N. 208 SENTENZA 3 - 26 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia e urbanistica - Condono edilizio -  Divieto  di  condono  di
  interventi di ristrutturazione edilizia che comportino  un  aumento
  delle unita' immobiliari - Eccezione al  divieto  per  il  caso  di
  unita' immobiliari ottenute in edifici residenziali  bifamiliari  o
  monofamiliari attraverso il recupero dei sottotetti. 
- Legge  della  Regione  Emilia-Romagna  21  ottobre  2004,   n.   23
  (Vigilanza e  controllo  dell'attivita'  edilizia  ed  applicazione
  della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30
  settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla  legge  24
  novembre 2003, n. 326), art. 34, comma 2, lettera a). 
-   
(GU n.31 del 31-7-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma
2, lettera a), della legge della Regione  Emilia-Romagna  21  ottobre
2004,  n.  23  (Vigilanza  e  controllo  dell'attivita'  edilizia  ed
applicazione della normativa  statale  di  cui  all'articolo  32  del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito,  con  modifiche,
dalla legge 24 novembre 2003, n.  326),  promosso  dal  Consiglio  di
Stato, nel procedimento vertente tra Libera Belletti e il  Comune  di
Cesena, con sentenza non definitiva del 31 luglio 2018,  iscritta  al
n. 153 del  registro  ordinanze  2018  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  44  prima  serie  speciale,  dell'anno
2018. 
    Visti l'atto di costituzione del Comune di Cesena nonche'  l'atto
di intervento della Regione Emilia-Romagna; 
    udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2019 il Giudice relatore
Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Benedetto Ghezzi per il  Comune  di  Cesena  e
Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Consiglio  di  Stato,  VI  sezione,  con  sentenza   non
definitiva del 31 luglio 2018, ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, lettera a), della  legge  della
Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e  controllo
dell'attivita' edilizia ed applicazione della  normativa  statale  di
cui all'articolo 32 del decreto-legge  30  settembre  2003,  n.  269,
convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326),  in
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il rimettente premette in fatto di essere  stato  adito  in
appello avverso la  sentenza  con  cui  il  Tribunale  amministrativo
regionale per l'Emilia-Romagna aveva respinto il ricorso proposto per
ottenere l'annullamento del provvedimento del  Comune  di  Cesena  di
rigetto della domanda di condono edilizio, presentata il 10  novembre
2003, ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre  2003,  n.
269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e  per   la
correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in  relazione  a
un  intervento  di  «ristrutturazione  edilizia   consistente   nella
costruzione di un solaio intermedio in una porzione  di  attrezzatura
agricola (...), con conseguente creazione di  due  unita'  abitative,
una per piano, e realizzazione di un piano  interrato»,  nonche'  per
ottenere l'annullamento dell'ordinanza comunale (n. 20/527/EA/ac  del
15  luglio  2009,  notificata  il  29  luglio  2009),  con  cui  alla
ricorrente era stata ordinata «la demolizione delle opere  abusive  e
il ripristino dei luoghi allo stato autorizzato  ripristinando  l'uso
del  manufatto  a  servizio   agricolo,   attraverso   altresi':   la
demolizione  del  solaio  intermedio;  la  demolizione  della  scala;
l'eliminazione della porzione in ampliamento (piano interrato)» entro
il termine di novanta giorni dalla notificazione,  con  richiamo  del
provvedimento di diniego del condono. 
    Il Consiglio di Stato ricorda che, avverso la  sentenza  del  TAR
per l'Emilia-Romagna, la ricorrente aveva dedotto i seguenti  motivi:
a) l'erronea interpretazione dell'art. 32, comma 3, del d.l.  n.  269
del 2003, che non attribuirebbe alle Regioni la potesta' di  definire
le condizioni sostanziali di  ammissibilita'  della  sanatoria,  che,
invece, secondo la normativa statale, applicabile alla fattispecie in
esame, sarebbero tutte  soddisfatte;  b)  l'erronea  reiezione  della
censura  di  eccesso  di  potere  per  travisamento  dei  fatti,  con
riferimento al preteso ampliamento della volumetria dell'immobile per
effetto  della  realizzazione  del  piano  interrato;  c)   l'erronea
reiezione  delle  censure  dedotte  con  i   motivi   aggiunti,   con
particolare riferimento  all'erronea  affermazione  dell'aumento  del
carico urbanistico. 
    Il collegio rimettente precisa che il  provvedimento  di  diniego
del condono edilizio e la conseguente ordinanza di demolizione  delle
opere abusive troverebbero il loro  fondamento  in  due  "presupposti
normativi",  costituiti,  rispettivamente,  dall'art.  33,  comma  3,
lettera b), della legge reg.  Emilia-Romagna  n.  23  del  2004,  con
riguardo al preteso ampliamento della cubatura superiore ai 100 metri
cubi per effetto della realizzazione del piano interrato; e dall'art.
34, comma 2, lettera a), della medesima legge  regionale  n.  23  del
2004,  con  riguardo  alla  realizzazione  di  due  unita'  abitative
mediante la costruzione di un solaio intermedio. 
    Tuttavia, mentre le censure devolute  in  appello  relative  alla
prima parte del  provvedimento  impugnato  sono  state  accolte  (per
l'insussistenza del presupposto di fatto  della  realizzazione  della
nuova volumetria, eccedente la misura massima consentita di 100 metri
cubi, asseritamente realizzata nel piano interrato), con  conseguente
annullamento  del  provvedimento  impugnato  in  parte  qua,  per  la
definizione delle censure rivolte avverso  la  restante  parte  della
motivazione del diniego di condono  il  Consiglio  di  Stato  ritiene
necessaria la rimessione  alla  Corte  costituzionale  dell'art.  34,
comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004. 
    Il rimettente ritiene, anzitutto, prive di fondamento le  censure
sollevate sulla base della pretesa applicabilita',  alla  fattispecie
in  esame,  della  disciplina   statale   in   materia   di   condono
straordinario ex art. 32 del d.l. n. 269  del  2003,  anziche'  della
disciplina regionale di cui agli artt.  26  e  seguenti  della  legge
regionale n. 23 del 2004, dato  che,  a  seguito  della  sentenza  di
questa Corte n. 196 del 2004, la stessa normativa  statale  (art.  32
del d.l. n. 269 del 2003) stabilisce che  e'  la  legge  regionale  a
determinare  la  possibilita',  le  condizioni  e  le  modalita'  per
l'ammissibilita' a sanatoria di tutte le tipologie di abuso  edilizio
di cui  all'allegato  1,  nonche'  eventualmente  limiti  volumetrici
inferiori a quelli indicati nel  decreto  legge  citato.  Proprio  in
attuazione di tali previsioni - precisa il Consiglio di  Stato  -  la
Regione Emilia-Romagna  ha  adottato  la  disciplina  del  condono  e
disposto che essa trovi applicazione anche alle  domande  di  condono
gia' presentate ai sensi del d.l. n. 269 del 2003. 
    Pertanto, il Collegio rimettente ritiene che alla fattispecie sub
iudice debba applicarsi l'art. 34, comma 2, lettera a),  della  legge
reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004 e non la normativa statale. 
    Tuttavia,  il  Consiglio  di  Stato  dubita  della   legittimita'
costituzionale della citata  disposizione  regionale  in  riferimento
all'art. 3, primo comma, Cost. e solleva d'ufficio, ex art. 23, terzo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla  costituzione  e
sul funzionamento della Corte costituzionale), la relativa questione. 
    Innanzitutto, il collegio afferma che la questione e'  senz'altro
rilevante, dato che sono poste, con i motivi di appello  devoluti  al
presente   grado,   questioni   che   non   possono   essere   decise
indipendentemente   dall'applicazione   della   citata   disposizione
regionale  posta  dall'amministrazione  comunale  a  fondamento   del
provvedimento di diniego dell'istanza di condono. 
    In punto di non manifesta infondatezza,  il  Consiglio  di  Stato
ritiene che la scelta operata dal legislatore regionale  di  limitare
la sanatoria di interventi  edilizi,  comportanti  un  aumento  delle
unita' immobiliari ubicate in  edifici  residenziali  bi-familiari  o
mono-familiari, alle unita' recuperate dalla trasformazione abitativa
solo dei sottotetti e non anche di altri spazi interni, a  «organismo
edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria», sia arbitraria e
ingiustificata,  considerata   la   sostanziale   omogeneita'   delle
situazioni messe a confronto, sia sotto il profilo dell'incidenza sul
carico urbanistico, sia  sotto  il  profilo  del  risparmio  di  aree
edificabili, costituenti notoriamente una risorsa scarsa. 
    Pertanto, solleva questione di legittimita' costituzionale  della
citata disposizione regionale in riferimento all'art. 3, primo comma,
Cost. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Comune di Cesena, parte  del
giudizio a quo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile e comunque
infondata la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
Consiglio di Stato. 
    Anche la Regione Emilia-Romagna, che e' intervenuta nel giudizio,
ha rivolto alla Corte costituzionale le medesime richieste. 
    In  linea  preliminare,  la   questione   sarebbe   inammissibile
anzitutto per difetto di rilevanza. 
    Sia il Comune che la Regione sottolineano che le censure proposte
dalla  appellante  attenevano  alla   pretesa   applicabilita'   alla
fattispecie in esame della legge statale  vigente  al  momento  della
domanda di condono, che non avrebbe precluso la  sanatoria  di  abusi
consistenti nella realizzazione di nuove unita' abitative. 
    In nessun grado  e  fase  del  giudizio  sarebbe  stata  proposta
l'eccezione relativa al recupero ai fini abitativi dei sottotetti  e,
pertanto, la norma regionale relativa sarebbe del  tutto  estranea  e
ininfluente rispetto alla decisione del giudice adito. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile,  per  entrambi  gli   enti
territoriali, anche sotto un altro profilo. 
    Con essa, infatti,  il  rimettente  chiederebbe  alla  Corte  una
pronuncia   additiva   senza   tuttavia   indicare    il    contenuto
dell'addizione. Si tratterebbe di una richiesta generica e imprecisa,
che non consentirebbe di  delimitare  quanto  ammesso  e  quanto  non
ammesso, generando incertezza del diritto e futuro contenzioso. 
    Nel  merito  la  questione  sarebbe  priva  di   fondamento.   La
differenza di trattamento tra il recupero dei sottotetti e la  libera
suddivisione degli spazi  interni  dell'edificio  sarebbe  pienamente
giustificata, da un  lato,  dalla  oggettiva  differenza  di  rilievo
urbanistico tra le due ipotesi, dall'altro  dalla  diversa  natura  e
gravita' dell'illecito originariamente posto in essere. 
    Mentre  il  condono  dei  sottotetti  corrisponderebbe  in   modo
ragionevole alla finalita' di risparmio del suolo, la  legittimazione
ex post di qualunque tipo di intervento atto a moltiplicare le unita'
immobiliari sarebbe un  avallo  postumo  a  ogni  forma  di  edilizia
abusiva senza alcuna prevedibilita' circa il livello di incisione sul
carico urbanistico. 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio di Stato, con sentenza  non  definitiva  del  31
luglio 2018, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale,
in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dell'art.
34, comma 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna  21
ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed
applicazione della normativa  statale  di  cui  all'articolo  32  del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito,  con  modifiche,
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), adottata in applicazione della
normativa statale che ha introdotto  il  cosiddetto  "terzo  condono"
edilizio. 
    In particolare, il Collegio  rimettente  ritiene  che  la  citata
disposizione   regionale   detti   una   disciplina   arbitraria    e
ingiustificata, nella parte in cui limita le eccezioni al divieto  di
condono di interventi di ristrutturazione edilizia, che comportino un
aumento delle  unita'  immobiliari,  all'ipotesi  delle  sole  unita'
immobiliari «ottenute attraverso il recupero ai  fini  abitativi  dei
sottotetti, in edifici  residenziali  bifamiliari  e  monofamiliari».
Tale eccezione dovrebbe essere  estesa  -  secondo  il  rimettente  -
all'ipotesi in cui le unita' immobiliari  nuove  siano  prodotte  per
effetto della trasformazione abitativa anche di altri  spazi  interni
«ad organismo edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria», in
considerazione   della   ritenuta   sostanziale   omogeneita'   delle
situazioni messe a confronto, sia sotto il profilo dell'incidenza sul
carico urbanistico, sia  sotto  il  profilo  del  risparmio  di  aree
edificabili. 
    2.- In linea preliminare, si  deve  rilevare  che  non  influisce
sulla   rituale   instaurazione   del   giudizio   di    legittimita'
costituzionale in via incidentale la circostanza che la questione sia
stata  sollevata  dal  Consiglio  di  Stato  con  una  sentenza   non
definitiva, con cui, contemporaneamente, ha  accolto,  con  "sentenza
parziale", uno dei motivi di appello, con conseguente annullamento in
parte qua del provvedimento impugnato, e, con "contestuale  ordinanza
di  rimessione",  ha  ritenuto  la  decisione  dei  restanti   motivi
condizionata   alla   previa   proposizione   della   questione    di
costituzionalita'. 
    Il provvedimento adottato ha caratteristiche  peculiari,  poiche'
alla sentenza non definitiva si affianca un'ordinanza di  rimessione,
quest'ultima in relazione ai motivi di ricorso non decisi.  La  forma
prescelta  non  e'  tale  da  incidere  sull'autonomia   di   ciascun
provvedimento  e  sulla   idoneita'   dell'ordinanza   a   instaurare
validamente  il  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in   via
incidentale. Il giudice a quo ha, infatti,  disposto  la  sospensione
del procedimento e la trasmissione del fascicolo a questa Corte,  nel
rispetto dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento   della   Corte   costituzionale)
(sentenze n. 86 del 2017, n. 94 del 2009; e, in casi simili, sentenza
n. 452 del 1997; ordinanza n. 153 del 2002). 
    3.- Ancora in via preliminare, occorre esaminare  l'eccezione  di
inammissibilita', proposta sia dal Comune di Cesena che dalla Regione
Emilia-Romagna, per difetto di rilevanza della questione. 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale riguarderebbe,  infatti,
una norma regionale del tutto estranea al giudizio  a  quo  e  quindi
ininfluente  rispetto  alla  decisione  del   giudice   adito.   Cio'
deriverebbe   dalla   circostanza    che    le    censure    proposte
dall'appellante, attenendo all'erronea interpretazione dell'art.  32,
comma 3, del d.l. n. 269 del 2003 come convertito, e alla conseguente
pretesa inapplicabilita'  della  legge  regionale,  in  favore  della
normativa  statale,  non  preclusiva   della   sanatoria   di   abusi
consistenti  nella  realizzazione  di  nuove  unita'  abitative,  non
implicherebbero l'applicazione della norma regionale di cui  all'art.
34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna  n.  23  del
2004, la' dove individua come unica eccezione al divieto  di  condono
di interventi di ristrutturazione edilizia che diano  forma  a  nuove
unita' immobiliari quella inerente  a  unita'  immobiliari  «ottenute
attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti,  in  edifici
residenziali bifamiliari e monofamiliari». 
    3.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Di  recente  questa  Corte  ha  ribadito  che  «nel  giudizio  di
costituzionalita', ai fini dell'apprezzamento della  rilevanza,  cio'
che conta e' la valutazione che il giudice a quo deve  effettuare  in
ordine alla possibilita' che il procedimento pendente  possa  o  meno
essere definito indipendentemente  dalla  soluzione  della  questione
sollevata, potendo la Corte interferire su tale valutazione  solo  se
essa,  a  prima  vista,  appaia  assolutamente  priva  di  fondamento
(sentenza n. 71 del 2015)» (sentenza n. 122 del 2019). 
    Nella specie, non risulta ictu oculi priva di fondamento e quindi
implausibile la motivazione svolta dal giudice rimettente in punto di
rilevanza. 
    Quest'ultimo, infatti, dopo  aver  esposto  le  ragioni  per  cui
ritiene  infondati  i  profili  di  censura  inerenti  alla   pretesa
applicabilita' alla fattispecie sub iudice della  disciplina  statale
di cui al decreto-legge n. 269 del 2003, afferma di  dover  applicare
la previsione di cui all'art. 34, comma 2, lettera  a),  della  legge
reg. Emilia-Romagna n. 23  del  2004,  «addotta  dall'amministrazione
comunale quale seconda, autonoma ragione di diniego» del condono.  Di
conseguenza argomenta che  le  questioni  che  si  pongono  alla  sua
valutazione per effetto dei «motivi d'appello  devoluti  al  presente
grado   [...]   non   possono   essere    decise    indipendentemente
dall'applicazione della citata disposizione di legge regionale, posta
dall'amministrazione  comunale  a  fondamento  del  provvedimento  di
diniego dell'istanza di condono». 
    In effetti l'art. 34, comma  2,  lettera  a),  della  legge  reg.
Emilia-Romagna n. 23 del 2004, la' dove vieta il rilascio del  titolo
in  sanatoria  per  gli  interventi  di   ristrutturazione   edilizia
(conformi alla legislazione urbanistica ma  che  contrastino  con  le
prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti  alla  data  del  31
marzo 2003), che «comportino aumento delle unita' immobiliari», fatta
eccezione solo per quelle «ottenute attraverso il  recupero  ai  fini
abitativi dei  sottotetti,  in  edifici  residenziali  bifamiliari  e
monofamiliari», contribuisce a definire i  limiti  di  applicabilita'
del  divieto,  posto  a  fondamento   della   parte   impugnata   del
provvedimento di  rigetto  dell'istanza  di  condono.  E',  pertanto,
evidente che l'eventuale accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale  sollevata  dal   Consiglio   di   Stato   inciderebbe
sull'esito del giudizio principale. 
    4.- Sia  la  Regione  Emilia-Romagna  sia  il  Comune  di  Cesena
propongono un'ulteriore eccezione di inammissibilita' della questione
sollevata, sull'assunto che il rimettente chiederebbe a questa  Corte
una  pronuncia  additiva  senza,  tuttavia,  indicare  il   contenuto
dell'addizione. Si tratterebbe di una richiesta generica e imprecisa,
che non consentirebbe di  delimitare  quanto  ammesso  e  quanto  non
ammesso, generando incertezza del diritto e futuro contenzioso. 
    4.1.- Anche tale eccezione non e' fondata. 
    Dal  tenore  complessivo  della  motivazione  dell'ordinanza   di
rimessione emerge con sufficiente chiarezza che l'art. 34,  comma  2,
lettera a), della  legge  reg.  Emilia-Romagna  n.  23  del  2004  e'
censurato nella parte in cui non contempla, accanto all'eccezione  al
divieto di condono di interventi di  ristrutturazione  edilizia,  che
comportino aumento delle unita' immobiliari per effetto del  recupero
dei sottotetti a fini abitativi, anche  quella  degli  interventi  di
ristrutturazione che determinino un aumento delle unita'  immobiliari
risultanti dalla trasformazione  abitativa  di  altri  spazi  interni
diversi dai sottotetti, «ad organismo edilizio rimasto invariato  per
sagoma  e  volumetria».  Secondo  il   rimettente,   considerata   la
sostanziale omogeneita' delle situazioni messe a raffronto, sia sotto
il profilo  dell'incidenza  sul  carico  urbanistico,  sia  sotto  il
profilo del risparmio  di  aree  edificabili,  la  limitazione  delle
eccezioni al divieto di condono posto dal citato art.  34  alle  sole
ipotesi inerenti alla creazione di nuove unita' abitative  risultanti
dal recupero dei sottotetti e non anche di altri spazi  interni,  che
non alterino volume e sagoma dell'immobile, sarebbe in contrasto  con
i principi di ragionevolezza e parita' di trattamento. In  tal  modo,
finirebbero  per  essere  trattate  diversamente  ipotesi  del  tutto
assimilabili. 
    Il  petitum  e',  quindi,  «ben  chiaro,  mentre  solo   la   sua
indeterminatezza  o  ambiguita'  comporterebbero   l'inammissibilita'
della questione (ex pluribus, sentenza n. 32 del 2016;  ordinanze  n.
227 e n. 177 del 2016 e n. 269 del 2015)» (sentenza n. 180 del 2018). 
    5.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    La norma censurata e' contenuta nella legge regionale n.  23  del
2004, con  cui  la  Regione  Emilia-Romagna  e'  intervenuta  a  dare
attuazione a quanto previsto dall'art. 32 del d.l. n. 269  del  2003,
convertito, con modifiche, nella legge n. 326 del 2003. 
    Quest'ultimo, che ha introdotto «la previsione e la disciplina di
un nuovo condono edilizio esteso all'intero territorio nazionale,  di
carattere temporaneo ed eccezionale», ha subito,  per  effetto  della
sentenza  n.  196  del  2004   di   questa   Corte,   «una   radicale
modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle  Regioni
del potere di modulare l'ampiezza del condono edilizio  in  relazione
alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili» (sentenza n. 49
del 2006). 
    In particolare, si e' riconosciuto che il ruolo  del  legislatore
regionale, «specificativo - all'interno  delle  scelte  riservate  al
legislatore nazionale - delle norme in tema di condono,  contribuisce
senza dubbio a rafforzare la piu' attenta e specifica  considerazione
di quegli interessi pubblici, come  la  tutela  dell'ambiente  e  del
paesaggio, che sono - per loro natura - i piu' esposti a  rischio  di
compromissione da  parte  delle  legislazioni  sui  condoni  edilizi»
(sentenza n. 49 del 2006). 
    E' per  questo  che  la  legislazione  regionale  e'  chiamata  a
determinare le condizioni e le modalita' per la sanatoria di tutte le
tipologie di abuso edilizio (di cui all'Allegato 1 del  d.l.  n.  269
del 2003), nonche' l'eventuale individuazione di  limiti  volumetrici
inferiori a quelli indicati dalla normativa statale  (in  specie  dal
comma 26 del citato art. 32 del d.l. n. 269 del 2003),  con  riguardo
agli interventi edilizi abusivi condonabili. 
    Per dare attuazione a tali indicazioni, la Regione Emilia-Romagna
ha provveduto,  con  l'art.  34,  a  identificare  tassativamente  le
condizioni  per  la  sanatoria  di  interventi  di   ristrutturazione
edilizia «conformi alla legislazione urbanistica ma  che  contrastino
con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del
31 marzo 2003» (comma 2) e quindi abusivi.  Fra  tali  condizioni  ha
espressamente indicato, alla lettera a),  la  necessita'  che  simili
interventi non comportino aumenti delle  unita'  immobiliari,  «fatte
salve quelle ottenute attraverso il recupero ai  fini  abitativi  dei
sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari». 
    La previsione di quest'ultima eccezione riflette un  orientamento
gia' espresso nella precedente legge della Regione  Emilia-Romagna  6
aprile  1998,  n.  11  (Recupero  a  fini  abitativi  dei  sottotetti
esistenti), volto a promuovere tale recupero in vista  dell'obiettivo
di «contenere il consumo  di  nuovo  territorio  attraverso  un  piu'
efficace riutilizzo dei volumi esistenti»  (art.  1),  peraltro  «nel
rispetto  delle  caratteristiche  tipologiche  e  morfologiche  degli
immobili  e  delle  prescrizioni  igienico-sanitarie  riguardanti  le
condizioni di agibilita'». In questa linea il  legislatore  regionale
ha, per maggiore chiarezza, in seguito  esplicitato  il  concetto  di
«volumi esistenti», precisando che  per  «sottotetto  si  intende  lo
spazio  compreso  tra  l'intradosso   della   copertura   non   piana
dell'edificio e l'estradosso del solaio del piano sottostante» (comma
2 del citato art. 1, inserito  dall'art.  1,  comma  1,  della  legge
regionale 30  maggio  2014,  n.  5,  recante  «Modifiche  alla  legge
regionale 6 aprile  1998,  n.  11  "Recupero  a  fini  abitativi  dei
sottotetti esistenti"»). Il che esclude ogni intervento diverso dalla
mera nuova destinazione a fini abitativi del sottotetto preesistente. 
    La peculiarita' della fattispecie del recupero dei  sottotetti  a
fini abitativi e' stata,  d'altronde,  gia'  sottolineata  da  questa
Corte che, chiamata a scrutinare norme regionali volte  a  consentire
il recupero a fini abitativi di  quelli  gia'  esistenti,  anche  ove
realizzati in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, le ha
ritenute  legittime,  sul  piano  costituzionale,  a  condizione  che
fossero rispettati tutti i limiti fissati dal legislatore statale  in
tema di distanze, tutela del paesaggio, igiene e salubrita' (sentenze
n. 282 e n. 11 del 2016). 
    In particolare, con riguardo a norme regionali analoghe a  quella
posta dalla legge regionale ora in  esame,  anche  la  giurisprudenza
amministrativa si e' piu' volte pronunciata, rilevando come «non  una
qualsiasi parte di edificio immediatamente inferiore  al  tetto  puo'
ritenersi un "sottotetto" sfruttabile  ai  fini  abitativi,  ma  solo
quella parte che, a seconda dell'altezza,  della  praticabilita'  del
solaio, delle modalita' di accesso, dell'esistenza o meno di finestre
e di vani interni, integra un volume gia' di  per  se'  utilizzabile,
praticabile ed accessibile,  quantomeno  come  deposito  o  soffitta»
(Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento,  sentenza
19 gennaio 2017, n.  20).  Pertanto,  «presupposto  per  il  recupero
abitativo  dei  sottotetti  e'  che  sia  identificabile  come   gia'
esistente un volume  sottotetto  passibile  di  recupero,  ovvero  di
riutilizzo  a  fini  abitativi,  in  quanto  avente   caratteristiche
dimensionali   (altezza,   volume   e   superficie)   e    funzionali
(utilizzabile), tali da  risultare  gia'  praticabile  ed  abitabile»
(Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento,  sentenza
19  gennaio  2017,  n.  20;  cosi'  anche  Tribunale   amministrativo
regionale per la Lombardia, sezione seconda, sentenza 2 aprile  2010,
n. 970). 
    Alla  luce  di  tali  indicazioni  emerge   che   l'intento   del
legislatore regionale e' solo quello di consentire l'utilizzo, a fini
abitativi, di uno spazio,  il  sottotetto,  gia'  esistente,  la  cui
destinazione abitativa determina la "riconversione" del  medesimo  in
una unita' immobiliare, in vista,  come  si  e'  gia'  ricordato,  di
«contenere il consumo di nuovo territorio attraverso un piu' efficace
riutilizzo dei volumi esistenti» (art. 1 della legge reg. n.  11  del
1998). 
    Appare,  pertanto,  evidente  la  non  comparabilita'   di   tale
fattispecie con quella oggetto  del  giudizio  principale  -  cui  il
rimettente chiede di estendere la sanatoria - che  non  contempla  il
riutilizzo  di  uno  spazio  preesistente  "trasformato"  in   unita'
abitativa, ma la creazione, mediante la realizzazione  di  un  solaio
all'interno  di  un'attrezzaia  agricola,   di   due   nuove   unita'
immobiliari. 
    Ne' si puo' instaurare una corretta  comparazione  con  generiche
ipotesi di trasformazione a fini abitativi di «spazi interni  diversi
dai sottotetti», «ad organismo edilizio rimasto invariato per  sagoma
e volumetria», ipotesi che non escludono la creazione di  piu'  spazi
mediante la  frammentazione  dello  spazio  interno  originario,  con
conseguente moltiplicazione delle unita' immobiliari. 
    A una tale conclusione si perviene anche senza voler  considerare
la differente incidenza  dei  richiamati  interventi  in  termini  di
"carico urbanistico" e cioe' di «fabbisogno di dotazioni territoriali
di un determinato immobile  o  insediamento  in  relazione  alla  sua
entita' e destinazione d'uso» (cosi' nell'Allegato A  all'Intesa,  ai
sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno  2003,  n.  131,
tra il Governo, le Regioni e  i  Comuni  concernente  l'adozione  del
regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma  1-sexies  del
decreto del Presidente della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380).
Quest'ultima valutazione, anche in caso di non incremento di volume o
di superficie utile, impone  comunque  «scelte  di  tipo  qualitativo
circa il livello sostenibile di popolazione insediabile o di  offerta
ricettiva compatibile» con un certo tessuto abitativo  (Cons.  Stato,
sezione quarta, sentenza 13 novembre 2018, n. 6403), scelte  che  non
possono non spettare agli enti territoriali competenti. 
    Inoltre,  la  norma  censurata,  come  si  e'  visto,  e'   norma
"eccezionale"  rispetto  al  divieto  generale   di   condono   degli
interventi di ristrutturazione edilizia  che  comportino  un  aumento
delle  unita'  immobiliari.  Proprio  in   considerazione   di   tale
eccezionalita' essa «non puo' essere assunta come  utile  termine  di
raffronto ai fini del giudizio sulla corretta  osservanza,  da  parte
del legislatore, del principio di eguaglianza» (sentenza n.  298  del
1994 e piu' recentemente sentenza n. 20 del 2018). E' risalente  -  e
tuttavia sempre incisivo - l'orientamento di questa Corte da  cui  si
ricava che, «in presenza di norme generali e di norme derogatorie, in
tanto puo' porsi una questione  di  legittimita'  costituzionale  per
violazione del principio di eguaglianza,  in  quanto  si  assuma  che
queste ultime, poste in relazione alle prime, siano in contrasto  con
tale  principio;   viceversa,   quando   si   adotti   come   tertium
comparationis la norma  derogatrice,  la  funzione  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale non puo'  essere  se  non  il  ripristino
della disciplina generale,  ingiustificatamente  derogata  da  quella
particolare, non l'estensione ad altri  casi  di  quest'ultima  (cfr.
ord. n. 666 del 1988, ord. n. 582 del 1988, sent. n. 383  del  1992)»
(sentenza n. 298 del 1994). 
    Le ragioni fin  qui  enunciate  conducono  a  ritenere  priva  di
fondamento la questione di legittimita' costituzionale sollevata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  34,  comma  2,  lettera  a),  della  legge  della  Regione
Emilia-Romagna  21  ottobre  2004,  n.  23  (Vigilanza  e   controllo
dell'attivita' edilizia ed applicazione della  normativa  statale  di
cui all'articolo 32 del decreto-legge  30  settembre  2003,  n.  269,
convertito, con modifiche, dalla legge 24  novembre  2003,  n.  326),
sollevata,  in   riferimento   all'art.   3,   primo   comma,   della
Costituzione,  dal  Consiglio  di  Stato,  con  l'atto  indicato   in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2019. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE