N. 208 SENTENZA 3 - 26 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Divieto di condono di interventi di ristrutturazione edilizia che comportino un aumento delle unita' immobiliari - Eccezione al divieto per il caso di unita' immobiliari ottenute in edifici residenziali bifamiliari o monofamiliari attraverso il recupero dei sottotetti. - Legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), art. 34, comma 2, lettera a). -(GU n.31 del 31-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giorgio LATTANZI; Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), promosso dal Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra Libera Belletti e il Comune di Cesena, con sentenza non definitiva del 31 luglio 2018, iscritta al n. 153 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 prima serie speciale, dell'anno 2018. Visti l'atto di costituzione del Comune di Cesena nonche' l'atto di intervento della Regione Emilia-Romagna; udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra; uditi gli avvocati Benedetto Ghezzi per il Comune di Cesena e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna. Ritenuto in fatto 1.- Il Consiglio di Stato, VI sezione, con sentenza non definitiva del 31 luglio 2018, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. 1.1.- Il rimettente premette in fatto di essere stato adito in appello avverso la sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna aveva respinto il ricorso proposto per ottenere l'annullamento del provvedimento del Comune di Cesena di rigetto della domanda di condono edilizio, presentata il 10 novembre 2003, ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione a un intervento di «ristrutturazione edilizia consistente nella costruzione di un solaio intermedio in una porzione di attrezzatura agricola (...), con conseguente creazione di due unita' abitative, una per piano, e realizzazione di un piano interrato», nonche' per ottenere l'annullamento dell'ordinanza comunale (n. 20/527/EA/ac del 15 luglio 2009, notificata il 29 luglio 2009), con cui alla ricorrente era stata ordinata «la demolizione delle opere abusive e il ripristino dei luoghi allo stato autorizzato ripristinando l'uso del manufatto a servizio agricolo, attraverso altresi': la demolizione del solaio intermedio; la demolizione della scala; l'eliminazione della porzione in ampliamento (piano interrato)» entro il termine di novanta giorni dalla notificazione, con richiamo del provvedimento di diniego del condono. Il Consiglio di Stato ricorda che, avverso la sentenza del TAR per l'Emilia-Romagna, la ricorrente aveva dedotto i seguenti motivi: a) l'erronea interpretazione dell'art. 32, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003, che non attribuirebbe alle Regioni la potesta' di definire le condizioni sostanziali di ammissibilita' della sanatoria, che, invece, secondo la normativa statale, applicabile alla fattispecie in esame, sarebbero tutte soddisfatte; b) l'erronea reiezione della censura di eccesso di potere per travisamento dei fatti, con riferimento al preteso ampliamento della volumetria dell'immobile per effetto della realizzazione del piano interrato; c) l'erronea reiezione delle censure dedotte con i motivi aggiunti, con particolare riferimento all'erronea affermazione dell'aumento del carico urbanistico. Il collegio rimettente precisa che il provvedimento di diniego del condono edilizio e la conseguente ordinanza di demolizione delle opere abusive troverebbero il loro fondamento in due "presupposti normativi", costituiti, rispettivamente, dall'art. 33, comma 3, lettera b), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004, con riguardo al preteso ampliamento della cubatura superiore ai 100 metri cubi per effetto della realizzazione del piano interrato; e dall'art. 34, comma 2, lettera a), della medesima legge regionale n. 23 del 2004, con riguardo alla realizzazione di due unita' abitative mediante la costruzione di un solaio intermedio. Tuttavia, mentre le censure devolute in appello relative alla prima parte del provvedimento impugnato sono state accolte (per l'insussistenza del presupposto di fatto della realizzazione della nuova volumetria, eccedente la misura massima consentita di 100 metri cubi, asseritamente realizzata nel piano interrato), con conseguente annullamento del provvedimento impugnato in parte qua, per la definizione delle censure rivolte avverso la restante parte della motivazione del diniego di condono il Consiglio di Stato ritiene necessaria la rimessione alla Corte costituzionale dell'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004. Il rimettente ritiene, anzitutto, prive di fondamento le censure sollevate sulla base della pretesa applicabilita', alla fattispecie in esame, della disciplina statale in materia di condono straordinario ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, anziche' della disciplina regionale di cui agli artt. 26 e seguenti della legge regionale n. 23 del 2004, dato che, a seguito della sentenza di questa Corte n. 196 del 2004, la stessa normativa statale (art. 32 del d.l. n. 269 del 2003) stabilisce che e' la legge regionale a determinare la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'allegato 1, nonche' eventualmente limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nel decreto legge citato. Proprio in attuazione di tali previsioni - precisa il Consiglio di Stato - la Regione Emilia-Romagna ha adottato la disciplina del condono e disposto che essa trovi applicazione anche alle domande di condono gia' presentate ai sensi del d.l. n. 269 del 2003. Pertanto, il Collegio rimettente ritiene che alla fattispecie sub iudice debba applicarsi l'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004 e non la normativa statale. Tuttavia, il Consiglio di Stato dubita della legittimita' costituzionale della citata disposizione regionale in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. e solleva d'ufficio, ex art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la relativa questione. Innanzitutto, il collegio afferma che la questione e' senz'altro rilevante, dato che sono poste, con i motivi di appello devoluti al presente grado, questioni che non possono essere decise indipendentemente dall'applicazione della citata disposizione regionale posta dall'amministrazione comunale a fondamento del provvedimento di diniego dell'istanza di condono. In punto di non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato ritiene che la scelta operata dal legislatore regionale di limitare la sanatoria di interventi edilizi, comportanti un aumento delle unita' immobiliari ubicate in edifici residenziali bi-familiari o mono-familiari, alle unita' recuperate dalla trasformazione abitativa solo dei sottotetti e non anche di altri spazi interni, a «organismo edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria», sia arbitraria e ingiustificata, considerata la sostanziale omogeneita' delle situazioni messe a confronto, sia sotto il profilo dell'incidenza sul carico urbanistico, sia sotto il profilo del risparmio di aree edificabili, costituenti notoriamente una risorsa scarsa. Pertanto, solleva questione di legittimita' costituzionale della citata disposizione regionale in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. 2.- Nel giudizio si e' costituito il Comune di Cesena, parte del giudizio a quo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile e comunque infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato. Anche la Regione Emilia-Romagna, che e' intervenuta nel giudizio, ha rivolto alla Corte costituzionale le medesime richieste. In linea preliminare, la questione sarebbe inammissibile anzitutto per difetto di rilevanza. Sia il Comune che la Regione sottolineano che le censure proposte dalla appellante attenevano alla pretesa applicabilita' alla fattispecie in esame della legge statale vigente al momento della domanda di condono, che non avrebbe precluso la sanatoria di abusi consistenti nella realizzazione di nuove unita' abitative. In nessun grado e fase del giudizio sarebbe stata proposta l'eccezione relativa al recupero ai fini abitativi dei sottotetti e, pertanto, la norma regionale relativa sarebbe del tutto estranea e ininfluente rispetto alla decisione del giudice adito. La questione sarebbe inammissibile, per entrambi gli enti territoriali, anche sotto un altro profilo. Con essa, infatti, il rimettente chiederebbe alla Corte una pronuncia additiva senza tuttavia indicare il contenuto dell'addizione. Si tratterebbe di una richiesta generica e imprecisa, che non consentirebbe di delimitare quanto ammesso e quanto non ammesso, generando incertezza del diritto e futuro contenzioso. Nel merito la questione sarebbe priva di fondamento. La differenza di trattamento tra il recupero dei sottotetti e la libera suddivisione degli spazi interni dell'edificio sarebbe pienamente giustificata, da un lato, dalla oggettiva differenza di rilievo urbanistico tra le due ipotesi, dall'altro dalla diversa natura e gravita' dell'illecito originariamente posto in essere. Mentre il condono dei sottotetti corrisponderebbe in modo ragionevole alla finalita' di risparmio del suolo, la legittimazione ex post di qualunque tipo di intervento atto a moltiplicare le unita' immobiliari sarebbe un avallo postumo a ogni forma di edilizia abusiva senza alcuna prevedibilita' circa il livello di incisione sul carico urbanistico. 3.- All'udienza pubblica le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte. Considerato in diritto 1.- Il Consiglio di Stato, con sentenza non definitiva del 31 luglio 2018, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dell'art. 34, comma 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), adottata in applicazione della normativa statale che ha introdotto il cosiddetto "terzo condono" edilizio. In particolare, il Collegio rimettente ritiene che la citata disposizione regionale detti una disciplina arbitraria e ingiustificata, nella parte in cui limita le eccezioni al divieto di condono di interventi di ristrutturazione edilizia, che comportino un aumento delle unita' immobiliari, all'ipotesi delle sole unita' immobiliari «ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari». Tale eccezione dovrebbe essere estesa - secondo il rimettente - all'ipotesi in cui le unita' immobiliari nuove siano prodotte per effetto della trasformazione abitativa anche di altri spazi interni «ad organismo edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria», in considerazione della ritenuta sostanziale omogeneita' delle situazioni messe a confronto, sia sotto il profilo dell'incidenza sul carico urbanistico, sia sotto il profilo del risparmio di aree edificabili. 2.- In linea preliminare, si deve rilevare che non influisce sulla rituale instaurazione del giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale la circostanza che la questione sia stata sollevata dal Consiglio di Stato con una sentenza non definitiva, con cui, contemporaneamente, ha accolto, con "sentenza parziale", uno dei motivi di appello, con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento impugnato, e, con "contestuale ordinanza di rimessione", ha ritenuto la decisione dei restanti motivi condizionata alla previa proposizione della questione di costituzionalita'. Il provvedimento adottato ha caratteristiche peculiari, poiche' alla sentenza non definitiva si affianca un'ordinanza di rimessione, quest'ultima in relazione ai motivi di ricorso non decisi. La forma prescelta non e' tale da incidere sull'autonomia di ciascun provvedimento e sulla idoneita' dell'ordinanza a instaurare validamente il giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Il giudice a quo ha, infatti, disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione del fascicolo a questa Corte, nel rispetto dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (sentenze n. 86 del 2017, n. 94 del 2009; e, in casi simili, sentenza n. 452 del 1997; ordinanza n. 153 del 2002). 3.- Ancora in via preliminare, occorre esaminare l'eccezione di inammissibilita', proposta sia dal Comune di Cesena che dalla Regione Emilia-Romagna, per difetto di rilevanza della questione. Il dubbio di legittimita' costituzionale riguarderebbe, infatti, una norma regionale del tutto estranea al giudizio a quo e quindi ininfluente rispetto alla decisione del giudice adito. Cio' deriverebbe dalla circostanza che le censure proposte dall'appellante, attenendo all'erronea interpretazione dell'art. 32, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003 come convertito, e alla conseguente pretesa inapplicabilita' della legge regionale, in favore della normativa statale, non preclusiva della sanatoria di abusi consistenti nella realizzazione di nuove unita' abitative, non implicherebbero l'applicazione della norma regionale di cui all'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004, la' dove individua come unica eccezione al divieto di condono di interventi di ristrutturazione edilizia che diano forma a nuove unita' immobiliari quella inerente a unita' immobiliari «ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari». 3.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. Di recente questa Corte ha ribadito che «nel giudizio di costituzionalita', ai fini dell'apprezzamento della rilevanza, cio' che conta e' la valutazione che il giudice a quo deve effettuare in ordine alla possibilita' che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata, potendo la Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento (sentenza n. 71 del 2015)» (sentenza n. 122 del 2019). Nella specie, non risulta ictu oculi priva di fondamento e quindi implausibile la motivazione svolta dal giudice rimettente in punto di rilevanza. Quest'ultimo, infatti, dopo aver esposto le ragioni per cui ritiene infondati i profili di censura inerenti alla pretesa applicabilita' alla fattispecie sub iudice della disciplina statale di cui al decreto-legge n. 269 del 2003, afferma di dover applicare la previsione di cui all'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004, «addotta dall'amministrazione comunale quale seconda, autonoma ragione di diniego» del condono. Di conseguenza argomenta che le questioni che si pongono alla sua valutazione per effetto dei «motivi d'appello devoluti al presente grado [...] non possono essere decise indipendentemente dall'applicazione della citata disposizione di legge regionale, posta dall'amministrazione comunale a fondamento del provvedimento di diniego dell'istanza di condono». In effetti l'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004, la' dove vieta il rilascio del titolo in sanatoria per gli interventi di ristrutturazione edilizia (conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003), che «comportino aumento delle unita' immobiliari», fatta eccezione solo per quelle «ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari», contribuisce a definire i limiti di applicabilita' del divieto, posto a fondamento della parte impugnata del provvedimento di rigetto dell'istanza di condono. E', pertanto, evidente che l'eventuale accoglimento della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato inciderebbe sull'esito del giudizio principale. 4.- Sia la Regione Emilia-Romagna sia il Comune di Cesena propongono un'ulteriore eccezione di inammissibilita' della questione sollevata, sull'assunto che il rimettente chiederebbe a questa Corte una pronuncia additiva senza, tuttavia, indicare il contenuto dell'addizione. Si tratterebbe di una richiesta generica e imprecisa, che non consentirebbe di delimitare quanto ammesso e quanto non ammesso, generando incertezza del diritto e futuro contenzioso. 4.1.- Anche tale eccezione non e' fondata. Dal tenore complessivo della motivazione dell'ordinanza di rimessione emerge con sufficiente chiarezza che l'art. 34, comma 2, lettera a), della legge reg. Emilia-Romagna n. 23 del 2004 e' censurato nella parte in cui non contempla, accanto all'eccezione al divieto di condono di interventi di ristrutturazione edilizia, che comportino aumento delle unita' immobiliari per effetto del recupero dei sottotetti a fini abitativi, anche quella degli interventi di ristrutturazione che determinino un aumento delle unita' immobiliari risultanti dalla trasformazione abitativa di altri spazi interni diversi dai sottotetti, «ad organismo edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria». Secondo il rimettente, considerata la sostanziale omogeneita' delle situazioni messe a raffronto, sia sotto il profilo dell'incidenza sul carico urbanistico, sia sotto il profilo del risparmio di aree edificabili, la limitazione delle eccezioni al divieto di condono posto dal citato art. 34 alle sole ipotesi inerenti alla creazione di nuove unita' abitative risultanti dal recupero dei sottotetti e non anche di altri spazi interni, che non alterino volume e sagoma dell'immobile, sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e parita' di trattamento. In tal modo, finirebbero per essere trattate diversamente ipotesi del tutto assimilabili. Il petitum e', quindi, «ben chiaro, mentre solo la sua indeterminatezza o ambiguita' comporterebbero l'inammissibilita' della questione (ex pluribus, sentenza n. 32 del 2016; ordinanze n. 227 e n. 177 del 2016 e n. 269 del 2015)» (sentenza n. 180 del 2018). 5.- Nel merito, la questione non e' fondata. La norma censurata e' contenuta nella legge regionale n. 23 del 2004, con cui la Regione Emilia-Romagna e' intervenuta a dare attuazione a quanto previsto dall'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modifiche, nella legge n. 326 del 2003. Quest'ultimo, che ha introdotto «la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all'intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale», ha subito, per effetto della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte, «una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili» (sentenza n. 49 del 2006). In particolare, si e' riconosciuto che il ruolo del legislatore regionale, «specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la piu' attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i piu' esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi» (sentenza n. 49 del 2006). E' per questo che la legislazione regionale e' chiamata a determinare le condizioni e le modalita' per la sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio (di cui all'Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003), nonche' l'eventuale individuazione di limiti volumetrici inferiori a quelli indicati dalla normativa statale (in specie dal comma 26 del citato art. 32 del d.l. n. 269 del 2003), con riguardo agli interventi edilizi abusivi condonabili. Per dare attuazione a tali indicazioni, la Regione Emilia-Romagna ha provveduto, con l'art. 34, a identificare tassativamente le condizioni per la sanatoria di interventi di ristrutturazione edilizia «conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003» (comma 2) e quindi abusivi. Fra tali condizioni ha espressamente indicato, alla lettera a), la necessita' che simili interventi non comportino aumenti delle unita' immobiliari, «fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari». La previsione di quest'ultima eccezione riflette un orientamento gia' espresso nella precedente legge della Regione Emilia-Romagna 6 aprile 1998, n. 11 (Recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti), volto a promuovere tale recupero in vista dell'obiettivo di «contenere il consumo di nuovo territorio attraverso un piu' efficace riutilizzo dei volumi esistenti» (art. 1), peraltro «nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e morfologiche degli immobili e delle prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di agibilita'». In questa linea il legislatore regionale ha, per maggiore chiarezza, in seguito esplicitato il concetto di «volumi esistenti», precisando che per «sottotetto si intende lo spazio compreso tra l'intradosso della copertura non piana dell'edificio e l'estradosso del solaio del piano sottostante» (comma 2 del citato art. 1, inserito dall'art. 1, comma 1, della legge regionale 30 maggio 2014, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 "Recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti"»). Il che esclude ogni intervento diverso dalla mera nuova destinazione a fini abitativi del sottotetto preesistente. La peculiarita' della fattispecie del recupero dei sottotetti a fini abitativi e' stata, d'altronde, gia' sottolineata da questa Corte che, chiamata a scrutinare norme regionali volte a consentire il recupero a fini abitativi di quelli gia' esistenti, anche ove realizzati in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, le ha ritenute legittime, sul piano costituzionale, a condizione che fossero rispettati tutti i limiti fissati dal legislatore statale in tema di distanze, tutela del paesaggio, igiene e salubrita' (sentenze n. 282 e n. 11 del 2016). In particolare, con riguardo a norme regionali analoghe a quella posta dalla legge regionale ora in esame, anche la giurisprudenza amministrativa si e' piu' volte pronunciata, rilevando come «non una qualsiasi parte di edificio immediatamente inferiore al tetto puo' ritenersi un "sottotetto" sfruttabile ai fini abitativi, ma solo quella parte che, a seconda dell'altezza, della praticabilita' del solaio, delle modalita' di accesso, dell'esistenza o meno di finestre e di vani interni, integra un volume gia' di per se' utilizzabile, praticabile ed accessibile, quantomeno come deposito o soffitta» (Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, sentenza 19 gennaio 2017, n. 20). Pertanto, «presupposto per il recupero abitativo dei sottotetti e' che sia identificabile come gia' esistente un volume sottotetto passibile di recupero, ovvero di riutilizzo a fini abitativi, in quanto avente caratteristiche dimensionali (altezza, volume e superficie) e funzionali (utilizzabile), tali da risultare gia' praticabile ed abitabile» (Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, sentenza 19 gennaio 2017, n. 20; cosi' anche Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, sentenza 2 aprile 2010, n. 970). Alla luce di tali indicazioni emerge che l'intento del legislatore regionale e' solo quello di consentire l'utilizzo, a fini abitativi, di uno spazio, il sottotetto, gia' esistente, la cui destinazione abitativa determina la "riconversione" del medesimo in una unita' immobiliare, in vista, come si e' gia' ricordato, di «contenere il consumo di nuovo territorio attraverso un piu' efficace riutilizzo dei volumi esistenti» (art. 1 della legge reg. n. 11 del 1998). Appare, pertanto, evidente la non comparabilita' di tale fattispecie con quella oggetto del giudizio principale - cui il rimettente chiede di estendere la sanatoria - che non contempla il riutilizzo di uno spazio preesistente "trasformato" in unita' abitativa, ma la creazione, mediante la realizzazione di un solaio all'interno di un'attrezzaia agricola, di due nuove unita' immobiliari. Ne' si puo' instaurare una corretta comparazione con generiche ipotesi di trasformazione a fini abitativi di «spazi interni diversi dai sottotetti», «ad organismo edilizio rimasto invariato per sagoma e volumetria», ipotesi che non escludono la creazione di piu' spazi mediante la frammentazione dello spazio interno originario, con conseguente moltiplicazione delle unita' immobiliari. A una tale conclusione si perviene anche senza voler considerare la differente incidenza dei richiamati interventi in termini di "carico urbanistico" e cioe' di «fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entita' e destinazione d'uso» (cosi' nell'Allegato A all'Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380). Quest'ultima valutazione, anche in caso di non incremento di volume o di superficie utile, impone comunque «scelte di tipo qualitativo circa il livello sostenibile di popolazione insediabile o di offerta ricettiva compatibile» con un certo tessuto abitativo (Cons. Stato, sezione quarta, sentenza 13 novembre 2018, n. 6403), scelte che non possono non spettare agli enti territoriali competenti. Inoltre, la norma censurata, come si e' visto, e' norma "eccezionale" rispetto al divieto generale di condono degli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino un aumento delle unita' immobiliari. Proprio in considerazione di tale eccezionalita' essa «non puo' essere assunta come utile termine di raffronto ai fini del giudizio sulla corretta osservanza, da parte del legislatore, del principio di eguaglianza» (sentenza n. 298 del 1994 e piu' recentemente sentenza n. 20 del 2018). E' risalente - e tuttavia sempre incisivo - l'orientamento di questa Corte da cui si ricava che, «in presenza di norme generali e di norme derogatorie, in tanto puo' porsi una questione di legittimita' costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, in quanto si assuma che queste ultime, poste in relazione alle prime, siano in contrasto con tale principio; viceversa, quando si adotti come tertium comparationis la norma derogatrice, la funzione del giudizio di legittimita' costituzionale non puo' essere se non il ripristino della disciplina generale, ingiustificatamente derogata da quella particolare, non l'estensione ad altri casi di quest'ultima (cfr. ord. n. 666 del 1988, ord. n. 582 del 1988, sent. n. 383 del 1992)» (sentenza n. 298 del 1994). Le ragioni fin qui enunciate conducono a ritenere priva di fondamento la questione di legittimita' costituzionale sollevata.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell'attivita' edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modifiche, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, con l'atto indicato in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente Silvana SCIARRA, Redattore Filomena PERRONE, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2019. Il Cancelliere F.to: Filomena PERRONE