delle  funzioni  amministrative  e  dei  servizi  pubblici,
mediante unioni di Comuni, secondo un modello peraltro gia'  presente
nell'ordinamento, sia pure con talune differenze di disciplina  (art.
32 del TUEL)». 
    6.3.4.- In conclusione, tanto premesso, il legislatore  non  puo'
ritenersi  censurabile  per  aver  fatto  ricorso,  nelle   ricordate
circostanze di necessita' e urgenza, allo strumento del decreto-legge
per incidere, con l'obiettivo di svilupparne una maggiore efficienza,
sull'assetto organizzativo dei Comuni di minori dimensioni attraverso
la previsione dell'obbligo dell'esercizio in forma associata di  gran
parte delle funzioni fondamentali. 
    7.-   Ulteriori   e   articolate   questioni   di    legittimita'
costituzionale delle norme di cui all'art. 14, commi da 28 a 31,  del
d.l. n. 78 del 2010, come convertito e poi modificato dal d.l. n.  95
del 2012, sono sollevate dal giudice rimettente per contrasto con gli
artt. 3,  5,  95  e  97,  117,  sesto  comma,  114,  118  Cost.,  con
riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e  tutela
delle autonomie locali; nonche' per contrasto con l'art.  117,  primo
comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.   3   della   Carta   europea
dell'autonomia locale. 
    7.1.- Premesso, come anticipato, che deve ritenersi inammissibile
la censura sulla violazione dell'art. 117, sesto  comma,  Cost.,  gli
argomenti a sostegno delle censure si incentrano sull'obbligatorieta'
e sulla rigidita' del nuovo assetto  dell'esercizio  associato  delle
funzioni comunali, a fronte della  diversa  caratterizzazione  che  i
relativi istituti avevano prima della introduzione  della  disciplina
in questione, quando era prevista  «la  volontarieta'  nell'an  e  la
flessibilita' nel quomodo della scelta delle forme  associative  alle
quali aderire». 
    La normativa censurata, invece, avrebbe ribaltato  tale  assetto,
che  «da  volontario  diviene  obbligatorio;  da  flessibile  diviene
rigido», sicche' per i Comuni di minori dimensioni tutte le  funzioni
fondamentali, salvo limitate  eccezioni,  «devono  essere  svolte  in
forma  associata,  con  conseguente  obbligo  di  aggregazione  della
relativa organizzazione burocratica». 
    Da  cio'  conseguirebbero,   secondo   il   giudice   rimettente,
«rilevanti  conseguenze  sul  normale  funzionamento   del   circuito
democratico», in quanto gli  organi  gestionali  non  sarebbero  piu'
sottoposti all'indirizzo  politico  di  quelli  rappresentativi,  con
conseguente vulnus del principio di  responsabilita'  politica  degli
organi democraticamente eletti, espresso dagli artt. 95 e  97  Cost.,
nonche' dell'autonomia degli enti locali coinvolti (viene  richiamata
la sentenza n. 52 del 1969). 
    Inoltre, la disciplina introdotta non assicurerebbe  il  rispetto
dell'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale;  ai  sensi  di
tale disposizione, «[p]er autonomia locale, s'intende il diritto e la
capacita' effettiva, per le collettivita' locali, di regolamentare ed
amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro  responsabilita',
e  a  favore  delle  popolazioni,  una  parte  importante  di  affari
pubblici»; precisando  poi  che  «[t]ale  diritto  e'  esercitato  da
consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio  libero,
segreto, paritario, diretto ed universale, in grado  di  disporre  di
organi esecutivi responsabili nei loro confronti». 
    7.2.- Le prime questioni, aventi ad oggetto l'art. 14, commi  28,
28-bis, 29, 30 e 31 del d.l. n.  78  del  2010,  sono  per  un  verso
infondate, e per l'altro parzialmente fondate solo riguardo al  comma
28 del citato art. 14, nei termini di seguito indicati, in  relazione
all'art. 3, nel combinato disposto con gli artt. 5, 97 e 118 Cost. 
    7.3.-  Quanto  all'infondatezza,  peraltro,  il  riferimento   al
parametro di cui all'art. 95 Cost., appare non conferente, attesa  la
sua riferibilita' solo all'indirizzo politico del Governo. 
    In ogni caso, se da un lato  e'  indubbio  che  «[p]er  quel  che
riguarda in particolare gli  enti  locali  territoriali  e'  un  dato
definitivamente acquisito come la loro autonomia vada in primo  luogo
intesa quale potere di indirizzo  politico-amministrativo»  (sentenza
n.  77  del  1987),  tuttavia,  dall'altro,  nell'ordinamento,   come
ricordato, gia' da tempo sono previsti gli istituti  della  unione  e
della convenzione, che stabiliscono  modalita'  di  attuazione  delle
scelte di indirizzo politico di ciascun ente tramite la mediazione di
specifiche strutture comuni. 
    Se  quindi  esistesse,  come  sembra  ritenere   l'ordinanza   ed
espressamente  afferma  la  difesa   dei   ricorrenti,   un   vincolo
costituzionale per cui in un  unico  soggetto  istituzionale  debbono
sempre  coincidere  la  funzione  di  indirizzo  politico  e   quella
dell'indirizzo  amministrativo,  la  sua   violazione   discenderebbe
direttamente dalla previsione della forma associativa in se'  stessa,
a prescindere dal fatto che questa risulti obbligatoriamente imposta. 
    Sarebbe, infatti, la  stessa  forma  associativa,  costituendo  -
secondo la  metafora  proposta  dalla  difesa  dei  ricorrenti  -  un
«sistema di governo locale acefalo», a risultare lesiva, nel contesto
dell'autonomia comunale, dell'archetipo del principio rappresentativo
e delle sue necessarie  implicazioni:  l'essere  cioe'  in  grado  di
ricevere dalla comunita' locale un proprio indirizzo  politico  e  di
tradurlo in scelte di politica amministrativa. 
    Tale conclusione appare palesemente insostenibile, posto  che  le
forme associative risultano pur  sempre  una  proiezione  degli  enti
stessi, come affermato da questa Corte in piu' occasioni (sentenze n.
456 e n. 244 del 2005 e n. 229 del 2001). 
    Anche nella piu' stringente delle stesse, l'unione di Comuni, che
e' provvista di propri organi, il meccanismo della rappresentanza  di
secondo grado  appare  compatibile  con  la  garanzia  del  principio
autonomistico, dal momento che, anche in questo caso, non puo' essere
negato che venga «preservato uno specifico  ruolo  agli  enti  locali
titolari di autonomia costituzionalmente garantita, nella forma della
partecipazione agli organismi titolari dei poteri decisionali,  o  ai
relativi processi deliberativi, in vista del raggiungimento  di  fini
unitari nello spazio territoriale reputato ottimale» (sentenza n. 160
del 2016). 
    L'art. 32 del t.u. enti locali prevede, infatti, che il consiglio
dell'unione sia «composto da un numero di consiglieri definito  nello
statuto, eletti dai singoli  consigli  dei  comuni  associati  tra  i
propri componenti», nonche' che sia assicurata «la rappresentanza  di
ogni comune» e «garantita la rappresentanza delle  minoranze».  Tanto
basta a renderlo rappresentativo degli enti che vi  partecipano,  che
rimangono capaci di tradurre il proprio  indirizzo  politico  in  una
reale azione di influenza sull'esercizio  in  forma  associata  delle
funzioni. 
    Da ultimo, va rilevato che non e'  pertinente  il  richiamo  alla
sentenza n. 52 del 1969, dove l'affermazione per  cui  «la  sfera  di
autonomia  sarebbe  compromessa  se  agli  enti  ai  quali  essa   e'
riconosciuta e garantita fosse sottratta del tutto la  disponibilita'
degli strumenti necessari alla sua esplicazione», avveniva in realta'
in un giudizio relativo alla disciplina legislativa -  in  ogni  caso
non censurata dalla pronuncia - che demandava  all'autorita'  statale
la selezione per concorso e la nomina dei  segretari  generali  della
Provincia. 
    7.4.- Tanto chiarito, le questioni vertono  essenzialmente,  piu'
che  sulle  forme  associative  in  se'  considerate  -   della   cui
legittimita' costituzionale, come  si  e'  visto,  non  e'  possibile
dubitare -, sull'obbligo che di queste viene imposto. 
    Rispetto  a  questo  piu'  limitato  profilo,  tuttavia,  occorre
considerare che la disciplina censurata (in particolare, il comma  28
dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010) lascia all'autonomia degli enti
locali interessati l'alternativa  tra  due  istituti  (convenzione  e
unione), i cui caratteri costitutivi  e  funzionali  consentono  agli
enti stessi di modulare  il  rispetto  della  norma  con  valutazioni
proprie dell'indirizzo politico. 
    Infatti, questi possono optare tra la modalita' convenzionale  (a
sua volta declinabile in varie alternative  di  organizzazione  delle
competenze e degli uffici) e quella dell'unione, comportante una piu'
stretta  integrazione  quale  conseguenza  del   conferimento   delle
funzioni e delle connesse risorse finanziarie. 
    E'  pur  vero  che  l'ente  che  abbia  individuato  il   modello
convenzionale potrebbe pero' successivamente perdere la  facolta'  di
proseguire  in  tale  forma  associativa  ove  non  ne  dimostri   la
efficacia,  venendo  cosi'  obbligato   a   utilizzare   il   modello
dell'unione (comma 31-bis dell'art.14 del d.l. n. 78 del 2010). 
    In  tal  caso,  tuttavia,  la  minore  concessione  all'autonomia
comunale trova fondamento nella finalita' della  disciplina,  che  e'
diretta a porre rimedio ai problemi strutturali di efficienza - e  in
particolare a quello della  mancanza  di  economie  di  scala  -  dei
piccoli Comuni. 
    In quest'ottica il titolo che fonda un tale intervento statale e'
gia' stato ravvisato, come detto, da questa  Corte,  nella  «potesta'
statale  concorrente  in  materia  di  coordinamento  della   finanza
pubblica» (sentenze n. 44 e n. 22 del 2014). 
    Cio' e' avvenuto con riguardo alle competenze regionali, ma nella
medesima prospettiva esso  e'  riferibile  alla  esposta  limitazione
dell'autonomia comunale e tanto comporta,  fra  l'altro,  che,  salvo
quanto si precisera' in relazione al comma 28 del citato art. 14  del
d.l. n.  78  del  2010,  debbano  dichiararsi  infondate  le  censure
relative ai successivi  commi  28-bis,  29,  30  e  31  del  medesimo
articolo. 
    7.5.- Tuttavia, rimane pur vero che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, gli interventi statali in  materia  di  coordinamento
della  finanza  pubblica  che  incidono  sull'autonomia  degli   enti
territoriali devono svolgersi secondo i canoni di proporzionalita'  e
ragionevolezza  dell'intervento  normativo   rispetto   all'obiettivo
prefissato (ex plurimis sentenza n. 22 del 2014). 
    Da  questo  verso  le  censure  del   giudice   rimettente   sono
parzialmente fondate, ma solo relativamente al comma 28 dell'art.  14
del d.l. n. 78  del  2010,  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  nel
combinato disposto con gli artt. 5,  97  e  118  Cost.,  rispetto  ai
principi autonomistico, di  buon  andamento,  di  differenziazione  e
adeguatezza, con assorbimento di ogni altro profilo di censura. 
    La previsione generalizzata dell'obbligo  di  gestione  associata
per tutte le funzioni fondamentali (ad esclusione della lett.  l  del
comma 27) sconta, infatti, in ogni caso  un'eccessiva  rigidita',  al
punto che non consente di considerare tutte quelle situazioni in cui,
a motivo della collocazione geografica e dei caratteri demografici  e
socio ambientali, la convenzione o l'unione di Comuni non sono idonee
a  realizzare,  mantenendo  un  adeguato  livello  di  servizi   alla
popolazione, quei risparmi  di  spesa  che  la  norma  richiama  come
finalita' dell'intera disciplina. 
    La norma del comma 28 dell'art. 14  del  d.l.  n.  78  del  2010,
infatti, pretende di avere applicazione anche in tutti quei  casi  in
cui: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste
solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del  limite
demografico minimo comporta la necessita' del coinvolgimento di altri
Comuni non posti in una situazione di prossimita'; c) la collocazione
geografica dei confini dei Comuni non consente, per esempio in quanto
montani  e  caratterizzati  da   particolari   «fattori   antropici»,
«dispersione territoriale» e «isolamento» (sentenza n. 17 del  2018),
di raggiungere gli obiettivi cui eppure la norma e' rivolta. 
    Si tratta di situazioni dalla piu' varia complessita'  che  pero'
meritano   attenzione,   perche'   in   tutti   questi   casi,   solo
esemplificativamente indicati, in cui  l'ingegneria  legislativa  non
combacia  con  la  geografia  funzionale,   il   sacrificio   imposto
all'autonomia comunale non e' in grado di raggiungere l'obiettivo cui
e' diretta la normativa stessa; questa finisce cosi' per  imporre  un
sacrificio  non  necessario,  non  superando  quindi   il   test   di
proporzionalita' (ex plurimis sentenze n. 137 del  2018,  n.  10  del
2016, n. 272 e n. 156 del 2015). 
    Va peraltro rilevato che un ulteriore  sintomo  delle  criticita'
della normativa risulta dall'estenuante numero dei rinvii dei termini
originariamente  previsti,  che,   come   evidenziato   dal   giudice
rimettente,  coprendo  un  arco  temporale  di  quasi  un   decennio,
dimostrano l'esistenza di situazioni  oggettive  che,  in  non  pochi
casi, rendono di fatto inapplicabile la norma. 
    Il menzionato comma 28 e' pertanto illegittimo nella parte in cui
non prevede la possibilita', in un contesto  di  Comuni  obbligati  e
non, di dimostrare, al fine di ottenere l'esonero dall'obbligo, che a
causa della  particolare  collocazione  geografica  e  dei  caratteri
demografici e  socio  ambientali,  del  Comune  obbligato,  non  sono
realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o
miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell'erogazione
dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento. 
    Si tratta di un'attenzione a particolari situazioni differenziate
che gia' ha trovato nella normativa censurata una  parziale,  ma  non
sufficiente,  considerazione,  che  si  rinviene  laddove  la  stessa
riconosce due casi meritevoli di totale  esonero  dall'obbligo  -  le
isole monocomune e il Comune di Campione d'Italia -  in  base  a  una
ratio univocamente ricollegabile alla inesigibilita' dell'obbligo per
le peculiari connotazioni anche  geografiche  di  tali  enti  locali.
Inoltre, lo stesso meccanismo disciplinato al comma 31-bis del citato
art. 14, prevede, come ricordato, ove l'ente abbia valutato di optare
per l'attuazione dell'obbligo associativo mediante  convenzione,  una
successiva verifica della sua effettiva efficacia, mediante una  fase
di interlocuzione procedimentale dell'ente locale  con  il  Ministero
dell'interno; solo all'esito negativo di tale  interlocuzione,  cioe'
allorquando  il  Comune  non  ha  comprovato  il   conseguimento   di
«significativi livelli di efficacia ed  efficienza  nella  gestione»,
scatta l'obbligo della unione. 
    Tali esoneri dall'obbligo e la necessaria interlocuzione con  gli
enti locali, gia' prefigurati dalla normativa impugnata, sono  quindi
da estendere come qui indicato, in modo da evitare che  la  rigidita'
della  disciplina  possa  condurre,  irragionevolmente,   a   effetti
contrari alle finalita' che la giustificano. 
    Peraltro,  va  precisato  che  la  portata  della  decisione  non
coinvolge  tutte  quelle  diverse  situazioni  in  cui  le  normative
impongono obblighi di gestione associata di funzioni e/o servizi alla
generalita' dei Comuni, e quindi sono riferibili  a  tutti  gli  enti
locali appartenenti a un determinato ambito territoriale,  senza  che
si distingua tra Comuni obbligati e non. 
    Spettera', da un lato, ai giudici comuni trarre dalla decisione i
necessari  corollari  sul  piano   applicativo,   avvalendosi   degli
strumenti  ermeneutici  a  loro  disposizione,  e,   dall'altro,   al
legislatore provvedere a disciplinare,  nel  modo  piu'  sollecito  e
opportuno,  gli  aspetti  che  richiedono  apposita  regolamentazione
(sentenze n. 88 del 2018 e n. 113 del 2011). 
    7.6.- Tale conclusione induce peraltro a richiamare  l'attenzione
sui gravi limiti che, rispetto  al  disegno  costituzionale,  segnano
l'assetto organizzativo dell'autonomia  comunale  italiana,  dove  le
funzioni fondamentali risultano ancora oggi contingentemente definite
con  un  decreto-legge  che  tradisce  la  prevalenza  delle  ragioni
economico finanziarie su quelle ordinamentali. Un aspetto  essenziale
dell'autonomia municipale e' quindi risultato relegato a mero effetto
riflesso di altri obiettivi: infatti, nella legge 5 maggio  2009,  n.
42  (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in
attuazione dell'articolo 119  della  Costituzione),  l'individuazione
(provvisoria) delle funzioni fondamentali (art. 21, comma 3) e' stata
meramente  funzionale  a  permettere  la  disciplina  del  cosiddetto
federalismo  fiscale;  nel  d.l.  n.  78  del  2010  (in  via  ancora
provvisoria),  e  nel  d.l.  n.  95  del  2012  (in  via   non   piu'
provvisoria), essa e' stata strumentale a vincolare,  per  motivi  di
spending review,  i  piccoli  Comuni  all'esercizio  associato  delle
funzioni stesse. 
    A seguito dell'infelice esito dei vari  tentativi,  pur  esperiti
nell'ultimo quindicennio,  di  approvazione  della  cosiddetta  Carta
delle  autonomie  locali,  il  problema  della  dotazione  funzionale
tipica, caratterizzante e indefettibile, dell'autonomia comunale  non
e', quindi, stato mai  stato  risolto  ex  professo  dal  legislatore
statale, come  invece  avrebbe  richiesto  l'impianto  costituzionale
risultante  dalla  riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione.  Una
«fisiologica dialettica», improntata a  una  «doverosa  cooperazione»
(sentenza n. 169  del  2017),  da  parte  del  sistema  degli  attori
istituzionali,  nelle  varie  sedi  direttamente   o   indirettamente
coinvolti, dovrebbe  invece  assicurare  il  raggiungimento  del  pur
difficile  obiettivo  di  una   equilibrata,   stabile   e   organica
definizione  dell'assetto  fondamentale  delle  funzioni  ascrivibili
all'autonomia locale. 
    Sarebbe  questo,   peraltro,   l'ambito   naturale   dove   anche
considerare i limiti - da  tempo  rilevati  -  dell'ordinamento  base
dell'autonomia locale, per cui  le  stesse  funzioni  fondamentali  -
nonostante   i   principi   di   differenziazione,   adeguatezza    e
sussidiarieta' di cui all'art. 118, Cost. -  risultano  assegnate  al
piu' piccolo Comune italiano, con una popolazione di poche decine  di
abitanti, come alle piu' grandi citta' del nostro ordinamento, con il
risultato  paradossale  di  non   riuscire,   proprio   per   effetto
dell'uniformita', a garantire l'eguale godimento dei servizi, che non
e' certo il medesimo tra chi risiede nei primi e chi nei secondi. 
    Non  appare  inutile,  al  riguardo,   ricordare   che   riusciti
interventi strutturali in risposta al problema della  polverizzazione
dei  Comuni  sono  stati  realizzati  in  altri  ordinamenti,  spesso
attuando la differenziazione non  solo  sul  piano  organizzativo  ma
anche su quello funzionale. Cio' e' avvenuto, ad esempio,  in  quello
francese, dove il problema e' stato risolto sia con la promozione  di
innovative modalita' di associazione  intercomunale,  sia  attraverso
formule di accompagnamento alle fusioni; in forme diverse, ma  sempre
con interventi di tipo organico, risposte sono state fornite anche in
Germania, nel Regno Unito e  in  molti  altri  Stati  europei  (basti
ricordare Svezia, Danimarca, Belgio, Olanda). 
    7.7.- La seconda censura, relativa alla violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  3  della  Carta  europea
dell'autonomia locale, deve ritenersi assorbita  nella  dichiarazione
di fondatezza del comma 28 dell'art.14 del d.l. n. 78 del 2010 di cui
al precedente punto 7.5 e infondata per le medesime ragioni di cui al
precedente punto 7.4 in relazione  ai  restanti  commi  dello  stesso
articolo. 
    8.- Infine, il TAR rimettente pone sulle norme censurate anche le
questioni di legittimita' costituzionale per violazione  degli  artt.
133, secondo comma, Cost.,  in  relazione  all'istituzione  di  nuovi
Comuni, e degli artt. 114 e 119 Cost., con riferimento  all'autonomia
organizzativa e finanziaria degli enti locali. Secondo il  giudice  a
quo, infatti, sebbene attraverso l'esercizio associato di quasi tutte
le funzioni fondamentali, imposto per legge,  «gli  enti  interessati
non risultino formalmente estinti», non permarrebbe, in ogni caso, in
capo al  Comune  quel  «"nucleo  minimo"  di  attribuzioni»  tale  da
consentire la sua qualificazione costituzionale in  termini  di  ente
autonomo. Per le funzioni fondamentali opererebbe quindi «una riserva
costituzionale di esercizio individuale». 
    Pertanto,  poiche'  le  norme  censurate   hanno   disposto   «la
traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto nuovo o  diverso,
spogliandone il precedente titolare», ai fini dell'art. 133,  secondo
comma,   Cost.,   tale   situazione   non   sarebbe    «distinguibile
dall'estinzione dell'ente locale per fusione o incorporazione», oltre
ad essere mancata la «previsione del coinvolgimento delle popolazioni
interessate» richiesta dalla medesima norma costituzionale. 
    8.1.- Le questioni sono infondate. 
    Innanzitutto, anche in forza di quanto gia'  rilevato  nel  punto
7.3, si deve escludere l'esistenza di una «riserva costituzionale  di
esercizio individuale» delle funzioni  fondamentali,  che  renderebbe
illegittimi gli stessi  istituti  associativi  degli  enti  locali  a
prescindere dalla loro obbligatorieta'. 
    La prospettazione  e'  quindi  palesemente  insostenibile  e  non
rimane che ribadire le conclusioni della sentenza  n.  44  del  2014,
avente  ad  oggetto  disposizioni  relative  all'esercizio  in  forma
associata di tutte le funzioni da parte dei  Comuni  con  popolazione
fino a 1.000 abitanti, mediante la  costituzione  di  una  unione  di
Comuni. L'intervento del legislatore statale,  infatti,  riguarda  le
modalita' di esercizio delle  funzioni  fondamentali,  per  cui  «non
presenta alcuna attinenza con la disciplina che regola  l'istituzione
di nuovi Comuni o la modifica  delle  loro  circoscrizioni»,  e  «non
prevede la fusione dei piccoli Comuni, con conseguente modifica delle
circoscrizioni territoriali» (sentenza n. 44 del 2014). 
    9.-  Il  TAR  rimettente  solleva,  da   ultimo,   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 110 e 111, della legge
reg. Campania n. 16 del 2014, motivando la non manifesta infondatezza
«[p]er le medesime ragioni e per contrasto con gli  stessi  parametri
costituzionali di cui al punto precedente» (indicati  al  punto  2.3.
del Ritenuto in fatto), aggiungendo che nell'individuare  gli  ambiti
ottimali per l'esercizio delle funzioni fondamentali la legge avrebbe
fatto generico riferimento  ai  cosiddetti  sistemi  territoriali  di
sviluppo, previsti a loro volta in  ambito  urbanistico  dalla  legge
della Regione Campania 13 ottobre 2008,  n.  13  (Piano  Territoriale
Regionale), «senza in merito svolgere adeguata istruttoria attraverso
il necessario coinvolgimento degli enti locali interessati». 
    9.1.- L'Avvocatura generale dello Stato ha formulato  un'espressa
eccezione di  inammissibilita'  con  riferimento  a  tali  questioni,
perche' solo enunciate nell'ordinanza e in alcun  modo  sviluppate  e
motivate. 
    9.2.- L'eccezione non e' fondata: l'ordinanza ravvisa  il  dubbio
di legittimita' costituzionale richiamando le  «medesime  ragioni»  e
gli «stessi parametri costituzionali di  cui  al  punto  precedente»,
relativo alle censure all'art. 14, commi da 26 a 31, del d.l.  n.  78
del 2010, per contrasto con gli artt. 3, 5, 95, 97, 114,  117,  primo
comma - in relazione all'art. 3 della  Carta  europea  dell'autonomia
locale - e sesto comma, e 118 Cost. 
    Come affermato da questa Corte, «[l]a motivazione tramite  rinvio
"interno" e' ammissibile (sentenze n. 68 del 2011 e n. 438 del 2008),
purche' sia chiara la portata della questione» (sentenza  n.  83  del
2016) ed e' cio' che ricorre  nel  caso  di  specie,  atteso  che  le
ragioni di non manifesta infondatezza alle quali  si  fa  riferimento
sono sufficientemente illustrate  e  che  le  disposizioni  regionali
costituiscono attuazione di quelle statali  parimenti  censurate  (in
particolare, dell'art. 14, comma 30, del d.l. n. 78  del  2010,  come
convertito). 
    Oltre agli argomenti  richiamati  mediante  il  suddetto  rinvio,
l'ordinanza  aggiunge  una  specifica  motivazione   che,   sia   pur
sintetica, e' comunque univocamente riferita alle norme  della  legge
regionale. 
    9.3.- La questione e' fondata in relazione agli artt. 5, 114 e 97
Cost. 
    Ai  fini  della  individuazione  da  parte  delle  Regioni  della
dimensione territoriale ottimale e omogenea  per  lo  svolgimento  in
forma obbligatoriamente associata  delle  funzioni  fondamentali,  il
comma 30 dell'art. 14 del  d.l.  n.  78  del  2010,  come  sostituito
dall'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, non impone alle Regioni  stesse
l'adozione della fonte legislativa ma, in  ogni  caso,  prescrive  la
«previa  concertazione  con  i  comuni  interessati  nell'ambito  del
Consiglio delle autonomie locali». 
    Di tale concertazione non vi e' traccia alcuna ne'  nella  legge,
ne' nei  lavori  preparatori.  Dagli  stessi,  invece,  e'  possibile
rilevare  che  nel  disegno  di  legge  di  iniziativa  della  Giunta
regionale, Reg. Gen. 505 bis, non erano presenti disposizioni  aventi
ad oggetto l'attuazione dell'art. 14, comma 30, del d.l.  n.  78  del
2010. Solo nel corso dell'esame della II  Commissione  permanente  e'
stato approvato l'art. 37-bis, il cui contenuto e' poi stato trasfuso
nel maxi emendamento (commi 110 e 111 dell'art. 1, sostitutivo  degli
articoli da 1 a 52 del disegno di legge) sul quale e' stata posta  la
fiducia. Dai resoconti sommari dei lavori della  II  Commissione  non
risultano elementi che facciano  emergere  una  concertazione  con  i
Comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle  autonomie  locali
(che peraltro in Campania non e' ancora stato costituito) o con altre
modalita'. 
    Ne' la legge regionale  censurata  ha  previsto  un  procedimento
bifasico, in  cui  la  fonte  primaria  indicasse  criteri  generali,
demandando poi la concreta individuazione dell'ambito territoriale  a
un atto amministrativo adottato all'esito della concertazione  con  i
Comuni interessati,  secondo  una  tecnica  normativa  che  e'  stata
adottata da altre Regioni: per esempio, legge della  Regione  Veneto,
27  aprile  2012,  n.  18  (Disciplina  dell'esercizio  associato  di
funzioni e servizi comunali) e legge della Regione Emilia-Romagna, 21
dicembre 2012, n. 21 (Misure per assicurare il  Governo  territoriale
delle funzioni amministrative secondo i principi  di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza). 
    L'art. 1, commi 110 e 111, della legge reg. Campania  n.  16  del
2014 e' quindi in  contrasto  con  gli  artt.  5  e  114  Cost.,  nel
combinato disposto con l'art. 97 Cost., non risultando dimostrato che
l'individuazione ivi contenuta della dimensione territoriale ottimale
e omogenea per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, di cui  al
comma 28 dell'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010,  sia  stata  preceduta
dalla concertazione con i Comuni interessati. 
    Il contenuto precettivo del richiamato comma 30 dell'art. 14  del
d.l. 78 del 2010, infatti, nell'imporre la concertazione con gli enti
locali,  integra  il  principio,  affermato  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 229 del 2001,  del  necessario  coinvolgimento,  «per  le
conseguenze concrete che ne derivano sul modo di organizzarsi  e  sul
modo di  esercitarsi  dell'autonomia  comunale»,  degli  enti  locali
infraregionali   nelle   determinazioni   regionali   che   investono
l'allocazione di funzioni tra i diversi livelli di governo, «anche di
natura associativa». 
    Ne deriva, in caso di mancata concertazione con gli enti  locali,
una lesione dell'autonomia comunale riconosciuta  e  garantita  dagli
artt. 5 e 114 Cost. 
    Inoltre, appare del tutto evidente  che  la  costituzione  di  un
sistema locale efficacemente  strutturato,  al  punto  da  conseguire
risparmi di spesa, costituisce  un  obiettivo  non  conseguibile  una
volta pretermessa la voce dei Comuni, circostanza  che  configura  un
ingiustificato  difetto  di  istruttoria,  anche  in   considerazione
dell'art. 97 Cost. 
    Restano assorbite le ulteriori censure. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
28, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con modificazioni, in legge 30  luglio  2010,
n. 122, come modificato dall'art. 19, comma 1,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135,  nella
parte in cui non prevede la possibilita', in un  contesto  di  Comuni
obbligati e  non,  di  dimostrare,  al  fine  di  ottenere  l'esonero
dall'obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e
dei caratteri demografici e socio ambientali, del  Comune  obbligato,
non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie  di
scala e/o miglioramenti,  in  termini  di  efficacia  ed  efficienza,
nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
110 e 111, della legge della Regione Campania 7 agosto  2014,  n.  16
recante «Interventi di rilancio e  sviluppo  dell'economia  regionale
nonche' di carattere ordinamentale e  organizzativo  (collegato  alla
legge di stabilita' regionale 2014)»; 
    3)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 26 e 27, del d.l. n. 78 del  2010,
come convertito e successivamente modificato dall'art. 19,  comma  1,
del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, sollevate,  in  riferimento
agli artt. 3, 5, 77, secondo comma, 95, 97, 114, 117, primo  comma  -
in relazione all'art. 3 della Carta  europea  dell'autonomia  locale,
firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata e resa  esecutiva
con legge 30 dicembre 1989, n. 439 - e sesto comma, 118, 119  e  133,
secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del  d.l.
n.  78  del  2010,  come  convertito  e  successivamente   modificato
dall'art. 19, comma 1, del d.l. n.  95  del  2012,  come  convertito,
sollevata, in riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost.,  dal  TAR
Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    5) dichiara  non  fondate  le  altre  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del  d.l.
n.  78  del  2010,  come  convertito  e  successivamente   modificato
dall'art. 19, comma 1, del d.l. n.  95  del  2012,  come  convertito,
sollevate, in riferimento all'art. 77, secondo  comma,  Cost.,  e  in
riferimento  all'art.  95  Cost.,  dal  TAR  Lazio,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    6) dichiara non fondate le ulteriori  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 28-bis, 29, 30 e 31, del  d.l.  n.
78 del 2010, come convertito e successivamente  modificato  dall'art.
19, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo comma - in relazione
all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale - e  118  Cost.,
dal TAR Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    7) dichiara non fondate  le  residue  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del  d.l.
n.  78  del  2010,  come  convertito  e  successivamente   modificato
dall'art. 19, comma 1, del d.l. n.  95  del  2012,  come  convertito,
sollevate, in riferimento agli artt. 114, 119 e 133,  secondo  comma,
Cost., dal TAR Lazio, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA