N. 119 SENTENZA 3 aprile - 16 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Acque pubbliche (riduzioni temporanee del deflusso minimo  vitale  in
  caso di deficit idrico;  maggiorazione  del  canone  demaniale  per
  l'esercizio delle concessioni di derivazione  d'acqua  in  caso  di
  proroga) - Energia  (incompatibilita'  territoriale  o  inidoneita'
  tecnica degli impianti di  distribuzione  dei  carburanti  ai  fini
  della decadenza del provvedimento  autorizzativo:  termine  per  la
  presentazione  del  programma  di   adeguamento   o   di   chiusura
  dell'impianto)  -  Demanio  regionale  navigabile   (procedure   di
  autorizzazione per interventi di dragaggio manutentivi) -  Acque  e
  acquedotti (autorizzazione in sanatoria per l'attingimento di acque
  superficiali a mezzo di dispositivi fissi, esistenti alla  data  di
  entrata in vigore della legge regionale). 
- Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018,
  n. 3  (Norme  urgenti  in  materia  di  ambiente,  di  energia,  di
  infrastrutture e di contabilita'), artt. 4, comma 1,  lettere  p) e
  w); 14; 15 e 16, comma 1. 
(GU n.21 del 22-5-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4,  comma
1, lettere p) e w); 14; 15 e 16, comma 1, della legge  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3  (Norme  urgenti
in  materia  di  ambiente,  di  energia,  di  infrastrutture   e   di
contabilita'), promosso dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
con  ricorso  notificato  il  13-17  aprile   2018,   depositato   in
cancelleria il 23 aprile 2018, iscritto al n. 33 del registro ricorsi
2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  22,
prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  3  aprile  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  cinque
disposizioni della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
6 febbraio 2018, n. 3 (Norme  urgenti  in  materia  di  ambiente,  di
energia, di infrastrutture e di contabilita'). 
    La prima disposizione censurata e' l'art. 4, comma 1, lettera p),
che modifica l'art. 36 della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  29
aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica  in  materia  di  difesa  del
suolo e di utilizzazione delle acque), inserendo in esso  i  seguenti
commi 7-bis e 7-ter: «7-bis.  Qualora  sul  territorio  regionale  si
configuri una situazione  di  deficit  idrico,  il  Presidente  della
Regione, sulla base dei dati  rilevati  e  di  quelli  forniti  dalla
Direzione centrale competente in materia  di  risorse  agricole,  con
decreto di cui e' data pubblicazione  sul  sito  istituzionale  della
Regione, in via d'urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica;
b) individua le riduzioni  temporanee  del  deflusso  minimo  vitale,
commisurate all'entita'  del  deficit  idrico.  7-ter.  Le  riduzioni
temporanee di cui al comma  7-bis,  lettera  b),  si  applicano  alle
derivazioni d'acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo  i  corsi
d'acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre,  Meduna,
Cellina e Judrio». 
    L'Avvocatura  rileva  che  la  legislazione  statale  primaria  e
secondaria «ha individuato i soggetti cui e'  demandata  la  gestione
delle acque e [...] l'esercizio delle funzioni tecniche relative alla
determinazione  dei  livelli   di   deflusso   minimo   vitale».   In
particolare,  e'  richiamato  l'art.  95,  comma   4,   del   decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia  ambientale),  in
base al  quale,  «[s]alvo  quanto  previsto  al  comma  5,  tutte  le
derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in  vigore
della parte terza del presente decreto sono  regolate  dall'Autorita'
concedente mediante la previsione di rilasci  volti  a  garantire  il
minimo deflusso vitale nei corpi  idrici,  come  definito  secondo  i
criteri adottati  dal  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare con apposito  decreto,  previa  intesa  con  la
Conferenza  Stato-regioni,  senza  che  cio'  possa  dar  luogo  alla
corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione,
fatta  salva  la  relativa  riduzione   del   canone   demaniale   di
concessione». Secondo la  difesa  statale,  la  norma  sarebbe  stata
adottata «in virtu' dell'art. 117, comma secondo,  lett.  s),  Cost.,
con finalita' di  "tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema",  e  in
virtu' dell'art.  118,  primo  comma,  Cost.,  per  cui  le  funzioni
amministrative de quo sono attribuite alle Autorita' di bacino». 
    L'Avvocatura ricorda  che  lo  Statuto  speciale  riconosce  alla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia competenza  concorrente  nella
materia delle derivazioni d'acqua, ma,  poiche'  la  loro  disciplina
rientra nella potesta' residuale delle  regioni  ordinarie  ai  sensi
dell'art.  117,  quarto  comma,  della  Costituzione,  opererebbe  la
clausola  di  maggior  favore  di  cui  all'art.   10   della   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  Titolo  V  della
parte seconda della Costituzione), e, dunque, ne discenderebbe «quale
ulteriore conseguenza l'applicazione del regime  ordinario  anche  in
riferimento ai limiti che trova la potesta' legislativa regionale  in
materia». Pertanto, l'art. 95,  comma  4,  del  codice  dell'ambiente
sarebbe «cogente anche per le Regioni a statuto speciale» e la  norma
regionale censurata invaderebbe la competenza in materia di  ambiente
riconosciuta allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera  s),  e
dall'art. 118, primo comma, Cost. 
    Nel proprio atto di costituzione, depositato il 28  maggio  2018,
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nega che il citato art. 95,
comma  4,  attribuisca  la  funzione  amministrativa   in   questione
all'Autorita' di bacino:  l'autorita'  di  regolazione  del  deflusso
minimo vitale dei corpi idrici sarebbe  «l'autorita'  concedente  del
rapporto concessorio, cioe' pacificamente la Regione». La  resistente
ricorda la propria competenza legislativa statutaria  in  materia  di
«utilizzazione  delle  acque  pubbliche»  e  la   titolarita'   delle
corrispondenti funzioni amministrative ai  sensi  dell'art.  8  dello
Statuto. La norma  impugnata,  dunque,  si  limiterebbe  a  «regolare
competenze interne [del Presidente della Regione] alla stessa Regione
quale autorita' concedente». 
    Il ricorso sarebbe cosi' infondato per «inesistenza del parametro
asseritamente violato». La  Regione  contesta  comunque  il  percorso
argomentativo del ricorrente, osservando che la competenza  residuale
delle regioni ordinarie e' invocata al solo fine  di  far  valere  la
competenza esclusiva statale in materia di ambiente,  vanificando  la
competenza regionale statutaria concorrente e giungendo al  risultato
di applicare il nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione
in modo restrittivo per l'autonomia speciale. 
    2.- La seconda disposizione  impugnata  e'  l'art.  4,  comma  1,
lettera w), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che
introduce nell'art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  11
del 2015 il comma 3-bis.  Tale  norma  stabilisce  che  «[i]l  canone
demaniale previsto dal decreto di cui al comma 1 e'  aumentato  nella
misura  di  40  euro  per  kW  nei  casi  in  cui  l'esercizio  delle
concessioni di derivazione  d'acqua,  ferme  restando  le  condizioni
stabilite dalle vigenti normative e dal disciplinare di  concessione,
sia prorogato ai sensi dell'articolo 12,  comma  8-bis,  del  decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE
recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica)». 
    Secondo  l'Avvocatura,  la  maggiorazione  del   canone   sarebbe
contraria «ai principi di ragionevolezza e di parita' di trattamento,
nonche'  di  tutela  della  concorrenza»,   in   quanto   inciderebbe
«negativamente sui gestori  operanti  nel  territorio  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia rispetto a quelli di altre regioni».  La  norma
impugnata eccederebbe «dalle  competenze  riconosciute  alla  Regione
Friuli-Venezia Giulia dallo Statuto speciale  di  autonomia  e  dalle
relative norme di attuazione», in quanto violerebbe «gli articoli  3,
97 e 117, secondo comma lettera e) della Costituzione». 
    In particolare, la  previsione  della  maggiorazione  del  canone
contrasterebbe con l'art. 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16
marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante  norme
comuni per il mercato interno dell'energia  elettrica),  in  base  al
quale (secondo la  formulazione  vigente  al  momento  del  ricorso),
«[q]ualora alla data di scadenza di una concessione  non  sia  ancora
concluso   il   procedimento   per   l'individuazione    del    nuovo
concessionario, il concessionario  uscente  proseguira'  la  gestione
della derivazione, fino al subentro dell'aggiudicatario  della  gara,
alle stesse condizioni stabilite dalle normative e  dal  disciplinare
di concessione vigenti». 
    Il ricorrente osserva che, «[t]rattandosi di  materia  di  tutela
della concorrenza non assume rilievo la competenza della  Regione  in
materia di demanio idrico trasferito alla regione medesima  ai  sensi
dell'art. 1 del decreto legislativo n. 265/2001». 
    Inoltre, la norma impugnata violerebbe l'art. 37,  comma  7,  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012,
n. 134, che - al momento del ricorso - prevedeva che, «[a]l  fine  di
assicurare un'omogenea  disciplina  sul  territorio  nazionale  delle
attivita' di generazione idroelettrica e parita' di  trattamento  tra
gli operatori economici, con  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, previa intesa in  sede  di  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la  determinazione,
secondo principi di economicita' e  ragionevolezza,  da  parte  delle
regioni, di valori  massimi  dei  canoni  delle  concessioni  ad  uso
idroelettrico». 
    Tale disposizione sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva
statale in materia di tutela della concorrenza, perche' mirerebbe  ad
agevolare l'accesso degli operatori economici al mercato dell'energia
secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale. 
    Infine, il ricorrente  rileva  che  la  norma  impugnata  sarebbe
reiterativa dell'art. 61-bis della legge reg.  Friuli-Venezia  Giulia
n. 11 del 2015, che la Regione si sarebbe impegnata ad abrogare. 
    Nel  proprio  atto   di   costituzione,   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia osserva, in primo luogo, che la norma impugnata
e' diversa dall'art. 61-bis della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
11 del 2015, abrogato dall'art. 18 della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018, in  quanto  l'art.  61-bis  «prevedeva  non  un
aumento del canone, ma un ulteriore canone aggiuntivo». 
    La Regione rileva poi che, in base allo Statuto e alle  norme  di
attuazione, ad essa spetterebbero tutte le  funzioni  concernenti  le
derivazioni  d'acqua,  compresa   la   determinazione   dei   canoni,
disciplinata dall'art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.
11 del 2015. La norma censurata, dunque, costituirebbe  esercizio  di
questa competenza regionale. 
    Quanto all'asserita violazione dell'art.  12,  comma  8-bis,  del
d.lgs. n. 79 del 1999, la Regione replica che la norma statale «detta
una disciplina palesemente destinata ad una transizione breve», cioe'
si riferirebbe «ad un procedimento di gara  in  corso,  che  tuttavia
"non sia ancora concluso"», mentre non riguarderebbe  una  situazione
di proroga indefinita, nella quale non si possono rimettere  in  gara
le concessioni scadute per mancanza del decreto previsto all'art. 12,
comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999. Secondo la  Regione,  qualora  si
volesse  applicare  l'art.  12,  comma  8-bis,   a   questa   diversa
situazione, dovrebbe essere inteso nel senso «di voler assicurare  in
ogni caso la continuita' della gestione, nei termini  precedenti,  in
essi incluso, e non  certo  escluso,  il  potere  del  concedente  di
determinare  il  canone:  potere  correttamente  esercitato  con   la
disposizione regionale». 
    Quanto all'asserita violazione dell'art. 37, comma 7, del d.l. n.
83 del 2012, la Regione osserva che il decreto ministeriale  da  esso
previsto (che avrebbe dovuto stabilire i  «criteri  generali  per  la
determinazione, secondo principi di economicita' e ragionevolezza, da
parte delle regioni, di valori massimi dei canoni  delle  concessioni
ad uso idroelettrico») non e' stato emanato e richiama la sentenza n.
158 del 2016 della Corte costituzionale, secondo la quale, in assenza
del decreto in questione, le regioni potrebbero determinare i  canoni
idroelettrici nel rispetto dei principi fondamentali della onerosita'
della  concessione  e  della  proporzionalita'  del  canone  rispetto
all'utilita' del  concessionario.  La  Regione  non  avrebbe  dettato
«criteri generali per la determinazione» dei canoni idroelettrici, ma
ne avrebbe solo modificato la misura, nell'occasione  delle  «forzate
proroghe». 
    3.-  Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente  impugna  l'art.   14
(Disposizioni sugli impianti di distribuzione dei  carburanti)  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018.  Questa  disposizione
stabilisce che, «[p]er le finalita' di cui all'articolo 42, comma  6,
della legge regionale 19/2012,  sono  considerati  in  condizioni  di
incompatibilita' territoriale o di inidoneita' tecnica  gli  impianti
di distribuzione dei carburanti  che  non  presentino  al  Comune  il
programma di adeguamento o di chiusura dell'impianto entro  due  anni
dalla data di entrata in vigore della  presente  legge».  L'art.  42,
comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre  2012,  n.
19 (Norme in materia di  energia  e  distribuzione  dei  carburanti),
prevede  che,  dopo  che  il  comune  ha  accertato  fattispecie   di
incompatibilita'  territoriale  ovvero  condizioni   di   inidoneita'
tecnica e ha invitato  il  titolare  dell'impianto  a  presentare  un
programma di adeguamento, ovvero un programma di chiusura e rimozione
dell'impianto, entro il termine  massimo  di  sessanta  giorni  dalla
comunicazione (comma 4), «[q]ualora il programma non  sia  presentato
entro il  termine  previsto  il  Comune  dichiara  la  decadenza  del
provvedimento autorizzativo disponendo la  chiusura  e  la  rimozione
dell'impianto». 
    Secondo il ricorrente, l'art. 14 si porrebbe in contrasto con  la
legge 4 agosto 2017, n. 124  (Legge  annuale  per  il  mercato  e  la
concorrenza),  «che  ha  introdotto  disposizioni   in   materia   di
incompatibilita' degli impianti di distribuzione dei carburanti (art.
1, commi  da  100  a  119),  con  valenza  di  norme  in  materia  di
concorrenza  e  di  sicurezza  stradale,  materie  rientranti   nella
legislazione esclusiva statale, anche con riguardo alle  disposizioni
statutarie regionali». In particolare, la norma impugnata  violerebbe
l'art. 1, comma 102, della legge n. 124 del 2017, che «fissa i  tempi
dell'adeguamento con modalita' differenti e piu' stringenti sotto  il
profilo temporale, benche' prorogati» con l'art. 1, comma 1132, della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2018-2020). 
    L'Avvocatura richiama poi l'accordo sancito  l'8  marzo  2018  in
sede di Conferenza unificata (Accordo, ai sensi degli articoli 4 e  9
del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  per  l'attuazione
dell'art. 1, commi 100-119, della legge 4 agosto 2017, n. 124, "Legge
annuale per il mercato e la concorrenza", in materia di carburanti). 
    La norma  regionale  impugnata,  «nel  protrarre  il  termine  di
adeguamento  degli  impianti  in  parola   incide   sull'intento   di
uniformare la disciplina in materia su tutto il territorio nazionale,
con cio' provocando squilibri concorrenziali». Di qui  la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    Nel suo atto di costituzione la Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia precisa che il senso della  norma  sarebbe  il  seguente:  «se
entro 2 anni dall'entrata in  vigore  della  l.r.  3/2018  non  viene
presentato  il  programma  di  adeguamento,  il  Comune  dichiara  la
decadenza dell'autorizzazione». 
    La Regione eccepisce poi  l'inammissibilita'  della  censura  per
genericita', in quanto il ricorrente non  avrebbe  specificato  quali
sono  le  «modalita'  differenti  e  piu'  stringenti»   pretesamente
contraddette dalla norma impugnata. 
    Nel merito, la Regione osserva  che  le  norme  statali  invocate
sarebbero  estranee  alla  «tutela  della  concorrenza»,  avendo   la
finalita'  di  «estromettere  dal  mercato  della  distribuzione  dei
carburanti quegli operatori economici che si  trovano  in  una  delle
situazioni di incompatibilita' territoriale [...] e che non intendano
o non possano  rimuovere  tale  situazione  provvedendo  al  completo
adeguamento del loro impianto».  Esse  dovrebbero  essere  ricondotte
invece alla materia «energia», in quanto riguardano il settore  della
distribuzione dei carburanti, che sono fonti di energia. 
    Secondo la resistente, la  norma  impugnata  si  rivolgerebbe  ai
comuni, prescrivendo loro di  avviare  «il  procedimento  finalizzato
alla dichiarazione di decadenza del relativo titolo  abilitativo  per
tutti quegli impianti in situazione di incompatibilita'  territoriale
ancora in esercizio ad una  determinata  data  (15  febbraio  2020)».
L'art. 14, dunque, avrebbe «un oggetto specifico,  che  non  coincide
con quello delle disposizioni statali invocate, che non  prendono  in
considerazione il momento di avvio del procedimento comunale  per  la
dichiarazione  di  decadenza  del  titolo  che  consente  l'esercizio
dell'impianto». Inoltre, il termine indicato  nella  norma  impugnata
per l'avvio di tale procedimento sarebbe «perfettamente  compatibile»
con  quello  previsto  dalla  legge  statale  per  lo  smantellamento
dell'impianto (29 agosto 2020). 
    Infine, la Regione rileva che  l'accordo  sancito  in  Conferenza
unificata l'8 marzo 2018 sarebbe estraneo al thema decidenum. 
    4.- Nel quarto motivo il ricorrente impugna l'art. 15 della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del  2018,  che  modifica  l'art.  6,
comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 21 luglio 2017, n. 29
(Misure per lo sviluppo del sistema  territoriale  regionale  nonche'
interventi  di  semplificazione  dell'ordinamento   regionale   nelle
materie  dell'edilizia  e  infrastrutture,  portualita'  regionale  e
trasporti, urbanistica e lavori pubblici, paesaggio e biodiversita').
Prima della modifica tale  disposizione  stabiliva  che,  «[p]er  gli
interventi di dragaggio manutentivi, coerenti con le  previsioni  del
programma d'intervento di cui all'articolo 4, da attuare nei canali e
nelle vie di navigazione interna appartenenti  al  demanio  regionale
che risultano finalizzati al ripristino delle preesistenti condizioni
di  navigabilita'  in  sicurezza,  le  procedure  autorizzative  sono
circoscritte alla sola acquisizione  delle  verifiche  e  dei  pareri
necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel  rispetto
della  vigente  normativa  di  valenza   ambientale   e   sanitaria».
L'impugnato  art.  15  ha  soppresso  l'inciso  «,  coerenti  con  le
previsioni del programma  d'intervento  di  cui  all'articolo  4,  da
attuare nei canali e nelle vie di navigazione interna appartenenti al
demanio regionale», per cui ora l'art. 6, comma 1, della  legge  reg.
Friuli-Venezia  Giulia  n.  29  del  2017  dispone  che,  «[p]er  gli
interventi di dragaggio  manutentivi  che  risultano  finalizzati  al
ripristino  delle  preesistenti  condizioni   di   navigabilita'   in
sicurezza, le procedure autorizzative  sono  circoscritte  alla  sola
acquisizione delle verifiche e dei pareri necessari al conferimento e
al riutilizzo dei materiali nel rispetto della vigente  normativa  di
valenza ambientale e sanitaria». 
    Secondo il ricorrente, il citato art. 6, comma 1, «prevede ora la
possibilita' di eseguire interventi di dragaggio manutentivo anche in
mare»: a tali interventi si applicherebbe la  procedura  semplificata
di cui allo stesso art. 6, in difformita' dall'art. 109, comma 2, del
d.lgs.  n.  152  del  2006  e  dal  regolamento  attuativo  di   tale
disposizione (decreto ministeriale 15 luglio 2016,  n.  173,  recante
«Regolamento recante modalita' e criteri tecnici per l'autorizzazione
all'immersione in mare dei materiali di escavo di  fondali  marini»).
La «inoperativita' della procedura  autorizzatoria  di  dragaggio  in
mare ex art. 109 del  d.lgs.  n.  152  del  2006»  determinerebbe  la
violazione di norme adottate dallo Stato nell'esercizio della propria
competenza in materia di «tutela dell'ambiente»  e  che  vanno  anche
qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale, nel
caso in cui si voglia ricondurre la norma impugnata  alla  competenza
statutaria in materia di «lavori pubblici di interesse regionale». 
    Nel proprio atto di  costituzione,  la  Regione  osserva  che  la
disposizione in questione non  ha  il  significato  attribuitole  dal
ricorrente.  Essa  mirerebbe   a   introdurre   una   semplificazione
procedurale per gli interventi di dragaggio manutentivi, per i  quali
«non  si  richiede  piu'  la  previa  conformita'  ad  un   programma
precostituito», mentre non avrebbe  affatto  l'intento  di  estendere
l'ambito oggettivo della disciplina, includendo anche gli  interventi
di dragaggio in mare. 
    5.- Nel quinto motivo il ricorrente impugna l'art. 16,  comma  1,
della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  3  del   2018.   Tale
disposizione stabilisce che «l'attingimento di acque  superficiali  a
mezzo di dispositivi fissi di cui all'articolo  40,  comma  2,  della
legge regionale 11/2015, esistenti alla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge, e'  soggetto  ad  autorizzazione  in  sanatoria
rilasciata dal Comune, previa presentazione dell'istanza di sanatoria
entro il 31 dicembre 2018. In tal caso non  si  applica  la  sanzione
prevista dall'articolo 56, comma 12, della legge regionale  11/2015».
L'art. 40, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11  del
2015 dispone che «[l]'attingimento di  acque  superficiali,  in  zona
montana, a mezzo di dispositivi fissi e' autorizzato dai Comuni,  per
la durata massima di cinque anni, per  prelievi  non  superiori  a  2
litri al secondo, alle condizioni di cui al comma  1,  quando  e'  al
servizio di: a) rifugi  alpini  o  malghe;  b)  edifici  isolati  non
adibiti   ad   attivita'   economiche   e    privi    di    strutture
acquedottistiche». 
    Secondo il ricorrente, la norma impugnata  contrasta  con  l'art.
96, comma 6, del cod. ambiente, «che limita la sanatoria  al  periodo
precedente il 30 giugno 2006, ritenendo i casi di abusiva derivazione
o utilizzazione di acque commessi nel periodo successivo sanzionabili
a mente dell'art. 17, comma 3, del RD 1775 del 1933», con conseguente
invasione   della   competenza   statale   in   materia   di   tutela
dell'ambiente. A sostegno dell'applicabilita' dell'art. 117,  secondo
comma,  lettera  s),  Cost.  alla   Regione   a   statuto   speciale,
l'Avvocatura riproduce l'argomentazione gia' svolta nel primo  motivo
di ricorso. 
    La Regione replica che la  questione  sarebbe  inammissibile,  in
quanto basata sull'invocazione del Titolo V della parte seconda della
Costituzione operata allo scopo di restringere, e non di ampliare, la
sfera di competenza risultante dallo Statuto. Secondo la  resistente,
la specifica  competenza  statutaria  della  Regione  in  materia  di
utilizzazione  delle  acque  pubbliche  sarebbe  limitabile  solo  da
principi fondamentali della  materia,  nel  caso  di  specie  neppure
invocati. 
    La Regione precisa poi che  la  sanatoria  prevista  dalla  norma
impugnata si riferisce  ad  un  caso  ben  delimitato:  quello  delle
piccole derivazioni in zona montana. Secondo la resistente, l'art. 96
cod. ambiente, che ha previsto una  sanatoria  generalizzata  per  il
periodo precedente il 30 giugno 2006, non dovrebbe essere inteso come
preclusivo della possibilita' per una regione ad autonomia  speciale,
dotata di competenza statutaria in materia di utilizzazione di  acque
pubbliche,   di   attuare   una   propria    politica,    «esonerando
temporaneamente dalla repressione  situazioni  meritevoli,  per  fini
corrispondenti all'interesse pubblico». Secondo  la  Regione,  l'art.
40, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  11  del  2015
considera insediamenti «che o costituiscono essi stessi  un  servizio
reso alla  comunita'»  (rifugi  alpini  e  malghe)  «o  costituiscono
comunque il presidio umano di territori difficili» («edifici  isolati
non  adibiti  ad  attivita'   economiche   e   privi   di   strutture
acquedottistiche»). In tali situazioni, il prelievo  non  autorizzato
di piccole quantita' d'acqua avrebbe un disvalore limitato. La  norma
di sanatoria impugnata avrebbe dunque la  funzione  di  tutela  delle
zone montane, in attuazione dell'art. 44, secondo comma, Cost. 
    Essa  produrrebbe  effetti   positivi,   inserendo   le   piccole
derivazioni    montane    abusive,     difficilmente     conoscibili,
nell'ordinario sistema autorizzatorio, che ne consente la  conoscenza
ed il  controllo;  infatti,  l'autorizzazione  in  sanatoria  sarebbe
rilasciata a condizione che siano rispettate le  rigorose  condizioni
di cui all'art. 40 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  11  del
2015. 
    6.- Il 12 marzo 2019 sia l'Avvocatura generale dello Stato che la
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  hanno  depositato  memorie
integrative, ribadendo gli  argomenti  a  sostegno  delle  rispettive
posizioni. 
    In particolare, con riferimento alla prima questione, la  Regione
precisa   di   averne   eccepito   l'inammissibilita',   in    quanto
l'argomentazione  del  ricorrente  implicherebbe  un'applicazione  in
malam partem del Titolo V della parte seconda della Costituzione. 
    In relazione alla seconda questione, concernente la maggiorazione
del canone demaniale, la resistente segnala  che  entrambe  le  norme
statali invocate come parametro interposto nel ricorso (cioe'  l'art.
37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e l'art. 12,  comma  8-bis,  del
d.lgs. n. 79 del 1999) sono state abrogate  dall'art.  11-quater  del
decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.  135  (Disposizioni  urgenti  in
materia di sostegno  e  semplificazione  per  le  imprese  e  per  la
pubblica amministrazione ), introdotto dalla legge di conversione  11
febbraio 2019, n. 12. Tale disposizione ha inoltre modificato  l'art.
12 del d.lgs. n. 79 del 1999, dettando una nuova disciplina  «che  va
precisamente nella direzione anticipata dalla Regione  Friuli-Venezia
Giulia» con la norma impugnata. 
    In relazione alla quarta questione, concernente le operazioni  di
dragaggio, la Regione osserva che la norma impugnata non ha esteso le
operazioni di dragaggio al mare e che, comunque, l'art. 6 della legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017 fa salve le  autorizzazioni
richieste  dalle  norme  di  tutela  ambientale  per  l'utilizzo  dei
materiali frutto dell'escavazione: il che escluderebbe la  violazione
dell'art. 109 cod. ambiente. 
    In relazione alla quinta questione, la  Regione  osserva  che,  a
differenza  dei  condoni  occasionati  da  esigenze   finanziarie   o
dall'adozione  di  una  nuova  disciplina,  la   sanatoria   prevista
dall'art. 16 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  3  del  2018
sarebbe «funzionale alle esigenze conoscitive e gestorie proprie  del
settore», in collegamento con il  Piano  regionale  di  tutela  delle
acque approvato con decreto del Presidente  della  Regione  20  marzo
2018, n. 74,  attuando  l'interesse  «alla  massima  regolarizzazione
delle situazioni di prelievo idrico». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  impugna  cinque
disposizioni della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
6 febbraio 2018, n. 3 (Norme  urgenti  in  materia  di  ambiente,  di
energia, di infrastrutture e di contabilita'). 
    La prima disposizione censurata e' l'art. 4, comma 1, lettera p),
che modifica l'art. 36 della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  29
aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica  in  materia  di  difesa  del
suolo e di utilizzazione delle acque), inserendo in esso  i  seguenti
commi 7-bis e 7-ter: «7-bis.  Qualora  sul  territorio  regionale  si
configuri una situazione  di  deficit  idrico,  il  Presidente  della
Regione, sulla base dei dati  rilevati  e  di  quelli  forniti  dalla
Direzione centrale competente in materia  di  risorse  agricole,  con
decreto di cui e' data pubblicazione  sul  sito  istituzionale  della
Regione, in via d'urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica;
b) individua le riduzioni  temporanee  del  deflusso  minimo  vitale,
commisurate all'entita'  del  deficit  idrico.  7-ter.  Le  riduzioni
temporanee di cui al comma  7-bis,  lettera  b),  si  applicano  alle
derivazioni d'acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo  i  corsi
d'acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre,  Meduna,
Cellina e Judrio». 
    Secondo il ricorrente, l'art. 4, comma 1, lettera p), attribuendo
al Presidente della Regione il potere di  individuare  «le  riduzioni
temporanee del deflusso minimo vitale», in caso  di  deficit  idrico,
violerebbe l'art. 95, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in  materia  ambientale),  norma  adottata  «in  virtu'
dell'art. 117, comma secondo,  lett.  s),  Cost.,  con  finalita'  di
"tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", e in virtu' dell'art.  118,
primo comma, Cost., per cui le funzioni amministrative  de  quo  sono
attribuite alle Autorita' di bacino». L'art. 95, comma 4,  stabilisce
che, «[s]alvo quanto previsto al comma 5,  tutte  le  derivazioni  di
acqua comunque in atto alla data di entrata  in  vigore  della  parte
terza del presente decreto sono  regolate  dall'Autorita'  concedente
mediante la  previsione  di  rilasci  volti  a  garantire  il  minimo
deflusso vitale nei corpi idrici, come  definito  secondo  i  criteri
adottati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio  e
del mare con  apposito  decreto,  previa  intesa  con  la  Conferenza
Stato-regioni, senza che cio' possa dar luogo alla corresponsione  di
indennizzi da parte della pubblica amministrazione,  fatta  salva  la
relativa riduzione del canone demaniale di concessione». 
    La seconda disposizione impugnata e' l'art. 4, comma  1,  lettera
w), della legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  3  del  2018,  che
introduce nell'art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  11
del 2015 il comma 3-bis.  Tale  norma  stabilisce  che  «[i]l  canone
demaniale previsto dal decreto di cui al comma 1 e'  aumentato  nella
misura  di  40  euro  per  kW  nei  casi  in  cui  l'esercizio  delle
concessioni di derivazione  d'acqua,  ferme  restando  le  condizioni
stabilite dalle vigenti normative e dal disciplinare di  concessione,
sia prorogato ai sensi dell'articolo 12,  comma  8-bis,  del  decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE
recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica)». 
    Secondo il ricorrente, la norma censurata violerebbe  i  principi
di ragionevolezza, parita' di trattamento e tutela della concorrenza,
in quanto la previsione della maggiorazione  del  canone  inciderebbe
negativamente sui gestori  operanti  in  Friuli-Venezia  Giulia,  con
conseguente violazione degli articoli 3, 97  e  117,  secondo  comma,
lettera e), della Costituzione. 
    Inoltre, la maggiorazione del canone si porrebbe in contrasto con
l'art. 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n.  79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica), e con l'art.  37,  comma  7,
del decreto-legge 22 giugno  2012,  n.  83  (Misure  urgenti  per  la
crescita del Paese), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  7
agosto  2012,  n.  134,  norme  riconducibili  alla   «tutela   della
concorrenza». 
    L'art. 12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del  1999  dispone  che,
«[q]ualora alla data di scadenza di una concessione  non  sia  ancora
concluso   il   procedimento   per   l'individuazione    del    nuovo
concessionario, il concessionario  uscente  proseguira'  la  gestione
della derivazione, fino al subentro dell'aggiudicatario  della  gara,
alle stesse condizioni stabilite dalle normative e  dal  disciplinare
di concessione vigenti». Dal canto suo, l'art. 37, comma 7, del  d.l.
n. 83 del 2012 stabilisce che, «[a]l fine di  assicurare  un'omogenea
disciplina sul territorio nazionale delle  attivita'  di  generazione
idroelettrica e parita' di trattamento tra gli  operatori  economici,
con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa  intesa  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento  e  di  Bolzano,  sono  stabiliti  i
criteri  generali  per  la  determinazione,   secondo   principi   di
economicita' e ragionevolezza, da  parte  delle  regioni,  di  valori
massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico». 
    Nel terzo motivo di  ricorso  il  ricorrente  impugna  l'art.  14
(Disposizioni sugli impianti di distribuzione dei  carburanti)  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3  del  2018.  Tale  disposizione
stabilisce che, «[p]er le finalita' di cui all'articolo 42, comma  6,
della legge regionale 19/2012,  sono  considerati  in  condizioni  di
incompatibilita' territoriale o di inidoneita' tecnica  gli  impianti
di distribuzione dei carburanti  che  non  presentino  al  Comune  il
programma di adeguamento o di chiusura dell'impianto entro  due  anni
dalla data di entrata in vigore della  presente  legge».  L'art.  42,
comma 6, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre  2012,  n.
19 (Norme in materia di  energia  e  distribuzione  dei  carburanti),
prevede  che,  dopo  che  il  comune  ha  accertato  fattispecie   di
incompatibilita'  territoriale  ovvero  condizioni   di   inidoneita'
tecnica,  invitando  il  titolare  dell'impianto  a   presentare   un
programma di adeguamento, ovvero un programma di chiusura e rimozione
dell'impianto, entro il termine  massimo  di  sessanta  giorni  dalla
comunicazione (art. 42, comma 4), «[q]ualora  il  programma  non  sia
presentato entro il termine previsto il Comune dichiara la  decadenza
del provvedimento autorizzativo disponendo la chiusura e la rimozione
dell'impianto». 
    Secondo il ricorrente, l'art. 14 violerebbe  la  legge  4  agosto
2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), «che ha
introdotto disposizioni in materia di incompatibilita' degli impianti
di distribuzione dei carburanti (art. 1, commi da  100  a  119),  con
valenza di norme in materia di concorrenza e di sicurezza  stradale»,
e in particolare il comma 102, che «fissa  i  tempi  dell'adeguamento
con  modalita'  differenti  e  piu'  stringenti  sotto   il   profilo
temporale, benche' prorogati» con l'art. 1, comma 1132,  della  legge
27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per
l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2018-2020). 
    La quarta disposizione impugnata e' l'art. 15  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018. Essa modifica l'art. 6, comma 1,
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 21 luglio 2017, n. 29  (Misure
per lo sviluppo del sistema territoriale regionale nonche' interventi
di   semplificazione   dell'ordinamento   regionale   nelle   materie
dell'edilizia e infrastrutture, portualita'  regionale  e  trasporti,
urbanistica e lavori  pubblici,  paesaggio  e  biodiversita'):  prima
della modifica tale norma stabiliva che,  «[p]er  gli  interventi  di
dragaggio manutentivi,  coerenti  con  le  previsioni  del  programma
d'intervento di cui all'articolo 4, da attuare nei canali e nelle vie
di  navigazione  interna  appartenenti  al  demanio   regionale   che
risultano finalizzati al ripristino delle preesistenti condizioni  di
navigabilita'  in  sicurezza,   le   procedure   autorizzative   sono
circoscritte alla sola acquisizione  delle  verifiche  e  dei  pareri
necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel  rispetto
della  vigente  normativa  di  valenza   ambientale   e   sanitaria».
L'impugnato art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  3  del
2018  ha  soppresso  l'inciso  «,  coerenti  con  le  previsioni  del
programma d'intervento di cui all'articolo 4, da attuare nei canali e
nelle vie di navigazione interna appartenenti al demanio  regionale»,
per cui ora l'art. 6, comma 1, della legge reg. Fiuli-Venezia  Giulia
n. 29 del 2017  dispone  che,  «[p]er  gli  interventi  di  dragaggio
manutentivi   che   risultano   finalizzati   al   ripristino   delle
preesistenti condizioni di navigabilita' in sicurezza,  le  procedure
autorizzative  sono  circoscritte  alla   sola   acquisizione   delle
verifiche e dei pareri necessari al conferimento e al riutilizzo  dei
materiali nel rispetto della vigente normativa di valenza  ambientale
e sanitaria». 
    Secondo il ricorrente,  l'art.  15  violerebbe  l'art.  109  cod.
ambiente e l'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  in  quanto
avrebbe esteso la procedura semplificata prevista dall'art.  6  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017 - prima limitata agli
interventi  di  dragaggio  manutentivo  da  attuare  nelle   vie   di
navigazione interna - a quelli da effettuare in mare. 
    Nel quinto motivo il ricorrente impugna l'art. 16, comma 1, della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3  del  2018.  Tale  disposizione
stabilisce che «[l]'attingimento di acque  superficiali  a  mezzo  di
dispositivi fissi di  cui  all'articolo  40,  comma  2,  della  legge
regionale 11/2015, esistenti alla data di  entrata  in  vigore  della
presente legge, e' soggetto ad autorizzazione in sanatoria rilasciata
dal Comune, previa presentazione dell'istanza di sanatoria  entro  il
31 dicembre 2018. In tal caso non si  applica  la  sanzione  prevista
dall'articolo 56, comma 12, della legge  regionale  11/2015».  L'art.
40, comma 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  11  del  2015
dispone che «[l]'attingimento di acque superficiali, in zona montana,
a mezzo di dispositivi fissi e' autorizzato dai Comuni, per la durata
massima di cinque anni, per prelievi  non  superiori  a  2  litri  al
secondo, alle condizioni di cui al comma 1, quando e' al servizio di:
a) rifugi  alpini  o  malghe;  b)  edifici  isolati  non  adibiti  ad
attivita' economiche e privi di strutture acquedottistiche». 
    Secondo il ricorrente,  l'art.  16,  comma  1,  introducendo  una
sanatoria per le piccole derivazioni montane, violerebbe  l'art.  96,
comma  6,  cod.  ambiente,  «che  limita  la  sanatoria  al   periodo
precedente il  30  giugno  2006»,  con  conseguente  invasione  della
competenza statale in materia di tutela dell'ambiente. 
    2.- La prima e la quinta questione,  riguardanti  rispettivamente
l'art. 4, comma 1, lettera p), e l'art. 16, comma 1, della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, sono inammissibili. 
    Questa Corte ha costantemente affermato che,  qualora  sorga  una
questione di legittimita' costituzionale in relazione a una legge  di
una regione ad autonomia speciale per l'asserita  violazione  di  una
norma del  Titolo  V  della  parte  seconda  della  Costituzione,  il
Presidente del Consiglio dei ministri (o il  giudice  rimettente)  ha
l'onere di spiegare perche' alla  regione  speciale  dovrebbe  essere
applicato il Titolo V e non lo statuto speciale (ad esempio, sentenze
n. 134 del 2018, n. 52 del 2017 e n. 238 del 2007, ordinanza  n.  247
del 2016). In particolare, e' stata sottolineata  la  necessita'  che
siano indicate  «le  ragioni  per  le  quali  il  parametro  invocato
garantirebbe una maggiore autonomia della Regione e sarebbe, percio',
applicabile in luogo di quelli statutari» (sentenza n. 151 del  2017;
nello stesso senso, ordinanza n. 250 del 2007), in  attuazione  della
cosiddetta clausola di maggior favore  contenuta  all'art.  10  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche  al  Titolo  V
della  parte  seconda  della  Costituzione),  secondo  cui,   «[s]ino
all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti,  le   disposizioni   della
presente legge costituzionale  si  applicano  anche  alle  Regioni  a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per
le parti in cui prevedono forme di autonomia piu'  ampie  rispetto  a
quelle gia' attribuite». 
    Ai fini appena indicati, la motivazione contenuta nel primo e nel
quinto motivo di  ricorso  e'  insufficiente.  Nel  primo  motivo  il
ricorrente si limita a ricordare  che  l'art.  5,  numero  14,  dello
Statuto  speciale  riconosce  alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia  competenza  legislativa  concorrente  nella   materia   delle
derivazioni d'acqua pubblica, ma che, poiche'  esse  rientrano  nella
potesta' legislativa  residuale  delle  regioni  ordinarie  ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost., opererebbe la clausola di maggior
favore  sopra  ricordata;  da  cio'  discenderebbe  «quale  ulteriore
conseguenza l'applicazione del regime ordinario anche in  riferimento
ai limiti che trova la potesta' legislativa regionale in materia». Di
simile tenore e ugualmente succinta e' l'argomentazione della  quinta
questione,  relativa  all'art.  16,  comma  1,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018. Per questa via, l'art. 95, comma
4, e l'art. 96, comma 6, cod. ambiente (invocati rispettivamente  nel
primo e nel quinto motivo di ricorso) sarebbero cogenti anche per  le
regioni speciali. Con la conseguenza che  le  disposizioni  impugnate
violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (e,  quanto
al primo motivo, anche l'art. 118, primo comma, Cost.). 
    Il ricorrente non erra  quando  presuppone  che  non  si  possano
meccanicamente  separare  le  norme  del  Titolo  V  attributive   di
autonomia  alle  regioni  da  quelle  che  completano  lo   "statuto"
regolativo di una certa  funzione,  quali  possono  essere  le  norme
dell'art. 117, secondo comma, Cost., che  riservano  alla  competenza
esclusiva dello Stato determinate materie "trasversali", o  dell'art.
118 Cost., in materia di allocazione delle  funzioni  amministrative.
E' a tale complessivo statuto di ciascuna specifica funzione  che  si
deve fare riferimento anche quando si tratti di applicare  l'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001, come questa Corte ha gia'  chiarito,
affermando che  «le  disposizioni  della  legge  appena  citata  sono
destinate a prevalere sugli statuti  speciali  di  autonomia  e  sono
evocabili "solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu'
ampie  di  quelle  gia'  attribuite  e  non  per   restringerle,   da
considerarsi (per la singola Provincia autonoma o  Regione  speciale)
in modo unitario nella materia o  funzione  amministrativa  presa  in
considerazione" (sentenza n. 103 del  2003)»  (sentenza  n.  255  del
2014). 
    Tutto cio' comporta tuttavia che,  come  correttamente  osservato
dalla difesa della Regione resistente, condizione per  l'applicazione
del Titolo V alla regione speciale sia un risultato  complessivamente
favorevole per la sua autonomia del raffronto  fra  il  regime  della
funzione,  cosi'  definito,  in  base  allo  stesso  Titolo  V  e  la
parallela,  a  sua  volta  complessiva,  disciplina  della   funzione
risultante dallo statuto speciale. La clausola di maggior  favore  di
cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, se  importa  che  le
autonomie speciali non restino private  delle  piu'  ampie  forme  di
autonomia concesse alle regioni ordinarie con la  riforma  del  2001,
non puo' a maggior ragione comportare che l'effetto dell'applicazione
del  Titolo  V  si  risolva,  di  per   se',   in   una   restrizione
dell'autonomia della regione speciale. 
    Della descritta comparazione di regimi, delle sue ragioni  e  dei
suoi esiti, deve essere dato conto da  chi  intenda  farne  valere  i
risultati al fine di contestare la legittimita' costituzionale di una
disposizione di legge - sia da parte dello Stato che da  parte  della
Regione - come e' nel caso in esame. 
    Di  tale  raffronto,  delle  ragioni  dell'assunta   piu'   ampia
autonomia garantita  in  applicazione  di  un  regime  piuttosto  che
dell'altro, non vi e' traccia nel ricorso  statale  contro  la  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Il ricorrente si limita
ad affermare che l'applicazione dell'art. 117, quarto  comma,  Cost.,
norma  assunta  come  piu'  favorevole,  "trascina"  con  se'  quella
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e (quanto al primo  motivo)
dell'art. 118, primo comma, Cost., senza illustrare in alcun modo  la
maggiore  autonomia  che  il  "regime"  complessivo  del   Titolo   V
implicherebbe a favore della Regione, alla luce di  una  comparazione
con quello previsto  nello  Statuto  speciale  della  resistente.  In
conclusione  la  prima  e  la  quinta   questione   di   legittimita'
costituzionale proposte sono inammissibili  per  insufficienza  della
motivazione. 
    3.- Il secondo motivo di ricorso  concerne  l'art.  4,  comma  1,
lettera w), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che
introduce il comma 3-bis nell'art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 11  del  2015,  prevedendo  una  maggiorazione  del  canone
demaniale  «nei  casi  in  cui  l'esercizio  delle   concessioni   di
derivazione d'acqua [...] sia prorogato ai  sensi  dell'articolo  12,
comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79». 
    E' innanzitutto inammissibile per difetto assoluto di motivazione
la censura di violazione del principio di ragionevolezza e  dell'art.
97 Cost., giacche' il ricorrente omette di indicare alcun argomento a
sostegno del preteso contrasto tra la norma impugnata e  i  parametri
evocati (ex multis, sentenze n. 16 del 2019, n.  219  e  n.  210  del
2018). 
    3.1.- Il ricorrente lamenta poi la violazione  del  principio  di
parita' di trattamento nonche' di due norme legislative statali (art.
12, comma 8-bis, del d.lgs. n. 79 del 1999 e art. 37,  comma  7,  del
d.l. n. 83 del  2012)  assunte  come  parametri  interposti,  con  la
conseguenza che sarebbe invasa la  competenza  esclusiva  statale  in
materia di «tutela  della  concorrenza»  (art.  117,  secondo  comma,
lettera e, Cost.) 
    Le questioni non sono fondate. 
    Si  deve  preliminarmente  osservare  che  il   ricorrente,   pur
prendendo in considerazione la  competenza  regionale  statutaria  in
materia di demanio idrico, invoca l'art. 117, secondo comma,  lettera
e), Cost, facendo valere cosi' una competenza esclusiva  statale  che
non trova corrispondenza nello Statuto. Sicche', pur  in  assenza  di
eccezioni sul punto della Regione, va precisato che  in  questo  caso
uno scrutinio  alla  luce  delle  norme  statutarie  risulta  inutile
(sentenze n. 103 del 2017, n. 61 del 2009 e n. 391 del 2006). 
    La censura di disparita' di trattamento - tra i gestori  operanti
nel Friuli-Venezia Giulia e quelli di  altre  regioni  -  contraddice
l'esistenza stessa  dell'autonomia  legislativa  regionale,  come  ha
ribadito questa Corte trattando un'analoga  questione  sollevata  con
riferimento  a  una  legge  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta:
«accertato  che  la  Regione  [...]  ha  operato  nell'ambito   delle
competenze  a  essa  spettanti,  e'  sufficiente  osservare  che  "il
riconoscimento stesso  della  competenza  legislativa  della  Regione
comporta  l'eventualita',  legittima   alla   stregua   del   sistema
costituzionale, di una disciplina divergente da  regione  a  regione,
nei limiti dell'art. 117 della Costituzione (v. sentenza n.  447  del
1988)" (sentenza n.  277  del  1995,  punto  6.  del  Considerato  in
diritto)» (sentenza n. 241 del 2018; nello stesso senso, sentenza  n.
84 del 2019). 
    Occorre dunque stabilire se la maggiorazione del canone demaniale
si ponga in contrasto con i  parametri  interposti  evocati,  con  la
conseguenza di un'invasione della competenza statale  in  materia  di
«tutela della concorrenza». Questa Corte ha  gia'  esaminato  in  due
occasioni norme regionali contemplanti una maggiorazione  del  canone
in caso di prosecuzione temporanea  della  concessione,  senza  pero'
giungere ad una pronuncia sulla fondatezza della  relativa  questione
(sentenze n. 175 del 2017 e n. 101 del 2016). 
    3.2.- In primo luogo, si deve osservare  che  entrambe  le  norme
statali  invocate  come  parametro  interposto  sono  state  abrogate
dall'art. 11-quater  del  decreto-legge  14  dicembre  2018,  n.  135
(Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le
imprese e per la pubblica amministrazione ), introdotto  dalla  legge
di conversione 11 febbraio 2019, n. 12. L'art. 12, comma  8-bis,  del
d.lgs. n. 79 del 1999 e' stato abrogato dall'art. 11-quater, comma 1,
lettera b), mentre l'art. 37, comma 7, del d.l. n.  83  del  2012  e'
stato abrogato dall'art. 11-quater, comma 1, lettera c), del d.l.  n.
135 del 2018. 
    Oltre ad abrogare l'art. 12, comma 8-bis, la legge di conversione
n. 12 del 2019 ha modificato in modo rilevante l'intero art.  12  del
d. lgs. n. 79 del 1999,  introducendo,  fra  le  altre,  le  seguenti
norme:  «1-sexies.  Per  le   concessioni   di   grandi   derivazioni
idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore  al  31
dicembre 2023, ivi incluse quelle gia' scadute, le  regioni  che  non
abbiano gia' provveduto disciplinano con legge, entro un  anno  dalla
data di entrata in vigore della presente disposizione e comunque  non
oltre  il  31  marzo  2020,   le   modalita',   le   condizioni,   la
quantificazione dei corrispettivi aggiuntivi e  gli  eventuali  altri
oneri conseguenti,  a  carico  del  concessionario  uscente,  per  la
prosecuzione, per conto delle regioni  stesse,  dell'esercizio  delle
derivazioni, delle opere e degli impianti  oltre  la  scadenza  della
concessione  e  per  il  tempo  necessario  al  completamento   delle
procedure di assegnazione e comunque non oltre il 31  dicembre  2023.
1-septies. Fino all'assegnazione della concessione, il concessionario
scaduto e' tenuto a fornire,  su  richiesta  della  regione,  energia
nella misura e con le modalita' previste dal comma  1-quinquies  e  a
riversare alla regione  un  canone  aggiuntivo,  rispetto  al  canone
demaniale, da corrispondere per l'esercizio degli impianti nelle more
dell'assegnazione; tale canone aggiuntivo e' destinato per un importo
non  inferiore  al  60  per  cento  alle  province  e   alle   citta'
metropolitane il cui territorio e' interessato dalle derivazioni. Con
decreto del Ministro dello  sviluppo  economico,  sentita  l'ARERA  e
previo parere della Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono
determinati il valore minimo della componente fissa del canone di cui
al comma 1-quinquies e il valore minimo del canone aggiuntivo di  cui
al precedente periodo; in caso di mancata adozione del decreto  entro
il termine di centottanta giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore
della presente disposizione, fermi restando i criteri di ripartizione
di cui al presente comma e al comma 1-quinquies, le  regioni  possono
determinare l'importo dei canoni di  cui  al  periodo  precedente  in
misura non inferiore a 30 euro per la componente fissa del canone e a
20 euro per il canone aggiuntivo per  ogni  kW  di  potenza  nominale
media di concessione per ogni annualita'. 1-octies. Sono fatte  salve
le competenze delle regioni  a  statuto  speciale  e  delle  province
autonome di Trento e di Bolzano ai sensi  dei  rispettivi  statuti  e
delle relative norme di attuazione». 
    Non solo, dunque, la nuova disciplina  statale  segue  la  stessa
impostazione adottata dalla norma regionale impugnata, prevedendo  un
canone aggiuntivo  a  carico  del  concessionario  uscente,  dopo  la
scadenza  della  concessione  e  nelle  more   della   procedura   di
assegnazione, ma essa precisa segnatamente, al  comma  1-sexies,  che
tale corrispettivo aggiuntivo e' disciplinato dalle «regioni che  non
abbiano gia' provveduto». E' percio' lo stesso legislatore statale  a
presupporre che talune regioni  possano  avere  gia'  adottato  norme
contemplanti un canone aggiuntivo e  che  tali  norme  continuino  ad
operare. 
    3.3.- In ogni caso, questa Corte ha piu' volte precisato che  «la
determinazione e la quantificazione  della  misura  di  detti  canoni
[idroelettrici] devono essere ricondotte alla competenza  legislativa
concorrente in materia  di  "produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia", di cui  all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.
(sentenze n. 158 del 2016, n.  85  e  n.  64  del  2014).  Mentre  e'
ascrivibile alla "tutela della concorrenza", di competenza  esclusiva
statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,  la
disciplina di cui all'art. 37, comma 7, del decreto-legge n.  83  del
2012, ovvero la definizione, con decreto ministeriale,  dei  "criteri
generali" che condizionano la determinazione, da parte delle Regioni,
dei valori massimi dei canoni (sentenze n. 158 del 2016 e n.  28  del
2014)» (sentenza n. 59 del 2017). Questa Corte ha  altresi'  chiarito
che «in assenza del suddetto decreto [...] [l]e Regioni  [...]  hanno
attualmente titolo, nell'ambito della  propria  competenza  ai  sensi
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,   a   determinare   i   canoni
idroelettrici  nel  rispetto  del   principio   fondamentale   "della
onerosita' della concessione e della proporzionalita' del canone alla
entita' dello sfruttamento  della  risorsa  pubblica  e  all'utilita'
economica che il concessionario ne ricava" (sentenza n. 158 del 2016;
nello stesso senso, sentenza n. 64 del 2014), nonche' dei principi di
economicita' e ragionevolezza, previsti  espressamente  dallo  stesso
art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 e condizionanti l'esercizio
della competenza regionale gia' prima della definizione  con  decreto
ministeriale  dei  criteri  generali  (sentenza  n.  158  del  2016)»
(sentenza n. 59 del 2017). 
    Poiche' il ricorrente impugna la norma  regionale  per  invasione
della competenza statale in materia di «tutela della concorrenza»,  e
non  per  violazione  di  un  principio  fondamentale  nella  materia
dell'energia, e' dunque necessario verificare se l'art. 4,  comma  1,
lettera w), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che
introduce il comma 3-bis nell'art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 11 del 2015, si limita a quantificare il canone demaniale o
se invece definisce i criteri  generali  per  la  determinazione  dei
canoni (sentenze n. 59 del 2017 e n. 158 del 2016).  Come  visto,  la
norma  regionale  prevede  una  puntuale  maggiorazione  del  canone,
sicche'  si  deve  concludere  che  essa  non  invade  la  competenza
esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza». 
    4.- La terza questione, concernente l'art. 14  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3  del  2018,  in  materia  di  impianti  di
distribuzione dei carburanti, e' fondata. 
    4.1.- In primo luogo, e' da rilevare che, sebbene l'epigrafe e la
conclusione del terzo motivo  di  impugnazione  facciano  riferimento
solo  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera   e),   Cost.,   nello
svolgimento del motivo e'  richiamata  anche  la  competenza  statale
esclusiva in  materia  di  sicurezza,  alla  quale  (oltre  che  alla
concorrenza)  vanno  ricondotte  le  norme  statali   invocate   come
parametro interposto. In base al complesso della  motivazione  e'  da
considerare  dunque  implicitamente  richiamato  anche  l'art.   117,
secondo  comma,  lettera  h),  Cost.,  che  attribuisce  allo   Stato
competenza esclusiva in materia di sicurezza. 
    4.2.-   In   secondo   luogo,   va   respinta   l'eccezione    di
inammissibilita' per genericita', sollevata dalla  difesa  regionale.
Il ricorso richiama specificamente l'art. 1, comma 102, della  l.  n.
124 del 2017 e,  benche'  non  precisi  quale  sia  il  termine  piu'
stringente fissato da questa disposizione, tale termine e' facilmente
individuabile, anche tenuto conto del fatto che l'Avvocatura menziona
a sua volta la norma che lo ha modificato (art. 1, comma 1132,  della
legge n. 205 del 2017).  La  difformita'  censurata  nel  ricorso  e'
dunque  chiaramente  quella  tra  il  termine  di  dodici  mesi  (poi
prorogati  a  diciotto),  fissato  dal  citato  comma  102   per   il
completamento dell'adeguamento dell'impianto (termine decorrente  dal
29 agosto 2017, cioe' dall'entrata in vigore della legge n.  124  del
2017), e quello di due anni fissato dalla norma  regionale  impugnata
per la presentazione del programma di adeguamento (termine decorrente
dal 15 febbraio 2018, cioe' dall'entrata in vigore della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018). 
    4.3.- In terzo luogo, poiche' il ricorrente invoca, espressamente
o implicitamente, come  visto,  l'art.  117,  secondo  comma,  Cost.,
occorre  verificare   la   sufficienza   della   motivazione   quanto
all'applicazione  alla  resistente  di  disposizioni  relative   alle
regioni ordinarie. 
    Il ricorrente  qualifica  le  norme  legislative  invocate  quali
parametri interposti come «norme  in  materia  di  concorrenza  e  di
sicurezza stradale, materie rientranti nella  legislazione  esclusiva
statale, anche con riguardo alle disposizioni statutarie  regionali».
Non essendo ne' la concorrenza ne' la  sicurezza  materie  menzionate
nello Statuto speciale e non ricadendo per altro verso la  disciplina
dei distributori di carburanti in una materia  statutaria  (tanto  e'
vero che la  stessa  Regione  invoca  la  competenza  concorrente  in
materia di energia prevista all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.),  la
motivazione del ricorso risulta sufficiente,  benche'  stringata.  Da
quanto esposto a sostegno del motivo di impugnazione  emerge  infatti
con chiarezza l'inutilita' di uno scrutinio condotto alla luce  delle
norme statutarie (sentenze n. 103 del 2017, n. 61 del  2009,  n.  391
del 2006). 
    4.4.- Nel merito, sussiste la violazione dell'art. 1, comma  102,
della legge n. 124 del 2017 e dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
h), Cost., che attribuisce allo Stato competenza esclusiva in materia
di sicurezza. 
    La legge n. 124 del 2017 introduce «un'anagrafe degli impianti di
distribuzione di benzina, gasolio, GPL e metano della rete stradale e
autostradale» (art. 1, comma 100) e stabilisce che i  titolari  degli
impianti «hanno l'obbligo di iscrizione nell'anagrafe di cui al comma
100 del presente articolo entro trecentosessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge» (comma 101). 
    Contestualmente all'iscrizione nell'anagrafe,  i  titolari  degli
impianti devono presentare una dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorieta',  «attestante  che   l'impianto   di   distribuzione   dei
carburanti ricade ovvero non ricade, in  relazione  ai  soli  aspetti
attinenti alla sicurezza della circolazione stradale,  in  una  delle
fattispecie di incompatibilita'» di cui ai commi 112  e  113  e  alle
vigenti norme regionali, «ovvero che, pur ricadendo nelle fattispecie
di incompatibilita', si impegnano al loro adeguamento, da  completare
entro diciotto mesi dalla data di entrata in  vigore  della  presente
legge» (comma 102). 
    Qualora l'impianto di distribuzione dei carburanti  ricada  nelle
fattispecie di incompatibilita' di cui al comma 102  «e  il  titolare
non si impegni a  procedere  al  relativo  completo  adeguamento,  lo
stesso titolare cessa l'attivita'  di  vendita  di  carburanti  entro
quindici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge  e
provvede   allo   smantellamento   dell'impianto».   Contestualmente,
«l'amministrazione  competente  dichiara  la  decadenza  del   titolo
autorizzativo o concessorio relativo  allo  stesso  impianto»  (comma
103). 
    In sintesi, la disciplina statale prevede - a carico dei titolari
degli  impianti  di  distribuzione  di  carburanti  -  l'obbligo   di
iscrizione all'anagrafe entro agosto 2018. Prescrive inoltre che,  in
caso di impianti "incompatibili", il  titolare  o  si  impegna  -  al
momento dell'iscrizione - ad adeguare il proprio impianto (e  in  tal
caso l'adeguamento deve avvenire entro il 28 febbraio 2019)  o  cessa
dall'attivita' di vendita entro il 29 novembre 2018. 
    La norma regionale impugnata stabilisce invece che  il  programma
di adeguamento (non l'adeguamento) possa essere presentato entro  due
anni dall'entrata in vigore della stessa  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018, cioe' entro il  15  febbraio  2020.  E'  dunque
chiaro il contrasto con quanto stabilito dalla legge statale, con  la
conseguenza dell'illegittimita' della previsione regionale, in quanto
la disciplina statale, e segnatamente il comma 102 dell'art. 1  della
legge n. 124 del 2017, e' effettivamente riconducibile  alle  materie
di competenza esclusiva dello Stato richiamate dal ricorrente. 
    La  norma  statale  ora  indicata   richiede   ai   gestori   una
dichiarazione relativa «ai  soli  aspetti  attinenti  alla  sicurezza
della circolazione stradale» e rinvia ai successivi commi 112 e  113,
che contemplano situazioni di  incompatibilita'  degli  impianti  «in
relazione agli aspetti di  sicurezza  della  circolazione  stradale».
Quanto agli impianti ubicati all'interno  dei  centri  abitati,  sono
considerati incompatibili quelli «privi di sede propria per  i  quali
il rifornimento, tanto all'utenza quanto all'impianto stesso, avviene
sulla carreggiata», e quelli «situati all'interno di  aree  pedonali»
(comma 112), mentre  gli  impianti  ubicati  all'esterno  dei  centri
abitati   sono   considerati   incompatibili   se    «ricadenti    in
corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci  ad
Y) e ubicati sulla cuspide degli stessi, con accessi su  piu'  strade
pubbliche», se «ricadenti all'interno di curve aventi raggio minore o
uguale a metri cento, salvo si tratti di  unico  impianto  in  comuni
montani», e se «privi di sede propria per i  quali  il  rifornimento,
tanto  all'utenza   quanto   all'impianto   stesso,   avviene   sulla
carreggiata» (comma 113). 
    Il contesto della disciplina statale richiamata conferma  che  la
disposizione statale di riferimento (comma 102) ricade per oggetto  e
per finalita' nella materia della sicurezza stradale, alla quale deve
essere primariamente ricondotta, prevalendo  tale  sua  afferenza  su
quella  ad  altre  materie  alle  quali   secondariamente   il   tema
dell'adeguamento o della chiusura  degli  impianti  di  distribuzione
potrebbe essere ricondotto (come ad esempio «energia» e «governo  del
territorio»: sentenza n. 183 del 2012).  Ne  consegue  che  la  norma
stessa costituisce espressione della competenza esclusiva statale  in
materia di «sicurezza» di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
h), Cost.  (sull'attinenza  a  tale  materia  anche  della  sicurezza
stradale, da ultimo sentenza n. 5 del 2019). 
    4.5.- La questione riferita all'art. 117, secondo comma,  lettera
e), Cost. puo' essere dichiarata assorbita. 
    5.- La quarta questione, concernente l'art. 15 della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018,  in  materia  di  interventi  di
dragaggio manutentivi, non e' fondata. 
    Secondo il ricorrente, la norma impugnata, modificando l'art.  6,
comma 1, della legge reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  29  del  2017,
avrebbe esteso la procedura semplificata ivi prevista, prima limitata
agli interventi di dragaggio manutentivi  da  attuare  nelle  vie  di
navigazione interna, a quelli da effettuare in  mare,  in  violazione
dell'art. 109 cod. ambiente. 
    Precisato  che  gli  interventi  di  dragaggio  manutentivi  sono
«intesi quali operazioni di ripristino della sezione  originaria  del
canale» (art. 4, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.
29 del 2017), cioe' consistono in operazioni di scavo  che  hanno  lo
scopo di portare la profondita' del fondale al livello originario, la
questione risulta non fondata per  due  ragioni  concorrenti:  da  un
lato, non e' esatto cio' che afferma  il  ricorrente,  ossia  che  la
norma  impugnata  estende   genericamente   al   mare   l'ambito   di
applicazione dell'art. 6, comma 1, della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 29 del 2017; dall'altro lato, la norma stessa non contrasta
con l'art. 109 cod. ambiente. 
    Sotto il primo profilo, e' utile ricostruire il contesto  in  cui
il citato art. 6 si colloca. La disposizione e' contenuta nel capo  I
del Titolo II della legge regionale,  capo  intitolato  «Disposizioni
per la gestione manutentiva del demanio regionale navigabile». L'art.
2, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  29  del  2017
dispone che «[a]l fine di garantire la  sicurezza  della  navigazione
interna  e  la  salvaguardia  dell'ambiente   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia provvede [...] alla  gestione  manutentiva  del
sistema idroviario  appartenente  al  demanio  regionale  navigabile,
marittimo, lacuale e fluviale». L'art. 3,  comma  1,  stabilisce  che
«[f]anno parte  del  sistema  idroviario  e  costituiscono  beni  del
demanio regionale  navigabile  i  canali  e  le  vie  di  navigazione
interna, localizzati per la maggior parte  del  loro  sviluppo  nella
laguna di Marano e Grado». 
    Nonostante la modifica apportata dalla norma  impugnata  (che  ha
soppresso l'inciso  «,  coerenti  con  le  previsioni  del  programma
d'intervento di cui all'articolo 4, da attuare nei canali e nelle vie
di navigazione interna appartenenti al demanio regionale»), l'art. 6,
comma 1, della legge reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  29  del  2017,
inserito nel proprio contesto di riferimento, non puo' dunque  essere
ritenuto comprensivo anche degli interventi di dragaggio  manutentivi
da effettuare in mare, senza ulteriori specificazioni. 
    Il ricorrente sottolinea che la legge reg. Friuli-Venezia  Giulia
n. 29  del  2017  menziona  anche  il  demanio  regionale  navigabile
marittimo (art. 2, comma 2), ma nemmeno tali  riferimenti  avvalorano
la sua  tesi,  in  quanto  essi,  lungi  dall'estendere  al  mare  le
attribuzioni regionali, hanno ad oggetto  l'unico  demanio  marittimo
trasferito alla Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  ossia  la
laguna di Marano-Grado: art. 1, comma 2, del decreto  legislativo  25
maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della
regione Friuli-Venezia  Giulia  per  il  trasferimento  di  beni  del
demanio idrico e marittimo, nonche' di funzioni in materia di risorse
idriche e di difesa del suolo), e artt. 1, comma 1,  e  2,  comma  1,
della  legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  21  aprile  2017,  n.  10
(Disposizioni in materia di demanio  marittimo  regionale  e  demanio
stradale  regionale,  nonche'  modifiche  alla  legge  regionale   n.
17/2009, alla legge regionale n. 28/2002 e alla  legge  regionale  n.
22/2006). 
    Sotto il secondo profilo, l'art. 6, comma  1,  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 29 del 2017,  come  modificato  dalla  norma
impugnata,  non  contrasta  con  l'art.  109  cod.  ambiente.  Mentre
quest'ultimo riguarda l'«Immersione in mare di materiale derivante da
attivita' di escavo e attivita' di posa in mare di cavi e  condotte»,
la disposizione regionale fa riferimento agli interventi di dragaggio
manutentivi, per i quali stabilisce che «le  procedure  autorizzative
sono circoscritte alla sola acquisizione delle verifiche e dei pareri
necessari al conferimento e al riutilizzo dei materiali nel  rispetto
della vigente normativa di  valenza  ambientale  e  sanitaria».  Essa
precisa dunque espressamente che, per la fase successiva al dragaggio
(quella che si traduce nel  riutilizzo  del  materiale  scavato),  va
rispettata la vigente normativa di tutela ambientale.  Contrariamente
a quando assunto nel ricorso, dunque, la  norma  regionale  impugnata
non rende inoperante l'art. 109 cod. ambiente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  14  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6  febbraio  2018,
n.  3  (Norme  urgenti  in  materia  di  ambiente,  di  energia,   di
infrastrutture e di contabilita'); 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 1,  lettera  p)  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del  2018,  promossa  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 117, secondo comma,
lettera s), e 118, primo comma, della Costituzione,  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 3 del 2018,  promossa  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s)
Cost., con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera  w),  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del  2018,  promosse  dal  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  in  riferimento  all'art.  97  Cost.  e  al
principio di ragionevolezza, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera  w),  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del  2018,  promossa  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera  w),  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 3 del  2018,  promossa  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe; 
    7)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 15 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
3 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio  dei  ministri,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  con  il
ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA