N. 174 SENTENZA 22 maggio - 12 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico regionale - Trattamento economico e previdenziale  -
  Determinazione  dell'indennita'  di  buonuscita  -  Esclusione  dal
  computo, in virtu'  di  norma  di  interpretazione  autentica,  del
  servizio prestato con  rapporto  a  tempo  determinato  di  diritto
  privato. 
- Legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015,  n.  33
  (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), art. 7, commi
  28, 29 e 30. 
-   
(GU n.29 del 17-7-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,  commi
28, 29 e 30, della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  29
dicembre 2015, n.  33  (Legge  collegata  alla  manovra  di  bilancio
2016-2018), promosso dalla Corte d'appello di Trieste,  nel  giudizio
instaurato da Giovanni Bellarosa ed altri contro la Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 10 maggio 2018, iscritta  al
n. 151 del  registro  ordinanze  2018  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 43,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2018. 
    Visti gli atti di costituzione di Giovanni Bellarosa  e  altri  e
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nella udienza  pubblica  del  22  maggio  2019  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Alessandro  Tudor  per  Giovanni  Bellarosa  e
altri e Carlo Cester per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 maggio 2018,  iscritta  al  n.  151  del
registro ordinanze 2018, la Corte d'appello di Trieste ha  sollevato,
in riferimento a  molteplici  parametri,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 7, commi 28, 29  e  30,  della  legge  della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  29  dicembre  2015,  n.  33   (Legge
collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), dichiaratamente  volti
a offrire l'interpretazione autentica degli artt.  142  e  143  della
legge della Regione Friuli-Venezia  Giulia  31  agosto  1981,  n.  53
(Stato giuridico e trattamento economico del personale della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia). 
    Le disposizioni censurate  impedirebbero  di  valutare,  ai  fini
della  liquidazione  dell'indennita'  di  buonuscita,   il   servizio
«prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato». 
    1.1.-  Il  rimettente  espone  di  dovere  decidere  sull'appello
proposto da alcuni dirigenti dell'amministrazione regionale contro la
sentenza di primo grado, che ha respinto la domanda  di  liquidazione
di  una  indennita'  di  buonuscita  commisurata  anche  al  servizio
prestato con contratto a tempo determinato di diritto privato e  alla
retribuzione da ultimo percepita in forza di tale contratto. 
    In punto di rilevanza, la Corte d'appello  di  Trieste  argomenta
che  le  disposizioni  censurate,  applicabili  anche  ai  «pregressi
rapporti di lavoro» alla  luce  della  finalita'  interpretativa  che
dichiarano di perseguire,  precludono  l'accoglimento  delle  domande
proposte. 
    1.2.- La Corte rimettente denuncia, in primo luogo, la violazione
dell'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione. Il divieto di
computare, nell'indennita' di buonuscita,  il  servizio  dirigenziale
prestato con rapporto  di  lavoro  a  tempo  determinato  di  diritto
privato determinerebbe una  «possibile  irragionevole  diversita'  di
trattamento di un periodo, fra l'altro pregresso da anni,  di  lavoro
del tutto uguale», prestato dapprima in forza di un «lavoro in ruolo»
e poi per effetto di un incarico dirigenziale di diritto privato. 
    Sarebbe violato anche l'art. 35, primo comma, Cost.,  che  tutela
il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. I dirigenti, che pure
rientrano tra i lavoratori subordinati (art. 2095 del codice  civile)
e hanno sempre svolto la medesima attivita',  sarebbero  pregiudicati
per il solo fatto di averla svolta, a decorrere  dal  novembre  2002,
per  effetto  di  un  incarico  a  tempo  determinato,  nei   termini
disciplinati dall'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.
165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche). 
    La Corte rimettente assume che le  disposizioni  censurate  siano
inoltre lesive dell'art. 36,  primo  comma,  Cost.,  che  «tutela  ed
afferma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata a
qualita' e quantita' del lavoro». Nel caso di specie,  «il  T.F.R.  o
T.F.S.  degli  attori»,  che  pure  rappresenta  «un   accantonamento
retributivo a favore dei prestatori», sarebbe «decurtato  in  ragione
di un qualche nuovo e non ben delineato motivo». 
    Il giudice a quo  ravvisa  anche  un  contrasto  con  l'art.  38,
secondo e quarto comma, Cost. La tutela previdenziale e assistenziale
per la vecchiaia,  un  tempo  garantita  da  soggetti  pubblici  come
l'Istituto nazionale assistenza dipendenti  enti  locali  (INADEL)  e
l'Istituto nazionale di previdenza  e  assistenza  per  i  dipendenti
dell'amministrazione pubblica (INPDAP) e ancora  oggi  caratterizzata
da «metodo di contribuzione  e  funzione»  tipici  della  «previdenza
pubblica», non potrebbe essere compromessa  per  il  solo  fatto  del
«passaggio delle competenze ad altro soggetto». 
    Le disposizioni censurate si porrebbero in  conflitto  anche  con
l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La normativa di interpretazione autentica sarebbe intervenuta  «a
lite in parte gia' radicata da tempo»  su  disposizioni  «emanate  da
anni  ed  anni»,  in  assenza  di  incertezze  interpretative  e   in
difformita' rispetto alle previsioni della legge statale (art. 19 del
d.lgs. n. 165 del 2001)  e  regionale  (art.  12  della  legge  della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  17  febbraio  2004,  n.  4,  recante
«Riforma dell'ordinamento della dirigenza e della struttura operativa
della Regione Friuli Venezia Giulia. Modifiche alla  legge  regionale
1° marzo 1988, n. 7 e alla legge regionale  27  marzo  1996,  n.  18.
Norme concernenti le gestioni liquidatorie degli  enti  del  Servizio
sanitario regionale e il commissario straordinario  dell'ERSA»),  che
impongono di valutare ai fini del  trattamento  di  quiescenza  e  di
previdenza e dell'anzianita' di servizio anche il  servizio  prestato
dai dirigenti per effetto del contratto di diritto privato. 
    Le disposizioni in esame non  sarebbero  giustificate  da  motivi
imperativi di interesse generale, visto lo  «scarso  peso  economico»
del contenzioso che si prefiggono di influenzare e visto  «il  numero
spicciolo degli  interessati».  Risulterebbero  pertanto  violati  il
principio di «preminenza del diritto» e il «diritto  ad  un  processo
equo», tutelati dall'art. 6 CEDU, e i  principi  enunciati  dall'art.
111, primo e secondo comma, Cost. 
    L'art. 117 Cost. sarebbe violato anche per un'ulteriore  ragione.
Le disposizioni in esame contrasterebbero con gli artt. 1, comma 3, e
19 del d.lgs. n. 165 del  2001,  che  «integrano  il  contenuto»  del
parametro costituzionale «e affermano il canone dell'ultimo stipendio
del periodo di incarico dirigenziale utile come parametro ai fini del
conteggio del trattamento di fine servizio», e con l'art.  26,  comma
19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza  pubblica
per la stabilizzazione e lo sviluppo), che  «con  il  suo  canone  di
invarianza affermato in  tema  di  retribuzione  evidentemente  anche
differita rafforza ed integra la tutela concessa dall'art. 117  della
Costituzione in tali casi». 
    2.- Con atto depositato il 15 novembre 2018, si  sono  costituiti
in giudizio Giovanni Bellarosa e altri e hanno chiesto di  accogliere
le questioni di legittimita'  costituzionale  sollevate  dalla  Corte
d'appello di Trieste. 
    Le parti hanno dedotto di avere svolto le funzioni  di  direttore
apicale nell'amministrazione della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia, di essere stati collocati in quiescenza tra il 2005 e il 2010
e di  avere  ricevuto  un'indennita'  di  buonuscita  commisurata  al
servizio prestato fino  al  15  novembre  2002  e  alla  retribuzione
spettante alla  medesima  data,  che  rappresenta  il  momento  della
stipulazione dei contratti individuali di conferimento o di  conferma
dell'incarico dirigenziale. 
    Le  parti   assumono   che   le   disposizioni   censurate,   pur
qualificandosi come interpretative,  siano  innovative,  con  portata
retroattiva. 
    L'art. 7, comma 28, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  33
del 2015, nel negare, ai fini della liquidazione  dell'indennita'  di
buonuscita, la valutazione del  servizio  prestato  con  rapporto  di
lavoro a tempo  determinato  di  diritto  privato,  si  discosterebbe
dall'art. 142, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
153 del 1981, che pure si ripromette di interpretare, e dall'art.  12
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2004,  che  considera
il servizio prestato con contratto  di  lavoro  a  tempo  determinato
utile ai fini del trattamento di quiescenza e  di  previdenza,  oltre
che dell'anzianita' di servizio. 
    Quanto all'art. 7, comma  29,  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia  n.  33  del  2015,  che  annovera  tra  gli   assegni   fissi
pensionabili solo quelli riconosciuti «ai  sensi  della  legislazione
dell'ex INADEL», non si porrebbe in contraddizione con le  previsioni
delle quali  intende  offrire  l'interpretazione  autentica.  Invero,
l'art. 143, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53
del 1981 stabilisce pur sempre la  misura  dell'indennita'  per  ogni
anno  di  servizio  utile  in  un  dodicesimo  degli  assegni   fissi
pensionabili goduti all'atto della cessazione dal  servizio.  Non  si
potrebbe, pertanto, non tenere conto della retribuzione percepita  in
tale momento, in armonia con  quanto  dispone  anche  l'art.  19  del
d.lgs. n. 165 del 2001. 
    L'art. 7, comma 30, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  33
del 2015, nell'escludere la valutazione, ai fini  dell'indennita'  di
buonuscita, dei periodi di servizio prestato con contratto di  lavoro
a tempo determinato di diritto privato,  presenterebbe  un  contenuto
precettivo  antitetico  rispetto  alla  disposizione  dell'art.  143,
secondo comma, della legge reg. Friuli-Venezia n. 53  del  1981,  che
impone alla Regione di assicurare l'indennita'  di  buonuscita  anche
quando non spetterebbe secondo la legislazione dell'INADEL. 
    Le disposizioni della legge  regionale  impugnata,  senza  alcuna
ragione giustificatrice, introdurrebbero un trattamento deteriore per
i soli dirigenti regionali, in deroga alla disciplina dell'indennita'
di buonuscita applicabile a tutto il personale regionale di  ruolo  e
non di ruolo. In contrasto con «i principi del legittimo  affidamento
e della  certezza  del  diritto  in  relazione  alla  stabilita'  del
trattamento previdenziale» e in  vista  di  un  modesto  contenimento
della spesa, esse interverrebbero, «a distanza di oltre  trentacinque
anni», a interpretare una normativa dal significato inequivocabile. 
    Per il solo fatto di avere prestato la loro opera in forza di  un
contratto  di  diritto  privato,  le  parti  sostengono   di   essere
discriminate rispetto ai «colleghi dirigenti senza incarico  apicale»
che hanno beneficiato  di  una  indennita'  di  buonuscita  calcolata
sull'ultima retribuzione. Sarebbe pertanto violato l'art.  35  Cost.,
che tutela il lavoro prestato dai dipendenti di ruolo e non di ruolo. 
    L'interpretazione    avallata    dal    legislatore     regionale
disconoscerebbe ogni rilievo all'anzianita' di servizio maturata  dai
dirigenti dopo il 15  novembre  2002  e  cosi'  ridurrebbe  l'importo
dell'indennita' di buonuscita, in contrasto con l'art. 36 Cost.,  che
prescrive, anche per la retribuzione differita,  la  proporzionalita'
alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto,  e  con  l'art.  38
Cost., che vieta «un intervento che incida in misura  notevole  e  in
maniera definitiva sulla garanzia di  adeguatezza  della  prestazione
senza essere sorretto da  una  imperativa  motivazione  di  interesse
generale». 
    Le disposizioni in esame, contenute negli emendamenti  presentati
dalla Giunta regionale, mirerebbero a determinare gli  esiti  di  uno
specifico contenzioso in corso, che coinvolge «non piu' di una decina
di persone», e non  rispetterebbero  le  funzioni  costituzionalmente
riservate  al  potere  giudiziario.  La  legge  regionale  censurata,
pertanto, non solo non accrediterebbe  una  delle  possibili  letture
delle disposizioni originarie, ma non  sarebbe  neppure  sorretta  da
motivi imperativi di interesse generale. 
    La transizione dal regime del trattamento di fine servizio  (TFS)
a quello del trattamento di fine rapporto (TFR) sarebbe  ispirata  al
criterio direttivo della invarianza  della  retribuzione  complessiva
netta e di quella utile ai fini previdenziali  (art.  26,  comma  19,
della legge n. 448 del 1998), che costituisce principio  fondamentale
atto a vincolare anche  la  legislazione  regionale  e  non  potrebbe
comunque giustificare le scelte sfavorevoli  adottate  dalla  Regione
autonoma. 
    3.- Con atto depositato il 16 novembre 2018, si e' costituita  in
giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e  ha  chiesto  di
dichiarare non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate dalla Corte d'appello di Trieste. 
    Sarebbe    ragionevole    l'autonoma     disciplina     riservata
all'integrazione dell'indennita'  di  buonuscita  per  i  periodi  di
servizio di ruolo presso  la  Regione.  Per  i  periodi  di  servizio
prestato con «contratto a tempo determinato di diritto  privato»,  si
applicherebbe la diversa disciplina del trattamento di fine rapporto.
Non sarebbero violati i molteplici parametri  costituzionali  evocati
dalla Corte rimettente. 
    4.- In vista dell'udienza, hanno depositato memorie  illustrative
sia gli appellanti nel giudizio principale sia  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia. 
    4.1.- Gli appellanti nel giudizio principale  hanno  ribadito  le
conclusioni   gia'   formulate   e    hanno    posto    in    risalto
l'irragionevolezza delle disposizioni censurate, che, in mancanza  di
inderogabili  esigenze  o  di  «un  particolare  interesse   pubblico
sopravvenuto», sarebbero intervenute su  una  specifica  controversia
pendente per escludere dal godimento dell'indennita' regionale i soli
direttori  apicali,  «unici   dirigenti   con   contratto   a   tempo
determinato». 
    4.2.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha  eccepito,  in
linea preliminare, l'inammissibilita' delle questioni proposte. 
    L'esposizione  dei  profili  di   contrasto   con   i   parametri
costituzionali evocati sarebbe «alquanto sommaria e priva di adeguata
motivazione con riguardo alla questione concreta». 
    Il rimettente avrebbe trascurato di interpretare le  disposizioni
censurate in armonia «con gli indicati  principi  costituzionali»  e,
nel prospettare il contrasto  con  la  Costituzione  e  finanche  con
disposizioni   di   legge    regionale,    avrebbe    «drasticamente»
disconosciuto la qualificazione interpretativa  della  disciplina  in
esame. 
    Quand'anche le questioni di legittimita'  costituzionale  fossero
accolte, la soluzione  del  problema  interpretativo  non  muterebbe.
Anche da questo punto  di  vista  si  coglierebbe  l'inammissibilita'
delle questioni proposte. 
    Nel merito, la Regione ha  replicato  che  i  dirigenti,  per  il
periodo di servizio prestato con contratto di diritto privato a tempo
determinato, hanno percepito il trattamento di fine rapporto, in base
alle previsioni dell'art. 2120 cod. civ. Per il periodo  di  servizio
di ruolo,  i  dirigenti  avrebbero  conseguito  un  trattamento  piu'
favorevole rispetto a quello previsto dalle «regole generali INADEL»,
in quanto, per ogni anno di servizio, si computerebbe  un  dodicesimo
dell'ultima retribuzione e non gia' un quindicesimo dell'80 per cento
della retribuzione degli ultimi dodici mesi. 
    Un trattamento di favore, istituito nell'ambito della  previdenza
pubblica, non potrebbe essere esteso,  senza  un'espressa  previsione
normativa, al diverso ambito della previdenza privata. 
    La disciplina censurata si limiterebbe a confermare  quanto  gia'
si potrebbe desumere dalle previsioni originarie. Solo in tempi  piu'
recenti,  si  sarebbe   «manifestata   l'esigenza,   o   anche   solo
l'opportunita', di chiarire che l'integrazione  regionale,  concepita
per il trattamento concernente il lavoro pubblico e  nel  suo  ambito
giustificata, non poteva essere estesa oltre quei  confini».  Non  si
potrebbe dunque censurare un «uso distorto del potere normativo»,  in
violazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 6 CEDU. 
    Non  rappresenterebbe  un  idoneo   termine   di   raffronto   la
fattispecie del conferimento di incarichi  dirigenziali  disciplinata
dall'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, che «opera  nell'ambito  del
rapporto dirigenziale di lavoro pubblico a tempo indeterminato» e non
contempla  alcuna  «soluzione  di   continuita'   fra   il   rapporto
fondamentale a tempo indeterminato e un incarico che espressamente e'
qualificato di diritto privato  -  assai  presumibilmente  di  lavoro
autonomo».  Non  sarebbe   violato,   pertanto,   il   principio   di
eguaglianza. 
    Non si potrebbero invocare gli artt. 35, 36 e 38 Cost. allo scopo
di  ritenere  costituzionalmente  doverosa  «una  tutela   di   grado
particolarmente elevato, quale quella che i dirigenti  della  regione
friulana richiedono». Ai dirigenti sarebbe  riconosciuta  una  tutela
adeguata, alla stregua delle «regole applicabili a tutti  i  rapporti
di lavoro». 
    Il giudice a quo, nell'auspicare l'estensione automatica anche al
regime del TFR di un trattamento correlato  al  regime  del  TFS,  si
prefiggerebbe di sovrapporre e di assimilare due istituti che  ancora
presentano significative diversita' di disciplina,  confermate  anche
di recente da questa Corte (si richiama la sentenza n. 213 del 2018). 
    5.- All'udienza pubblica del  22  maggio  2019,  le  parti  hanno
ribadito le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La  Corte  d'appello  di  Trieste  dubita,  sotto  molteplici
profili, della legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 28,  29
e 30, della legge della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  29  dicembre
2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018).  La
legge regionale censurata, nell'offrire  l'interpretazione  autentica
degli artt. 142 e 143 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia
31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e  trattamento  economico  del
personale  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia),   nega
rilievo, ai fini della liquidazione dell'indennita' di buonuscita, al
servizio  prestato  con  rapporto  a  tempo  determinato  di  diritto
privato. 
    La Corte rimettente assume che le  disposizioni  censurate  siano
lesive dell'art. 3, primo e secondo  comma,  della  Costituzione,  in
quanto, in contrasto con il principio di parita' di trattamento,  che
costituisce principio fondamentale «in materia  di  impiego  pubblico
privatizzato»,  e   con   «il   canone   di   ragionevolezza»,   esse
determinerebbero   una   «possibile   irragionevole   diversita'   di
trattamento di un periodo, fra l'altro pregresso da anni,  di  lavoro
del tutto uguale», prestato dapprima in  virtu'  di  un  rapporto  di
ruolo e poi, dal novembre 2002, in forza  di  un  contratto  a  tempo
determinato di diritto privato. 
    In violazione dell'art. 35, primo comma,  Cost.,  che  tutela  il
lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, sarebbero  discriminati
i dirigenti che prestano, in base  a  un  incarico  privatistico,  lo
stesso servizio dapprima legato a un «lavoro in ruolo». 
    Il giudice a quo prospetta, inoltre, la lesione del  diritto  del
lavoratore  di   percepire   una   retribuzione,   anche   differita,
proporzionata alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto  (art.
36 Cost.). L'indennita' di buonuscita dei  dirigenti  regionali,  che
rappresenta «un accantonamento retributivo»,  sarebbe  decurtata  «in
ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo». 
    La legge regionale friulana e'  censurata  anche  in  riferimento
all'art. 38, secondo e quarto comma, Cost., per  il  pregiudizio  che
«il passaggio delle competenze ad altro soggetto»  arrecherebbe  alla
tutela previdenziale e assistenziale per  la  vecchiaia,  in  passato
garantita da istituti pubblici come l'INADEL e l'INPDAP e pur  sempre
contraddistinta da «metodo di contribuzione e funzione» tipici «della
previdenza pubblica». 
    La Corte rimettente denuncia la violazione dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.  Il  legislatore  friulano
sarebbe  intervenuto  «su   norme   emanate   da   anni   ed   anni»,
caratterizzate  da  un  significato  inequivocabile,  allo  scopo  di
influenzare  un  contenzioso  gia'  instaurato  e  di  conseguire  un
risparmio «di scarso peso economico», alla luce del «numero spicciolo
degli interessati». 
    Non si potrebbero individuare,  pertanto,  motivi  imperativi  di
interesse generale e sarebbero cosi' violati sia  la  preminenza  del
diritto e il diritto a un processo equo, sanciti  dall'art.  6  CEDU,
sia i principi tutelati dall'art. 111, primo e secondo comma, Cost. 
    Ad avviso del giudice a quo, l'art. 117 Cost. sarebbe violato per
un'ulteriore ragione. Le  disposizioni  censurate  si  porrebbero  in
contrasto con l'art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni  pubbliche),  che  indica  nell'ultimo  stipendio  il
parametro  utile  per  la  determinazione  del  trattamento  di  fine
servizio  dei  dirigenti  e  integra  il  contenuto   del   parametro
costituzionale, e con l'art. 26, comma 19, della  legge  23  dicembre
1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e  lo
sviluppo), che, «con il suo canone di invarianza affermato in tema di
retribuzione evidentemente anche differita  rafforza  ed  integra  la
tutela concessa dall'art. 117 della Costituzione in tali casi». 
    2.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  ha  eccepito,  per
molteplici   ragioni,   l'inammissibilita'   delle    questioni    di
legittimita' costituzionale. 
    2.1.-  La  Regione,  in   linea   preliminare,   ha   prospettato
l'irrilevanza  delle  questioni  sollevate,   sul   presupposto   che
l'accoglimento delle censure  non  muti  la  soluzione  del  problema
interpretativo  dibattuto  nel  giudizio  principale.   Anche   senza
l'intervento  della  disciplina  interpretativa,   per   il   periodo
assoggettato  alla  disciplina  del  trattamento  di  fine   rapporto
dovrebbe  essere  comunque  negata  la   prestazione   supplementare,
riconosciuta soltanto per l'indennita' di buonuscita. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La Corte rimettente, per decidere la causa, dovra'  applicare  le
disposizioni  censurate  e  l'applicabilita'  della  disposizione  e'
sufficiente  a  radicare  la  rilevanza  delle   questioni   proposte
(sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del  Considerato  in  diritto).
Anche nella prospettiva di un piu' diffuso accesso  al  sindacato  di
costituzionalita' (sentenza n. 77 del 2018, punto 8. del  Considerato
in diritto) e di una piu' efficace garanzia della  conformita'  della
legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della  rilevanza
non si identifica nell'utilita' concreta di cui  le  parti  in  causa
potrebbero beneficiare  (sentenza  n.  20  del  2018,  punto  2.  del
Considerato in diritto). 
    Nell'ipotesi di accoglimento delle questioni, inoltre, il giudice
a quo, dapprima chiamato a fare applicazione  di  una  normativa  che
predetermina l'esito della lite, dovra' decidere secondo una  diversa
regola di giudizio, che attingera' da una  ricostruzione  sistematica
della  complessa  disciplina  di  riferimento.  La  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale, quand'anche non conduca a  conclusioni
diverse da quelle recepite dalle disposizioni censurate,  influirebbe
comunque  sul  percorso  argomentativo  che  il   rimettente   dovra'
intraprendere per dirimere la controversia. Anche da questo punto  di
vista  trova   dunque   conferma   la   rilevanza   del   dubbio   di
costituzionalita' prospettato. 
    2.2.- La Regione assume che siano lacunosi gli argomenti  addotti
a sostegno delle censure. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    Come mostra l'ampiezza dei rilievi che la Regione ha  svolto  con
riguardo  a  ciascuna  delle  censure,  le  deduzioni   della   Corte
rimettente consentono di cogliere in maniera adeguata il nucleo delle
questioni   proposte.   A    ben    considerare,    l'eccezione    di
inammissibilita' rispecchia il dissenso su profili che  attengono  al
merito delle singole questioni. 
    2.3.-   Neppure   l'eccezione   che   fa   leva   sulla   mancata
sperimentazione di un'interpretazione adeguatrice, idonea a far  luce
sul  carattere   genuinamente   interpretativo   delle   disposizioni
censurate, coglie nel segno. 
    A  fronte   di   una   formulazione   letterale   inequivocabile,
l'interpretazione adeguatrice, genericamente accennata dalla Regione,
non  puo'  che  cedere  il  passo  al   sindacato   di   legittimita'
costituzionale e alla disamina del merito delle questioni proposte. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate, nei termini di seguito
esposti. 
    4.- Le disposizioni che il rimettente sospetta di  illegittimita'
costituzionale  sono  accomunate  dalla  finalita'   di   determinare
l'indennita' di  buonuscita  del  personale  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia,  «in  via  di  interpretazione  autentica»  -
secondo quanto si afferma nell'esordio di ciascuna delle previsioni -
degli artt. 142 e 143 della legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  53
del 1981. 
    In  particolare,  l'art.  7,   comma   28,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 esclude,  nella  «determinazione
del servizio utile ai  fini  della  liquidazione  dell'indennita'  di
buonuscita, in quanto trattamento  di  fine  servizio»,  il  servizio
«prestato con rapporto di  lavoro  a  tempo  determinato  di  diritto
privato». 
    La   previsione   citata    enuncia    l'intento    di    offrire
l'interpretazione autentica dell'art. 142, primo comma,  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, che, nella «determinazione
del servizio utile ai fini dell'indennita' di buonuscita»,  considera
«valutabile il servizio  reso  alle  dipendenze  dell'Amministrazione
regionale,  degli  enti  regionali  e  degli  enti   interessati   da
provvedimenti, statali  o  regionali,  di  soppressione,  scorporo  o
riforma, il cui personale  sia  stato  assegnato  o  trasferito  alla
Regione o agli enti regionali, compreso quello prestato anteriormente
all'entrata in vigore della legge  8  marzo  1968,  n.  152,  nonche'
quello riscattato a tali fini». 
    L'art. 7, comma 29, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  33
del 2015 - in cui si prevede che gli assegni fissi pensionabili  sono
soltanto «quelli riconosciuti ai  sensi  della  legislazione  dell'ex
INADEL» -  e'  indicato  quale  norma  di  interpretazione  autentica
dell'art. 143, primo comma, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
53 del 1981. Quest'ultima disposizione commisura  l'indennita',  «per
ogni  anno  di  servizio  utile»,  a  «1/12   degli   assegni   fissi
pensionabili, ai sensi del terzo comma dell'art. 136  della  presente
legge goduti all'atto  della  cessazione  dal  servizio,  nonche'  di
quelli eventualmente spettanti alla medesima data ai sensi  dell'art.
2 della legge 24 maggio 1970, n. 336,  o  di  altre  disposizioni  di
legge, compresa l'indennita' integrativa speciale limitatamente  alla
misura valutata dall'I.N.A.D.E.L.». 
    Da ultimo, l'art. 7, comma 30, della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 33 del 2015, stabilisce che, nell'indennita' di buonuscita,
«non sono valutati i periodi di servizio prestato  con  contratto  di
lavoro a tempo determinato di diritto privato». La previsione  citata
reca  l'espressa  qualificazione  di  normativa  di   interpretazione
autentica  dell'art.   143,   secondo   comma,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981,  che  impone  alla  Regione  di
assicurare comunque «al dipendente l'indennita' di  buonuscita  anche
nei casi in  cui  questa  non  spetterebbe  secondo  la  legislazione
dell'I.N.A.D.E.L.». 
    5.- La Corte rimettente riferisce che i ricorrenti  nel  giudizio
principale sono dirigenti  dell'amministrazione  regionale,  «cessati
dal servizio fra il 2005 ed il  2010  e  con  diritto  all'indennita'
terminativa o di  buonuscita»,  e  hanno  richiesto  l'indennita'  di
buonuscita anche per il periodo di servizio prestato, a decorrere dal
novembre 2002, in  virtu'  di  «contratto  individuale  con  incarico
dirigenziale». 
    Nella vicenda oggi sottoposta  al  vaglio  di  questa  Corte,  le
previsioni  censurate  si  applicano  a  fattispecie  che   si   sono
perfezionate in data antecedente al 13 gennaio 2016, data di  entrata
in vigore della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 (art.
8). Nel giudizio  principale  viene  dunque  in  rilievo  l'incidenza
retroattiva che contraddistingue la disciplina in  esame  e  su  tale
peculiare  profilo  si  incentrano  le  questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate dal rimettente. 
    6.- Con riguardo a tale  aspetto,  si  deve  ricordare  che,  per
costante giurisprudenza di questa Corte, il divieto di retroattivita'
della legge si erge a  fondamentale  valore  di  civilta'  giuridica,
soprattutto nella materia penale (art.  25  Cost).  In  altri  ambiti
dell'ordinamento il legislatore e'  libero  di  emanare  disposizioni
retroattive, anche di interpretazione autentica, ma la retroattivita'
deve trovare «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza
attraverso un puntuale bilanciamento tra  le  ragioni  che  ne  hanno
motivato la previsione e i valori,  costituzionalmente  tutelati,  al
contempo potenzialmente lesi dall'efficacia  a  ritroso  della  norma
adottata» (sentenza n. 73 del 2017, punto 4.3.1. del  Considerato  in
diritto). 
    I limiti posti alle leggi con efficacia retroattiva si  correlano
alla salvaguardia  dei  principi  costituzionali  dell'eguaglianza  e
della ragionevolezza, alla tutela  del  legittimo  affidamento,  alla
coerenza e alla  certezza  dell'ordinamento  giuridico,  al  rispetto
delle funzioni costituzionalmente  riservate  al  potere  giudiziario
(sentenza n. 170 del 2013, punto 4.3. del Considerato in diritto). 
    La Corte rimettente, in  particolare,  evoca  a  piu'  riprese  i
principi  della  preminenza  del  diritto   e   dell'equo   processo,
attraverso il richiamo congiunto all'art.  111  Cost.  e  all'art.  6
CEDU, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost.  Tali  profili
di censura si rivelano inscindibilmente connessi nel sindacato  sulle
leggi   retroattive,   data   la   «corrispondenza    tra    principi
costituzionali interni in materia di parita' delle parti in  giudizio
e quelli convenzionali in punto di equo processo»  (sentenza  n.  191
del 2014, punto 4. del Considerato in diritto;  nello  stesso  senso,
sentenza n. 12 del 2018, punto 3.2. del Considerato in diritto). 
    Nell'interpretare l'art. 6 CEDU, la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo (fra le molte, Corte EDU, sentenza 11 dicembre  2012,  Anna
De Rosa e altri contro Italia, paragrafo 47) afferma che, in linea di
principio, non e' vietato al  legislatore  introdurre  nella  materia
civile disposizioni retroattive, che incidano su  diritti  attribuiti
da leggi in vigore. Tuttavia, se non vi  sono  motivi  imperativi  di
interesse generale, i principi di preminenza del diritto e la nozione
di giusto processo  precludono  l'ingerenza  del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia,  quando  il  fine  evidente  e'
quello di influenzare la soluzione di una controversia. 
    La "parita' delle armi" impone di  assicurare  a  ogni  parte  la
possibilita' di presentare la propria causa  senza  trovarsi  in  una
situazione  di  svantaggio  rispetto  alla  controparte  (Corte  EDU,
sentenza 9  dicembre  1994,  Raffineries  grecques  Stran  e  Stratis
Andreadis contro Grecia, paragrafo 46). 
    Quanto ai motivi imperativi di interesse generale, che  conducono
a individuare «un punto di equilibrio nella dialettica tra  i  valori
in gioco» (sentenza n. 127 del 2015,  punto  6.  del  Considerato  in
diritto), spetta agli Stati contraenti il  compito  di  identificarli
(sentenza n. 303 del 2011, punto 4.2. del  Considerato  in  diritto),
alla luce di «una valutazione sistematica di profili  costituzionali,
politici, economici, amministrativi e sociali» (sentenza n.  311  del
2009, punto 9. del Considerato in diritto),  rimessa  al  margine  di
apprezzamento dei singoli Stati. 
    I motivi  finanziari  non  bastano  da  soli  a  giustificare  un
intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso
(Corte EDU,  sentenza  11  aprile  2006,  Cabourdin  contro  Francia,
paragrafo 37). 
    I  diritti  riconosciuti  dalla  Costituzione  non  possono   non
interagire  con  quelli  previsti  dalle   fonti   sovranazionali   e
internazionali, in un quadro di reciproca integrazione  e  quindi  di
bilanciamento. In tale ampia prospettiva questa  Corte  elabora  «una
valutazione sistemica, e non  isolata,  dei  valori  coinvolti  dalla
norma di volta in volta scrutinata» (sentenza n. 264 del 2012,  punto
5.4.  del  Considerato  in  diritto),  in  modo  da   assicurare   la
«integrazione delle garanzie dell'ordinamento» (sentenza n.  317  del
2009, punto 7. del Considerato in diritto). 
    7.- Tra  gli  elementi  sintomatici  di  un  uso  distorto  della
funzione legislativa, questa Corte, in armonia con le enunciazioni di
principio della Corte EDU, ha conferito  rilievo  al  metodo  e  alla
tempistica  dell'intervento  legislativo,  che  vede   lo   Stato   o
l'amministrazione pubblica parti di un processo gia'  radicato  e  si
colloca a notevole distanza dall'entrata in vigore delle disposizioni
oggetto di interpretazione autentica (sentenza n. 12 del 2018,  punto
3.2. del Considerato in diritto). 
    E'  alla  luce  di  tali  principi  che  occorre   sindacare   la
legittimita' costituzionale della legge regionale censurata. 
    7.1.- In primo luogo, viene in evidenza il  lungo  tempo  che  e'
intercorso tra le norme oggetto di interpretazione, adottate nel 1981
e rimaste  inalterate  nei  loro  tratti  salienti,  e  la  norma  di
interpretazione autentica, introdotta soltanto nel 2015. 
    A segnare la discontinuita' tra le due discipline concorre, oltre
al dato temporale, la diversita' del contesto normativo in  cui  esse
si collocano. 
    A tale riguardo, si deve rilevare che la legge friulana del  1981
non contempla il conferimento di incarichi dirigenziali,  secondo  le
peculiarita' definite  soltanto  dalla  normativa  posteriore  e,  in
particolare, dall'art.  19  del  d.lgs.  n.  165  del  2001  e  dalla
legislazione regionale di riferimento  (art.  12  della  legge  della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  17  febbraio  2004,  n.  4,  recante
«Riforma dell'ordinamento della dirigenza e della struttura operativa
della Regione Friuli-Venezia Giulia. Modifiche alla  legge  regionale
1° marzo 1988, n. 7 e alla legge regionale  27  marzo  1996,  n.  18.
Norme concernenti le gestioni liquidatorie degli  enti  del  Servizio
sanitario regionale e il commissario straordinario dell'ERSA»). 
    La censurata legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  33  del  2015,
nell'apprestare   un   regime   restrittivo   della    determinazione
dell'indennita' di buonuscita, mira in realta' a conferire  efficacia
retroattiva  alle   previsioni   della   disciplina   riguardante   i
trattamenti di fine servizio. 
    7.2.- La Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  parte  della
controversia instaurata da alcuni dirigenti dell'amministrazione,  ha
approvato le previsioni censurate in pendenza di  giudizio.  Solo  in
concomitanza  con  l'iniziativa   giudiziaria   avviata   da   alcuni
dirigenti, la Regione ha presentato gli emendamenti  che  racchiudono
le disposizioni censurate, nel corso della discussione di  una  legge
dal contenuto eterogeneo, collegata alla manovra finanziaria. 
    Dal dibattito consiliare emerge la consapevolezza del contenzioso
pendente,  occasione  immediata  e,  al   tempo   stesso,   esclusiva
giustificazione   dell'intervento   retroattivo    del    legislatore
regionale. 
    Le previsioni sulla determinazione dell'indennita' di buonuscita,
presentate come enunciazione di una regola astratta, si rivolgono  in
realta'  a  una   platea   circoscritta   di   destinatari   e   sono
inequivocabilmente preordinate a definire l'esito  di  uno  specifico
giudizio. 
    7.3.- L'intento di vincolare la decisione di cause gia' pendenti,
che coinvolgono un  numero  esiguo  e  agevolmente  individuabile  di
parti, contrasta con  la  nozione  stessa  di  motivi  imperativi  di
interesse generale, orientati piuttosto a finalita' di ampio  respiro
(sentenze n. 127 del 2015 e  n.  1  del  2011).  Quanto  alla  tutela
dell'equilibrio  del  bilancio  della  Regione,  appaiono  del  tutto
generici i riferimenti dei lavori preparatori ai risparmi  di  spesa,
che  il  legislatore  friulano  si  ripromette  di   conseguire   con
l'introduzione della disciplina sottoposta all'odierno scrutinio. 
    Neppure si ravvisa l'esigenza, in altre occasioni valorizzata  da
questa Corte, di porre rimedio alle imperfezioni tecniche  del  testo
normativo originario  (sentenza  n.  24  del  2018),  ai  profili  di
illegittimita'  costituzionale  insiti  nella  disciplina   anteriore
(sentenza n. 149 del 2017)  o  -  in  funzione  "riparatrice"  e  nel
rispetto del principio di affidamento - alle manifeste  sperequazioni
determinate da istituti extra ordinem di eccezionale favore (sentenza
n. 108 del 2019, punto 8. del Considerato in diritto). 
    8.- Le considerazioni svolte conducono a  ritenere  le  questioni
fondate, in riferimento agli artt. 111 e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU. 
    Si deve  dichiarare,  pertanto,  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 7, commi 28, 29  e  30,  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 33 del 2015, in quanto disposizione essenzialmente volta  a
regolare fattispecie pregresse con efficacia retroattiva. 
    Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente. 
    9.- Il giudice a quo dovra'  peraltro  valutare  attentamente  la
fondatezza della pretesa di  conseguire  l'indennita'  di  buonuscita
anche per il periodo di servizio prestato in virtu'  di  contratti  a
tempo determinato, alla luce della normativa statale  di  riferimento
(d.P.C.m.  20  dicembre  1999)  e  dell'evoluzione  della  disciplina
regionale. Ristabilite le regole del giusto processo e della "parita'
delle armi", su tale aspetto controverso puo'  riprendere  corpo  una
dialettica interpretativa che l'intervento del legislatore, parte del
giudizio, non deve - soprattutto in pendenza della lite - alterare  a
proprio vantaggio. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7,  commi  28,
29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29  dicembre
2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA